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Monti è stato il peggior governo italiano che ha salvato l'Euro e ucciso l'Italia
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Valutazione finale: il peggior Governo della 2 Repubblica

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Ultimi in Europa
19 novembre 2018
Export crollato, Pil fermo, competitività al palo: tra poco ci toccherà inseguire la Grecia
Nonostante la timida ripresa degli ultimi anni, le previsioni tagliano le gambe al nostro Paese. Il costo del lavoro è ancora un problema e il governo gialloverde, se non può essere ritenuto responsabile della situazione, non aiuterà a migliorare

legittimo aspettarsi da un Paese che proveniva da una crisi, a una crescita migliore del resto d’Europa, a un catching up simile a quello della Spagna. Tuttavia nel 2016 e 2017 il gap con l’eurozona si era ridotto al 0,8%. Nel 2018 è previsto che questo aumenterà all’1%.
Gli occhi dell’Europa (e non solo) sono puntati sull’Italia.
C’è preoccupazione.
C’è il timore che nei prossimi anni una crisi economica italiana, provocata dall’aggravamento del nostro ventennale declino da parte del nuovo governo, possa contagiare il resto del Continente.

Il problema è che questa crisi c’è già.
E molto probabilmente il governo giallo-verde c’entra poco
.

È quanto emerge, nero su bianco, dalle previsioni economiche autunnali della Commissione Europea. Se le stime di quello che accadrà nel 2019 sono appunto stime, pronte a essere smentite, quelle sul 2018 profumano molto più di realtà che di previsioni. E presentano un quadro già peggiorato rispetto agli anni precedenti di ripresa.

Innanzitutto, si è fermato quel processo di convergenza, quel tentativo di recuperare il gap di crescita che dal 2013 pareva essere iniziato.

Dopo il record negativo del 2012 [grazie al gov.Monti], con una variazione del PIL peggiore del 1,9% rispetto a quella dell’area euro, vi era stato un graduale miglioramento. Non si era arrivati, come sarebbe stato legittimo aspettarsi da un Paese che proveniva da una crisi, a una crescita migliore del resto d’Europa, a un catching up simile a quello della Spagna. Tuttavia nel 2016 e 2017 il gap con l’eurozona si era ridotto al 0,8%. Nel 2018 è previsto che questo aumenterà all’1%.

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Dati Eurostat


Lo 0,2% in più è poca cosa numericamente, ma è significativo perché segna un trend, una tendenza al peggioramento del declino che ci vede da 25 anni sempre inseguire, essere quasi sempre ultimi quanto a crescita. Non era scontato che accadesse, si veniva da anni in cui le distanze si accorciavano.

Questo dato si spiega anche con il peggioramento della differenza tra la nostra crescita e quella di Paesi che come noi hanno vissuto grandi o piccoli problemi, e da cui però stanno venendo fuori meglio.
Per esempio la Francia, che cresceva all’incirca come noi nel 2015 e 2016, e ci ha invece superato del 0,6% nel 2017 e 2018.
O la Grecia, che chiaramente aveva fatto quasi sempre peggio di noi, quando era nella recessione più nera, e che nel 2018 inseguiremo, visto che il PIL ellenico aumenterà del 2%,contro il nostro +1%
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Dati Eurostat
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Dati Eurostat
Non di solo PIL però vive l’economia. Vi sono dei campanelli d’allarme anche più gravi. Sono quelli che riguardano la nostra competitività, la nostra capacità di stare nel mercato globale.

Il costo del lavoro unitario (calcolato in termini relativi a quello medio di 37 Paesi industrializzati) è diminuito in questi anni nell’area euro e in Italia, ed è comprensibile considerando che tra gli Stati industrializzati sono compresi anche quelli dell’Est Europa, il Messico e la Turchia, dove gli stipendi stanno crescendo bene.

Tuttavia nel 2018 è previsto che il calo italiano, -0,7%, sia minore di quello dell’area euro, -1,1%, a differenza di quanto accaduto nel 2017, e a differenza del calo spagnolo, del 1,4%, e persino di quello francese.

