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ozioso

sto cercando la mia consapevolezza
Si parte dalla meditazione, si passa per l'empatia , ci si ferma alla consapevolezza e si arriva all'uomo che fa schifo se si gratta.
Ma provate a mettervi nei panni di chi ha prurito......
Mi sento discriminato.
 

meursault

lo straniero
Ciao! :accordo:

Urca! Non saprei... Pensavo che Vipassana specificasse già abbastanza. Per risponderti ho trovato il passo che segue dal libro che ho già scritto sopra Mindfulness in Plain English, non so se può aiutarti a capire:

In the first century after Christ, an eminent Buddhist scholar named Upatissa wrote the Vimuttimagga, (The Path of Freedom) in which he summarized the Buddha's teachings on meditation. In the fifth century A.C. (after Christ,) another great Buddhist scholar named Buddhaghosa covered the same ground in a second scholastic thesis--the Visuddhimagga, (The Path of Purification) which is the standard text on meditation even today.


Sì, il Visuddhimagga (che non ho mai letto) è considerato il manuale di riferimento ortodosso della scuola Theravāda, ma il Satipaṭṭhāna Sutta, che è alla base della vipassanā, si presta a molte interpretazioni nella pratica, essendo più che altro un lungo elenco di oggetti di meditazione.

Raccontami di te (nel senso: che tecnica usi per meditare), se preferisci anche in pvt, non so se sono cose che uno non ha voglia di raccontare tanto a tutti :)

Una di queste interpretazioni, se così le vogliamo chiamare, ci è fornita dal Buddha stesso nell'Ānāpānasati Sutta (il discorso sulla consapevolezza del respiro). I campi di meditazione sono sempre gli stessi quattro (corpo, sensazioni, mente, Dhamma) ma in un percorso che trovo molto più chiaro e strutturato. Da qualche tempo pratico seguendo le istruzioni date da Buddhadāsa (1906-1993) nel suo "La consapevolezza del respiro". Dopo un percorso piuttosto lungo devo dire che gli insegnamenti di Buddhadāsa lì contenuti ed elaborati anche in "The Heartwood of the Bodhi Tree" (sul concetto di suññatā, cioè vacuità, vuoto), e "Under the Bodhi Tree" (sulla paṭiccasamuppāda, cioè originazione dipendente), sono stati per me una specie di punto di arrivo (o per meglio dire di partenza) raggiunto solo di recente. Giusto per scambiare un paio di riferimenti nel caso possano interessare … ciao
 

meursault

lo straniero
Sì, mi interessano assolutamente! Appena finisco Mindfulness in plain english, provo uno di quelli che hai detto. Al momento non ho un insegnante di riferimento vero e proprio e quindi non seguo un percorso preciso di letture. Se mi indichi qualcosa di "più strutturato" mi interessa molto, grazie da quanto tempo mediti, se posso chiederti?

I primi esperimenti risalgono a 4-5 anni fa, ma non ho mai trovato la continuità necessaria. "Provengo" dallo zen, ma senza un maestro mi sono ritrovato spesso bloccato. E quindi tutta una serie di letture, prove, errori ... un po' come tutti credo, in ogni campo :)

Se qualcuno mi dovesse chiedere adesso che libri leggere per cominciare un percorso sulla via del Buddha, consiglierei i libri già citati di Buddhadāsa. Posso però dirti anche i libri che sono stati più importanti per me in questi anni.

Per quanto riguarda lo zen, o per meglio dire quel gigante del pensiero che è stato il monaco giapponese Dōgen (1200-1253) consiglio "L'essenza del buddhismo zen" di Hee-Jin Kim (il titolo originale in realtà è "Eihei Dōgen - Mistycal Realist) e "Genjōkōan" di Shōhaku Okumura.

Anni fa lessi un'antologia dei sutta contenuti nel canone Pāli, "In the Buddha's Words", curata da Bhikkhu Bodhi. Volevo un'idea più precisa di quello che disse veramente il Buddha, quantomeno secondo le fonti che vengono ritenute più attendibili. Paradossalmente quel libro, che tratta l'argomento in modo molto ortodosso, mi fece credere che il buddhismo, o quantomeno il buddhismo come praticato dalla scuola Theravāda, non facesse per me. Mi sbagliavo.

Infine, "The Fundamental Wisdom of the Middle Way: Nāgārjuna's Mūlamadhyamakakārikā" di Jay L. Garfield. Questo è un libro molto filosofico, complesso (almeno per me), l'ho riletto diverse volte, ma ne vale assolutamente la pena. Da allora vedo tutto in modo completamente diverso. Il libro è incentrato sull'elaborazione del concetto di suññatā (vuoto, vacuità) fatta da Nāgārjuna (ca. 150-250 d.C.)

