Uscire dall'Euro: i vantaggi dell'Italia (2 lettori)

DNGMRZ

ordine 11.110
taglia pure la parte che non ti aggrada.
:up:
ma tanto si arriva sempre qui:
Monti sta facendo uscire americani e inglesi, pare che da 50 a 50 ora il debito sia detenuto 70-30 dal popolo italiano e dalle banche italiane.
Non è difficile capire che gli italiani se lo prenderanno in quel posto.....e gli americani no..
 

f4f

翠鸟科
taglia pure la parte che non ti aggrada.
:up:
ma tanto si arriva sempre qui:


infatti,

  • il 50% è in mano agli italiani banche+fondi+privati
  • il 30% ( o meno ) è in mano agli esteri
  • il 20% è nelle banche italiane grazie ai fondi BCE: e i fondi BCE sono in gran parte garantiti dai francotedeschi
gli americano non lo prendono in quel posto ( se non poco ;) ) , e manco i cinesi, i russi e gli iraniani ( e manco i cingalesi, tanto se devo dire cose inutili sono capace anche io :D )
salvo prenderlo in quel posto se la crisi affossa la crescita mondiale: in tal caso, Sodoma&Gomorra per tutti ( e forse per noi un pò meno )



taglia tu quello che ti pare :)
 
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翠鸟科
I tedeschi nella trappola
della finanza
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STEFANO LEPRI
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Invece di prendersela con i tedeschi, bisognerebbe paradossalmente - compatirli. I mercati finanziari li stanno attirando in una trappola. Più insistono che non saranno loro a pagare il conto per i Paesi deboli dell’euro, e più rischiano di andarsi a cacciare in una situazione in cui saranno costretti ad aprire il portafoglio sul serio.

Ovvero, se si seguita ad affermare alla leggera che l’area euro sarebbe bene ridimensionarla, i mercati continueranno a scommettere che si spacchi, divaricando ancor più i tassi di interesse tra Nord (compresi Francia e Belgio) e Sud. Ma alla resa dei conti l’alternativa sarebbe tra due scelte entrambe costosissime per la Germania: soccorrere massicciamente Spagna e Italia, oppure affrontare una rottura traumatica dell’euro.

La Repubblica federale tra aiuti già erogati ai tre Paesi sotto assistenza e aiuti promessi a Madrid già contribuisce con un centinaio di miliardi di euro. E’ facile compiacere i tedeschi dicendogli che hanno fatto fin troppo. Meno facile è spiegargli che questi soldi li prestano, raccogliendoli sui mercati a un tasso assai inferiore, quando non addirittura sotto zero.

I mercati ingannano. Stanno gonfiando una bolla speculativa sui titoli di Stato non solo dei Paesi forti dell’euro, anche di altri Paesi economicamente legati alla Germania. Secondo stime aggiornate, nella prima metà del 2012 lo Stato tedesco ha risparmiato un miliardo di euro rispetto a quanto prevedeva come pagamento di interessi sul debito.

L’afflusso ansioso di capitali verso i Paesi reputati sicuri li spinge a sottovalutare la gravità della crisi. La Finlandia - dove Mario Monti si recherà tra una settimana - può cinicamente avere qualche buon motivo, dato che secondo alcune analisi sopporterebbe abbastanza bene una rottura dell’unione monetaria. La Germania no, è creditrice dei Paesi deboli sotto varie forme, per almeno mille miliardi di euro. Nella migliore delle ipotesi quei soldi li riavrebbe indietro molto svalutati.

Il ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble queste cose le sa benissimo, tanto che ha fatto calcolare ai suoi uffici i costi di una rottura dell’euro; altri suoi compatrioti non riescono a capirle.
Per questo è urgente, come sosteneva ieri Giuliano Amato, verificare se il governo di Berlino è sincero quando propone passi avanti verso l’integrazione politica dell’Europa come passaggio per ottenere una maggiore solidarietà; o se lo afferma a vuoto, sapendo che Parigi resta contraria. L’intervista di Schaeuble apparsa sabato sul Figaro fa sperare, ma occorre una risposta francese.

