VOLEVO DIRE A TIZIANO FERRO CHE SPESSO NON ME LO SO SPIEGARE NEMMENO IO (2 lettori)

DANY1969

Forumer storico
Buona settimana a tutti.
Ancora foto del viaggio in Perù di mio fratello :)

Vista dalla strada del Pisco
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Ranrapalca (campo Ishinca)
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Clinbing Ishinca
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Palcaraju
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Val

Torniamo alla LIRA
Pago 10.000 euro di tasse ogni anno, ma.....da domani
divento un cittadino di serie B. Bella roba.
Pensate che se andassi a vivere alle Canarie od in Portogallo,
non pagherei praticamente un quazzo .........

Nonostante "ce lo dice l'europa" dove il green pass vale 9 mesi.
Il mio scade il 28 febbraio 2022

Anche se ho fatto un esame IgG ed ho ancora gli anti-corpi.

Pensate alle fesserie che ci propinano :
La riduzione di validità è stata attuata in dicembre - prima delle festività -
per evitare contagi ed assembramenti ed entra in vigore il 1° febbraio
DEMENTI ALLO STATO PURO.


Non solo mascherine, colori e discoteche.

Dall’1 febbraio cambieranno le regole anche per Green pass e non vaccinati.

Da martedì 1 febbraio il certificato verde sarà ridotto dagli attuale 9 ai 6 mesi di durata.

Sarà inoltre obbligatorio per entrare nei principali negozi e attività
così come sarà obbligatorio per tutti gli over 50 essere in regola con il ciclo vaccinale
per non incorrere nelle sanzioni previste dalle norme.


Come previsto dal decreto Festività, approvato dal consiglio dei ministri
per evitare il rischio assembramenti durante Natale e Capodanno in piena quarta ondata Covid,
il Green pass sarà ridotto da 9 a 6 mesi.

Un provvedimento che avrà anche effetto retroattivo.

Più corpose, invece, le modifiche sull’obbligo di certificato per entrare nei principali negozi.

Da martedì, infatti, sarà necessario presentare il proprio QR code
(ottenibile tramite vaccino, tampone o certificato di guarigione)
per entrare nei principali uffici ed attività, poste, banca e librerie comprese.

I titolari o gestori degli esercizi non sono però obbligati a verificare il possesso del Green pass, ma possono effettuare dei controlli a campione.


Resta consentito il libero accesso, tra gli altri,
nei negozi di generi alimentari in quelli per la vendita del cibo per gli animali domestici,
nei distributori di carburante, nei negozi di vendita di articoli igienico-sanitari, in farmacie, parafarmacie e ottiche.

In questo caso, i titolari di questi esercizi devono pero’ verificare che i clienti non consumino alimenti e bevande sul posto.


La stretta dall’1 febbraio riguarderà in particolare gli over 50 che non si sono sottoposti al vaccino obbligatorio.

Si tratta di circa un milione e mezzo di persone che dovranno pagare una sanzione una tantum di 100 euro,
come deciso dal decreto che ha imposto l’obbligo vaccinale per quella fascia d’età

Saranno esentate, ovviamente, le persone che non hanno fatto il vaccino per motivi di salute,
salvo la presentazione di una certificazione medica.

I controlli per le sanzioni saranno fatti a campione e le multe saranno inviate dall’Agenzia delle entrate su segnalazione del Ministero della Salute.


Il prossimo step arriverà, infine, il 15 febbraio
quando entrerà in vigore l’obbligo del Super Green pass per tutti i lavoratori over 50.

Chi verrà sorpreso senza il certificato rischia una multa che varia dai 600 ai 1.500 euro.

Chi, invece, non presenterà la documentazione sarà considerato assente ingiustificato
con la sospensione dello stipendio, ma mantenendo comunque il lavoro.
 
Ultima modifica:

Val

Torniamo alla LIRA
Il 21 dicembre la Commissione europea ha adottato norme relative al certificato COVID digitale dell'UE

EU Digital Covid Certificate.

Validity 9 months- 270 days.


Stella Kyriakides, Commissioner for Health and Food Safety, said :

“A harmonised validity period for EU Digital COVID Certificate is a necessity for safe free movement and EU level coordination.
The strength and success of this invaluable tool for citizens and business lies in its coherent use across the EU.
What is needed now is to ensure that booster campaigns proceed as quickly as possible,
that as many citizens are protected by an additional dose and that our certificates remain a key tool for travel and protection of public health.”


