Una Donna al giorno. Un omaggio all'intelligenza e alla forza femminile (2 lettori)

Claire

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EVA MAMELI



Eva Mameli Calvino, all'anagrafe Giuliana Luigia Evelina Mameli (Sassari, 12 febbraio 1886 – San Remo, 31 marzo 1978), è stata una botanica e naturalista italiana. Madre dello scrittore Italo Calvino, docente di botanica all'Università di Cagliari, attiva presso la Stazione sperimentale di floricoltura di Sanremo, per la sua opera di tutela degli uccelli è considerata la «prima e unica donna» del movimento per la conservazione della natura tra le due guerre.


Consegue una prima laurea in Matematica presso l'Università di Cagliari nel 1905. Dopo la morte del padre, si trasferisce con la madre a Pavia, dove il fratello Efisio Mameli era professore di chimica farmaceutica, chimica organica e tossicologia all'ateneo pavese, presso il quale Eva si laurea una seconda volta in Scienze Naturali nel 1907. Nel 1915 ottiene la libera docenza in botanica, prima donna in Italia per la predetta disciplina. Con il marito, Mario Calvino, lascia l'Italia per Cuba nel 1920. I due ritorneranno in Italia nel 1925 per stabilirsi a Sanremo, dove a Mario Calvino era stata offerta la direzione della neoistituita Stazione Sperimentale per la Floricoltura “Orazio Raimondo”. Dal 1929 Eva Mameli Calvino è stata attiva presso la Stazione sperimentale di floricoltura di Sanremo diretta dal marito.

La prima di una lunga serie di pubblicazioni (oltre 200) di Eva Mameli Calvino risale al 1906, risultato delle sue ricerche eseguite nell'Orto botanico di Cagliari sul genere Fumaria, mentre un anno dopo pubblicò Sulla flora micologica della Sardegna. Si è occupata, con i suoi scritti, prima di lichenologia, micologia e fisiologia vegetale, poi di genetica applicata alle piante ornamentali, fitopatologia e floricoltura. Dal 1930, periodo in cui fonda assieme al marito la Società italiana amici dei fiori e la rivista «Il Giardino Fiorito», che dirigeranno dal 1931 al 1947, in svariati articoli si occupa della protezione degli uccelli.
 

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Claire

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DIDALA GHERARDUCCI
Morta da pochissimi giorni. Merita un ricordo.

Si è spenta da poche ore, Didala Ghilarducci. Lei, la partigiana per amore, che per le celebrazioni del 25 aprile, festa della Liberazione, nonostante i suoi 91 anni, compiuti il 26 febbraio, era presente a Sant'Anna di Stazzema, accanto al sindaco Michele Silicani, è morta. Sembrava dormisse, quando i familiari l'hanno trovata sul divano della sua casa al Varignano. E invece ci ha lasciato. Per sempre.

Figlia di una famiglia di sinistra dove il padre, un marinaio viareggino, non hai mai avuto la tessera del fascio, era la storia vivente. Ex staffetta partigiana delle Brigate Garibaldi ha sempre ricordato bene gli anni della seconda guerra mondiale, quelli che l’hanno portata a lasciare la propria casa in via Mazzini, dove viveva con il giovane marito Chittò, per andare al freddo, lassù sulle Alpi Apuane. Giorni lontani, ma vicini, dei quali, fino a ieri, ha parlato nelle scuole, come una nonna farebbe con i propri nipoti, o meglio una bisnonna, quale era, di quattro bei ragazzi, tutti maschi e figli del suo unico figlio Riccardo. Anni addietro, chi scrive, ebbe modo di intervistarla. Era una donna speciale, e di una dolcezza infinita. La sua storia, che è la storia di tutti i partigiani di Italia, “di un quotidiano eroismo e di semplice profondità”, l'ha immortalata in un libro, parlando degli uomini e delle donne che nel secolo scorso, come lei, affrontarono le dure prove della vita di quegli anni. “Conobbi mio marito che ero ancora studentessa a Le Mantellate”, mi raccontò durante il nostro incontro: lui, coetaneo. frequentava il liceo classico Carducci. E il loro fu un grande amore, legato anche dalla comune opposizione al fascismo, che li portò a sposarsi nel pieno della guerra e ad avere un figlio, nato il 2 settembre del 1943, nei giorni più terribili. Insieme, con il bimbo di soli sette giorni, partirono per i monti, con i partigiani, dormendo sotto i castagni, finchè era caldo, e mangiando quello che riuscivano a trovare da qualche contadino. Ricordo come fosse ieri i suoi occhi quando mi parlava dell’acqua gelida dei ruscelli di montagna che le serviva per dissetarsi e di quella intiepidita dal sole per lavarsi. “D’inverno, per dormire, il giaciglio più riparato era nei rifugi, sulle vette più alte”, mi disse. Una scelta, quella dei monti, durata fino a quando, dopo un anno, il sogno di vita di Didala si infranse nella morte dell’amato compagno di vita e di ideali. Era l’ estate del ’44, quando lo scempio nazista raggiunse l’apice e nel corso di una perlustrazione il marito Chittò fu trucidato e Didala Ghilarducci, appena 20enne, rimase vedova nello stesso mese segnato dalla strage di Sant’Anna.

