Una Donna al giorno. Un omaggio all'intelligenza e alla forza femminile (1 Viewer)

Claire

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Chiara Daraio

Chiara Daraio, a San Diego ha creato "l'ecografia del futuro". E la rivista Popular science l'ha inserita nella prestigiosa top ten. "Se avessi pari opportunità in Italia? Probabilmente considererei il rientro"


La prima cosa di cui parla è lo sport: “Ero abituata al centro universitario sportivo di Ancona, che offriva solo calcetto e pallacanestro. Qui puoi fare di tutto, ci sono strutture e insegnanti gratuiti per attività di ogni tipo, dall’hockey sul ghiaccio alla vela, dall’ippica alla capoeira, dalla giocoleria alla scherma”. Certo è invitante, a maggior ragione se il clima di San Diego “ti fa sentire in vacanza tutto l’anno” e se, come nel caso di Chiara Daraio, a soli 32 anni, hai appena messo a punto un’invenzione capace di portare innovazione: l’ecografia del futuro, quella ad alta definizione. Chiara è full professor (professore ordinario) di fisica applicata e aeronautica al California institute of technology.

Marchigiana, è già mamma ed è stata appena inserita nella “Brilliant 10”, la classifica pubblicata dalla rivista “Popular Science” che ogni anno seleziona i dieci migliori scienziati, under 40, che lavorano negli Usa.

“The sound magician”, “la maga del suono”, questo l’appellativo con cui la chiamano lì, ci spiega la sua invenzione: “Attualmente gli ecografi per generare segnali utilizzano trasduttori lineari difficili da mettere a fuoco. I proiettili sonori da noi ideati sono invece forme d’onda con proprietà particolari. Possono raggiungere pressioni acustiche elevate, viaggiare per lunghezze predeterminate ed essere localizzati in maniera molto precisa. I proiettili possono essere creati con una lente acustica non lineare che abbiamo progettato e che genera onde solitarie e le focalizza in un punto (il fuoco). Queste caratteristiche consentiranno di ottenere ecografie al alta definizione”.

Chiara ha un curriculum simile agli altri ricercatori italiani che qui vengono ad arricchire il loro capitale umano e scientifico: sessanta sessantesimi al liceo scientifico, partecipazione alle Olimpiadi di Matematica, laurea con lode e menzione d’onore come più giovane laureata in Ingegneria meccanica dell’Università politecnica delle Marche. Ma come è iniziata la sua carriera? Si laurea in ingegneria meccanica all’università di Ancona a soli 23 anni. Il suo relatore nota le sue capacità e per Chiara inizia l’avventura americana: durante il suo ultimo anno di studi vola negli Stati Uniti e poi in California, per fare ricerca e perfezionare la tesi in metallurgia all’università di San Diego e a quella dell’Oregon State University. Subito dopo la laurea torna a San Diego, frequenta un master e fa il dottorato di ricerca in Scienza dei materiali ed ingegneria, che completa nel 2006. Durante il suo ultimo anno da dottoranda è assunta da Caltech come assistant professor e quest’anno diventa full professor.

All’inizio la difficoltà principale in cui si è imbattuta era il non conoscere le opportunità di ricerca esistenti all’estero e non avere molte informazioni dei sistemi accademici al di fuori dell’Italia, ma una volta fatto il passo è stato impossibile tornare indietro. Ora in California si trova molto bene: “La cultura accademica americana è molto diversa da quella italiana, nel fatto che da molto più spazio alla meritocrazia e creatività”, racconta Chiara, “e offre più spazi di indipendenza per i giovani. Sin dai primi giorni da studente in California, mi sono sentita molto a mio agio in questo sistema”. La scelta di vivere all’estero è stata graduale: ha iniziato da una singola esperienza di ricerca, che poi è lentamente cresciuta in un lavoro stabile.

“Ora ho anche una splendida famiglia con un nuovo arrivato di poco più che undici mesi – racconta soddisfatta – quindi sono molto felice, sia dal punto di vista accademico che da quello personale”.

Se avessi pari opportunità in Italia? “Probabilmente considererei il rientro”, confida. “È triste vedere come in Italia il valore della ricerca sia ridotto al minimo. Ammiro i ricercatori che rimangono per la loro volontà di “cambiare” il sistema, e la loro voglia di migliorare la ricerca nonostante il carico di insegnamento accademico sia pesantissimo rispetto a qui, e nonostante le magre condizioni economiche e le lunghe attese per promozioni accademiche che procedono con criteri ancora oscuri. Applaudo la voglia di cambiamento, anche se in condizioni piuttosto difficili al momento”.