Didier Reynders, Commissioner for Justice, said:

“The EU Digital COVID Certificate is a success story.
We should keep it that way and adjust to changing circumstances and new knowledge.
Unilateral measures in the Member States would bring us back to the fragmentation and uncertainties we have seen last spring.
The acceptance period of nine months for vaccination certificates will give citizens and businesses
the certainty they need when planning their travels with confidence.
It's now up to the Member States to ensure boosters will be rolled out swiftly to protect our health and ensure safe travelling.”


Commissioner for Internal Market, Thierry Breton, said:

“The EU Digital COVID certificate has become a global standard.
By reflecting the latest scientific insights on boosters, the certificate remains an essential tool to combat the different waves of the pandemic.
Together with the large-scale production and supply of vaccines,
the certificate will help Member States accelerate the roll-out of boosters – a necessity to protect public health,
while preserving the free movement of our citizens.”




Commission Delegated Regulation on the validity of vaccination certificates issued under the EU Digital COVID Certificate framework

Commission Decision amending Implementing Decision (EU) 2021/1073 laying down technical specifications and rules for the implementation of the trust framework for the EU Digital COVID Certificate

Factsheet on the new Commission proposal to ensure coordination on safe travel in the EU

Factsheet COVID-19: Travel and health measures in the EU

ReopenEU
 

Val

Torniamo alla LIRA
Capiamoci e cercate di capire qual'è il livello demenziale raggiunto.
Il DPCM dice una cosa e - sempre loro - nella FAQ dicono l'esatto opposto.

Questo sono le FQ del Governo :


  1. Coloro che accedono agli esercizi commerciali esenti dal cd. green pass previsti dall’allegato del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 21 gennaio 2022 possono acquistare ogni tipo di merce in essi venduta?

  2. Sì, l’accesso ai predetti esercizi commerciali consente l’acquisto di qualsiasi tipo di merce,
  3. anche se non legata al soddisfacimento delle esigenze essenziali e primarie
  4. individuate dal citato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.



  5. Quali controlli sulla clientela devono svolgere i titolari degli esercizi commerciali e i responsabili dei servizi e degli uffici che soddisfano esigenze essenziali e primarie della persona ai sensi del dpcm 24 gennaio 2022?

  6. I titolari degli esercizi commerciali di vendita di prodotti alimentari e bevande verificano che i soggetti privi di green pass base
  7. non consumino alimenti e bevande sul posto e non devono effettuare ulteriori controlli;
  8. i responsabili dei servizi e degli uffici, invece, controllano, anche a campione,
  9. il possesso del green pass base per i soggetti che accedono ai loro servizi o uffici
  10. per esigenze di salute, sicurezza e giustizia diverse da quelle previste nel dpcm 24 gennaio 2022.



  11. I titolari degli esercizi commerciali diversi da quelli che soddisfano le esigenze alimentari,
  12. mediche e di prima necessità ai sensi del dpcm 24 gennaio 2022, devono assicurare i controlli del green pass all’ingresso?

  13. No. I titolari degli esercizi per i quali è richiesto il green pass base
  14. non devono effettuare necessariamente i controlli sul possesso del green pass base all’ingresso,
  15. ma possono svolgerli a campione successivamente all’ingresso della clientela nei locali.
 

oder

fuga 1000 del signor bach
Pago 10.000 euro di tasse ogni anno, ma.....da domani
divento un cittadino di serie B. Bella roba.
Pensate che se andassi a vivere alle Canarie od in Portogallo,
non pagherei praticamente un quazzo .........

e cosa aspetti? vai!
così non rompi più i @@.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Segnatevi la data del 29 gennaio 2022.

Perché tra qualche decennio, di fronte al proverbiale camino acceso,
potrete spiegare ai vostri nipoti (pronti a fare di tutto per non ascoltarvi)
che quello è il giorno in cui il centrodestra è morto.

Almeno il centrodestra che avevamo conosciuto fino a quel momento:
una coalizione sgangherata e spesso rissosa
che si faceva però forte del fatto di rappresentare la maggioranza strutturale degli elettori italiani.