Ed è da allora che la partigiana per amore divenne la custode della memoria di quegli eventi. Sui quei monti aveva sentito le raffiche degli spari dei nazisti, e visto i tedeschi dare fuoco a tutto. Aveva visto il sangue, quello degli innocenti e di chi lottava per la libertà”. Fino a ieri, il suo impegno antifascista, l'ha portata non solo a dirigere l’Anpi di Viareggio ma a raccontare, finchè ha avuto fiato, cosa abbia significato essere partigiani. Le ultime parole pubbliche, toccanti, sono quelle del suo intervento di ieri a Sant'Anna di Stazzema, dopo l'ascolto della canzone di Concato: “Il 25 aprile è la festa dei partigiani, purtroppo però di partigiani siamo rimasti in pochi. Ma finché il tempo mi sarà dato, io sarò con i giovani e racconterò le mie esperienze”. Il tempo, però, si è spezzato oggi. Lasciando tutti in una tristezza infinita.

Di Didala Ghilarducci rimarrà però sempre il ricordo. Cos'era per lei la libertà, le chiesi anni addietro, e la sua risposta è ancora nitida nella mia mente: “Io so cosa non è la libertà. Non poter leggere libri stranieri, non poter ascoltare musica jazz e non poter parlare di antifascismo”. La libertà, per Didala, è stata una dura conquista. Ora, da parte nostra, va difesa, e la storia va ricordata: “per non dimenticare”.
 

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Claire

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Amelia Mary Earhart

(Atchinson, 24 luglio 1897 – Oceano Pacifico, 2 luglio (?) 1937) è stata una aviatrice statunitense.

Amelia Earhart nasce nella casa dei nonni ad Atchinson, nel Kansas, dove la madre Amy preferisce partorire, mentre il padre, Edwin, fa pratica legale a Kansas City. Dopo due anni e mezzo nasce la sorella, Muriel. Nel 1905 i genitori di Amelia si trasferiscono a Des Moines, Iowa, lasciando le figlie con i nonni. Solo nel 1908 queste raggiungeranno i loro genitori.
Nel 1914, Amelia decide di frequentare i corsi per infermiera, che la porteranno a prestare servizio in un ospedale militare in Canada, durante tutta la durata della Prima guerra mondiale. Nel 1920, all'età di 23 anni, va insieme al padre ad un raduno aeronautico presso il Daugherty Airfield a Long Beach in California e, pagando un dollaro, per la prima volta sale a bordo di un biplano, per un giro turistico di dieci minuti sopra Los Angeles.
È in quell'occasione che decide di imparare a volare. Comincia a frequentare le lezioni di volo e ad un anno di distanza, con l'aiuto della madre, acquista il suo primo biplano, con il quale stabilirà il primo dei suoi record femminili, salendo ad un'altitudine di 14.000 piedi.
Nell'aprile del 1928 il capitano Hilton H. Railey, le propone di essere la prima donna ad attraversare l'Atlantico e il 17 giugno, dopo diversi rinvii per le brutte condizioni del tempo, a bordo di un Fokker F7, chiamato Friendship (amicizia), decollano con Amelia Earhart, il pilota Stultz e il co-pilota e meccanico Gordon. Sebbene sia relegata a ben poche funzioni, quando il team arriva in Galles, 21 ore dopo, gli onori sono quasi tutti per lei. Anche il Presidente Coolidge le invia con un cablogramma le sue personali congratulazioni.
L'8 aprile 1931, pilotando un autogiro Pitcairn PCA-2, stabilì il record mondiale di altitudine di 18.415 piedi (5.613 metri).

All'inizio del 1932 nessun altro pilota, a parte Lindbergh, ha compiuto la trasvolata in solitaria; ci riesce Lady Lindy, come viene soprannominata, il 21 maggio impiegando quattordici ore e cinquantasei minuti per volare da Terranova a Londonderry nell'Irlanda del Nord. Il 24 agosto 1932 è la prima donna a volare attraverso gli Stati Uniti senza scalo partendo da Los Angeles (California) e arrivando a Newark (New Jersey). Sempre determinata e con l'intento di arrivare dove altri hanno fallito diventa la prima persona ad attraversare il Pacifico da Oakland in California ad Honolulu nelle Hawaii.