A chi sogna un’esperienza all’estero Chiara consiglia di non scoraggiarsi, “ci sono tantissime opportunità di studio per varie esigenze”, dice: “Da brevi stage estivi di 8-10 settimane da completare durante i corsi di laurea al master o dottorati di ricerca”. Internet è un’ottima risorsa per cercare programmi specifici. “Con forza di volontà e un po’ di intraprendenza, le opportunità si trovano anche al fuori di programmi accademici ufficiali. Consiglio di contattare direttamente i docenti all’estero per chiedere maggiori informazioni riguardo a borse di studio, ammissione a programmi post-laurea o stage nelle varie specialità di interesse”.
 

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Claire

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Vittoria Notari

Il 17 aprile 1894 a Villa Mancasale in provincia di Reggio Emilia nasceva la terza degli otto figli di Giuseppe Notari, direttore della scuola casearia "Zanelli", e di Maria Civillini. Quel giorno transitava per Reggio il treno speciale dell’allora regina d’Inghilterra e questo episodio ispirò ai genitori il nome della nascitura: Vittoria.

Diplomatasi alla Scuola normale (l’odierno Istituto magistrale) intraprese la carriera d’insegnante presso la scuola elementare della vicina Barco ove rimase dal 1914 al 1916. Nel 1916 si presentò come privatista all’Istituto tecnico di Reggio per conseguire la licenza fisico- matematica; si trattava di un passo obbligato giacché – secondo gli ordinamenti del tempo – era l’unico modo per accedere alle facoltà scientifiche per chi era sprovvisto della maturità classica. La passione per le matematiche l’avevano infatti indotta a lasciare l’insegnamento elementare per proseguire gli studi a livello universitario. Nell’anno accademico 1916-17, dopo aver seguito alcuni corsi all’Università di Parma (analisi algebrica, geometria analitica, chimica organica), si iscrisse a matematica nell’ateneo di Bologna.

Si addottorò l’8 dicembre del 1920 con il massimo dei voti (110/110) e menzione di lode, discutendo la tesi Il metodo funzionale nelle ricerche di geometria proiettiva preparata sotto la guida di Federigo Enriques, professore di geometria proiettiva e descrittiva dal 1894, e presentando tre sottotesi orali: "Le funzioni sviluppabili in serie di Fourier. Due casi singolari" (Prof. Slavatore Pincherle); "Sulle funzioni iperboliche" (Prof. Ettore Bortolotti); "Sul gruppo proiettivo delle curve ellittiche normali e su certi fasci sizigetici di queste curve" (Prof. Enriques).

Da quest’ultimo tema è possibile desumere le modalità con cui Enriques avviava i giovani alla ricerca originale. Egli aveva evidentemente proposto alla Notari un argomento di cui al momento si stava a sua volta occupando tant’è che, proprio quell’anno, egli pubblicò sui «Rendiconti dell’Accademia delle scienze di Bologna» una nota che riportava il medesimo titolo della tesina presentata dalla sua allieva.

I risultati ottenuti in sede di esame di laurea furono a tal punto soddisfacenti che Vittoria, nel 1921, fu ammessa a concorrere al premio annuale "Vittorio Emanuele II", istituito con decreto regio nel 1885 a favore dei laureati dell’ateneo felsineo. Oltre alla tesi di laurea presentò altri due lavori "Sui massimi e minimi delle funzioni fratte di terzo grado" e "Sulle funzioni iperboliche". Non vinse; si classificò infatti al primo posto un laureato del corso di scienze naturali. Ottenne, tuttavia, una «menzione onorevole avente valore morale di premio», menzione che fu riportata sull’annuario universitario del 1921-22.

Intanto, il 21 giugno 1921 aveva presentato domanda al rettore per sostenere «l’esame di magistero» nella sessione successiva. Era infatti prassi comune per gli allievi delle facoltà scientifiche frequentare nella fase conclusiva dei loro studi una serie di particolari corsi ed esercitazioni preparatori all’insegnamento denominati, per l’appunto, Scuola di magistero, attivi fin dal 1875 e in seguito più volte riordinati.

A partire dal 1921-22 fu assistente volontaria di Enriques in geometria proiettiva e descrittiva. Mantenne tale incarico anche dopo il definitivo trasferimento del maestro all’università di Roma (ottobre 1923) e per tutto l’anno accademico 1923-24. Fu poi assistente di ruolo di Beppo Levi a Parma e, dal 1925-26, nuovamente di Enriques, Guido Castelnuovo e Ugo Amaldi a Roma alla Facoltà di scienze dell'Università "La Sapienza".

Nel frattempo aveva conosciuto Otto Cuzzer, anch’egli matematico, che sposò nel 1924 e dal quale ebbe due figli: Anna nel 1926 e Aldo nel 1932.

L’anno seguente, per ragioni di famiglia, abbandonò la carriera universitaria per dedicarsi all’insegnamento negli istituti superiori. Fu a lungo docente di fisica e matematica presso il liceo classico di Roma “T. Tasso”, ove a distanza di tempo andò ad insegnare pure Emma Castelnuovo, nome noto nel campo della didattica della matematica.