Non si tratta solo del probabile effetto del rinnovo dei contratti degli statali, ma anche della mancanza di una seria riduzione del cuneo fiscale, che invece pare avviata anche in Francia, da molto tempo alle prese con un costo del lavoro che l’avrebbe penalizzata molto di più se non avesse avuto una crescita della produttività così alta, e che a noi decisamente manca.

continua

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tontolina

Forumer storico
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Dati Eurostat
Ancora più preoccupante è la competitività delle nostra industrie verso l’esterno.

Nel 2018 le nostre esportazioni saranno cresciute a fine anno solo dell’ 1,6%, contro un +3,3% dell’area euro. Nel 2017 c’era stato un balzo del 5,7%, a paragone con un aumento del 5,2%dell’eurozona.

Il quadro appare peggiore se guardiamo, come fa la Commissione Europea, a un indice che mette in rapporto l’aumento dell’export e la crescita delle importazioni di quei mercati che hanno i rapporti commerciali più stretti con un dato Paese e segnala quindi quanto questo Paese sa approfittare dell’andamento dell’economia mondiale e dei mercati con cui ha già rapporti.

Ebbene, i nostri partner in media nel 2018 avranno accresciuto il loro import del 3,9%, è una percentuale in linea con quella dei partner degli altri Paesi euro, e del resto si parla più o meno degli stessi Paesi. E a maggior ragione quindi il progresso solo del 1,6% delle nostre esportazioni appare grave.

Il gap tra queste e quelle potenziali, dato l’andamento dei nostri mercati di riferimento, è il maggiore d’Europa. Siamo ultimi infatti, questo indice della Commissione sulla performance del nostro export segna nel nostro caso un -2,2% rispetto all’anno scorso.
Anche la Germania non se la cava bene, ma non può essere molto di consolazione, anzi. E invece è la Grecia quella che mette a segno il risultato migliore, con un +4,7%.

Segno di un recupero di competitività che all’Italia manca.
Siamo anzi il Paese che ne perde di più verso il mondo, le nostre imprese, al di là della retorica sulla qualità della nostra industria, non riescono a intercettare quell’ingrandimento dei mercati, e quella crescita che pure c’è nonostante il ritorno dei dazi, nonostante le incertezze.

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Dati Eurostat

Già gli scorsi anni la performance del nostro export in relazione a quello dei mercati di riferimento era stata inferiore a quella dell’area euro, ma non più, finalmente, nel 2017.
Con il 2018 si ritorna a una situazione peggiore a quella degli anni più negativi.
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Dati Eurostat
Si tratta di dati che rappresentano un campanello d’allarme. Sarebbe difficile affermare che sia colpa del governo insediatosi a giugno e che sta facendo approvare ora la propria prima manovra, tuttavia che messaggio sta lanciando la maggioranza giallo-verde dal lato competitività e produttività?

La stretta sui contratti a termine, il dimezzamento del super-ammortamento, le indecisioni sulle infrastrutture, anche senza dover pensare all’extra-deficit e alla sfiducia che questo genera sugli investitori, non suggeriscono nulla di buono.

Andiamo incontro al terzo decennio perduto dopo i due precedenti? Per ora pare di sì.
 

tontolina

Forumer storico
Italia sotto attacco
24 novembre 2018
L’amara verità della manovra: con questo debito l’Italia non sarà mai sovrana
Anche il governo più sovranista d’Europa fatica a resistere di fronte alla reazione dei mercati alle sue politiche. Il motivo è uno solo: che il nostro debito pubblico non ci consente di fare nulla. Ecco perché l’unica vera politica sovranista è ridurlo, oppure emettere i miniBot a tasso zero


Prendete i due partii più anti-sistema d’Italia. Fategli stravincere le elezioni. Mandateli al governo assieme. Dategli un sostegno popolare bulgaro, superiore al 60% dei consensi. Offrite loro la possibilità di presentare una legge di bilancio che sfidi le regole che abbiamo sottoscritto con i nostri partner europei. Metteteci pure la volontà politica di andare allo scontro frontale con la Commissione Europea per capitalizzarne gli effetti alle successive elezioni continentali. Bene: nemmeno così riuscirete a evitare che, in un modo o nell’altro, questo governo si troverà a dover fare dei passi indietro, di fronte alla reazione dei mercati.