Nel 1937,sente di essere pronta per la sfida finale: vuole essere la prima donna a fare il giro del mondo in aereo. Dopo un tentativo fallito, il 1º giugno dello stesso anno, insieme con il navigatore Frederick J. Noonan, parte da Miami e comincia la trasvolata di ben 29.000 miglia che la porterà a San Juan in Porto Rico e poi, seguendo la costa nord-orientale del Sud America, verso l'Africa e quindi in India. Il 29 giugno quando arrivano a Lae in Nuova Guinea, hanno fatto 22.000 miglia e ne mancano solo 7.000 ormai per arrivare alla conclusione del viaggio. Tutto quello che è superfluo nell'aereo viene rimosso per far posto a più carburante che possa consentire approssimativamente 280 miglia extra. Le mappe che Noonan ha a disposizione non si sono rivelate molto accurate, ma ormai sono in prossimità dell'isola di Howland, dove è dislocata la guardia costiera con la quale sono in contatto radio. All'alba del 2 luglio Amelia Earhart chiama insistentemente alla radio: "Dobbiamo essere sopra di voi ma non riusciamo a vedervi. Il carburante sta finendo..." A nulla valgono i tentativi compiuti dalla guardia costiera per farsi notare. Probabilmente l'aeroplano si perde e precipita ad una distanza calcolabile fra 35 e 100 miglia dall'isola di Howland.
La notizia fa presto il giro del mondo, il Presidente Roosevelt autorizza le ricerche con l'impiego di nove navi e 66 aerei per un costo stimato di circa quattro milioni di dollari. Le navi e gli aerei impegnati nella ricerca, il cui mandante era amico personale di Amelia, non giungono sul luogo se non dopo cinque giorni.
Le ricerche vengono interrotte il 18 luglio dopo aver cercato su una superficie di 250.000 miglia quadrate di oceano.
 

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Claire

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  • AMELIA FRASER McKELVIE


Team di scienziati di tutto il mondo l’hanno inseguita per decenni. Ma della cosidetta “massa mancante” dell’universo nessuna traccia. L’ha invece individuata, è in soli tre mesi, una studentessa di ingegneria aerospaziale dell’Università Monash di Melbourne, Amelia Fraser-McKelvie, di 22 anni, che ha condotto con astrofisici della Scuola di Fisica dell’ateneo una ricerca mirata a raggi X.

La scoperta, descritta nella rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, è ancora più notevole perché Fraser-McKelvie, 22 anni, non è una ricercatrice di carriera, ma una studentessa che lavorava come stagista con una borsa di studio. Il suo relatore Kevin Pimbblet della Scuola di Fisica ha sottolineato come gli scienziati si siano scervellati per decenni sulla questione mentre lei ci ha messo solo 90 giorni.

“Si pensava da un punto di vista teorico che nell’universo dovesse esserci circa il doppio della massa, rispetto a quella che è stata osservata”, scrive Pimbblet nella relazione di cui è coautore. “Si riteneva che la maggior parte di questa massa mancante dovesse essere situata in strutture cosmiche di grande scala fra i gruppi di galassie, chiamate filamenti. Gli astrofisici ritenevano che la massa fosse di bassa densità ma alta di temperatura, attorno al milione di gradi Celsius. In teoria quindi avrebbe dovuto essere osservabile sulle lunghezze d’onda dei raggi X. La scoperta di Fraser-McKelvie ha dimostrato che l’ipotesi era corretta”, aggiunge lo scienziato.
Usando le sue conoscenze nel campo dell’astronomia a raggi X, la giovane studiosa ha riesaminato da vicino i dati raccolti dai colleghi più anziani, confermando la presenza dei filamenti, che fino allora era sfuggita. La scoperta potrà cambiare la maniera in cui sono costruiti i telescopi, sostiene Pimbblet.
 

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Claire

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Cristina Trivulzio Belgiojoso

Cristina Trivulzio di Belgiojoso (Milano, 28 giugno 1808 – Milano, 5 luglio 1871) è stata una patriota italiana che partecipò attivamente al Risorgimento. Fu editrice di giornali rivoluzionari, scrittrice e giornalista.


Il momento più importante della giovinezza di Cristina è il matrimonio con il giovane ed avvenente principe Emilio Barbiano di Belgiojoso. Molti cercarono di dissuaderla, conoscendo le abitudini libertine di Emilio, ma alla fine il matrimonio si fece. Invitati di rango si affollarono nella chiesa di S. Fedele a Milano il 24 settembre 1824. La più ricca ereditiera d'Italia vantava una dote di 400.000 lire austriache (più di 4.000.000 di € odierni). Aveva allora solo 16 anni.

Il matrimonio non durò molto. Ufficialmente non divorziarono mai, ma si separarono di fatto pochi anni dopo, rimanendo poi in rapporti più o meno cordiali. Il marito continuò la sua vita libertina, accompagnandosi con la contessa Anna Berthier di Wagram per dieci anni nella sua villa a Torno sul lago di Como Villa Pliniana.