Se è vero quanto sostengono il Fondo monetario e la Banca d’Italia, che solo una parte dello spread italiano e di quello spagnolo è giustificato dallo stato dei due Paesi - mentre dal lato opposto è assurdo che i titoli dei Paesi forti fruttino meno di zero - questo comporta che è già in atto in Europa quel «trasferimento di risorse» tanto temuto da certi tedeschi. E’ già in atto, però alla rovescia: grazie ai mercati finanziari, da Italia e Spagna verso Germania, Olanda e Finlandia.

Proprio per questo motivo, al nostro Paese conviene una maggiore integrazione politica dell’Europa. Stiamo pagando un tributo non deciso da nessuno; decidere tutti insieme a Bruxelles non sarebbe certo un danno. Potremmo «vedere le carte» offrendo per primi di rinunciare a una parte della nostra sovranità di bilancio. Mentre, al fondo, la lezione da apprendere per i politici tedeschi e italiani è la stessa: proporre soluzioni illusorie - lì la cacciata dei Paesi del Sud, qui un’uscita magari «temporanea» dall’euro - rischia di avverarle in forma di disastro.
 

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翠鸟科
"Terremo tutti i nostri asset in euro"

A dirlo è il presidente della Russia Putin: "Abbiamo fiducia nell'Europa"
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MOSCA - Durante la conferenza stampa congiunta con il premier italiano Mario Monti, a Soci, sul Mar Nero, il presidente russo Vladimir Putin ha confermatola fiducia della russia "nell'economia europea" e ha dichiarato: "La Russia non diminuirà la quota dei suoi asset in euro nelle proprie riserve valutarie e non ha intenzione di cambiarla". Putin ha poi aggiunto che Mosca "appoggerà ogni sforzo dei suoi partner per stabilizzare la situazione".
La Russia detiene in euro il 40% delle sue riserve valutarie, che sono le quarte al mondo.
 

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翠鸟科
Crisi: euro in caduta libera

Aumentano le preoccupazioni per la Grecia - Borse in rosso
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MADRID - Non si arresta la corsa degli spread. Il differenziale tra i titoli statali italiani Btp e i Bund tedeschi è salito a 520,3 punti con il rendimento del decennale italiano al 6,339%. Per i Bonos spagnoli lo spread con i Bund è a quota 627 punti (un livello mai visto dall'introduzione dell'euro) e il rendimento è salito al 7,40%. Vola anche al nuovo record il rischio debito della Spagna misurato dai credit default swaps (cds): sugli schermi Bloomberg sono saliti di 28,5 punti base a quota 634 punti.
Intanto la valuta unica europea è in caduta libera: euro sotto la soglia dei 95 yen per la prima volta da oltre 11 anni per le preoccupazioni riguardo Grecia e Spagna e scende inoltre sotto la soglia psicologica di 1,21 dollari (contro gli 1,22 dollari di venerdì).
In particolare, a creare tensioni sul mercato il board della Banca centrale cinese che ha previsto una frenata dell'economia della Repubblica popolare e si è detto preoccupato per lo stato di salute della Grecia che potrebbe uscire dall'Eurozona.
In questo scenario le principali Borse hanno aperto con il segno meno: Hong Kong ha perso oltre 2,5 punti percentuali, Tokyo ha sfiorato un calo del 2 per cento, in decisa flessione anche Seul (-1,84%) e, in Svizzera, l'SMI cede lo 0,76% mentre l'SPI lo 0,79%. Giornata nera per Piazza Affari che perde il 4,38% mentre Madrid, la peggiore, il 5,82%.
 

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翠鸟科
Spd e Cdu, frecciate sulle banche

In Germania schermaglie politiche tra i due partiti in vista delle elezioni
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BERLINO - L'Spd attacca Angela Merkel sul sistema bancario, in vista delle prossime elezioni. E sulla Bild risponde oggi il ministro Wolfgang Schaeuble: quello tedesco non è affatto fuori controllo, e «con un populismo di basso costo non saremo all'altezza della complessità di questi temi». In vista delle prossime elezioni del 2013, il leader socialdemocratico Sigmar Gabriel ha annunciato infatti che la prossima campagna elettorale dell'SPD sarà basata sulla necessità di «domare» il sistema bancario, che sarebbe ormai fuori controllo in Germania. Affermazione nettamente respinta da Schaeuble, che replica citando al contrario «i regolamenti lassisti che vigevano sul fronte bancario sotto la responsabilità dell'SPD».
«Le banche in una società hanno una funzione importante e anche una particolare responsabilità - ha detto il ministro -. Ci sono stati eccessi e comportamenti sbagliati in passato e noi siamo intervenuti a riguardo. Questo lavoro deve andare avanti in Europa e nel contesto del G20. E a me fa rabbia, qualche volta, il fatto che molte cose procedano a rilento. Ma non si può affatto dire che il sistema bancario in Germania sia fuori controllo».
 