Questo è quel che successo in questi giorni.
Lo spread a 300, le aste dei Btp Italia andate deserte, i dati di Bankitalia sugli 85 miliardi di ricchezza finanziaria bruciata nei primi mesi di governo gialloverde, i tassi d’interesse dei mutui che si alzano, le banche che chiudono i rubinetti, le agenzie di rating pronte a declassarci di nuovo e ad affibbiare ai nostri Btp il marchio della vergogna di “titoli spazzatura”.
Giorni, settimane, mesi di schiaffi dalla mano invisibile, che presto o tardi spegneranno tutta la baldanza di Salvini e Di Maio: nessuno vuole finire nei libri di Storia per aver fatto fallire il proprio Paese.
Non loro, né tantomeno Tria, Savona, Giorgetti, Mattarella.
L’amara verità della manovra: con questo debito l’Italia non sarà mai sovrana - Linkiesta.it
 

tontolina

Forumer storico
Draghi: "Spread sale se si sfida l'Ue"
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ECONOMIA
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(Afp)


Nuovo altolà sul debito da parte del presidente della Bce Mario Draghi, secondo cui lo spread in alcuni paesi sale quando si sfidano le regole europee dettate dalla Troika. "Per proteggere le famiglie e le imprese dall'aumento dei tassi di interesse, i paesi ad alto debito non dovrebbero aumentare ulteriormente il loro debito e tutti i paesi dovrebbero rispettare le regole dell'Unione Europa", ha dichiarato Draghi nel corso del suo intervento allo European Banking Congress a Francoforte, sostenendo che "la mancanza di un consolidamento dei conti pubblici nei paesi ad alto debito pubblico aumenta la loro vulnerabilità agli shock, indipendentemente dal fatto che questi shock siano prodotti autonomamente mettendo in questione le regole dell'architettura dell'Ue o che arrivino attraverso un contagio". Finora, aggiunge Draghi, "l'aumento degli spread dei titoli sovrani è stato per lo più limitato al primo caso e il contagio tra i paesi è stato limitato". Questi sviluppi, rileva il presidente della Bce, "si traducono in condizioni più restrittive per i finanziamenti bancari all'economia reale. Ad oggi, sebbene si verifichi qualche ripercussione sui prestiti bancari in cui l'aumento degli spread è stato più significativo, i costi complessivi per i finanziamenti bancari rimangono vicini ai minimi storici nella maggior parte dei paesi, grazie ad una base di depositi stabili".

ECONOMIA - Per quanto riguarda l'economia dell'area dell'euro, sta registrando "un rallentamento graduale" dopo cinque anni di crescita, osserva Draghi, sostenendo che un rallentamento graduale "è normale mentre le espansioni maturano e la crescita converge verso il suo potenziale di lungo periodo ma allo stesso tempo l'espansione nell'area dell'euro è ancora relativamente breve e di dimensioni ridotte". "Ci aspettiamo che l'espansione europea continui nei prossimi anni", aggiunge il presidente della Bce, "non c'è certamente alcun motivo per cui debba improvvisamente finire". Secondo Draghi il rallentamento della crescita nell'area dell'euro è da legare al rallentamento registrato nel settore auto e alle tensioni commerciali a livello globale.

Draghi: "Spread sale se si sfida l'Ue"
 

tontolina

Forumer storico
TROPPO TARDI! ormai l'italia è rovinata grazie al tuo governo
Mario Monti revolution: dal loden al socialismo reale


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di Giacomo Russo Spena

Chi si aspettava il falco dell’austerity o qualche dichiarazione roboante sul mantra del pareggio di bilancio è rimasto deluso. Lo stesso Brancaccio, ad un certo punto, dal microfono ha interpretato lo sconcerto dei presenti: “Oggi abbiamo scoperto un Mario Monti inedito che – con tutti i distinguo del caso – rimpiange il socialismo reale!”. L’economista col loden, seduto al suo fianco, sorride. E non replica. Proprio così, nessun fraintendimento. Alla presentazione del libro di Emiliano Brancaccio e Giacomo Bracci, già recensito sul sito di MicroMega, il tecnico della Bocconi gioca la parte del keynesiano finendo per criticare l’attuale assetto dell’Unione Europea e per rinnegare persino il dogma dell’austerity.

