L’articolo 1 comma 149 della Legge di Stabilità prevede una novità importante, che sarà attuata dal 2014, in tema di finanziamenti alla scuola pubblica: tra i 9 mila istituti riceveranno importi maggiori non più quelli che registrano maggiori iscrizioni (e quindi in maniera proporzionale agli alunni e al personale) bensì quelli in cui gli studenti si dimostreranno più meritevoli. La legge sul punto prevede espressamente che “A decorrere dal 2014 i risultati conseguiti dalle singole istituzioni sono presi in considerazione ai fini della distribuzione delle risorse per il funzionamento“.

La legge si pone sul filone delle logiche “premiali” e meritocratiche introdotte con la Riforma Brunetta nella Pubblica Amministrazione nel 2009 e dall’ex ministro Mariastella Gelmini per le università. Ma quando si parla di finanziamenti alla scuola pubblica, allo stato dei fatti in Italia, non ci si riferisce purtroppo a bonus extra come apparecchiature ultratecnologiche nei laboratori, ma anche e soprattutto a beni di prima necessità per l’igiene dell’istituto e per il regolare svolgimento delle lezioni. Si parla ad esempio di carta igienica, gessi e toner per le stampanti.

E’ giusto finanziare le scuole migliori o la meritocrazia nasconde una discriminazione economica e sociale?

La previsione ha già suscitato la reazione critica dei sindacati, in particolare ANIEF e UIL, che parlano di una riforma irrealizzabile in concreto. Ma le opposizioni si muovono su due piani diversi. C’è chi critica la ratio stessa della distribuzione dei finanziamenti alla scuola su base meritocratica (così Massimo Di Menna, segretario della Uil scuola che ha chiesto quale sia la motivazione che spinge a tagliare le risorse alle scuole con risultati peggiori invece che incoraggiarle a fare meglio assegnando a queste scuole più risorse”) e chi invece esprime perplessità soprattutto sul metodo di selezione impiegato. Va detto peraltro che decontestualizzare del tutto l’andamento di un istituto dal contesto sociale, culturale ed economico in cui esso sorge, comporta il rischio di avvantaggiare le scuole che in qualche modo sono già privilegiate e relegare ancora di più quelle che offrono un servizio in territori difficili di periferia.

E’ chiaro che se una scuola di Scampia è meno meritevole di quella del centro di Milano (dove in alcuni casi sono i genitori ad autofinanziare la scuola) è perché forse non vengono offerti gli stessi servizi e un ulteriori tagli alla scuola non farebbero altro che affondare ancora di più il sistema scolastico nelle zone più difficili.

Come si stabilisce quale scuola è più meritevole: i limiti dei test Invalsi

Per quanto riguarda invece la seconda prospettiva (ovvero quella di critica non alla ratio ma piuttosto al metodo) il punto centrale della questione è: chi giudica quali scuole meritano maggiormente i finanziamenti? Il progetto di valutazione nazionale dell’andamento delle scuole, denominato Vales (le cui linee guida sono state recentemente specificate a cura di Invalsi), soffre a sua volta di mancanza di fondi e quindi non può che essere inefficace se applicato in maniera esclusiva. Il regolamento propone di giudicare l’andamento di un istituto scolastico mediante l’azione combinata di strumenti di ispezione esterni e l’autovalutazione interna sulla base dei dati resi disponibili del sistema informativo del Ministero. I primi consistono nei tanto discussi test Invalsi e Indire ma anche nelle ispezioni del personale delle associazioni professionali. Bastano dei test per giudicare una scuola? E’ questa la critica spesso rivolta a Invalsi e Indire. Di Menna non nega l’esigenza di un sistema di valutazione ma propone a questo scopo di ispirarsi al modello francese, che sta investendo tempo e soldi.