Ttip il male che avanza (1 Viewer)

tontolina

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Ttip il male che avanza


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Mentre siamo asfissiati dalle cacchiate della campagna elettorale l'europa sta per firmare un trattato che segnerà una svolta epocale nella storia della democrazia, sostituendo definitivamente il diritto privato, in particolare quello delle multinazionali, al diritto pubblico. es: se negli Stati Uniti decidono che non è un problema se si trovano tracce di diossina in un alimento, automaticamente nessuno stato potrà più contestare la presenza di diossina nel cibo.


Ecco un articolo da global project
Nei primi mesi del 2013 è stato siglato l'impegno tra gli Stati Uniti d'America e l'Unione Europea ad avviare e concludere i negoziati per il Transatlantic Trade and Investment Partnership – Ttip (Trattato Transatlantico sul commercio e sugli investimenti).




Si tratta di un accordo, ovviamente composto da molti articolati, che nella sua essenza, è volto ad eliminare quelle che vengono definite "barriere non tariffarie" agli scambi tra Usa e Ue. Ovvero rimuovere quelle differenze normative che oggi rendono difficili gli scambi economici di ogni genere, per lasciare ampio margine agli investimenti e facilitare i reciproci interessi anche alla partecipazione di imprese multinazionali agli appalti pubblici.


Si tratta in poche parole di creare un enorme "free zone" di libero commercio di merci e servizi, in cui non varrebbero più i limiti imposti dalle normative vigenti, in molti casi frutto di conquiste ottenute dalle battaglie in difesa di standard sociali, lavorativi ed ambientali.
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Difficile ovviamente non vedere come dietro questa ipotesi d'accordo non vi sia unicamente la vocazione neoliberista a sciogliere da "lacci e laccioli" l'iniziativa capitalistica, ma anche il tentativo geopolitico di strutturare un più solido legame strategico tra Stati Uniti e Unione Europea per far fronte alla concorrenza globale delle cosiddette "economie emergenti", in primis quelle dei Brics.


Il tutto, come spesso avviene per questo tipo di trattative, sta passando assolutamente in silenzio, complice la situazione sociale determinata dalla crisi e la retorica della "competitività" economica come chiave per il superamento delle stesse politiche di austerity.
Alcune reti e realtà europee hanno però iniziato a mobilitarsi, come si è visto nelle mobilitazioni a Bruxelles, denunciando con forza in questo accordo uno strumento volto a permettere un'abbassamento complessivo della soglia di salvaguardia dei diritti sociali ed ambientali.
Come dicevamo infatti, alcuni residui parametri sanciti in Europa in materia di diritti del lavoro, nel sociale e sull'ambiente passerebbero in secondo piano, non essendo più vincolanti ed in più le corporation transnazionali interessate agli investimenti potrebbero trascinare in giudizio di fronte ad una specifica Corte chiunque ostacoli i loro business.
Nei prossimi mesi il dibattito a livello continentale si farà più serrato perché vi è l'intenzione, da parte della Commissione Europea guidata da Barroso, di siglare l'accordo prima delle elezioni del Parlamento a fine maggio in modo da blindarne la ratifica per la futura legislatura.
Conoscere, discutere e mobilitarsi su quel che sta accadendo è un'occasione per denunciare i lati oscuri dell'accordo, ma anche per continuare ad affermare la necessità percorsi europei che guardano all'uscita dalla crisi non attraverso la riproposizione delle logiche neo-liberiste della speculazione e della devastazione sociale ed ambientale.
Anche in Italia si comincia a parlarne con alcuni contributi di analisi che rompono il silenzio intorno alla vicenda.
Ne segnaliamo volentieri tre a cura di Monica Di Sisto, Marco Bersani ed Anna Maria Merlo.
Il Trattato Intrattabile di Anna Maria Merlo
Stop al libero commercio di Marco Bersani
Trattato Ue-Usa: dobbiamo impedirlo di Monica Di Sisto
Articolo di Sabina Guzzanti
Fonte:http://www.sabinaguzzanti.it/2014/05/18/ttip-il-male-che-avanza/utm_source=twitterfeed&utm_medium=twitter
 

tontolina

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Ttip, il trattato transatlantico sul commercio al centro delle proteste

