Cambiamenti in vista e grosse novità per le regioni con il disegno di legge sulle Autonomie regionali voluto da Roberto Calderoli, ministro degli Affari Regionali ed esponente della Lega, approvato anche dal Consiglio dei ministri e storico cavallo di battaglia del Carroccio. Quello che appare chiaro, è che la riforma delle Autonomie sembra avere un’importanza non da poco nei piani del governo, nonostante l’approvazione in Consiglio dei ministri sia preliminare. Con l’autonomia differenziata lo Stato riconosce il potere da parte di una singola Regione a statuto ordinario di avere un’autonomia legislativa su materie che ad oggi sono esclusive dello Stato.

Ma cerchiamo di capire che cosa potrebbe cambiare, in sostanza.

Autonomia regionale differenziata: gli effetti economici

Va detto che, appena approvato il disegno di legge non sono mancate polemiche legate ad un possibile aumento della disparità tra regioni del nord e del sud. Alcuni cambiamenti potrebbero intaccare molti ambiti come la scuola e il fisco. Va subito specificato, che il ddl è formato da 10 articoli ma il testo approvato dal Consiglio dei Ministri è una legge di principio. In sostanza, una volta approvata si tratterà di una legge che andrà riempita. Per farla breve, le Regioni che richiedono l’Autonomia otterranno degli accordi con lo Stato in base a vari leggi legate ad alcuni settori.

Il Parlamento resta quindi escluso nella definizione delle singole intese. In Italia le Regioni a statuto speciale per adesso sono Sicilia, Sardegna, Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige. Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna hanno stretto patti con il governo e tutte le altre, tranne Abruzzo e Molise, hanno già cominciato a stringere ugualmente dei patti con l’esecutivo. Quindi se la riforma voluta dalla Lega sarà approvata anche all’atto finale, non ci saranno più limitazioni alle materie oggetto di accordi.

Cosa potrebbe cambiare

In particolare, si parla di rifiuti e bonifiche, rapporti internazionali e con la Ue a tutela della salute, istruzione, infrastrutture, produzione, trasporto, distribuzione energia.

Ma anche gestione del demanio regionale e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Così come scuola, trasporti, sanità, ma anche energia e porti, per cui ogni regione potrebbe aprire accordi con lo Stato e chiedere autonomia su alcuni temi. Tema centrale resta il fisco, visto che , nella bozza si citano le “compartecipazioni al gettito di uno o più tributi maturati nel territorio regionale”.

Ossia le regioni potranno tenere una parte delle tasse pagate in Italia per sostenere gli accordi voluti. Anche se ciò potrebbe creare degli squilibri tra le varie Regioni. In pratica, si potrebbe instaurare un sistema in base al quale le Regioni potrebbero trattenere il gettito fiscale, che di conseguenza non sarebbe più distribuito su base nazionale. Ma bisogna anche considerare le grandi differenze economiche e sociali di tutte le regioni. Uno degli aspetti più discussi rimane quello dei «Livelli essenziali delle prestazioni». Ossia gli standard minimi dei servizi che devono essere garantiti in tutte le Regioni, i cosiddetti LEP.

Le polemiche

Secondo la premier Meloni con l’Autonomia regionale sarà possibile dare al nord e sud la:

“possibilità di viaggiare alla stessa velocità, eliminando gli squilibri economici e sociali. Meno burocrazia, meno costi, più velocità ed efficienza. Un’importante occasione per costruire un’Italia più unita e coesa”.

Matteo Salvini ha anche sottolineato che in questo modo si avranno più diritti per tutti i cittadini.
Dall’altro lato, c’è chi la critica e pensa che in questo modo si andranno ad aumentare le disuguaglianze a livello inter-regionale e si spaccherà in due il paese.

Anche con l’approvazione, comunque, è poi previsto un lungo iter in parlamento, quindi non sarà un percorso immediato.


Insomma, sicuramente è una riforma destinata a spaccare il paese, che rischia di trasformarsi in un boomerang per il Nord a detta dell’opposizione. Mentre per il governo si conferma come un modo per tagliare gli sprechi e valorizzare i territori. Secondo l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno (Svimez), questa riforma rischia rendere ancora più evidente il divario tra nord e sud. Solo nel 2023, il Pil del Sud si contrarrebbe fino a -0,4%, mentre quello del Centro-Nord subirebbe un rallentamento pur rimanendo positivo.