Alla fine degli anni venti Cristina, dopo l'arresto del patrigno, si avvicinò alle persone più coinvolte con i movimenti per la liberazione. Gli austriaci, che dominavano la Lombardia dal 1815 e specialmente il capo della polizia Torresani, iniziarono la loro opera di spionaggio che durò fino all'unità d'Italia. Cristina era bella, potente, e poteva dare molto fastidio. Fortunatamente la sua fama, la sua posizione sociale, e la sua scaltrezza la salvarono più volte dall'arresto. Agli austriaci non volevano dare l'idea di infierire contro le elites sociali e culturali milanesi.Chiudevano quindi un occhio sulle sue frequentazioni. Non va inoltre dimenticato che il nonno di Cristina, il Marchese Maurizio dei Gherardini, fu Gran Ciambellano dell'Imperatore d'Austria e poi, fino alla sua morte , anche Ministro Plenipotenziario d'Austria presso il Regno Sabaudo. Un arresto della nipote avrebbe causato uno scandalo dagli sviluppi imprevedibili.

Nonostante ciò, con la dovuta cautela, il governo di Vienna le metteva di continuo i bastoni fra le ruote. Sentendosi costantemente minacciata, Cristina scappò nel sud della Francia, una fuga narrata da alcuni biografi con toni melodrammatici. È sicuro in ogni caso, che lei si sia poi trovata in Provenza sola e senza soldi. I suoi averi erano stati messi sotto sequestro dalla polizia austriaca e per molto tempo la Trivulzio non poté attingere al suo patrimonio.
L'ultima liquidità era stata infatti impegnata per pagare i debiti del marito, in cambio della sua libertà.

Si ritrovò sola ed ospite di amici nel paesino di Carqueiranne. Qui entrò in scena un nuovo amico, tale Pietro Bolognini detto "il Bianchi", ex notaio di Reggio Emilia, a cui le spie austriache assegnarono subito il ruolo di amante. Qui conobbe Augustin Thierry, uno storico divenuto da poco tempo cieco, che le rimarrà amico fino alla morte. Dopo alcuni mesi, nonostante la mancanza di soldi, sbarcò a Parigi e si trovò un appartamentino vicino alla chiesa della Madeleine.

Si arrangiò con pochi soldi per alcuni mesi. Si cucinò per la prima volta da sola i suoi pasti e si guadagnò da vivere cucendo pizzi e coccarde. Una vita un po' diversa da quella a cui era abituata a Milano; eppure quando aveva iniziato quest'avventura, non aveva riflettuto molto prima di agire, anche se sapeva di dover così affrontare tempi difficili. Sarebbe stato semplice recuperare i suoi soldi e vivere negli agi nei suoi palazzi a Locate o a Milano. Le sarebbe bastato star tranquilla e non alzare troppa polvere di fronte al Torresani. Persino il governatore austriaco Hartig ed il Metternich in persona si scambiavano lettere riguardo alla principessa e placavano il loro capo della polizia, che l'avrebbe invece volentieri incarcerata.

Dopo poco tempo, un po' con i soldi inviati dalla madre e un po' con quelli recuperati dai suoi redditi, riuscì a cambiare casa e ad organizzare in rue d’Anjou, una traversa del Foubourg St. Honoré, uno di quei salotti d'aristocrazia, dove riuniva esiliati italiani e borghesia europea.

Negli anni trenta frequentò il poeta tedesco Heinrich Heine, il compositore ungherese Franz Liszt, lo storico francese François Mignet, il poeta francese Alfred De Musset e tanti altri. Intrattenne anche una fitta corrispondenza con l'"eroe di due mondi" La Fayette, vecchio generale protagonista della rivoluzione francese. Le attribuirono tanti amanti, un po' come ci si aspetterebbe oggi da una bella donna ricca in una situazione del genere. Conservava ancora rapporti di amicizia con il marito, con cui condivideva però il pensiero politico e nient'altro.
In questi dieci anni ella continuò a contribuire alla causa italiana, cercando di influenzare i potenti, scrivendo articoli e diventando addirittura editore di giornali politici, quando non trovava altri editori disposti a pubblicare suoi scritti giudicandoli pericolosi.

A lei continueranno ad arrivare richieste di finanziamenti per fini patriottici, e lei cercherà di distribuirne tantissimi, in modo da aiutare i poveri esuli italiani, di cui lei era ormai diventata la referente parigina, e investendo in sommosse o addirittura organizzando movimenti di armi per i "ribelli" italiani. Nel 1834, ad esempio, donò 30.000 lire (su un suo budget complessivo di centomila) per finanziare il colpo di mano mazziniano nel Regno di Sardegna[2]. Per l'occasione, la nobildonna aveva persino ricamato con le proprie mani le bandiere degli insorti[3].

Il cambiamento

Nel 1838 la sua vita subisce un'autentica svolta con la nascita di Maria, la primogenita. Il padre naturale non era sicuramente il marito, che non frequentava. È stato ipotizzato fosse il suo amico François Mignet o il suo segretario Bolognini ma notizie certe non ve ne sono.

Da quel momento lascia i suoi salotti ed i suoi ricevimenti e trascorre alcuni anni in semi-isolamento. Trascorre una vacanza in Inghilterra con i suoi fratelli e sorelle, e in questa occasione si reca a trovare Luigi Napoleone Bonaparte, il futuro Napoleone III in esilio, riuscendo a strappargli una promessa: dopo che avrà acquistato potere in Francia, cercherà di operare a favore della causa risorgimentale italiana. Accadrà invece che, una volta conseguiti i suoi scopi, Luigi Napoleone si mostrerà molto tiepido nei confronti della causa risorgimentale.