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翠鸟科
La ricetta Schröder e l'Europa

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di TITO TETTAMANTI - Siamo ormai al summit numero 20 dall’inizio della crisi greca e del debito pubblico. Summit sono chiamate quelle riunioni dei capi di Stato delle 27 nazioni dell’UE, che cercano di risolvere ogni volta nuove emergenze e si protraggono usualmente tutta la notte sino alle prime ore del mattino. Purtroppo le decisioni, annunciate spesso con grande enfasi, e le soluzioni individuate nel volgere di qualche settimana si afflosciano, i mercati reagiscono negativamente e ci si ritrova al punto di partenza.
Si torna a cercare disperatamente le strade ed i modi per la crescita, vale a dire per il rilancio dell’economia nei Paesi UE, unica possibilità realistica per riuscire, pur in tempi lunghi, a ripagare l’orrendo debito pubblico accumulatosi negli scorsi anni.
I politici, si sa, hanno la memoria corta, e purtroppo spesso anche gli elettori. Non fosse così, invece di arrovellarsi e cercare la quadratura del cerchio durante le notti insonni dei summit, i partecipanti penserebbero a quanto fatto da un capo di governo che li ha preceduti: Gerhard Schröder, socialdemocratico cancelliere germanico dal 1998 al 2005. Lui stesso lo ricordava in una lunga intervista degli inizi di luglio nel Wall Street Journal. Nel 1998, quando fu eletto, trovò una Germania con un tasso di disoccupazione dell’11% (quale quello dell’UE di oggi) e con un’economia stagnante ed in preoccupante perdita di velocità, con industrie che per mancanza di competitività erano obbligate a delocalizzare. Lanciò durante il suo governo quella che fu denominata «Agenda 2010», il cui scopo era di modernizzare la Germania e rilanciare l’economia del Paese. Con molto coraggio, specie per un socialista, e nonostante l’opposizione e le feroci critiche da una parte del suo partito, ridusse l’aliquota massima di imposta sul reddito delle persone fisiche dal 48,5% al 42% e le aliquote minime per i redditi più modesti dal 19,9% al 15%. L’aliquota per le imposte sugli utili delle società fu ridotta dal 25% al 19%.
Superando molti ostacoli riuscì a rendere un po’ più fluido ed efficiente il mercato del lavoro, convinto (e ha avuto ragione) che una maggiore mobilità avrebbe favorito le assunzioni. Prese misure anche severe verso coloro che preferivano la disoccupazione di lungo termine al reinserimento, sia pur con qualche sacrificio, nel mercato del lavoro.
Riassumendo, in certi campi – meno nella spesa pubblica – attuò quelle riforme di struttura che sono la strada inevitabile per il rilancio economico e che quasi tutti i governi dell’UE per ragioni elettorali hanno paura di intraprendere.
Oggi, in piena crisi, la Germania grazie alla cura di Schröder non è più l’economia ammalata ma è quella trascinante, ha il miglior tasso di crescita rispetto alle altre nazioni ed il minor tasso di disoccupazione, 6,5% contro l’11% di media nell’UE. Le obbligazioni di Stato (Bund) sono ricercate dagli investitori internazionali e pagano un interesse annuo dell’1,25% per l’emissione decennale, raccogliendo quindi soldi a condizioni (Italia e Spagna pagano tra il 6 ed il 7%) estremamente vantaggiose. In una parola, la Germania è tornata ad essere la locomotiva dell’UE.
Ma perché governanti e politici dinanzi a simile esempio non si affrettano ad imitare il socialdemocratico Schröder? Ovviamente per non mettere a rischio la loro rielezione, anche a prezzo di continuare a fare le cose sbagliate, aggravare la situazione, continuare ad illudere i cittadini. Gli elettori sono spesso ingrati e talvolta preferiscono l’imbonitore, l’illusionista, quello che dà la colpa agli altri (magari al mercato, ai ricchi, agli evasori che hanno pure responsabilità, che non possono però servire da alibi) ad un uomo di Stato che non si lascia intimorire e privilegia competenza e onestà intellettuale rispetto ai calcoli di bassa cucina elettorale. Schröder con la sua politica che ha risollevato la Germania, si è giocato la rielezione ma ha guadagnato una menzione nel libro della storia del suo Paese.
 