Noi, quel centrodestra, lo abbiamo visto nascere.

Era l’autunno del 1993 quando Silvio Berlusconi (anche per interessi suoi, sia chiaro),
ebbe l’illuminata intuizione di allearsi al nord con la Lega e al centrosud con il Movimento Sociale Italiano,
che da lì a poco si sarebbe trasformato in Alleanza Nazionale,
mettendo un chilo di zucchero nel serbatoio della “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto,
che era sull’orlo di prendersi il Paese dopo che gli amici del pool di Milano avevano fatto strage di tutti i loro avversari politici.


Noi, quel centrodestra, lo abbiamo visto vincere – contro ogni pronostico – nella sua prima uscita elettorale.
Era il pomeriggio del 28 marzo, un lunedì, quando il direttore Arturo Diaconale
mi chiamò nella sua stanza per dirmi, con un sorriso sornione:

“Andrea, comincia a scrivere il pezzo senza le percentuali precise. Abbiamo vinto”.

Io non potevo crederci.
Ma naturalmente aveva ragione Arturo.
E qualche ora dopo, migliaia di simpatizzanti avevano invaso Piazza del Popolo
sventolando increduli le copie de “L’Opinione” che eravamo riusciti a stampare prima di tutti gli altri giornali.


Il titolo di prima pagina era: “Ha vinto la Libertà”.


Sono passati quasi trent’anni da quel giorno.
E forse è normale che, come tutte le cose della vita, anche le coalizioni politiche siano destinate a morire.

C’è modo e modo di farlo, però.

Si può morire con uno sfrontato sorriso di fronte ai propri carnefici.

O di morte naturale, nel tepore del proprio letto.

Si può perfino morire in un improbabile e maldestro tentativo di fuga.


Ma il 29 gennaio, giorno della rielezione di Sergio Mattarella al Quirinale,
il centrodestra ha scelto di morire nel modo più deprimente e imbarazzante per i propri elettori.



Mettiamo una cosa in chiaro.
Della figura di merda galattica (perdonate il francesismo) fatta dai leader
e dai peones dei partiti che componevano l’alleanza, ci interessa assai poco.

Il cuore si stringe solo perché pensiamo all’imbarazzo di chi, in tutti questi decenni,
ha regalato il proprio voto a un’idea, un’aspirazione, un sogno.

Quello di trasformare l’Italia in una nazione moderna ma radicata nelle proprie tradizioni,
immune alle perversioni stataliste della sinistra peggiore d’Europa
e fiera di essere sempre stata – fin dal 1948 – dalla parte giusta della Storia.


Ecco, questi italiani non meritavano di assistere allo spettacolo osceno di questi ultimi giorni,
che i nostri ottimi editorialisti analizzeranno compiutamente e (mi immagino) senza sconti.

Il mio è solo, per citare Jim Morrison, un “canto di dolore e libertà”.

Il centrodestra è morto, viva gli elettori del centrodestra.
Che ormai si trovano di fronte a un punto di ricaduta obbligato.
Dare una possibilità al leader che, in questo spettacolo macabro,
si è comportato con un briciolo di dignità: Giorgia Meloni.


Ora, Fratelli d’Italia può scegliere se diventare il partito che era stato progettato alla sua nascita:
un luogo d’incontro tra tradizione e libertà.

Aprendosi a un nuovo innesco di classe dirigente e abbandonando per sempre gli spazi angusti in cui, a volte, sembra volersi rifugiare.

Se Giorgia Meloni non si dimostrasse all’altezza di questo compito,
oggettivamente oneroso, che il destino le ha riservato, rimarrebbe solo il “piano B”.

I liberali del centrodestra saranno obbligati a mettere in piedi una formazione politica alleata con Fratelli d’Italia,
rivolgendosi agli elettori che si sentono distanti da FdI e che fino a ieri hanno votato per Forza Italia e Lega.


Due partiti che, insieme a centrini e cespugli numericamente irrilevanti,

alle prossime elezioni conosceranno sulla propria pelle la rabbia del proprio elettorato.


Tertium non datur.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Ecco perché non cambieremo mai,

restando sempre al palo dell’economia,

delle riforme,

del progresso:

perché non ci schiodiamo dal proporzionale,

che non ci consegna mai un vincitore,

che consente alternanze (tradimenti) senza ritorno alle urne,

che fa di un piccolo gruppo di interesse il detentore della Golden share dell’Esecutivo.