La sua attività scientifica si è sostanzialmente sviluppata nel settore della geometria algebrica coltivato dal maestro Enriques il quale, dopo aver messo a punto tra il 1893 e il 1914 un nuovo modo di inquadrare la teoria delle superficie algebriche che portò ad una loro classificazione particolarmente semplice con l’eliminazione di tutti i casi particolari, non abbandonò mai completamente questo filone di ricerca su cui, anzi, inserì un particolare interesse per le matematiche elementari.

Nel 1931 fu proprio Enriques a scrivere alla sua assistente proponendole «un lavoretto, di facile esecuzione, resultato sicuro ed elegante: una specie di aperitivo per lei, per metterle appetito di altri studi». Si trattava di stabilire «se esistono sup. [erficie] F2n d’ord[ine] 2n (irriducibili) con 8 punti n-pli» [F. Enriques a V. Notari Cuzzer, Torino 20 settembre 1931, Nastasi, 1996, p. XLIV] .Dopo essere entrato nella questione sottoponendole una serie di riflessioni e di suggerimenti, segno dell’immutata volontà di Enriques di guidare la ricerca della sua ex-allieva, si congedava esortandola a mettersi al lavoro in previsione del confronto verbale che di lì a poco avrebbero avuto su tale problema.

L'idea di rendere partecipi giovani promettenti ricercatori alle discussioni più impegnative era, del resto, uno dei presupposti della scuola di Enriques.

La comune attenzione alle questioni didattiche in genere fu l’ulteriore campo di studi che registrò la collaborazione tra Enriques e la Notari.

Entrambi si rifacevano ad una tradizione che promuoveva un fecondo interscambio tra università e scuola secondaria; di frequente i docenti universitari all'inizio della loro carriera avevano insegnato nella scuola media, mentre i professori più qualificati di quest’ultima svolgevano ricerca o tenevano corsi all’università. Da questo punto di vista Enriques non faceva eccezione e, pur essendo uno dei matematici “puri” più attivi dell’epoca, si impegnò in prima persona nella preparazione di libri di testo e nella formazione del corpo docente.

La necessità di aiutare gli insegnanti nel loro lavoro mediante strumenti didattici adeguati lo aveva indotto già nel 1900 a pubblicare, in collaborazione con colleghi e discepoli, una serie di monografie che fornissero un panorama degli sviluppi scientifici più recenti, raccolti nel volume Questioni riguardanti la geometria elementare. Il libro venne poi ristampato con il titolo Questioni riguardanti le matematiche elementari in un’edizione molto ampliata, in tre tomi, nel 1924-27.

Concepita come momento di aggiornamento degli insegnanti mediante la trasposizione a livello pedagogico di argomenti di solito riservati alle matematiche superiori, quest’ultima edizione annoverò tra i collaboratori anche Vittoria. Vi scrisse infatti due saggi: Le equazioni di quarto grado e i sistemi di due equazioni di secondo grado in due incognite e L’equazione di quinto grado: teorema di Ruffini-Abel.


La cooperazione Notari/Enriques su questioni di didattica continuò nell’ambito del «Periodico di matematiche» che, durante la direzione di Enriques (1921-1938), diventò organo ufficiale della «Mathesis», una società che, fin dalla fondazione nel 1895, fu punto di riferimento associativo e intellettuale per molti insegnanti nelle scuole secondarie.

Proseguita l’attività didattica fino a tarda età, la Notari è stata autrice di svariati manuali.

Si è spenta a Roma nel 1976.
 

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ANNA KULISCIOFF

Nata in una ricca famiglia ebrea di Simferopol' in Crimea, dopo un'infanzia felice e dedita allo studio, nel 1871 si trasferì in Svizzera per frequentare i corsi di filosofia presso l'università di Zurigo.

Per ordine dello zar, che iniziava a preoccuparsi per il diffondersi delle idee rivoluzionarie, fu costretta a rientrare in Russia, dove il rivoluzionario Pëtr Makarevič, suo primo marito, si unì ad altri giovani russi vicini alle idee di Michail Bakunin, nella cosiddetta "andata verso il popolo", ovvero il lavoro nei villaggi a fianco dei contadini per condividerne la misera condizione. In quel periodo si convinse della necessità dell’uso della forza per liberarli dall’oppressione.

Per la sua attività venne processata dal tribunale russo e riparò in Svizzera, cambiando il suo nome per non essere rintracciata dagli emissari zaristi in Kuliscioff, che in russo significa manovale. Nel suo secondo soggiorno elvetico conobbe Andrea Costa, con il quale si trasferì poi a Parigi. Da qui vennero espulsi nel 1878 e i due si trasferirono quindi in Italia. Dopo pochi mesi, però, Anna venne processata a Firenze con l'accusa di cospirare con gli anarchici per sovvertire l'ordine costituito.