Successivamente la Trivulzio torna a Parigi per circa un anno, per poi tornare finalmente nella sua Locate, dove si lancia in numerose attività a carattere sociale. Organizza infatti asili e scuole e trasforma il suo palazzo in un falansterio, ovvero nel centro di una comunità secondo il modello idealizzato da Charles Fourier. Inoltre crea uno scaldatoio pubblico e dona delle doti alle sposine più povere. Cristina vorrebbe anche modificare gli insegnamenti religiosi, che ritiene in parte criticabili, ma non procede in questa direzione che avrebbe incontrato notevoli ostacoli.

Continua anche la sua opera politica cercando di convincere tutti che l'unica soluzione per muoversi verso l'unione italiana era di sostenere Carlo Alberto e quindi il prevalere della dinastia dei Savoia. Il suo obiettivo non era una monarchia, ma una repubblica italiana simile a quela francese; tuttavia, se per arrivare alla repubblica bisognava prima unire l'Italia, l'unico mezzo era di appoggiare la monarchia dei Savoia.

Nel 1848, trovandosi a Napoli durante l'insurrezione che porta alle cinque giornate di Milano, parte subito per il Nord; inoltre paga il viaggio ai circa 200 napoletani che decidono di seguirla, tra gli oltre 10.000 patrioti che si erano assiepati sul molo per augurarle buona fortuna.

Per qualche mese si respira aria di libertà, ma si sviluppano anche forti discordie interne sulle modalità del proseguimento della lotta. Pochi mesi dopo, il 6 agosto 1848, gli austriaci entrano a Milano e lei, come molti altri, è costretta all'esilio per salvarsi la vita. Si calcola che almeno un terzo degli abitanti di Milano espatriasse prima del ritorno degli austriaci.

Passato un anno, Cristina Trivulzio di Belgiojoso si ritrova in prima linea nel corso dell'insurrezione romana divampata dal 9 febbraio al 4 luglio del 1849. A lei assegnarono l'organizzazione degli ospedali, compito che assolse con dedizione e competenza, tanto da poter essere considerata come antesignana di Florence Nightingale.

Anche a Roma la rivolta è sedata e per di più proprio con l'aiuto dei francesi sui quali Cristina tanto aveva contato. Sfumata anche questa speranza di libertà e sentendosi tradita dal suo stesso amico Napoleone III, salpa su una nave diretta a Malta. Inizia così un viaggio che la porta in Grecia per finire in Asia Minore, nella sperduta e desolata valle di Ciaq Maq Oglù, vicino alla odierna Ankara, Turchia.

Qui, sola con la figlia Maria e pochi altri esuli italiani, senza soldi e mantenendosi solo a credito, organizza un'azienda agricola. Da qui invia articoli e racconti delle sue peripezie orientali ed in tal modo riesce a raccogliere somme che le consentono di continuare a vivere per quasi cinque anni.
Nel 1855, grazie ad un'amnistia, riottiene dalle autorità austriache il permesso di tornare a Locate.

Nel 1858 muore il suo ancora legale marito Emilio e pochi anni dopo ella riesce finalmente a far legittimare sua figlia Maria. Nel 1860, dopo il matrimonio di sua figlia con Ludovico Trotti Bentivoglio, un uomo di qualità, inizia una vita da suocera.
Nel 1861 si costituisce finalmente l'Italia unita, da lei tanto desiderata, e lei può lasciare la politica con una certa serenità.

Da questo momento vive appartata tra Milano, Locate ed il lago di Como. Acquista una villetta a Blevio dove si trasferisce con il suo fedele Budoz, il servo turco che l'aveva seguita ormai da vent'anni e Miss Parker, la governante inglese che aveva vissuto con lei fin dal suo viaggio del 1839 in Inghilterra.

Muore nel 1871, a soli 63 anni. Aveva subìto molte peripezie e sofferto di varie malattie. Subì anche un tentativo di omicidio, che lasciò diverse ferite. Viene sepolta a Locate di Triulzi, dove la sua tomba si trova tuttora. Al suo funerale non partecipa nessuno dei politici dell'Italia che lei cosi generosamente aveva contribuito ad unire.
 

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Claire

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Lise Meitner


Lise Meitner fu la terza figlia dell'avvocato ebreo Philipp Meitner e di Hedwig Meitner-Skovran. Come si usava negli ambienti dell'alta borghesia, non venne educata secondo la fede ebraica, ma in quella protestante. Concluse la sua educazione scolastica alla scuola media, dato che le ragazze non erano ammesse ai licei. In seguito fece l'esame d'insegnante di francese. Inoltre si preparò da autodidatta alla maturità diplomandosi nel 1901, all'età di 22 anni, presso l'Akademisches Gymnasium Wien.

