Una nuova scoperta scientifica potrebbe rimettere nuovamente in discussione le teorie sull’Universo e la sua evoluzione. Stavolta parliamo di buchi neri e quello identificato dai ricercatori è molto vicino al nostro pianeta Terra. Gli astrologi stanno cercando di studiarne le caratteristiche per scoprire qual è la sua pericolosità.

I decennali dati accumulati dall’Istituto Gaia, coadiuvati dai nuovi strumenti di indagine in possesso della comunità scientifica, sono serviti per portare alla scoperta di questa regione dello spazio dotata di campo gravitazionale così forte da catturare e risucchiare qualsiasi cosa giunga nel suo raggio di azione.

Studiare questi fenomeni aiuta gli astrofisici a decifrare nuovi indizi sull’evoluzione dell’Universo in termini cosmologici, ma è fondamentale anche capirne la pericolosità.

Buchi neri, ecco il più vicino al nostro pianeta

Era invisibile, eppure c’era. Il concetto steso di buco nero è alquanto ambiguo. Parliamo infatti di un fenomeno che essenzialmente non ha una sua materia ben decifrabile, ma allo stesso tempo compie un’azione incredibilmente distruttiva. Come detto, ciò che lo caratterizza è il campo gravitazionale incredibilmente forte, ed è questa caratteristica che gli scienziati prendono in esame per scovarlo nello spazio profondo. Grazie quindi ai dati raccolti sono riusciti a individuare questa regione all’interno della Via Lattea capace di risucchiare qualsiasi cosa le si avvicini. Quello appena scoperto rimane al momento il buco nero più prossimo al nostro pianeta. C’è da preoccuparsi data la pericolosità del fenomeno? La parola alla scienza.

Nessuna apocalisse è stata annunciata, quindi possiamo ancora stare tranquilli. A momento infatti gli astrologi sono decisamente più interessati a capire quali siano le implicazioni di questa scoperta in termini cosmologici. L’osservazione di un buco nero, infatti, offre grandi opportunità per testare le leggi fisiche nelle condizioni più estreme che l’universo possa offrire. Questi corpi celesti sono sparsi un po’ ovunque nello spazio, ma mai ne erano stati individuati di così vicini alla Terra.

Si tratta quindi di una scoperta decisamente importante che permetterà agli scienziati di studiare con maggior cura il fenomeno e avanzare poi successive idee a riguardo, compito da sempre affidato poi ai fisici teorici. Il team di scienziati che ha scoperto tale corpo celeste stava indagando proprio sui cosiddetti buchi neri dormienti, si tratta di campi di attrazione particolarmente lenti e piccoli, per questo motivo più difficili da individuare. La squadra di ricercatori ha analizzato i dati offerti dall’Osservatorio Gaia dell’ESA, missione che si avvale di un decennio di ricerche, setacciando quasi un miliardo di oggetti astronomici.

Mai così vicino alla Terra

Dalla ricerca si evince che in realtà nella nostra galassia esistono tantissimi buchi neri cosiddetti dormienti, ossia dal campo gravitazionale più lento e dalle dimensioni più piccole rispetto ad altri scoperti nell’universo. Ciò significa che attraggono i corpi che gli capitano a tiro più lentamente. Secondo tale studio, si ipotizza che queste regioni oscure presenti nella nostra Via Lattea sarebbero addirittura 100 milioni, ma finora ne sono stati scoperti solo una ventina. Un’altra caratteristica di questi corpi celesti dormienti è che sono privi del tipico disco luminoso che ne copre i contorni. Quando infatti divorano una stella, le radiazioni di luce della stessa sono meno appariscenti, ed è anche per questo motivo che spesso sfuggono al campo d’indagine degli scienziati.

A guidare la ricerca è stato l’astrofisico Kareem El-Badry, il quale ha dichiarato:

“I dati Gaia ci fanno vedere chiaramente un’ellisse, che tratteggia l’orbita attorno al buco nero. La dimensione dell’orbita e la sua durata, inoltre, ci danno indizi importanti sulla massa del buco nero e sulla sua capacità di “risucchiare” ciò che c’è accanto. Abbiamo osservato la stella spettroscopicamente e abbiamo dimostrato il suo compagno è davvero oscuro”.

Ma quanto sono pericolosi questi buchi neri? Al momento gli scienziati non possono ancora dare una risposta concreta.

Serviranno nuovi studi e tanta osservazione per giungere a una conclusione scientificamente certa.