Si trasferirono così nuovamente in Svizzera, che lasciarono nel 1880 per rientrare clandestinamente in Italia, dove però ancora una volta vennero arrestati. Dopo l'ennesima breve permanenza in Svizzera, Anna rientrò in Italia e raggiunse Costa a Imola, dove diede alla luce la loro figlia Andreina. Nel 1881 la relazione tra i due terminò e Anna, portando con sé la figlia Andreina, tornò in Svizzera, dove si iscrisse alla facoltà di medicina. Quegli anni furono segnati dallo studio e dalla malattia, dato che a seguito del periodo in carcere a Firenze aveva contratto la tubercolosi.

Nel 1888 si specializzò in ginecologia, prima a Torino, poi a Padova. Con la sua tesi scoprì l'origine batterica della febbre puerperale, aprendo la strada alla scoperta che avrebbe salvato milioni di donne dalla morte dopo il parto. Si trasferì poi a Milano, dove cominciò ad esercitare l'attività di medico, recandosi tra l'altro anche nei quartieri più poveri della città. Dai milanesi venne chiamata la "dottora dei poveri".

Nel frattempo si era legata sentimentalmente a Filippo Turati e si era trasferita a Milano, sempre portando con sé la figlia Andreina. Il salotto della loro casa milanese divenne la redazione di Critica sociale, la rivista del socialismo italiano, che Anna diresse dal 1891, e fu frequentato dai principali intellettuali dell'epoca, quali Luigi Majno, Ersilia Majno Bronzini e Ada Negri.

Nel 1898 venne arrestata con l'accusa di reati di opinione e di sovversione. Dopo qualche mese venne scarcerata per indulto. Elaborò poi una legge a tutela del lavoro minorile e femminile che, presentata al Parlamento dal Partito Socialista, venne approvata nel 1902 come legge Carcano, n°242.


In questi anni, e più precisamente nel 1904 la figlia Andreina si sposò con Luigi Gavazzi, proveniente da un'importante dinastia di imprenditori tessili "un giovine buono - sono parole di Anna al padre di Andreina, Andrea Costa, in una lettera del 27 marzo 1904 -, simpatico, operoso, lavoratore... e innamorato come vidi pochi giovani che siano capaci di esserlo", che però fa parte - continua Kuliscioff - "del parentorio più nero del conservatorismo milanese". Era successo che la figlia di due autentici rivoluzionari atei avesse abbracciato la fede, al punto che la stessa Kuliscioff dovette riconoscere "Mio caro Andrea, sì, hai ragione, è una gran malinconia di dover convincersi che noi non siamo i nostri figli... nostra figlia non ha né l'anima ribelle, né il nostro temperamento di combattività... Essa non fu mai socialista né miscredente" e ancora "È stato un fallimento il mio, come dici tu... Ninetta [la figlia Andreina] non è immagine nostra". Il figlio di Andreina divenne abate dell'Abbazia territoriale di Subiaco,e la figlia monaca carmelitana scalza. Tuttavia - come testimonia Tommaso Gallarati Scotti in un articolo pubblicato nel 1959 sul Corriere della Sera e ora inserito nella raccolta Interpretazioni e memorie (Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1961, pp. 378-383) - Anna Kuliscioff della felicità interiore raggiunta dalla figlia Andreina ebbe modo di rallegrarsi come di cosa sua, "poiché - diceva - nell'educazione l'aveva sempre volta verso idee di giustizia e di amore della verità e dei poveri, che sono la base stessa della vita cristiana" (T. Gallarati Scotti, Interpretazioni e memorie, pp. 383).

Anna Kuliscioff, assieme alla sindacalista Maria Goia, ebbe parte attiva anche nella lotta per l'estensione del voto alle donne tanto che, col suo sostegno, nel 1911 nacque il Comitato Socialista per il suffragio femminile. Nel Giugno del 1911 assieme al compagno Filippo Turati inaugurò a Molinella il Palazzo delle Leghe e delle Cooperative voluto da Giuseppe Massarenti per celebrare il successo delle società cooperative nella cittadina emiliana. L'anno successivo, però, una legge di Giolitti sull'istituzione del Suffragio universalesolo maschile, che estese tra l'altro il diritto di voto anche agli analfabeti che avessero compiuto i trent'anni, continuò ad escludere le donne dal diritto di voto. Per Anna iniziò un periodo di scoramento, durante il quale anche il rapporto con Filippo Turati si incrinò.

Morì a Milano nel 1925. Durante il funerale alcuni fascisti si scagliarono contro le carrozze del corteo funebre. Fu ed è sepolta nel Cimitero Monumentale di Milano. In suo onore a Milano è stata costituita la Fondazione Anna Kuliscioff, che ha una biblioteca di 35.000 volumi e opuscoli donati da Giulio Polotti tutti dedicati alla storia del Socialismo, oltre a una via dedicatale (sempre a Milano) in zona Bisceglie. Vi è inoltre una targa che ricorda la sua permanenza milanese assieme a Turati in piazza Duomo, sotto i portici che danno l'ingresso alla Galleria Vittorio Emanuele.
 