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翠鸟科
. La diga si è rotta quando Monti ha annunciato qualche giorno fa di non intendere presentarsi alle elezioni politiche del 2013. L’annuncio ha messo in risalto due dati di fatto. Il primo è che la politica italiana, anziché sentirsi spronata a far tesoro dei prossimi mesi per prepararsi al grande appuntamento, si è resa conto che non si sente ancora pronta. Il secondo elemento è che, non volendosi coinvolgere politicamente (anche se non tutto è ancora esattamente definito) Monti ha fatto emergere improvvisamente tutta la sua vulnerabilità sul piano interno.
Non è infatti un mistero che il premier, eccezion fatta per un nutrito partito teorico di convinti montiani, sia inviso a destra come a sinistra.

Berlusconi è un grande calcolatore. Sondaggi alla mano, il Cavaliere ritiene che un rialzo elettorale del PdL (del quale è segretario Angelino Alfano) possa avvenire solamente attraverso la sua personale candidatura. In questo senso Berlusconi rappresenta un imprescindibile valore aggiunto per il suo partito. Basta questo a fare infervorare il Cavaliere come un novello Luigi XV, figlio del Re Sole («dopo di me il diluvio») che non sa rinunciare, nonostante l’età (76 anni), alla sete di potere e alla possibilità di tornare ad avere un peso sui destini italiani. Ma c’è di più. Secondo alcuni osservatori, la volontà di ridiscesa in campo di Berlusconi dipenderebbe anche dalla sua convinzione che gli sforzi pur encomiabili di Monti per tentare di salvare l’euro hanno i mesi contati. In questo senso, dunque, il Cavaliere si preparerebbe per uno uno scenario post-montiano e post-euro.
Ma al di là di un puro ragionamento egotistico (va bene il partito, ma il Paese?) la decisione di Berlusconi appare come una scelta giudicata da molti precipitosa e impudente, ai limiti, c’è chi dice, del buon senso e forse anche del buon gusto. È una constatazione che nasce dalle sicure conseguenze negative che un suo ritorno avrebbe per l’Italia, sul piano finanziario come su quello internazionale. I mercati non glielo perdonerebbero, gli spread volerebbero alle stelle e quella credibilità che Monti si è dato cura di reinstaurare si dissolverebbe in un attimo. Le Cancellerie attendono, ma la notizia del possibile riaffacciarsi del Cavaliere comincia già a generare qualche segnale di allarme.
C’è solo da sperare che da parte di Berlusconi non si tratti d’altro che di un ballon d’essai per agitare le acque della politica e per dimostrare che non esiste nel centrodestra nessun altro in grado di fare breccia nell’elettorato moderato. La destinataria del messaggio è quella parte dell’opinione pubblica che un tempo lo votava e adesso è dispersa, divisa fra l’astensionismo e la tentazione di sostenere il movimento di Beppe Grillo. Ma è chiaro che se a Berlusconi è in parte consentito di essere onnipotente, non è detto che sappia anche essere onnisciente. Le leggi della fisica (il diavoletto di Cartesio che spingi giù e ritorna su) non sono le stesse della politica. Perseverare nell’intenzione di sfidare il tempo e di non imparare dai propri errori del passato potrebbe rivelarsi, questo sì, veramente diabolico.

