m.m.f
Forumer storico
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Non è certo la prima volta che le masse di migranti desiderose di raggiungere l’Europa sono strumentalizzate e abusate per fini politici, economici o strategici. Avviene quotidianamente in Libia. E adesso si ripropone drammaticamente nelle ultime mosse di Recep Tayyip Erdogan. Costretto con le spalle al muro dalla sanguinosa offensiva militare nell’enclave di Idlib lanciata brutalmente dal regime siriano, sostenuto dalle milizie sciite filo-iraniane e soprattutto da Vladimir Putin, il presidente turco non esita a sfruttare la questione migranti per spingere l’Europa e con essa l’intera comunità internazionale ad ascoltare le sue ragioni. Ma è proprio la flagrante e repentina violazione degli accordi firmati con la Ue nel 2016, per cui Bruxelles s’impegnava a pagare 6 miliardi di euro affinché la Turchia trattenesse i migranti all’interno dei suoi confini, che rivela le gravi difficoltà di Erdogan.
I suoi argomenti sono pretestuosi, persino provocatori. Senza alcun preavviso accusa l’Europa di ritardare i pagamenti e di «non rispettare i patti». Dichiara che 18.000 disperati sono già partiti in direzione di Grecia, Bulgaria e Ungheria. E potrebbero diventare presto 30.000. Tuttavia, il suo vero obbiettivo è un altro: occorre che l’Europa contribuisca a bloccare il sostegno russo a Bashar Assad. Quella stessa Europa, che lui ha tra l’altro sfidato violando gli accordi internazionali per lo sfruttamento dei giacimenti energetici nel Mediterraneo, ora torna utile per fermare la guerra in Siria. E così per la Nato, di cui la Turchia è membro, ma a sua totale discrezione. L’anno scorso Erdogan abbracciava Putin per l’acquisto dei sistemi antiaerei S-400, scatenando le rimostranze Usa e atlantiche. Adesso però chiede l’appoggio del Pentagono per frenare il presidente russo, con cui tuttavia non vorrebbe lo scontro diretto. La contraddittorietà di tali mosse mette in luce debolezze estreme. Su cui l’Europa può lavorare.
Corsera/Cremonesi
Non è certo la prima volta che le masse di migranti desiderose di raggiungere l’Europa sono strumentalizzate e abusate per fini politici, economici o strategici. Avviene quotidianamente in Libia. E adesso si ripropone drammaticamente nelle ultime mosse di Recep Tayyip Erdogan. Costretto con le spalle al muro dalla sanguinosa offensiva militare nell’enclave di Idlib lanciata brutalmente dal regime siriano, sostenuto dalle milizie sciite filo-iraniane e soprattutto da Vladimir Putin, il presidente turco non esita a sfruttare la questione migranti per spingere l’Europa e con essa l’intera comunità internazionale ad ascoltare le sue ragioni. Ma è proprio la flagrante e repentina violazione degli accordi firmati con la Ue nel 2016, per cui Bruxelles s’impegnava a pagare 6 miliardi di euro affinché la Turchia trattenesse i migranti all’interno dei suoi confini, che rivela le gravi difficoltà di Erdogan.
I suoi argomenti sono pretestuosi, persino provocatori. Senza alcun preavviso accusa l’Europa di ritardare i pagamenti e di «non rispettare i patti». Dichiara che 18.000 disperati sono già partiti in direzione di Grecia, Bulgaria e Ungheria. E potrebbero diventare presto 30.000. Tuttavia, il suo vero obbiettivo è un altro: occorre che l’Europa contribuisca a bloccare il sostegno russo a Bashar Assad. Quella stessa Europa, che lui ha tra l’altro sfidato violando gli accordi internazionali per lo sfruttamento dei giacimenti energetici nel Mediterraneo, ora torna utile per fermare la guerra in Siria. E così per la Nato, di cui la Turchia è membro, ma a sua totale discrezione. L’anno scorso Erdogan abbracciava Putin per l’acquisto dei sistemi antiaerei S-400, scatenando le rimostranze Usa e atlantiche. Adesso però chiede l’appoggio del Pentagono per frenare il presidente russo, con cui tuttavia non vorrebbe lo scontro diretto. La contraddittorietà di tali mosse mette in luce debolezze estreme. Su cui l’Europa può lavorare.
Corsera/Cremonesi