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nonmollare

Moderator
Angela Montagna Casella “mamma coraggio” e donna straordinaria

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Il Cristo dei sequestrati ebbe il cuore trafitto da un colpo di lupara. Una mano pietosa cercò di mascherare quella ferita. Incappucciato ed in catene, salì lassù, per i monti dell’Aspromonte dove, lungo i dirupi, fu intagliata una statale da brivido che, quando non frana a valle, collega Platì al passo dello Zillastro, spartiacque tra lo Jonio e il Tirreno. In ginocchio, mamma coraggio pregò per il suo Cesare.Davanti al grande crocifisso, che volta le spalle a Montalto e al Santuario della Madonna di Polsi, Angela Casella si inginocchiò quando, in incognito, aveva cercato traccia del suo ragazzo nelle chiese e tra la gente dei tanti paesini dell’Aspromonte.Indossava un pantalone nero e una maglietta rossa, i lunghi capelli raccolti dietro la nuca. Appariva di una fragilità estrema ma dimostrava di avere grande forza interiore. Ogni sua azione aveva un significato: le catene, la tenda, il sacco a pelo. Era così una prigione dell’Anonima sequestri? Le notti erano dure. C’era freddo, umidità. Nell’albergo Demaco di Locri, suo quartier generale, aveva ripercorso passo per passo, da quel 18 gennaio del 1988, i momenti drammatici del rapimento, la difficile trattativa, le foto che davano la “prova dell’esistenza in vita” dell’ostaggio, il pagamento del miliardo di lire di riscatto, le botte subite dal marito, la nuova richiesta dei banditi, le minacce di uccidere l’ostaggio, la nuova trattativa. Scelse di pregare sotto il Cristo di Zervò. Era la zona dove venivano pagati i riscatti di tanti e tanti sequestri. Sotto il crocefisso di Zervò, Angela Casella ebbe espressioni di solidarietà. Una coppia di fidanzatini di Oppido Mamertina l’avevano abbracciata forte forte. Nello stesso giorno, incontrando i Carabinieri accampati nei pressi del Sanatorio, si fermò davanti a una baracca adibita a spaccio per mangiare un pezzo di pane, con olio e origano, per bere un bicchiere d’acqua (un pasto da sequestrato). Aveva freddo e il Brigadiere Nino MARINO (ucciso dalla ‘ndrangheta a Bovalino (RC) il 9 settembre 1990 durante i festeggiamenti civili in onore dell’Immacolata) le diede la sua giacca a vento.

Cesare Casella aveva diciotto anni quando venne sequestrato la sera del 19 gennaio 1988 a Pavia, davanti al cancello della sua abitazione, alla periferia della città. A dare l’allarme fu il padre, Luigi, che trovò la Citroen Ax del figlio con le portiere aperte e il motore acceso.
Cominciò quella sera la disavventura di Cesare, una delle più lunghe nella storia dei sequestri di persona in Italia.
Per avere il primo contatto con la banda dei rapitori passarono alcuni mesi.
Nel maggio 1988 l’avvertimento di pagare un miliardo di lire per riavere Cesare libero.
Il pagamento avvenne il 15 agosto 1988, nelle montagne fra San Luca e Samo, nell’ Aspromonte Jonico.
Luigi Casella pagò il miliardo richiesto ma attese invano la liberazione. Tornò a Pavia, dove giunse una nuova richiesta di pagamento: altri cinque miliardi di lire.
Angela Casella, nell’ottobre 1988, fece il suo primo viaggio in Calabria. Andava in giro per i paesi di San Luca, Platì, Cirella, Careri, Natile a chiedere notizie di suo figlio.
Fu un viaggio senza esito; di Cesare non si avevano più notizie da mesi.
L’ultima foto che provava la sua esistenza in vita era remota.
Un lungo silenzio fino ai primi di giugno, quando Angela Casella, accompagnata dalla sua amica Cinzia, si recò in Calabria. Alloggiava all’hotel Demaco di Locri.
Mamma coraggio” iniziava il viaggio della speranza.
Dieci giorni di clamorose iniziative nei paesi della mafia.
Angela Casella mobilitò la stampa di tutto il mondo. Il 16 giugno don Riboldi si offriva come ostaggio e mediatore; il 20 giugno, i 42 sindaci della Locride annunciavano le dimissioni; lo stesso giorno mamma Casella decideva di tornarsene a Pavia ed il 21 giugno il Ministro dell’Interno istituiva un Nucleo Speciale di Polizia nella lotta ai sequestri (N.A.P.S.). Cesare compì vent’anni in mano all’Anonima, il 22 luglio, e la madre gli scrisse una toccante lettera: Ho combattuto nove mesi per averti e sono diciotto mesi che combatto per riaverti”.
Si riaprirono le trattative: i rapitori da cinque scesero a tre miliardi, poi ad uno e mezzo e, infine, ad un miliardo di lire.
Cesare fu liberato a Natile di Careri il 30 gennaio 1990
 

Claire

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SUSAN JOCELYN BELL

S. Jocelyn Bell Burnell, nata Susan Jocelyn Bell (Belfast, 15 luglio 1943), è un'astrofisica britannica, scopritrice, con il suo relatore di tesi Antony Hewish, della prima pulsar.

