In Francia siamo alle comiche finali. Il secondo governo guidato dal primo ministro Sébastien Lecornu in meno di una settimana rischia la sfiducia in Assemblea Nazionale. L’Eliseo non sa più che pesci pigliare e il presidente Emmanuel Macron ha iniziato ad alzare la voce contro l’irresponsabilità dei partiti che stanno mettendo in difficoltà il suo ennesimo coniglio estratto dal cilindro. In Germania le cose non vanno meglio con il cancelliere Friedrich Merz a patire un elevato tasso di impopolarità e una coalizione di governo divisa su tutto. E siamo ben lontani dall’avere toccato il fondo in entrambi gli stati comunitari.
Dopo anni ad avere dato lezioni ai partner, rischiano di subire la stessa sorte e ad iniziare da una crisi dei salari che si prospetta terribile.
Crisi dei salari in Italia e Spagna
Tutti sappiamo che le retribuzioni in Italia sono basse. Lo sono in senso assoluto, cioè nel confronto con le altre nazioni europee, ma anche rispetto al nostro stesso passato. Dopo il 2007 risultano cresciute di poco più del 26% in termini nominali al 2024. Peccato che nello stesso periodo l’inflazione italiana sia stata del 35,4%. In termini reali hanno accusato un crollo del 9,3%. I lavoratori italiani oggi guadagnano molto meno rispetto a ben 18 anni fa. Non è una sensazione, bensì la verità conclamata dai numeri ufficiali.
Le cose non sono andate granché meglio in Spagna. Qui, i salari nominali si sono mossi più dinamicamente, anche perché partivano da livelli più bassi: +35% tra il 2007 e il 2024. Anche in questo caso, però, l’inflazione ha avuto la meglio: 40,5%. In termini reali, i lavoratori spagnoli percepiscono il 5,5% in meno. La crisi dei salari è stata una costante nel Sud Europa martoriato dalla crisi dei debiti sovrani. Non un caso. I capitali sono defluiti in massa dopo la crisi del 2007-’08 e per recuperare la competitività perduta i governi hanno dovuto attuare la “svalutazione interna”.
Per dirla alla Mario Monti, hanno distrutto la domanda interna (consumi, investimenti e spesa pubblica) per rinvigorire la crescita economica.
Retribuzioni reali in crescita a Parigi e Berlino
Francia e Germania non hanno seguito lo stesso destino. La prima ha visto aumentare i salari nominali del 52%, oltre ben 16 punti percentuali sopra l’inflazione del periodo. I lavoratori tedeschi hanno beneficiato di un balzo delle retribuzioni di quasi il 50% contro un’inflazione domestica di poco superiore al 43%. Risultato: +6,5% reale. Presso le prime due economie dell’Unione Europea non c’è stata alcuna crisi dei salari, sebbene questi siano cresciuti a ritmi lenti.
Prime due economie UE in affanno
Adesso, la situazione può capovolgersi. La Francia presenta conti pubblici in grave squilibrio e ormai i suoi stessi politici ammettono che stia vivendo “sopra le sue possibilità”. Servirà una cura di austerità fiscale per risanare il bilancio e rilanciare la competitività interna. Diverso è il caso della Germania, la cui economia ha preso una batosta con l’esplosione del prezzo del gas e i dazi americani.
Il modello tedesco era impostato sulle esportazioni, per cui è andato in crisi. Berlino sta cercando di rilanciare la domanda interna, puntando sugli investimenti pubblici e il riarmo. Difficilmente potrà superare le sue difficoltà così. Il mercato interno non sarebbe capace di sostituire le mancate esportazioni nel breve e medio periodo.
Ed ecco che le prime due economie dell’UE iniziano a fare i conti con il costo del lavoro. Italia e Spagna sono uscite dalla crisi rendendo più flessibile il mercato del lavoro e necessariamente frenando la crescita dei salari (reali). Il nostro Paese, in particolare, è diventato molto competitivo sui mercati esteri. La bilancia commerciale, ad eccezione del 2022 per il boom del gas, è stabilmente in attivo. La disoccupazione è scesa sotto la media continentale e il tasso di occupazione, storicamente basso, ha segnato un record al 63%, pur restando infimo nel confronto internazionale.
Crisi dei salari, allarme in Germania e Francia
La Germania era stata il “malato d’Europa” dopo la riunificazione, ma neanche allora visse una vera crisi dei salari. Le paghe dei lavoratori continuarono a crescere in media sopra l’inflazione. Un diverso trend rischierebbe di acuire il conflitto politico in una nazione poco abituata a gestire fasi di instabilità. A Parigi è già preoccupante il clima che si respira tra cittadini e politici. La frammentazione tra i secondi riduce le probabilità di reagire con efficacia alla crisi fiscale e dell’economia. E l’iper-sindacalizzazione del mercato del lavoro renderebbe ancora più complicato apportare modifiche ai modelli contrattuali vigenti per rilanciare la crescita e la competitività.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