“Credo di non aver mai usato il termine ‘austerità’ anche se a detta di molti l’ho praticata – ha spiegato il senatore a vita – Certo, il mio governo ha fatto una politica restrittiva, ma in quella situazione, con i mercati che stimavano al 40% la probabilità di default dell’Italia, quale altra scelta sarebbe stata possibile?”. Insomma, le politiche anti-popolari e di macelleria sociale durante il suo esecutivo (come dimenticarsi la legge Fornero sulle pensioni e l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione) sarebbero dettate dalla mancanza di una reale alternativa.

Monti, sostiene oggi, non aveva altra scelta. Se avesse potuto, spiega ancora nell’intervento, avrebbe attuato altre misure economiche perché in fondo “preferisco l’Europa del Trattato di Roma, imparziale rispetto alla proprietà pubblica o privata, a quella di Maastricht del ‘92, che invece favorisce la seconda”. In questo passaggio il pubblico rumoreggia, attonito.

Inoltre l’economista col loden si dichiara preoccupato per un sistema che, dopo la Caduta del Muro, ha mostrato il suo volto più criminale: “Il socialismo reale serviva da pungolo ed era funzionale al capitalismo, col suo crollo il sistema capitalistico ha generato le cose peggiori”. Si riferisce al all’egemonia della finanza e all’insostenibilità redistributiva: “La concentrazione di ricchezze sta raggiungendo punte inaccettabili”. Il liberale, strenuo difensore dell’élite, scopre tardivamente lo scontro in atto negli ultimi anni, quella lotta di classe (dell’alto contro il basso) che ha generato l’accumulazione di ricchezza in poche mani a scapito del 99% della popolazione mondiale.

“Mi chiedo come mai la sinistra non abbia il coraggio di agire sul terreno fiscale proponendo una sana patrimoniale, ne sarei favorevole”, chiudeva così Monti il suo intervento dettando consigli per ridurre la crescente disuguaglianza nel Paese. Ma con quale credibilità? In molti, in sala, se lo chiedono, tra il divertito e lo stupore, per le parole del senatore a vita.

In realtà, il tecnico della Bocconi è soltanto l’ultimo di una lunga schiera di falchi dell’austerity che, una volta lontani dal potere, hanno rinnegato le politiche attuate.
Già Olivier Blanchard, capo economista del Fondo Monetario Internazionale proprio negli anni che videro lo scoppio della crisi globale, sempre in un dialogo pubblico con l’economista Brancaccio, aveva rivisto le sue posizioni. In Italia ricordiamo il caso di Giulio Tremonti, il ministro di centrodestra e dei condoni berlusconiani, che una volta lontano dal dicastero ha scritto un libro (No Global) sulle storture della globalizzazione liberista: “Una volta il pronunciamento lo facevano i militari – così si legge sul suo testo Uscita di sicurezza (Rizzoli, 2012) – Occupavano la radio-tv, imponevano il coprifuoco di notte eccetera. Oggi, in versione postmoderna, lo si fa con l’argomento della tenuta sistemica dell’euro (…) lo si fa condizionando e commissariando governi e parlamenti (…) Ed è la finanza a farlo, il pronunciamento, imponendo il proprio governo, fatto quasi sempre da gente con la sua stessa uniforme, da tecnocrati apostoli cultori delle loro utopie, convinti ancora del dogma monetarista; ingegneri applicati all’economia, come era nel Politburo prima del crollo; replicanti totalitaristi alla Saint-Simon”. E poi ancora il riformista Carlo Calenda, il quale per ultimo ha confessato che “per 30 anni ho ripetuto tutte le banalità del liberismo ideologico: una delle più grandi stupidaggini che abbiamo raccontato è che non si salvano i posti di lavoro, ma si salva il lavoro”.

Dopo la nascita del governo Conte 2 e con l’alleanza (tattica) tra M5S e Pd – due forze che fino al giorno prima dell’intesa si insultavano e si guerreggiavano – ormai vale tutto ed è saltata ogni forma di coerenza politica, e gli stessi cittadini sono assuefatti ai ripensamenti, ma fino a che punto?

La lista dei liberisti pentiti è nutrita: sarebbe divertente un giorno metterli tutti insieme intorno ad un tavolo per una cena dove però, almeno quella volta, saranno loro a pagare il conto. Troppo facile cavarsela con un semplice, e tardivo, “mea culpa”.

(17 ottobre 2019)
 

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