Nata nell'Irlanda del Nord, la Bell frequentò l'Università di Glasgow e poi l'Università di Cambridge (Murray Edwards College) dove ottenne il dottorato. Qui lavorò con Hewish e con altri per costruire un radiotelescopio, allo scopo di studiare i quasar, che erano stati da poco scoperti. Ascoltando il rumore di fondo della registrazione compiuta sul cielo, la Bell trovò un segnale che pulsava regolarmente, più o meno una volta al secondo. La sorgente fu chiamata all'inizio LGM1, dove LGM è l'acronimo di Little Green Men (omino verde); infatti la Bell e Hewish pensarono che si trattasse di un segnale proveniente da extraterrestri, in quanto appariva troppo regolare per essere naturale. In seguito la sorgente venne identificata come una stella di neutroni rotante ad altissima velocità.

Dopo aver terminato il dottorato, lavorò all'Università di Southampton, all'University College di Londra e all'Osservatorio Reale di Edimburgo, prima di diventare professoressa di fisica alla Open University per dieci anni, ed in seguito professoressa "in visita" all'Università di Princeton. Prima di ritirarsi, Bell era Decana di Scienze all'Università di Bath, tra il 2001 ed il 2004, ed è stata Presidentessa della Royal Astronomical Society tra il 2002 e il 2004. Attualmente è professoressa in visita alla Oxford University.

Nonostante il Premio Nobel per la scoperta delle pulsar sia stato assegnato al solo Hewish, la Bell è stata premiata da molte altre organizzazioni. Ha vinto il Premio Oppenheimer, la Medaglia Michelson del Franklin Institute, il Premio Beatrice M. Tinsley della American Astronomical Society, il Premio Magellano della American Philosophical Society, il Jansky Lectureship della National Radio Astronomy Observatory, e la Medaglia Herschel della Royal Astronomical Society. Ha ricevuto inoltre parecchie lauree honoris causa. È Comandante dell'Ordine dell'Impero Britannico, oltre che membro della Royal Society.
 

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Claire

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L'EROINA DI FORT HOOD: KIMBERLY MUNLEY

Ricordate la strage di Fort Hood?
Ecco un articoletto datato, che ne parlava:

6 novembre 2009 - ore 10:34
La strage di Fort Hood

Un ufficiale con un nome arabo in partenza per una missione in Iraq o Afghanistan è l'autore della strage avvenuta ieri alla base militare di Fort Hood, in Texas. Il maggiore Nidal Malik Hasan, di 39 o 40 anni, è stato ferito dai militari della base, dopo che aveva aperto il fuoco in un'area della base dove avviene lo smistamento dei soldati in partenza e in arrivo dalle missioni di guerra. Altri due sospetti, anch'essi militari, sono stati prima fermati e poi rilasciati. Il maggiore in un primo momento era stato dato per morto, poi il generale Cone che comanda la base ha chiarito che è ferito e si trova in un ospedale in condizioni definite "stabili". Funzionari della base hanno rivelato che le indagini puntano a determinare se Hasan sia il nome di battesimo dell'ufficiale, o se sia stato cambiato in seguito ad una conversione all'Islam. Secondo quelle fonti Hasan è psicologo o psichiatra dell'esercito, ma non è chiaro se avesse in cura pazienti all'interno della base. Le vittime accertate sono al momento 12, mentre i feriti sono almeno 31. Sarebbero tutti militari. Il generale Bob Cone, che è il comandante della base, ha detto in una conferenza stampa che la sparatoria è iniziata circa alle 13.30 ora locale (le 20.30 in Italia) e che Hasan ha utilizzato due pistole. "E' una tragedia terribile", ha commentato. Fort Hood è la più grande base militare degli Stati Uniti, ed uno dei principali hub di smistamento per i soldati in partenza e in arrivo da Iraq e Afghanistan.


Ed ecco chi è, sempre in un articolo di quei giorni KIMBERLY MUNLEY

WASHINGTON – Una giovane poliziotta, Kimberly Munley, di 34 anni, una madre con una figlia di 3, è l’eroina di Fort Hood nel Texas. È stata lei a fermare, ferendolo gravemente in una fulminea sparatoria, Nidal Malik Hasan, l’autore della strage che ha fatto 13 morti e 28 feriti. Kimberly, un sergente della polizia civile nella grande base militare, è caduta a terra con due pallottole in una gamba e un polso perforato, ma con una pallottola al petto ha abbattuto Hasan, che aveva già esploso oltre 100 colpi contro le vittime. La poliziotta è fuori pericolo, in un ospedale dove sta subendo due operazioni chirurgiche, con il marito Matthew, un membro delle Forze speciali, e la bambina. Al suo sito Twitter sono già affluiti migliaia di auguri e ringraziamenti da tutta l’America.