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Attivisti e cittadini, organizzazioni e società civile in piazza per il Global Day of Action. Nel mirino ci sono trattati di libero scambio attualmente in discussione sulle sponde dell’Atlantico. Ecco quali sono e a che punto stanno



di Felice Meoli | 18 aprile 2015

Ttip, il trattato transatlantico sul commercio al centro delle proteste - Il Fatto Quotidiano


Una marcia e un flashmob a Parigi, un’assemblea partecipativa a Londra, una catena umana a Berlino che unirà le ambasciate di Usa e Canada con la rappresentanza della Commissione Europea.
E naturalmente tanti eventi anche in Italia, nelle maggiori città ma anche nei piccoli centri.

Sono solo alcune delle centinaia di iniziative che in tutto il mondo sabato 18 aprile vedono scendere in piazza attivisti e cittadini, organizzazioni e società civile in quello che è stato denominato “Global Day of Action”, in italiano “Giornata Mondiale di Mobilitazione”. Nel mirino ci sono trattati di libero scambio attualmente in discussione sulle sponde dell’Atlantico: il Ttip, il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti che vede protagonisti l’Unione Europea e gli Stati Uniti; il Ceta, l’Accordo economico e commerciale globale che invece coinvolge Ue e Canada, e il Tisa, l’Accordo di scambio sui servizi che riguarda 22 Paesi oltre l’Unione Europea (che ne rappresenta altri 28) e gli Usa. Se il Ceta è già arrivato alla fine delle negoziazioni ed è in attesa di essere ratificato dal Consiglio dell’Unione Europea e dal Parlamento Europeo, il Tisa e il Ttip sono giunti rispettivamente al dodicesimo round, tenutosi a Ginevra questa settimana, e al nono round, che si terrà invece la prossima a New York.
Il primo, con la presidenza di turno dell’Unione Europea, ha affrontato i temi della liberalizzazione dei servizi finanziari, delle telecomunicazioni, della regulation domestica, del trasporto marittimo e della movimentazione delle “persone fisiche in qualità di fornitori di servizi”, cioè i professionisti indipendenti. Le trattative sul Tisa procedono spedite e la base delle nazioni che intendono partecipare a tale accordo continua a crescere: ultimo entrato è l’Uruguay, ma rumors indicano come potenziali entranti dai prossimi round sia Mauritius che soprattutto la Cina.


Più tortuosa invece la strada del Ttip. La possibilità che entro l’anno non si arrivi all’approvazione del trattato si fa sempre maggiore e anche per questo il presidente Usa Barack Obama, che vorrebbe chiudere non solo il trattato con la Ue ma anche il Tpp, il trattato gemello trans-pacifico, entro la scadenza del suo mandato presidenziale, si è fatto investire dal Congresso di poteri speciali per agevolare la chiusura degli accordi. Il dissenso è localizzato a grandissima maggioranza nel Vecchio Continente, e i più attivi nelle proteste sono coloro che vedono nella smobilitazione doganale una minaccia alla rigida architettura normativa che ha finora tutelato il consumatore europeo nei confronti delle aziende.