Questo le permise di iniziare nello stesso anno gli studi di fisica, matematica e filosofia all'università di Vienna. Il suo insegnante universitario più autorevole fu il fisico teorico Ludwig Boltzmann. Già nei primi anni dei suoi studi si occupò dei problemi della radioattività. Con la sua tesi Wärmeleitung in inhomogeen Stoffen (Conduzione termica in materie eterogenee), fu, nel 1906, la seconda donna a conseguire il dottorato di fisica all'università di Vienna. Subito dopo la laurea fece domanda per un incarico presso il prestigioso Istituto del radio di Parigi, dove lavorava Marie Curie, incarico che però non riuscì a ottenere. Il dottorato le permise comunque di essere accolta nell'Istituto di fisica teorica di Vienna.

Nel 1907 si trasferì a Berlino per proseguire i suoi studi, principalmente per seguire le lezioni di Max Planck. Fu nella capitale tedesca che incontrò il giovane chimico Otto Hahn, con il quale iniziò una collaborazione che sarebbe durata trent'anni. Lavorava nel laboratorio di Hahn come "ospite non pagato". Il laboratorio era un locale originariamente previsto per lavori di falegnameria, situato nelle cantine dell'istituto di chimica dell'università berlinese. Dato che a quell'epoca in Prussia le donne non erano ammesse all'università, Lise doveva entrare dalla porta di servizio e non poteva accedere alle aule e ai laboratori degli studenti. Il divieto venne annullato solo nel 1909, quando venne ufficialmente permesso alle donne di studiare. Nel 1908 entrò nella chiesa protestante.


Nel 1909 Meitner e Hahn riuscirono a dimostrare e spiegare il fenomeno del "rinculo atomico", scoperto nel 1904 dalla fisica Harriet Brooks. Negli anni seguenti scoprirono inoltre diversi nuclidi radioattivi. Con questi importanti contributi Lise Meitner si fece conoscere nell'ambiente della fisica, entrando in contatto, fra gli altri, con Albert Einstein e Marie Curie. Dal 1912 al 1915 lavorò come assistente non ufficiale di Max Planck. Nel 1912 le condizioni di lavoro di Hahn e Meitner migliorarono, potendo continuare le loro ricerche nella sezione di radioattività, fondata da Hahn nel nuovo istituto di chimica della "Kaiser-Wilhelm-Gesellschaft" (oggi istituto della Freie Universität Berlin). Fino al 1913 Lise Meitner continuò a lavorare gratuitamente, ma in quell'anno divenne finalmente membro scientifico retribuito del Kaiser-Wilhelm-Institut für Chemie. Durante la Prima guerra mondiale lavorò come infermiera di radiologia per l'esercito austriaco in un ospedale militare del fronte orientale, mentre Otto Hahn era stato chiamato a partecipare ai progetti di ricerca sui gas asfissianti.

A partire dal 1917, mentre Hahn era ancora impegnato al fronte, Lise Meitner cominciò le ricerche che la condussero alla scoperta dell'isotopo Protoattinio 231, la forma duratura del 91, elemento scoperto nel 1913 da Kasimir Fajans e O. H. Göhring. Nel 1918 Lise ottenne per la prima volta una propria sezione di fisica nucleare, con uno stipendio adeguato da caporeparto. Nel 1922 conseguì la libera docenza, e nel 1926 divenne professoressa fuori organico di fisica nucleare sperimentale all'università di Berlino.

Nel 1933, a causa delle sue origini ebraiche, le venne ritirato il permesso d'insegnamento. Poteva però continuare il suo lavoro agli esperimenti di irradiazione mediante neutroni con Otto Hahn al Kaiser-Wilhelm-Institut, che non era direttamente controllato dallo Stato. Ma con l'annessione dell'Austria da parte della Germania nazista, nel 1938, Lise Meitner divenne cittadina tedesca e come ebrea, anche se convertita al protestantesimo, non era più tollerata come caporeparto all'istituto di chimica; ormai la sua vita era in pericolo. In fuga dai nazisti, attraverso l'Olanda e la Danimarca, si rifugiò in Svezia, dove continuò le sue ricerche fino al 1946 all'istituto Nobel. Hahn e Meitner continuarono comunque a corrispondere per lettera. Il 19 dicembre del 1938 Hahn le descrisse uno strano fenomeno che aveva scoperto insieme al suo giovane collega Fritz Strassmann, irradiando nuclei di uranio con neutroni lenti per esaminarne i prodotti risultanti, e che, in quella lettera, aveva definito come "scoppiare" (»Zerplatzen«):

...Forse lei riuscirebbe a suggerire una qualche soluzione fuori dall'ordinario. È chiaro che (l'uranio) non può scomporsi in nuclei di bario (...), provi quindi a pensare a un'altra possibilità. Isotopo di bario dal peso atomico molto superiore a 137? Se ha una qualche idea pubblicabile, tutti e tre noi figureremmo insieme in questo lavoro.
In un primo tempo anche Lise fu altrettanto sconcertata da quei risultati:

I vostri risultati sono davvero sorprendenti: un procedimento che usa neutroni lenti e dà come risultato il bario! (...) Credo che per il momento l'ipotesi di una rottura tanto estesa sia difficile da accettare, ma la fisica nucleare ci ha riservato tante di quelle sorprese che di niente si può dire con certezza: 'impossibile'.

