Ha fatto notizia quando due anni fa l’amministratore delegato di Fiat annunciava l’addio del Lingotto a Confindustria. In quel caso, erano ragioni di rappresentanza degli interessi di Torino e una certa divergenza sull’assetto organizzativo a spingere Sergio Marchionne al gesto plateale. Quel che si sa meno è che da tempo sono parecchie le imprese dal nome meno altisonante, che avrebbero lasciato l’organizzazione di Via dell’Astronomia. Motivo? Costa troppo. Perché aderire a Confindustria può anche fare chic negli ambienti imprenditoriali, ma ha il suo rovescio della medaglia: un’azienda di 50 dipendenti potrebbe essere chiamata a sborsare intorno ai 15 mila euro all’anno, che diventano 50 mila euro per un’impresa di mille dipendenti.

Troppi in tempi di crisi, anche perché sarebbero in tanti a lamentare l’erogazione di servizi scadenti e insufficienti. Scarsa l’assistenza sul territorio; tanto vale uscire e aderire ad altre sigle, come Confartigianato, Confcommercio o Lega Coop. Gli addii pare che ammontino al 12%, tali da mettere in difficoltà i conti dell’organizzazione degli industriali.  

Crisi Confindustria: per molti il gioco non vale la candela

Non si conosce l’esatto ammontare delle spese di Confindustria, ma si stimano in 500 milioni di euro. Un’enormità, frutto di sacche di privilegi e di sprechi, che hanno spinto in questi giorni alcuni iscritti a proporre al presidente Giorgio Squinzi un taglio delle spede nell’ordine del 25-30%. E domani, Squinzi dovrebbe presentare alcune proposte di riforma, anche se il timore di molti è che si vada verso un risparmio lineare, senza attaccare la ciccia degli sprechi. Il modello organizzativo risulta inefficiente, caratterizzato da una platea incontrollata di associazioni territoriali, che si sovrappone a quella nazionale. Nella sola Lombardia sono 13 e senza contare le associazioni merceologiche, che si sommano alle altre, creando confusione nella rappresentanza degli interessi degli aderenti verso l’esterno e moltiplicando i costi a loro carico.

E al sistema già farraginoso partecipano anche diverse agenzie di consulenza, che svolgono compiti in favore degli iscritti, i quali dovrebbero teoricamente essere praticati dall’associazione stessa. Il patrimonio immobiliare risulta ricco, forse sproporzionato, ma sfruttato male. E a livello centrale, sono troppe le cariche che vantano emolumenti e liquidazioni da paperoni, le quali spesso diventano anche doppi incarichi, per via della gestione poco trasparente che parte degli iscritti addita a Via dell’Astronomia. E ci sono poi le missioni estere, la rappresentanza a Bruxelles. Insomma, costi su costi, a fronte di benefici sempre meno evidenti. Adesso nemmeno il quotidiano dell’organizzazione, il Sole 24 Ore, distribuisce più utili, come del resto l’intera editoria cartacea, aggravando lo stato finanziario dell’intero apparato. Ora, si parla di cassa integrazione per diverse associazioni territoriali. Un passo inutile, se non si tagliano gli sprechi e si razionalizza l’intero sistema di rappresentanza. Anche perché altrimenti gli industriali rischiano di essere poco credibili, quando chiedono allo stato di tagliare e razionalizzare la spesa, mentre si mostrano incapaci di farlo al loro interno.