Il bipolarismo può piacere o no, ma è solo la conseguenza del sistema elettorale, non la causa del suo cambiamento.

Ci lamentiamo del fatto che da 10 anni non c’è un presidente del Consiglio espressione di una maggioranza elettorale.

Giusto.

Ma non abbiamo mai avuto il maggioritario secco.

Non lo avremo, perché fa paura a tutti: si può perdere.

Con il proporzionale, invece, tutto è possibile.



Nessuno, dunque, vuole l’unica cosa che ci consentirebbe di avere un Governo stabile,

votato dagli elettori e con una vera matrice politica.


.
 

Val

Torniamo alla LIRA
La crisi di sistema è ormai un fatto politico tanto incontestabile, quanto drammatico.

È incontestabile perché la rielezione alla Presidenza della Repubblica di Sergio Mattarella certifica,
con timbro e ceralacca, l’incapacità della stragrande maggioranza della classe politica
di gestire passaggi istituzionali fondamentali per la vita democratica.

Ma è anche una crisi drammatica perché il film al quale abbiamo assistito denuncia,
per un verso, lo sgretolamento delle antiche coalizioni e dei singoli partiti,
e per un altro l’assenza di alternative politiche in grado di corrispondere ai bisogni di progettualità,
competenza e rinnovamento che salgono con forza da una parte del corpo elettorale.


Se non si può vivere di nostalgia, neppure si può sperare che le ideologie del Novecento risorgano
così da porle a base della rifondazione della politica.
E il motivo è tanto semplice quanto tranciante: non rinasceranno.

La crisi, oggi, si nutre di altri alimenti
e finché saranno questi a imbandire la tavola
non sarà possibile recuperare il senso più profondo della politica,
men che meno rifondare in modo nuovo i partiti e riallacciare un rapporto fiduciario tra questi e il popolo.


Il sistema di elezione della classe politica è il primo.
Da decenni non vi è più nessun vaglio reale degli eletti da parte degli elettori.
Nessuna reale competizione sui territori,
nessuna effettiva prova di capacità e di competenza,
niente di niente.

I parlamentari sono nominati dai capi partito o, come si diceva una volta, dai capi bastone,

inseriti in liste elettorali blindate e poi abbinati a simboli di partito o di coalizione.

In alternativa sono scelti opacamente in “rete” tra persone sconosciute,

secondo la doppia logica “uno vale uno” e “uno vale un altro”.



Alle elezioni, poi, i voti di preferenza sui singoli candidati,
anche quando possono essere espressi, sono un orpello sostanzialmente inutile.


Nel rapporto tra eletti ed elettori questo è il tarlo più evidente,
ma ve ne sono altri, che stanno prima di questo e che sono altrettanto distruttivi della linfa democratica:

la chiusura a doppia mandata dei partiti tradizionali ad ammettere nelle loro fila figure nuove,
specie se competenti e dal pensiero autonomo;

e la sostanziale impossibilità, anche per i più volenterosi ma privi di ingenti finanziamenti privati,
di dare vita a nuove aggregazioni politiche che abbiano l’ambizione di concorrere sul piano nazionale.



Di qui una conseguenza ulteriore:

il prosciugamento del bacino della dirigenza pubblica di alta qualità,
chiamata a ricoprire incarichi bensì tecnici, ma pur sempre disposti dalla politica.

L’inesorabile riduzione, cioè, dei grand commis de l’État.



La crisi, poi, si ciba di un altro alimento.
È un fungo a tal punto velenoso da essere mortale per tutto ciò che contamina, dentro e fuori dalla politica.

È il populismo,

un misto di irresponsabilità,

impreparazione,

semplificazione,

propaganda,

suggestione mediatica,

illusioni,

false notizie e

false soluzioni,

di anti-scienza,

credulità,

giustizialismo.



Il populismo non è di destra o di sinistra.

È un moto culturale invasivo e pervasivo, orizzontale a tutti gli schieramenti e a tutti i settori dell’agire pubblico e privato.


Del suo veleno è ormai imbevuto una parte assai consistente del sistema politico,

così come del sistema istituzionale, compreso quello del “quarto potere”,

ossia di una larga fetta dell’apparato massmediatico.