Due mesi dopo, l'11 febbraio 1939, Lise Meitner pubblicò insieme a suo nipote Otto Robert Frisch sulla rivista Nature, un articolo in forma di lettera di sole due pagine intitolato »Disintegration of Uranium by Neutrons: a New Type of Nuclear Reaction« (Nature, 143, 239-240), nel quale si ponevano le basi teoriche per lo sviluppo della fissione nucleare.

Lise Meitner ebbe l'idea della fissione durante una passeggiata nei boschi della Svezia Meridionale, discutendone con il nipote Otto Frisch, giovane fisico nucleare esule da Vienna e attivo nell'Istituto di Niels Bohr a Copenaghen: i due frammenti (nuclei) che risultano dalla fissione hanno una massa inferiore del nucleo di uranio di partenza. Con questa differenza di massa, Lise Meitner, utilizzando la nota formula di Einstein della teoria della relatività E=mc², calcolò l'energia liberata durante la fissione. Il risultato che ottenne era di circa 200 milioni di elettronvolt per ogni nucleo fissionato. Con questo decisivo calcolo Lise Meitner pose le fondamenta per lo sviluppo sperimentale della fissione nucleare, per il suo futuro uso bellico (armi nucleari) e per quello pacifico (energia nucleare). Pochi giorni dopo la scoperta Otto Frisch ritornò a Copenaghen e raccontò della scoperta a Niels Bohr, in partenza per un congresso negli Stati Uniti, il quale reagì esclamando con entusiasmo: Che idioti siamo stati tutti quanti! È fantastico! Deve essere proprio così!

Da pacifista convinta, Meitner si rifiutò di accettare incarichi di ricerca per la costruzione di una bomba atomica, nonostante le ripetute richieste dagli Stati Uniti. Preferì rimanere in Svezia durante la guerra.

Otto Hahn ricevette nel 1944 il premio Nobel per la chimica, mentre di Lise Meitner non venne tenuto conto. Neanche negli anni seguenti avrebbe ottenuto questo onore. Il fisico olandese Dirk Coster, il quale aveva aiutato Lise Meitner nella sua fuga nel 1938, le scrisse in occasione del conferimento del premio Nobel:

Otto Hahn, il premio Nobel! Se l'è certamente meritato. Però è peccato che io L'abbia rapita da Berlino nel 1938 (...) Altrimenti ci sarebbe stata anche Lei. Sarebbe certamente stato più giusto.
Invece venne festeggiata come "madre della bomba atomica":)eek: incredibile, LEI non voleva e non ha collaborato in questo senso!:wall:) e "donna dell'anno" durante un suo viaggio per dare lezioni negli USA nel 1946, l'anno dopo il lancio delle prime bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Dal 1947 Lise Meitner fu a capo della sezione di fisica nucleare dell'istituto di fisica del politecnico di Stoccolma e professore ospite di diverse università degli Stati Uniti.


Nel 1960 Lise Meitner andò a vivere presso suo nipote a Cambridge, dove passò gli ultimi otto anni della sua vita. Fino alla sua morte, all'età di ottantanove anni, si impegnò per l'uso pacifico della fissione nucleare. Lise Meitner morì il 27 ottobre 1968, lo stesso anno in cui morì Otto Hahn.

Volle essere sepolta a Bramley nello Hampshire accanto alla tomba del fratello minore Walter. Suo nipote Otto Robert Frisch dettò l'epitaffio: "Lisa Meitner a physicist who never lost her humanity" (Lisa Meitner una fisica che non perse mai la sua umanità").

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Claire

ἰοίην
Virginia Woolf

Adeline Virginia Woolf nasce a Stephen, (Londra) nel 1882 . Figlia di genitori entrambe vedovi alle seconde nozze. Il padre fu uno storico e critico letterario, sua mamma invece faceva la modella per diversi pittori.

Terzogenita di quattro figli. Virginia non potè frequentare alcun istituto scolastico perché secondo il rigido costume vittoriano, solo i figli maschi avevano diritto a un’istruzione pubblica, La madre si premurò di darle lezioni di latino e francese, ed il padre le consentì sempre di leggere i libri che teneva nella biblioteca del suo studio.

Virginia sentì forte il peso della discriminazione uomo-donna, e il non poter ricevere un’istruzione più approfondita assunse ai suoi occhi l’immagine di una grande ingiustizia, cosa che non perdonò mai ai suoi genitori.

Sin da piccola dimostrò molto interesse per la letteratura e la scrittura tanto da creare un giornale domestico con suo fratello Thoby l’ Hyde Park Gate News, una sorta di diario familiare, dove raccontavano anche le loro estati a Saint Ives in Cornovaglia , vacanze che influenzarono la scrittura del libro “Gite al faro”.

