“USA perdono? Al complesso militare-industriale conviene”. (1 Viewer)

tontolina

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“USA perdono? Al complesso militare-industriale conviene”.
"USA perdono? Al complesso militare-industriale conviene". - Blondet & Friends

Maurizio Blondet 9 settembre 2017 6
Invasi l‘Irak e l’Afghanistan, sostenuti gli alleati nell’aggressione a Libia e Yemen, provocate insurrezioni in Ucraina e in Siria, imprese finite in impantanamenti con milizia poco fidate, e noi crediamo di capire che la superpotenza sia in declino, visto che non vince mai…”Ma non sarà che l’impantanamento sul campo di battaglia sia nell’interesse degli Stati Uniti più che la vittoria? Il complesso militare-industriale guadagna da queste guerre interminabili”: è la conclusione a cui arriva – finalmente – un musulmano, Asad Durrani.

Il curriculum di Durrani è di tutto rispetto. Nato a Lahore Pakistan nel ’41, generale, formatore di ufficiali nella Military Academy, nel 1975 ha seguito il corso di stato maggiore alla Führungsakademie della Bundeswehr a Amburgo; attaché militare a Bon (980-84), è nominato poi capo dei servizi segreti militari del Pakistan e dal 1990, direttore del potente “Inter-Services Intelligence” (ISI), l’organo che, in stretta collaborazione strategica con la CIA, ha – fra l’altro – creato i talebani per combattere i sovietici in Afghanistan. Del jihadismo fanatico è uno degli artefici e conoscitori, insomma; ed è stato anche un “amico” degli americani nelle operazioni più inconfessabili. Ha finito la carriera militare come ispettore generale della formazione comandando l’Accademia militare del Pakistan. Poi è stato ambasciatore a Bonn (2000-2002) e in Arabia Saudita; dal 2006 al 2008 è stato ambasciatore in Usa.

“Nel maggio 2006”, scrive con undersatement il Durrani, “ho conosciuto un generale americano a riposo che era divenuto direttore di una società militare privata che era stata incaricata di addestrare l’esercito afghano. Si sa bene che queste compagnie private forniscono spesso alle reclute una cattiva formazione allo scopo di prolungare i loro contratti. Del resto alcuni di noi sanno che nessun esercito, né afgano né il più potente, può garantire la stabilità di un paese che può essere raggiunta solo per consenso tribale. Ovviamente i miliardi di dollari stanziati per “aiuti militari” consentono dei bei profitti. La metà degli 8 miliardi di dollari degli aiuti offerti a Kabul va anzitutto agli attori militari.


Eisenhower aveva messo in guardia contro il sistema militare-industriale
“E le armate mal formate sono una pacchia per costoro. Indovinate chi aveva “addestrato” le truppe irachene che si sono disintegrate davanti all’attacco dello “Stato Islamico”. La lobby bellicista era entusiasta;
scontenta della decisione di Obama nel 2011 di ritirare le ruppe dall’Irak, l’industria dell’armamento ha ritrovato la sua euforia quando la comparsa di Daesh ha obbligato a ridispiegare le truppe.
Nel 2014,in una conferenza, certi esponenti afghani e americani espressero la loro gratitudine per Bagdhadi [il capo dell’IS]. Che sollievo! Avevano scongiurato il prossimo ritiro della NATO dall’Afghanistan!
Chi non capisce come mai le grandi potenze occidentali non riescono a battere lo Stato Islamico, ora può rispondersi.

E questo è niente in confronto ai profitti e mazzette di vendite di armi occidentali al mondo arabo. Gli stati del Golfo non hanno né le capacità intellettuali né i mezzi reali per usare armi troppo moderne acquistate a miliardi di dollari. Se il loro possesso ha spinto i sauditi a bombardare i miseri yemeniti, i veri vincitori sono i mercanti di morte che hanno mantenuto aperta e ben lubrificata la catena di rifornimento e manutenzione.

[…] quando un conflitto è lanciato, si sviluppa da solo; non occorre intervenire, se non per soffocare ogni tentativo di farlo finire; e questo è il gioco degli Stati Uniti.


[…] L’offerta dei talebani di riconciliarsi col regime di KArzai nel 2002 è stata rifiutata dal Pentagono, che allora aveva pieni poteri a Kabul. Da allora in poi vari tentativi di arrivare alla pace sono stati sabotati dagli Stati Uniti; ultimo, nel maggio 2016, l’assassinio di Mullah Mansur, la persona che aveva mandato i delegati talebani a colloqui di pace a Doha. Il fato che ciò sia accaduto solo quattro giorni dopo la decisione del Quartetto afgano di rilanciare i negoziati di pace, non è un caso e non lascia alcun dubbio sulle intenzioni dei colpevoli. Gli sforzi del Pakistan di negoziare coi militanti delle proprie zone tribali sono stati ugualmente sabotati. Il comandante Nek Muhammad, con cui il nostro governo aveva fatto un accordo nel 2004, è stato la prima vittima di un attacco americano per drone. Nel 2006, lo stesso giorno in cui la nostra missione di pace doveva rendere parte a una jirga nel Bajaur, novanta bambini son stati uccisi in un altro attacco americano con drone su una madrassa locale. Si tratta di mantenere il caos….”.