E sotto gli effetti delle sue neurotossine sta ormai cedendo perfino il pactum societatis.



Uscire da questa situazione sarà difficilissimo, non ci illudiamo.


Chi ha in mano le redini le terrà strettissime, costretto tra gli spasmi dell’autoconservazione e la pochezza della vista.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Ahahahahah


In tempi di terrore virale diffuso i tanti luminari dell’informazione sembra che facciano a gara a chi la spara più grossa.


Venerdì scorso, durante Stasera Italia, programma condotto da Barbara Palombelli su Rete 4,

quest’ultima, parlando in tono drammatico della pandemia, ha dichiarato che


“il Covid ha causato tra gli italiani gli stessi morti della Seconda guerra mondiale, se non addirittura di più”.


Un’informazione che, soprattutto se divulgata in un Paese in testa alle classifiche di analfabetismo funzionale,

avrà sicuramente alzato il già elevato tasso di paura in molti dei telespettatori sintonizzati con la suddetta trasmissione.


Peccato però, se così vogliamo dire, che il raffronto numerico
proposto dalla Palombelli risulti per qualità e quantità del tutto sballato.

Infatti, mentre allo stato attuale risultano decedute circa 146mila persone dall’inizio della pandemia

e sappiamo bene che questo numero è ampiamente sovrastimato,

in quanto include tutti i positivi al tampone,

così come oramai sta emergendo con chiarezza anche nei rapporti ufficiali


nel catastrofico conflitto, studi aggiornati al 2010 riportano un numero complessivo di vittime, tra militari e civili, di oltre 472mila.

Ossia più di tre volte il numero citato dalla consorte di Francesco Rutelli.


Ma non basta.

Occorre anche sottolineare che nel 1940, anno in cui entrammo in guerra a fianco del “Terzo Reich”,
la popolazione italiana era di circa 15 milioni di unità inferiore all’attuale e, cosa non irrilevante,
dato che in guerra muoiono essenzialmente i giovani, l’età media delle vittime era decisamente più bassa
di quella che si registra con il Covid-19, ancora oggi stabilmente inchiodata intorno agli 80 anni.


A questo punto non possiamo che rivolgere il seguente consiglio alla stimata signora Palombelli:

documentarsi adeguatamente prima di aprire la bocca, soprattutto in prima serata.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Il Quirinale può attendere.

Da perfetto studente dai gesuiti il premier Mario Draghi ha messo il cappello sulla conferma di Mattarella al Colle.

Pensare che è stato proprio lui, da Palazzo Chigi, a provocare questo caos,
dopo aver tentato per mesi di scappare al Quirinale e, pur di realizzare il suo disegno, a piegare il Governo alla sua ambizione.


Sono due le date indiziarie del suo fallito tentativo di fuga da Piazza Colonna:

il 23 settembre, quando in una riunione collegiale con i suoi ministri “migliori”
ha capito che i progetti del Pnrr non sarebbero mai andati in porto,

ed il 27 ottobre quando, infastidito e risentito, ha abbandonato platealmente l’incontro con i sindacati.


In entrambe le circostanze ha capito che quel lavoro non era fatto più per lui.
Può parlare con Biden, certo, ma non con Landini.


La sua lunga campagna elettorale ha, da quel momento, focalizzato il Governo sull’ascesa del premier,
trascurando così i problemi del Paese e pensando, addirittura, di poter indicare non solo il suo successore a Palazzo Chigi,
ma che quest’ultimo potesse essere il modesto ministro Franco, soprannominato da molti ‘Alexa’.

I ministri tecnici, e soprattutto quelli di Forza Italia (Gelmini, Carfagna, Brunetta),
sono stati più impegnati a farsi amico il futuro presidente della Repubblica
che ad affrontare i problemi veri e ricordarsi della propria storia politica.

Ognuno di loro ha cercato di piazzare in posti chiave tanti piccoli Bocchieri, oscuro dipendente della Regione Lombardia.


Del Pnrr, Draghi ha disegnato la cornice,
ha stabilito la governance,
ma nessuno può negare che, a parte i progetti pronti da anni di Fs e Anas, tutto sia fermo.


I ministeri sono impallati da strutture “deprofessionalizzate”
.