Nel racconto autobiografico “Momenti di essere e altri racconti” riportò che lei e la sorella Vanessa subirono abusi sessuali da parte dei fratellastri George e Gerald Duckworth.

Questo influì molto sui frequenti esaurimenti nervosi, sulle crisi depressive e sui forti sbalzi d’umore che hanno caratterizzato la sua malattia e che la porteranno, dopo diversi tentativi, al suicidio. Da una postuma diagnosi si presume soffrisse di disturbi bipolari e , negli ultimi anni, di una psicosi.

Dal 1895 inizia un periodo molto triste per Virginia, a soli tredici anni è colpita da un primo grave lutto: muore la madre. Il padre, anche lui duramente colpito dalla perdita, vende la casa al mare. Solo due anni dopo muore invece la sorellastra, Stella e nel 1904 il padre. Questi eventi la portano al primo serio crollo nervoso.

Dopo la morte del padre, si trasferì con la sorella a Bloomsbury, dove con lei diede vita al circolo intellettuale “Bloomsbury Group”. Nel Nel 1905 cominciò a scrivere per il supplemento letterario del “Times” e fa conoscenza con importanti intellettuali, tra cui Bertrand Russell, Edward Morgan Forster, Ludwig Wittgenstein e colui che successivamente diverrà suo marito Leonard Woolf, un teorico della politica.

Nascono così le “serate del giovedì”, riunioni alle quali partecipano intellettuali di alta posizione per discutere di politica, lettere e arte.


Virginia si sente viva ed entusiasta in quel clima intellettuale in cui era riuscita a far parte, inizia così a dare ripetizioni serali alle operaie in un collegio della periferia.

Nel 1913 dopo aver scritto il primo libro, cade nuovamente in depressione e tenta il suicidio.

Per farle trovare fiducia ed equilibrio il marito le propone e l’aiuta a fondare una casa editoriale. Nasce così la “Hogarth Press” che pubblicherà Katherine Mansfield, Italo Svevo, Sigmund Freud, Thomas Stearns Eliot, James Joyce e la stessa Virginia Woolf.

Nel 1919 pubblica il racconto “Kew Gardens”

Nel 1920 il romanzo “Notte e giorno”.

Virginia non sopportava le regole conformistiche dell’epoca vittoriana, considerava quelle imposizioni ingiuste, e l’idea che le donne dovessero esclusivamente essere relegate all’aria domestica, e che gli uomini scuotessero il capo ai suoi pensieri così rivoluzionari per l’epoca.

Prende così parte ai gruppi delle suffragette , è attivista all’interno di movimenti femministi per il suffragio delle donne e riflette più volte, nelle sue opere, sulla condizione femminile.

Nel 1929 infatti pubblica “In una stanza tutta per sé” dove tratta il tema della discriminazione del ruolo della donna ; riprenderà il tema in “Le tre ghinee” del 1938 dove approfondisce l’analisi della figura dominante dell’uomo nella storia contemporanea.

Il rapporto con la donna viene visto anche sul piano sentimentale dalla stessa Woolf che ebbe una storia d’amore con Vita Sackville-West che si rifletterà nel romanzo Orlando.

Nel 1940 pubblica l’ultima opera; “Tra un atto e l’altro”, mentre la Gran Bretagna è in guerra.

Proprio il clima della guerra alimenta le sue crisi depressive, Virginia ama circondarsi di persone ed ha tanti interessi ma quando è sola ricade nello stato d’ansia e di sbalzi d’umore tipici della malattia.

Il 28 marzo del 1941, si riempì le tasche di sassi e si lasciò annegare nel fiume Ouse, non lontano da casa, nei pressi di Rodmell. Lasciò una toccante lettera al marito che tanto aveva amato.

«Carissimo, sono certa di stare impazzendo di nuovo. Sento che non possiamo affrontare un altro di quei terribili momenti. E questa volta non guarirò. Inizio a sentire voci, e non riesco a concentrarmi. Perciò sto facendo quella che sembra la cosa migliore da fare. Tu mi hai dato la maggiore felicità possibile. Sei stato in ogni modo tutto ciò che nessuno avrebbe mai potuto essere. Non penso che due persone abbiano potuto essere più felici fino a quando è arrivata questa terribile malattia. Non posso più combattere. So che ti sto rovinando la vita, che senza di me potresti andare avanti. E lo farai lo so. Vedi non riesco neanche a scrivere questo come si deve. Non riesco a leggere. Quello che voglio dirti è che devo tutta la felicità della mia vita a te. Sei stato completamente paziente con me, e incredibilmente buono. Voglio dirlo – tutti lo sanno. Se qualcuno avesse potuto salvarmi saresti stato tu. Tutto se n’è andato da me tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare a rovinarti la vita. Non credo che due persone possano essere state più felici di quanto lo siamo stati noi».
 

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