Il resto del testo di Durrani lo lascio al volonteroso lettore.

A noi resta una domanda ingenua: e se anche gli attacchi insensati ed inspiegabili del terrorismo islamico nelle piazze d Londra e Barcellona o di Parigi, servissero agitando l’imprendibile islamismo fra noi, a convincere l’opinione pubblica ad accettare di prolungare guerre senza fine che non si possono vincere, allo scopo di ingrassare il complesso militare-industriale? Domando.
 

tontolina

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13 set 2017 — Manlio Dinucci

Un vasto arco di tensioni e conflitti si estende dall’Asia orientale a quella centrale, dal Medioriente all’Europa, dall’Africa all’America latina. I «punti caldi» lungo questo arco intercontinentale – Penisola coreana, Mar Cinese Meridionale, Afghanistan, Siria, Iraq, Iran, Ucraina, Libia, Venezuela e altri – hanno storie e caratteristiche geopolitiche diverse, ma sono allo stesso tempo collegati a un unico fattore: la strategia con cui «l’impero americano d’Occidente», in declino, cerca di impedire l’emergere di nuovi soggetti statuali e sociali.

Che cosa Washington tema lo si capisce dal Summit dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) svoltosi il 3-5 settembre a Xiamen in Cina. Esprimendo «le preoccupazioni dei Brics sull’ingiusta architettura economica e finanziaria globale, che non tiene in considerazione il crescente peso delle economie emergenti», il presidente russo Putin ha sottolineato la necessità di «superare l’eccessivo dominio del limitato numero di valute di riserva».

Chiaro il riferimento al dollaro Usa, che costituisce quasi i due terzi delle riserve valutarie mondiali e la valuta con cui si determina il prezzo del petrolio, dell’oro e di altre materie prime strategiche. Ciò permette agli Usa di mantenere un ruolo dominante, stampando dollari il cui valore si basa non sulla reale capacità economica statunitense ma sul fatto che vengono usati quale valuta globale.

Lo yuan cinese è però entrato un anno fa nel paniere delle valute di riserva del Fondo monetario internazionale (insieme a dollaro, euro, yen e sterlina) e Pechino sta per lanciare contratti di acquisto del petrolio in yuan, convertibili in oro.

I Brics richiedono inoltre la revisione delle quote e quindi dei voti attribuiti a ciascun paese all’interno del Fondo monetario: gli Usa, da soli, detengono più del doppio dei voti complessivi di 24 paesi dell’America latina (Messico compreso) e il G7 detiene il triplo dei voti del gruppo dei Brics.

Washington guarda con crescente preoccupazione alla partnership russo-cinese: l’interscambio tra i due paesi, che nel 2017 dovrebbe raggiungere gli 80 miliardi di dollari, è in forte crescita; aumentano allo stesso tempo gli accordi di cooperazione russo-cinese in campo energetico, agricolo, aeronautico, spaziale e in quello delle infrastrutture.

L’annunciato acquisto del 14% della compagnia petrolifera russa Rosneft da parte di una compagnia cinese e la fornitura di gas russo alla Cina per 38 miliardi di metri cubi annui attraverso il nuovo gasdotto Sila Sibiri, che entrerà in funzione nel 2019, aprono all’export energetico russo la via ad Est mentre gli Usa cercano di bloccargli la via ad Ovest verso l’Europa.

Perdendo terreno sul piano economico, gli Usa gettano sul piatto della bilancia la spada della loro forza militare e influenza politica. La pressione militare Usa nel Mar Cinese Meridionale e nella penisola coreana, le guerre Usa/Nato in Afghanistan, Medioriente e Africa, la spallata Usa/Nato in Ucraina e il conseguente confronto con la Russia, rientrano nella stessa strategia di confronto globale con la partnership russo-cinese, che non è solo economica ma geopolitica.

Vi rientra anche il piano di minare i Brics dall’interno, riportando le destre al potere in Brasile e in tutta l’America latina. Lo conferma il comandante dello U.S. Southern Command, Kurt Tidd, che sta preparando contro il Venezuela l’«opzione militare» minacciata da Trump: in una audizione al senato, accusa Russia e Cina di esercitare una «maligna influenza» in America latina, per far avanzare anche qui «la loro visione di un ordine internazionale alternativo».
 