Il tam tam mediatico, che ha accompagnato nell’ultimo anno il Ttip e che ha in parte portato a scardinare la mancanza di trasparenza (così come non accaduto invece per il Tisa, per il quale il commissario europeo al commercio Cecilia Malmström ha chiesto la pubblicazione del mandato dell’accordo), ha alimentato una nuova sensibilità rispetto all’inizio delle trattative anche a livello politico.
Lo spauracchio, per esempio, ha preso le forme del pollo al cloro, che con il trattato potrebbe fare il suo ingresso nel mercato continentale. E per questo la commissione Envi (ambiente, sanità e sicurezza alimentare) del Parlamento Europeo ha chiesto di escludere dai negoziati i servizi sanitari, la normativa sulle sostanze chimiche, la clonazione, gli Ogm e la carne agli ormoni. Anche se l’esecutivo, al momento, non avrebbe intenzione di seguire tali indicazioni e il Parlamento avrà a disposizione solo la plenaria, al momento prevista per giugno, per approvare o bocciare l’intero pacchetto una volta che le trattative si siano concluse.
Di contro Bruxelles intende sfondare la tradizionale chiusura americana negli appalti pubblici, per quanto riguarda ad esempio trasporti e infrastrutture. Un matrimonio di interesse tra le multinazionali dei due continenti che, al netto della crescita stimata di entrambe le economie, rischia però di assestare duri colpi ai poteri delle istituzioni. Sono due i punti più problematici, e non solo per la piazza, ma anche per i negoziatori. Il primo riguarda l’Investor-state dispute settlement (Isds), un arbitrato internazionale per le controversie tra Stati e aziende che potrebbe portare, come già in passato in altri casi, alla citazione in giudizio di Paesi e governi da parte delle multinazionali. Su questo aspetto la commissione Juri (giuridica) ha negli ultimi giorni espresso parere contrario, così come la commissione Peti (per le petizioni). Il secondo aspetto, al centro del prossimo round negoziale, concerne invece la “regulatory cooperation”, vale a dire la possibilità concessa all’altra parte di esprimere un parere, seppur non vincolante, rispetto all’introduzione di nuove normative di qua o di là dall’Atlantico. L’obiettivo è la creazione di un organismo congiunto (il “Regulatory Cooperation Body”) che vigili e proponga una sempre maggiore armonizzazione normativa.
Al momento i negoziatori hanno identificato nove settori su cui lavorare per permettere tale cooperazione regolatoria. Si tratta, tra gli altri, di auto, farmaci, attrezzature medicali, cosmetici, pesticidi. Mentre ne resterebbero fuori questioni ancora più delicate come la sicurezza sociale o i diritti dei lavoratori.
 

tontolina

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Usa, i democratici del Senato bloccano voto su accordi commerciali Tpp e Ttip: schiaffo per Obama

Usa, i democratici del Senato bloccano voto su accordi commerciali Tpp e Ttip: schiaffo per Obama - Il Sole 24 ORE



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(Afp)


WASHINGTON - Clamorosa battuta d'arresto per gli accordi commerciali internazionali Tpp e Ttip: una violenta battaglia all'interno del partito democratico ha portato a un voto negativo al Senato sull'apertura del dibattito per la concessione di un'autorità negoziale speciale (Tpa) al presidente Barack Obama. A questo punto, il presidente potrebbe essere costretto a introdurre delle modifiche nelle bozze di accordo per accontentare l'ala sinistra del suo partito. Ma questi cambiamenti potrebbero minare alla base la credibilità degli accordi agli occhi delle controparti. Si tratta della più grave crisi politica tra un presidente democratico e la base del suo partito da molti anni a questa parte. La battaglia delle ultime settimane è stata durissima: il presidente è stato schierato contro i suoi stessi compagni di partito, ma i suoi sforzi non sono bastati.
La campagna diventa a questo punto più difficile, ma non c'è dubbio che l'amministrazione proseguirà nel suo sforzo perché, da un punto di vista dell'interesse della nazione, procedere verso un'apertura commerciale è più importante degli interessi dei gruppi speciali di pressione che si sono finora opposti: una coalizione inusuale formata da sindacati, esponenti della sinistra del partito democratico, ambientalisti, luddisti diversi, anti Ogm e No Global, oltre ai repubblicani di destra.

Eppure la svolta sarebbe potenzialmente storica: se la Casa Bianca potrà ottenere il sì nel negoziato Tpp con 11 paesi del Pacifico e subito dopo nel negoziato Ttip con l'Europa, ci sarà una rivoluzione nei commerci mondiali con un impatto forte su crescita e occupazione. Per molti economisti, una delle risposte agli elementi strutturali di caduta della produttività, bassi tassi di crescita e deflazione, sarà proprio nella caduta di barriere commerciali, tariffe e altri ostacoli al libero commercio. Per Obama si potrebbe trattare di uno dei risultati più importanti
 

tontolina

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USA, il TPP è servito

Altrenotizie - Michele Paris

Dopo gli ostacoli registrati un paio di settimane fa alla Camera dei Rappresentanti, il Congresso americano ha finalmente approvato una misura fortemente voluta dal presidente Obama per accelerare i negoziati e l’implementazione di vari “trattati di libero scambio” che minacciano di riscrivere le norme del commercio internazionale secondo le regole imposte dal business a stelle e strisce.