ATTO DI EROISMO – «Ha dimostrato uno straordinario coraggio ed evitato una tragedia ancora più grave – ha detto il generale Robert Cone, il comandante di Fort Hood – ha compiuto un vero atto di eroismo a rischio della propria vita». La giovane, che ha il grado di sergente, era alla base nell’auto della polizia con un collega al volante. Ricevuto l’allarme alle 13,23, ha fatto irruzione sul luogo della strage alle 13,27, buttandosi fuori dalla macchina. Hasan, che stava inseguendo un ferito per finirlo, si è voltato e ha aperto il fuoco su di lei. Kimberly gli si è scagliata contro sparando. Non si sa quanti colpi l’omicida e lei abbiano esploso. Entrambi sono caduti a terra in una pozza di sangue. Un ufficiale medico è accorso, curando prima le ferite della poliziotta poi quelle, potenzialmente mortali, di Hasan. I due sono stati portati in elicottero a ospedali diversi. A causa delle sue cattive condizione, l’autore della strage non è ancora stato interrogato. La giovane si è limitata a dire: «Ho fatto il mio dovere».

LA SUA STORIA – Suo padre, Dennis Harbour, un ex sindaco di Carolina Beach, ha dichiarato di non essere rimasto sorpreso del coraggio della figlia. «E’ piccola di statura e minuta – ha riferito – ma è una straordinaria atleta e tiratrice. Fin da bambina ha fatto surfing e lotta giapponese ed è andata a caccia. Non ha mai avuto paura di nulla». Shaun Apler, un poliziotto di Wrightsville nella Nord Carolina, ricorda che Kimberly indossò la divisa a 25 anni e gli salvò la vita: «Un ricercato stava per spararmi, lei gli saltò addosso e lo buttò a terra. La chiamavamo il topolino che può». Nel 2002 la giovane si arruolò nell’esercito e venne mandata a Fort Hood, dove incontrò il futuro marito. Al principio del 2008, dopo il matrimonio e la nascita della figlia, ritornò a fare la poliziotta. Il generale Cone ha spiegato che Kimberley fu addestrata all’antiterrorismo: «Fece tanto bene che la prendemmo come istruttore. Nella polizia fa parte del team Swat, sa come agire in tragedie come questa. E’ un leader nato». Dal suo sito Twitter non si direbbe. Kimberley vi parla con amore della figlia, e con modestia del proprio lavoro: «Sono contenta se posso aiutare qualcuno nella vita». Maggiore aiuto a Fort Hood, ha concluso il generale, non poteva darlo. Quando visiterà la base, il presidente Obama si recherà da lei per ringraziarla.
 

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Claire

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ROSY CANALE

Un laboratorio di saponi per combattere la 'ndrangheta

Portare cultura del lavoro e sviluppo dove questi valori non esistono perché alla legalità si preferiscono le leggi non scritte della malavita. Un’impresa ardua, ma non per Rosy Canale, imprenditrice calabrese 38enne che ha fatto della lotta alla ‘ndrangheta una missione di vita.

A lei lavorare piace da sempre: “ero proprietaria e gestore di un locale a Reggio Calabria -racconta Rosy- inaugurato e fatto crescere con tanti sacrifici” ma un giorno è costretta a smettere. La criminalità organizzata la prende di mira, vuole che il suo locale diventi una base per lo spaccio di droga. Lei si ribella, loro la minacciano.

Una sera Rosy sale in macchina dopo aver finito di lavorare, ad attenderla ci sono due aggressori. “Mi hanno picchiata fino a ridurmi in fin di vita -racconta- Ho capito che lì non ero più al sicuro”. Lascia la Calabria, ma alla fine decide di tornarci, e non in un posto a caso.

Nel 2007 si trasferisce nella Locride, a San Luca,
roccaforte della ‘ndrangheta. “Volevo dare un’altra chance alla mia terra -spiega- Ho scelto un paese in cui la malavita comanda. Ho pensato che se un seme riesce a germogliare nella roccia, allora può farlo ovunque”.

Qui Rosy fonda il Movimento donne di San Luca e della Locride: un’associazione che vuole salvare madri e figli dalla criminalità e diffondere la cultura della legalità attraverso il lavoro. “Prima ho aperto una ludoteca, un posto sicuro per i bambini abituati a giocare con le pistole”, spiega la Canale.

