La Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi su un tema molto delicato: il divieto di cumulo tra pensione “Quota 100” e redditi da lavoro dipendente.
Con la sentenza n. 162 del 2025, però, la Consulta non è entrata nel merito della questione, dichiarando inammissibili i dubbi di legittimità sollevati dal Tribunale ordinario di Ravenna. Il motivo non riguarda tanto il contenuto della norma, quanto il modo in cui il giudice ha impostato il proprio quesito, senza svolgere fino in fondo quell’attività di interpretazione necessaria per verificare l’esistenza di un vero e proprio “diritto vivente”.
Come funziona la pensione Quota 100
Quota 100 è il meccanismo che ha consentito (e consente) l’uscita anticipata dal lavoro a chi, entro il 31 dicembre 2021, ha raggiunto contemporaneamente due condizioni: almeno 62 anni di età e 38 anni di contributi versati.
Si parla di pensione anticipata perché consente l’accesso al trattamento prima del requisito previsto per la pensione di vecchiaia, fissato a 67 anni.
Ricordiamo che poi a Quota 100 hanno fatto seguito Quota 102 (solo per il 2022) e poi Quota 103 (dal 2023 e verso la proroga al 2026).
Accanto al vantaggio dell’anticipo, la disciplina di Quota 100 prevede però un vincolo molto rigido: il trattamento non può essere cumulato con i redditi derivanti da attività lavorativa, svolta in Italia o all’estero. L’unica eccezione riguarda il lavoro autonomo occasionale, ammesso entro un limite massimo di 5.000 euro lordi all’anno.
Quanto dura il divieto di incumulabilità
Il divieto di incumulabilità non dura per sempre. L’incumulabilità opera solo nel periodo compreso tra la decorrenza della pensione Quota 100 e il momento in cui il pensionato raggiunge il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia, come adeguato agli incrementi della speranza di vita.
Fino a quel traguardo, ogni reddito da lavoro (salvo la piccola franchigia per l’autonomo occasionale) può avere conseguenze pesanti.
Se il pensionato percepisce redditi da attività diverse dal lavoro autonomo occasionale, oppure supera il tetto dei 5.000 euro lordi annui per tale tipologia di prestazione, la sanzione prevista è la sospensione della pensione per l’intero anno di produzione del reddito e il recupero delle rate già corrisposte e considerate indebite.
Il caso del pensionato Quota 100 con un solo giorno di lavoro
La vicenda che ha portato la questione davanti alla Corte Costituzionale riguarda un pensionato titolare di trattamento con Quota 100. Dopo l’accesso alla pensione, l’interessato ha firmato un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato per una sola giornata, dalla quale ha ricavato un reddito lordo di 83,91 euro.
Nonostante l’importo molto modesto, con un provvedimento del 9 settembre 2021 l’INPS ha comunicato al pensionato la formazione di un “indebito” pari a 23.949,05 euro, qualificato come somme non dovute sulla pensione per l’intero anno 2020.
Il pensionato ha impugnato il provvedimento e il Tribunale ordinario di Ravenna, con ordinanza del 27 gennaio 2025, ha rimesso alla Corte Costituzionale la valutazione di legittimità dell’articolo 14, comma 3, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (riguardante Quota 100). Il giudice ha ritenuto che quella disciplina possa contrastare con diversi articoli della Costituzione: l’articolo 2, l’articolo 3 (in particolare sotto il profilo dei principi di ragionevolezza e proporzionalità), l’articolo 38, secondo comma, e l’articolo 117, primo comma, in relazione all’articolo 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Le valutazioni del tribunale
Secondo il Tribunale, è problematico che la pensione venga sospesa per un’intera annualità anche quando l’attività lavorativa è stata svolta per periodi minimi, come una o poche giornate, e ha generato redditi del tutto modesti. Da un lato, è pacifico che il reddito percepito rientri nel divieto di cumulo previsto per Quota 100; dall’altro, la conseguenza – perdita del trattamento per un anno – appare sproporzionata rispetto alla violazione.
La norma, in presenza di un reddito da lavoro dipendente simbolico e insufficiente a garantire il sostentamento del pensionato-lavoratore, conduce infatti a un risultato estremo: la compromissione integrale della fonte principale di sostegno, cioè la pensione.
Il giudice rimettente sottolinea che, anche se si volesse considerare questa disciplina come una sanzione per il comportamento del pensionato, resterebbe comunque il problema della mancanza di un legame logico e causale adeguato tra la violazione (un giorno di lavoro) e la conseguenza (perdita della pensione per dodici mesi). In più, emergerebbe una evidente sproporzione tra l’ammontare del reddito ottenuto e l’entità della sanzione.
Viene inoltre richiamato il diritto al rispetto dei propri beni, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. La perdita del trattamento pensionistico, in casi come questo, incide sulla possibilità stessa di soddisfare i bisogni fondamentali di vita, con effetti anche sulla dignità della persona, protetta dall’articolo 2 della Costituzione, senza che risultino chiari interessi generali o motivi di utilità pubblica tali da giustificare un sacrificio così gravoso.
Incumulabilità altri redditi con Quota 100: la Corte Costituzionale non entra nel merito
La Corte Costituzionale, però, non ha affrontato queste questioni di fondo. Nella sentenza n. 162 del 2025, ha dichiarato inammissibili le questioni per un vizio preliminare.
Secondo la Consulta, non erano presenti quei requisiti di stabilità e reiterazione necessari per ritenere che l’interpretazione della norma, proposta dalla giurisprudenza di legittimità, fosse davvero consolidata al punto da costituire “diritto vivente”.
Un solo precedente, infatti, non basta per ritenere formato un orientamento giurisprudenziale stabile e radicato nell’ordinamento.
Il giudice che sospetta un contrasto con la Costituzione deve prima verificare con attenzione il quadro delle interpretazioni già offerte dai giudici superiori e, solo in presenza di un indirizzo realmente consolidato, può parlare di “diritto vivente” e rimettere la norma al vaglio della Corte Costituzionale. Nel caso di Quota 100 e del divieto di cumulo, secondo la Consulta questo passaggio non è stato adeguatamente compiuto.
Il risultato è che il nodo della proporzionalità delle conseguenze economiche per chi viola il divieto di cumulo con Quota 100 resta, almeno per ora, irrisolto sul piano costituzionale, in attesa di eventuali futuri interventi legislativi o giurisprudenziali più strutturati.
Riassumendo
- La Consulta dichiara inammissibili i dubbi sul divieto di cumulo in Quota 100.
- Quota 100 consente pensione anticipata con vincoli rigidi sui redditi da lavoro.
- Redditi lavorativi, salvo autonomo occasionale entro 5.000 euro, sospendono la pensione.
- Caso esaminato: un pensionato lavora un giorno e perde un anno di pensione.
- Il Tribunale denuncia sproporzione tra minimo reddito percepito e pesante conseguenza economica.
- La Corte non esamina il merito per mancanza di un vero “diritto vivente”.