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Per Brzezinski vi sono cinque verità fondamentali che segnalano l’arrivo di un nuovo riallineamento globale.
  1. La prima di queste verità è che “gli Stati Uniti sono ancora l’entità politicamente, economicamente e militarmente più potente del mondo, ma, dati i complessi cambiamenti geopolitici negli equilibri regionali, non sono più la potenza imperiale globale. Anche se nessuno degli altri poteri maggiori lo è”.
  2. La seconda verità è che “la Russia sta sperimentando l’ultima fase convulsiva del suo processo di trasformazione imperiale verso il federalismo. Un processo doloroso, che se la Russia porta avanti con saggezza, potrebbe portarla a diventare uno stato nazionale guida dell’Unione Europea. Anche se, tuttavia, al momento sta insensatamente alienando dal suo vasto impero alcune delle sue precedenti aree di influenza nel sud-ovest musulmano, come l’Ucraina, la Bielorussia, la Georgia, per non parlare degli stati baltici“.
  3. La terza verità è che “la Cina sta crescendo stabilmente, ponendosi come un possibile avversario di pari forza rispetto agli USA, che tuttavia al momento sta attenta a non sfidare apertamente”.
  4. La quarta verità di Brzezinski riguarda invece l’Europa, che “non è e non sembra destinata ad essere una potenza globale“. Però “è culturalmente e politicamente allineata, sostenendolo a tutti gli effetti, con il nucleo degli interessi degli Stati Uniti d’America in Medio Oriente“.
  5. La quinta verità è che “il risveglio politico violento dei territori musulmani dell’era post colonialista è, in parte, una reazione alla loro brutale soppressione da parte del potere europeo. Mette insieme un senso di ingiustizia forse in ritardo ma ben radicato con una motivazione religiosa che unisce milioni di musulmani contro il mondo esterno“.

L’unica via di uscita: riallineare gli equilibri globali.

Queste cinque verità, prese tutte insieme, richiedono agli Stati Uniti di guidare un riallineamento globale,innanzitutto per fermare la violenza che occasionalmente viene riversata all’esterno dal mondo musulmano, ma che in futuro potrebbe arrivare da tutto il cosiddetto “terzo mondo”. Per ottenere questo scopo, l’America deve accordarsi con la Russia e con la Cina.
La prima dovrebbe però essere scoraggiata dall’uso continuo della forza nei confronti dell’Ucraina, della Georgia e dei paesi baltici. La seconda dovrebbe invece convincersi che il suo atteggiamento egoisticamente passivo nei confronti dello scontro allargato in Medio Oriente non gli frutterà obiettivi strategici rilevanti nell’arena globale.

La Russia inoltre, secondo Brzezinski, dovrebbe assumere un ruolo determinante nel processo di unificazione dell’Europa, in considerazione della crescita della Cina, che potrebbe presto cedere alla tentazione di stracciare i trattati con Mosca firmati nel passato.

La Cina, manco a dirlo, dovrebbe diventare un partner degli Stati Uniti per contenere il caos che si è sprigionato in Medio Oriente. Dovrebbe cioè, allearsi militarmente con Washington e, in cambio, gli verrebbe concesso di allargarsi commercialmente a ovest, principalmente in Pakistan e Iran, dove tuttavia dovrebbe permettere il fiorire di interessi comuni agli Stati Uniti d’America.

L’Arabia Saudita, invece, non sembra essere più un partner affidabile degli Stati Uniti, perché troppo incline a sostenere il fanatismo Wahabita, mentre la stabilità del Medio Oriente verrebbe da una coalizione militare Russia – Cina, che sostenga un uso della forza più selettivo, mentre all’Unione Europea spetterebbe il compito di aiutare l’Iran, la Turchia, Israele e l’Egitto ad attuare una cintura di contenimento responsabile.

Il tutto, mentre dall’Asia e dall’Africa potrebbe scaturire negli anni a venire una nuova ondata di violenza cui prepararsi a far fronte.

Abbiamo vent’anni di tempo, prima del caos.
Il fallimento di questo progetto, secondo Brzezinski, potrebbe portare negli Stati Uniti un conflitto permanente e perfino a ritorno all’isolazionismo antecedente al ventesimo secolo. Per la Russia, potrebbe significare una sconfitta ma anche il progressivo subordinamento al predominio della Cina, mentre quest’ultima potrebbe andare incontro a guerre non solo con gli Stati Uniti d’America ma anche, in maniera unificata o separata, con il Giappone e con l’India.

In caso non si cominciasse subito a riallineare un nuovo tipo di ordine mondiale, entro vent’anni potremmo assistere a un’escalation di sangue e un crescendo di crudeltà in ogni parte del mondo, con l’aggravante che per tutto il resto del secolo l’umanità dovrà anche fronteggiare la preoccupazione per la sua stessa sopravvivenza, a causa del confluire delle sfide ambientali. Queste sfide, conclude Brzezinski, possono solo essere raccolte, responsabilmente e in maniera efficace, costruendo accordi internazionali rafforzati, basati su una visione strategica che riconosce il bisogno urgente di un nuovo quadro geopolitico.

via Byoblu
 

tontolina

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e in Georgia ex-URSS succede che gli Usa fanno esperimenti sulla popolazione
17.09.18 - Miete vittime laboratorio biologico USA in Georgia
 

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