“Poi ho avviato un laboratorio per la produzione di saponi artigianali e uno di ricamo”
. Lavori semplici, ma che possono cambiare la vita di chi vive in una terra dove il tasso di disoccupazione femminile è al 13, 6% (Fonte Istat). Le donne di San Luca oggi sono 18, hanno tra i 35 e i 40 anni. Sono madri, mogli, sorelle di uomini vittime e carnefici della ‘ndrangheta. Fanno le braccianti e vivono dei prodotti che loro stesse coltivano.

“Hanno creduto molto in questo progetto e nel loro lavoro”, precisa Rosy. “All’inizio abbiamo avuto attenzione e fondi per comprare i macchinari. L’obiettivo-spiega la Canale- era dare un primo impiego per creare occupazione, entrare nel mercato dell’equosolidale, partecipare alle fiere di settore”.

Le cose sembravano funzionare, ma poi la crisi non ha risparmiato nemmeno loro. “Vendiamo poco, facciamo fatica a ripagarci le spese. Non voglio che le mie donne lavorino gratis -puntualizza- un compenso è la base di ogni lavoro onesto”. “La difficile congiuntura economica ha reso le persone impermeabili alla solidarietà. Prima c’era più interesse vero la nostra realtà”.

L’imprenditrice si dice stanca e non nasconde la delusione avuta dalle istituzioni locali: “Ci hanno lasciate sole-denuncia- speravamo di ricevere aiuto, almeno nella fase di start up e invece nulla. Vogliono combattere la criminalità, rilanciare il Sud, ma solo a parole”.

Rosy ammette che le cose sono sempre più difficili e la tentazione di mollare tutto ogni tanto c’è. “Per ora proviamo, tutte insieme, a continuare-spiega-fermarsi sarebbe come urlare al mondo “Viva la ‘ndrangheta””.
 

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Claire

ἰοίην
Oggi è il 25 aprile, come potevano mancare due donne come Irma Bandiera e Gabriella degli Esposti?

IRMA BANDIERA


Nata a Bologna l’8 aprile 1915, fucilata al Meloncello di Bologna il 14 agosto 1944, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria.
Fu staffetta nella 7a G.A.P. dove divenne presto un’audace combattente, pronta alle azioni più rischiose. Fu catturata dai nazifascisti, a conclusione di uno scontro a fuoco, mentre si apprestava a rientrare a casa, dopo aver trasportato armi nella base di Castelmaggiore della sua formazione. Con sé Irma aveva anche dei documenti compromettenti e per sei giorni i fascisti la seviziarono, senza riuscire a farle confessare i nomi dei suoi compagni di lotta.
L’ultimo giorno la portarono di fronte a casa sua: “Lì ci sono i tuoi – le dissero – non li vedrai più, se non parli”, ma Irma non parlò.
I fascisti infierirono ancora sul suo corpo martoriato, la accecarono e poi la trasportarono ai piedi della collina di San Luca, dove le scaricarono addosso i loro mitra.
Il corpo di quella che, nella motivazione della massima onorificenza militare italiana, è indicata come “Prima fra le donne bolognesi ad impugnare le armi per la lotta nel nome della libertà… “, fu lasciato come ammonimento per un intero giorno sulla pubblica via.

GABRIELLA DEGLI ESPOSTI


Nata a Calcara di Crespellano (Bologna) il 1° agosto 1912, fucilata a San Cesario sul Panaro (Modena) il 17 dicembre 1944, coordinatrice partigiana della Quarta Zona con il nome di battaglia di “Balella”, Medaglia d’oro al Valor militare alla memoria.
Originaria di una famiglia contadina di idee socialiste, dopo l’8 settembre del 1943 Gabriella – assieme al marito Bruno Reverberi, aveva trasformato la propria casa in una base della Quarta Zona della Resistenza. La giovane donna aveva anche partecipato ad azioni di sabotaggio e, soprattutto, si era molto impegnata (benché avesse due bambine piccole e fosse in attesa di un terzo figlio), nell’organizzazione dei primi “Gruppi di Difesa della Donna”. Fu proprio grazie all’opera di convincimento dei GDD che, nelle giornate del 13 e del 29 luglio del 1944, centinaia di donne scesero in piazza a Castelfranco Emilia per protestare contro la scarsità di alimenti e per manifestare contro la guerra. Nel primo pomeriggio del 13 dicembre, Gabriella Degli Esposti è catturata, nella sua stessa casa, da un gruppo di SS comandato dall’ufficiale Schiffmann e il 17 dicembre, Gabriella Degli Esposti e nove suoi compagni di martirio sono trasportati sul greto del Panaro a San Cesario e uccisi. Prima di essere fucilata, Gabriella è seviziata orrendamente. Il suo cadavere viene ritrovato privo degli occhi, con il ventre squarciato e i seni tagliati. Il supplizio di Gabriella, che è stata proclamata Eroina della Resistenza, induce molte donne della zona a raggiungere i partigiani. È così che si costituisce il distaccamento femminile “Gabriella Degli Esposti“, forse l’unica formazione partigiana formata esclusivamente da donne.
 

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