Qualche tempo fa, in una riunione di verifica un direttore generale di lungo corso è sbottato:

“Guardate qui. Voi che dovete controllarci siete in quindici, noi che dobbiamo scrivere bandi e decreti siamo in tre”.

Così non si può certamente andare avanti:
il ministro Cingolani, per fare un esempio, si muove ancora da responsabile della ricerca di Leonardo,
un’azienda che dipende molto dal capo delle Forze Armate,
ed anche per questo ha preferito tenere il mantello a Draghi
piuttosto che affrontare con interventi concreti il problema strutturale dell’energia elettrica.

Si è preferito buttare 8 miliardi nel populistico ed inutile sostegno alle famiglie bisognose,

funzionale solo ad ottenere i titoli dei giornali,

anziché fare investimenti sul lato dell’offerta.


Colao
si è autosommerso, attento a non scontentare nessuno con le sue scelte,
ha scritto gare per il Pnrr di impossibile comprensione e partecipazione
ed ha rimandato ogni decisione sugli assetti di Tim e sulla rete unica.

Anzi, ora sta addirittura pensando a chi dare la colpa tra Invitalia e Infratel,
quando le cervellotiche gare sulla fibra inevitabilmente andranno a vuoto.


Mentre Giancarlo Giorgetti medita la fuga,
il ministro Giovannini ha nominato l’ex Dg di Bankitalia, Salvatore Rossi,
coordinatore della commissione che dovrà redigere il nuovo Piano generale dei trasporti e della logistica.


Il Mef è ormai diventato una succursale dell’ufficio del professor Francesco Giavazzi
,
la cui luce avvolge gli amici degli amici del premier e arriva sino agli stretti collaboratori,
si dice che la combriccola del Mef vicina al capo di gabinetto Chinè
non gestisca le partecipazioni nelle aziende di Stato, ma se ne senta quasi proprietaria.


Si narra poi che l’amministratore delegato di Mps, Bastianini,
sia stato convocato a via XX Settembre ed abbia trovato ad attenderlo,
per chiedergli le dimissioni,
un vero e proprio plotone di esecuzione composto
dal Dg del Tesoro Rivera,
il capo di Gabinetto Chinè
ed il fido Giansante.

Motivazione?

Nessuna.

Colpevole solo di aver portato la banca in utile

ma, soprattutto, di essere stato indicato dal Governo Conte.

Insomma, non appartiene alla schiera degli eletti del Supremo in caduta libera dal Colle.

E pensare che Rivera aveva detto circa un mese prima alla commissione Finanze della Camera:

“Non ci sono piani per rimuovere l’Ad di Mps”.




Ma peggio di Draghi si è comportato il centrodestra.

Ne è immagine plastica lo scontro di venerdì notte tra Giorgia Meloni, con una ritrovata vis dei tempi del Fronte della Gioventù,
e Antonio Tajani, allora giovane monarchico, che per non prendersi a pugni, sono stati separati dai testimoni.


Mentre, alla domanda: “Esiste il centrodestra?”

la risposta di Ignazio La Russa è stata eloquente:

“Ma quale centrodestra?”

e rappresenta il disastro provocato da una classe dirigente totalmente inadeguata
rispetto ad un popolo che è ancora maggioranza nel Paese.

Una guerra fratricida sotterranea da mesi, con tante piccole Ronzulli,
oggi deflagrata alla luce del sole
che ha bruciato in una folle corsa
quelle poche personalità di centrodestra credibili anche a livello internazionale da mettere in campo.


Il mancato reale appoggio a Berlusconi;
la corsa della Meloni di non aver tentato, almeno per un altro giro, la candidatura di un galantuomo liberale come Guido Crosetto;
l’aver imposto di contarsi realmente sulla Casellati;
il capo della Lega che, correndo dietro al diavolo e all’acqua santa, ha dimostrato di non avere né strategia né capacità di leadership.

Un centrodestra, dunque, che può dire addio al sogno del Quirinale.
Ma visto che da ogni male può venire un bene,
forse è l’occasione perché nasca un “nuovo centro”
con quel che resta di Forza Italia, con Renzi e con gli altri gruppi centristi.


Per finire, viva Mattarella: bene, bravo, bis.

Tomasi di Lampedusa, con il suo Gattopardo, sarebbe davvero fiero di lui.
 

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