e davvero, nella manovra finanziaria di fine anno, il classico pacchetto pensioni della legge di Bilancio confermerà ciò che si dice adesso per il 2026, avremo due misure che, anche se solo lontanamente, richiamano al passato. Prima dell’avvento della riforma Fornero, infatti, esisteva una misura che permetteva l’uscita dal lavoro con un elevato numero di anni di contributi, senza alcun limite di età. Si trattava della vecchia pensione di anzianità, che si raggiungeva con 40 anni di versamenti.
Accanto a questa, vi era un’altra misura che prevedeva l’uscita con un numero di anni di contributi più basso, ma con almeno 60 anni di età.
Era la cosiddetta quota 96. Oggi si parla di introdurre due nuove possibilità: la prima a partire dai 62 anni, ma solo con una carriera contributiva molto lunga; la seconda dai 64 anni, invece, con una carriera più ridotta. Vediamo ora nel dettaglio queste due ipotesi, che rispondono a molti dubbi dei contribuenti nati proprio nel 1962 e nel 1964.
Due esempi di domande che ci arrivano di frequente:
“Buonasera, sono nato nel 1962 e compio 64 anni nel 2026. Volevo capire se ci sono certezze sulla possibilità di andare in pensione l’anno prossimo. Ho già oggi 20 anni di versamenti e, da quanto ho capito, basterebbero per la novità che il governo introdurrà. Mi date qualche speranza voi che ne sapete di più?”
“Salve, vi spiego in breve la mia situazione. Sono nato nel 1964 e ho 40 anni di contributi. Probabilmente nel 2026 completerei i requisiti per la quota 103, ma da quanto ho capito questa non ci sarà più. Si parla di una nuova misura a 62 anni: secondo voi potrei usufruirne o resterò escluso?”
Il futuro delle pensioni: dal 2026 a 64 anni con pochi contributi, o a 62 anni con tanti contributi
Due quesiti, tra i tanti ricevuti, che hanno un denominatore comune.
Fanno, infatti, riferimento alle ipotesi sul tavolo del governo in merito alla prossima riforma delle pensioni. Anche se definirla “riforma” può sembrare eccessivo, trattandosi piuttosto dell’ennesimo intervento tampone, con due nuove misure – una in sostituzione di una già esistente e l’altra come ampliamento della platea – i cambiamenti previsti dal 2026 potrebbero essere significativi.
La prima novità riguarderebbe la possibilità di accedere alla pensione con un’età anagrafica più alta, ma con pochi anni di contributi. In pratica: pensione a 64 anni con almeno 25 anni di versamenti.
Questa misura rappresenterebbe un’estensione dell’attuale pensione anticipata riservata a chi ha iniziato a versare dopo il 1995, applicata anche a chi ha cominciato prima. La differenza è che servirebbero 25 anni di contributi invece di 20. E che la pensione erogata non potrebbe essere inferiore a tre volte l’assegno sociale (circa 1.620 euro mensili).
Come funzionano le penalizzazioni sulle novità in arrivo: ecco il confronto con il passato
Molto diversa, invece, l’altra misura ipotizzata: la pensione a 62 anni, riservata a chi potrà vantare almeno 41 anni di contributi. Si tratta di un requisito analogo a quello della quota 103.
Ma allora, perché cancellare la quota 103 per sostituirla con questa nuova formula? Le differenze stanno nelle penalizzazioni. Infatti, mentre la quota 103 prevedeva il calcolo interamente contributivo dell’assegno (con conseguente riduzione significativa dell’importo), la nuova misura introdurrebbe un taglio lineare del 2% per ogni anno di anticipo.
Il meccanismo funzionerebbe così: chi lascia il lavoro a 62 anni anziché a 67 subirebbe una riduzione massima del 10%, corrispondente a 5 anni di anticipo. Un deterrente più leggero e sostenibile rispetto alla penalizzazione contributiva totale.
E non è tutto: si ipotizza addirittura di eliminare qualsiasi forma di penalizzazione per coloro che, al momento della richiesta, avranno un ISEE inferiore a 35.000 euro.