Vedendo questo percorso si può capire perché consigli Buddhadāsa: monaco theravāda, che quindi si basa sulle scritture del canone Pāli, la fonte delle parole del Buddha più originale diciamo, ma che allo stesso tempo mette in risalto concetti come quello di suññatā che sono stati elaborati e ritenuti più importanti da scuole successive, come ad esempio lo zen, che non a caso è molto spesso citato da Buddhadāsa come modello (anche di vita in un certo senso).
 

meursault

lo straniero
:clap: Non si sa mai che trovi la consapevolezza in mezzo all'insalata! :up:

:D Joseph Goldstein (uno dei fondatori del movimento vipassanā occidentale) racconta che a un certo punto applicava così tanta mindfulness in tutti gli aspetti della vita quotidiana che non riusciva più a mangiare :eek: Non voglio immaginare in altri campi :help:

Anche io - nella mia ignoranza o immaturità - ho sempre snobbato il Theravada in favore del ramo Mahayana e in particolare nella sua massima espressione, lo Zen. Solo adesso capisco l'importanza della pratica per la liberazione personale (quella che insegnano queste filosofie di vita), rispetto al godimento (passivo) dell'arte dei grandi maestri (pittura e poesia oltre ai saggi).

Su Dōgen ho letto "A study of Dōgen" di Masao Abe, una mia amica che ha fatto la tesi su Mishima me l'ha consigliato, in realtà l'ho cominciato, ma poi messo da parte, è un po' ripetitivo o forse non ero ricettiva io. Di Nagarjuna so poco, quello che serve a capire le radici del Buddhismo in Cina. Invece mille anni fa ho studiato un po' di più il taoista Zhuangzi e quindi a suo tempo ho preso la tangente rispetto alla meditazione e al buddismo indiano. L'aspetto new age mi ha molto spaventato nel tempo e ancor oggi sono sul chi va là se certi concetti non mi si traducono in spiegazioni scientifiche o in termini filosofici un po' più moderni. Non voglio spiegare tutto con la scienza, ma ciò che non viene spiegato per me può restare anche ignoto senza che mi invento non so che cosa pur di avere una risposta. (non so se mi spiego, ridurre tutto a poche frasi qua, è un casino :D)

Pensa che io ho cominciato proprio con il taoismo, e proprio con il Zhuangzi ;) e con un altro libro meno conosciuto, il Nei-yeh, a cui è dedicato "Original Tao" di Harold D. Roth. Invece l'interesse ad approfondire lo zen è nato proprio con un libro di Masao Abe, "Zen and Western Thought", che considero eccellente.

Condivido le tue preoccupazioni su come vengono commercializzati certi concetti, pensa solo alla mindfulness. E' un concetto prettamente buddhista (è il settimo passo del nobile ottuplice sentiero) ma è stato venduto come un rimedio anti-stress, come un mezzo per il carpe diem :eek:, per non parlare di aberrazioni come corsi di mindfulness organizzati per dipendenti di multinazionali perché pare aumenti la produttività …

E sono d'accordo (poi troviamo qualcosa su cui siamo in disaccordo :d:) su un approccio "moderno" diciamo. E torno ancora a Buddhadāsa (sembro un promotore). Per lui i principi fondamentali del buddhismo devono avere due caratteristiche: puntare allo spegnimento del dukkha (dolore, insoddisfazione …), ed avere una logica che si può verificare da soli senza aver bisogno di credere a ciò che dice qualcun altro. Ad esempio, se ci sia o meno rinascita dopo la morte, non soddisfa queste caratteristiche, quindi non ci interessa. Punto. Chissà come mai Buddhadāsa non è mai stato visto molto bene nell'ambiente :rolleyes:
 

meursault

lo straniero
Lo spegnimento del dolore secondo me non si può ottenere, quello che cambia, se ho capito bene, è l'interpretazione che gli dai... il dolore e la morte sono inevitabili e vanno accettati come necessari, fanno parte della vita.

La terza nobile verità parla di dukkha-nirodha. Nirodha viene solitamente tradotto con cessazione, estinzione. Mi è venuto spegnimento forse perché ricordavo una similitudine con un fuoco che cessava di bruciare per mancanza di combustibile (ma ricorderò male). Nirodha in realtà significa "che cessa di svolgere la sua funzione". Quindi hai naturalmente ragione tu, il dolore non scompare, ma viene interpretato in modo diverso.

Per fare un esempio banale, basti pensare al dolore fisico. Il Buddha pare che abbia raggiunto il risveglio a 35 anni e sia morto a 80 anni. In quei 45 anni e con l'avanzare dell'età avrà pure avuto qualche acciacco, che ne so, i calli ai piedi con tutto quel camminare o i reumatismi con tutte le notti passate sotto le stelle durante la stagione delle piogge :D. Ecco, quella sofferenza però non era più sentita come "sua", la differenza sta tutta lì. Posso sbagliarmi, ma è un po' diverso dall'accettazione della morte e del dolore come parte della vita, che mi sembra più una visione taoista (visione rispettabilissima).
 

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