14/07/2012
 

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翠鸟科
La brutta estate dell'economia

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di ALFONSO TUOR - Sta accadendo quanto si temeva. È stato lo stesso Fondo monetario internazionale a confermarlo. La crescita dell’economia mondiale sta frenando e soprattutto si moltiplicano i rischi di un suo ulteriore peggioramento. Lo scenario internazionale ricorda sempre più l’estate che precedette la crisi finanziaria del 2008. Le economie dei grandi Paesi emergenti (dalla Cina all’India fino al Brasile) stanno vistosamente rallentando, la crescita americana è modesta e soprattutto balbettante e gran parte dell’Europa è addirittura in recessione. Ed è proprio sulla crisi della zona dell’euro che si concentrano le maggiori preoccupazioni.
Il timore maggiore dell’FMI è che nelle prossime settimane venga precluso l’accesso di Italia e Spagna ai mercati finanziari. I tassi di interesse che devono pagare questi Paesi rimangono molto alti: quelli spagnoli sfiorano il 7% e quelli italiani il 6% e il differenziale dei tassi di questi Paesi rispetto a quelli tedeschi rimane molto elevato. Insomma, le manovre economiche varate dai Governi di Madrid e di Roma non hanno provocato una diminuzione del costo del denaro che questi Paesi devono pagare per rifinanziarsi sui mercati. Anzi, c’è di più: è proseguita la fuga verso lidi ritenuti più sicuri, come dimostra il fatto che i tassi a breve dei titoli di Germania, Olanda, Finlandia e Austria e di due Paesi non appartenenti all’euro come Svizzera e Danimarca sono addirittura negativi. In pratica, gli investitori devono pagare per detenere i titoli di questi Paesi. Questo fenomeno può essere spiegabile solo se c’è l’aspettativa di una spaccatura dell’euro. Si comprano, ad esempio, titoli tedeschi perdendo, solo se si ritiene che si potrà essere ricompensati da una rottura dell’euro e dall’aumento del tasso di cambio della moneta in cui questi titoli verranno riconvertiti. Questo andamento dei mercati dei capitali conferma la scarsa credibilità delle decisioni adottate all’ultimo vertice europeo di Bruxelles.
Non funziona lo scudo anti-spread, voluto e ottenuto dall’Italia per spingere al ribasso i rendimenti dei propri titoli pubblici. Quello che doveva essere un deterrente contro la speculazione sembra essere nato già morto e la Germania lo sta addirittura seppellendo. Infatti il Sistema europeo di stabilità (ESM), dotato di 500 miliardi di euro, che avrebbe dovuto essere operativo dallo scorso primo luglio, non potrà decollare prima del prossimo 12 settembre quando la Corte costituzionale tedesca si esprimerà sui ricorsi di incostituzionalità. Insomma l’Italia e la Spagna trascorreranno questa insidiosa estate senza questo scudo e potranno ricorrere solo al centinaio di miliardi di euro ancora a disposizione del vecchio Fondo salva-Stati,
una cifra ridicola che non può impaurire la speculazione. Ciò non vuol dire che Italia e Spagna saranno le prossime vittime della crisi dell’euro, poiché se si scatenasse un forte attacco contro i titoli italiani e spagnoli, sarebbe molto probabile una nuova discesa in campo della Banca centrale europea, come era già accaduto alla fine dell’estate dell’anno scorso, quando la BCE spese oltre 200 miliardi di euro per acquistare i titoli dei Paesi periferici, non riuscendo però ad incidere in modo significativo sui loro rendimenti. È comunque probabile una ripetizione di quegli interventi e forse anche qualche altra iniezioni di liquidità nel sistema bancario europeo sempre più in difficoltà. Questi interventi non risolveranno la crisi, ma permetteranno di guadagnare tempo.
L’uscita dalla crisi appare sempre più lontana. Il debito pubblico e privato continua ad aumentare nonostante le politiche di austerità. Le manovre varate dai Paesi in difficoltà vengono in gran parte vanificate dall’elevato costo del denaro. D’altro canto, la recessione si fa sempre più pesante con il risultato di vanificare in gran parte gli aumenti della pressione fiscale e di incidere sul gettito fiscale. Insomma, Italia e Spagna, che sono oggi in prima linea nella battaglia per salvare l’euro, rischiano di cadere in una spirale del debito dalla quale è molto difficile uscire. Tutto ciò induce a condividere la dichiarazione di Angela Merkel, secondo cui «non è certo che il progetto europeo funzionerà» e quella dell’FMI, secondo cui «i mercati finanziari restano sotto pressione, sollevando dubbi sulla stessa sopravvivenza dell’euro». Insomma, l’economia mondiale, ovunque in forte rallentamento, rischia di essere di nuovo alla vigilia di una grave crisi, che questa volta potrebbe partire dall’Europa.

20.07.2012
 

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