Il provvedimento uscito mercoledì dal Senato di Washington assegna all’inquilino della Casa Bianca l’autorità per ottenere l’approvazione di qualsiasi trattato negoziato con paesi esteri nei prossimi cinque anni attraverso una sorta di “corsia preferenziale”.

La cosiddetta “Trade Promotion Authority” (TPA) prevede cioè che un trattato stipulato dal governo non possa essere emendato dal Congresso, il quale avrà invece la possibilità soltanto di approvarlo o respingerlo nella forma in cui viene presentato.

Il via libera alla TPA è stata in ogni caso molto sofferta. Oltre al ritardo con cui è stata portata in aula nonostante le pressioni dell’amministrazione Obama, la legge ha incontrato parecchi contrattempi sulla strada verso l’approvazione.

A maggio, il Senato aveva dato l’OK alla TPA e a un’altra misura connessa, la “Trade Adjustment Assistance” (TAA), ovvero un provvedimento tradizionalmente collegato ai trattati di libero scambio sottoscritti dagli Stati Uniti con altri paesi e che prevede compensazioni economiche e programmi di formazione per quei lavoratori che perdono il loro impiego a causa dell’entrata in vigore degli stessi trattati.

Quest’ultimo provvedimento era però caduto un paio di settimane fa alla Camera, grazie soprattutto all’opposizione della maggior parte della minoranza democratica, impegnata a bloccare l’intera politica commerciale del presidente Obama.

La leadership repubblicana della Camera aveva allora separato le due leggi, ottenendo un voto favorevole alla TPA e congelando la TAA. Martedì, il Senato ha anch’esso approvato la TPA, sia pure con il minimo dei voti necessari - 60 a 37 - per neutralizzare un ostacolo procedurale previsto dalle regole della camera alta del Congresso (“filibuster”). Infine, mercoledì è arrivato il voto sulla misura vera e propria, approvata e inviata al presidente per la ratifica definitiva.

Il salvataggio della legge sui trattati di libero scambio auspicata da Obama è stato possibile solo in seguito alla collaborazione tra il presidente e i vertici della maggioranza repubblicana, di fatto alleati contro la parte del Partito Democratico contraria a iniziative di questo genere. Obama, il leader di maggioranza al Senato, Mitch McConnell, e lo “speaker” della Camera, John Boehner, hanno infatti disegnato un percorso parlamentare differente da quello previsto originariamente per la TPA, con il presidente e il suo staff che hanno fatto pressioni enormi su deputati e senatori democratici recalcitranti.

Ciononostante, l’esito del voto è apparso incerto fino all’ultimo. In particolare, martedì si è temuto a lungo un nuovo possibile naufragio dopo che uno dei senatori più indecisi - il democratico del Maryland, Ben Cardin - aveva deciso di votare in maniera contraria. A questo punto, il voto decisivo è stato garantito da un altro democratico, il senatore del Nevada, Dean Heller, arrivato in aula quando la votazione era iniziata da tempo. Se Heller non si fosse presentato, i repubblicani erano pronti a prolungare la procedura di voto per attendere che il senatore Bob Corker tornasse a Washington dal Tennessee.

Malgrado le divisioni e i patemi, Obama e i repubblicani sono alla fine riusciti a convincere un numero sufficiente di democratici a dare il proprio consenso alla TPA separata dalla TAA solo in seguito alla promessa di tenere un voto per quest’ultima misura in un secondo momento, cioè probabilmente nel fine settimana, e la garanzia del suo passaggio.

L’unica improbabile arma rimasta ora nelle mani dei democratici per provare a impedire che i trattati abbiano la strada spianata verso l’approvazione appare la bocciatura della TAA, visto che una simile mossa, anche se priverebbe i lavoratori americani di un modesto programma di sostegno, metterebbe in imbarazzo il presidente Obama. Quest’ultimo si ritroverebbe infatti a dover firmare una legge con conseguenze potenzialmente disastrose sui lavoratori senza il tradizionale paravento che accompagna i trattati di libero scambio firmati dal governo USA.

Contro la TPA e gli stessi trattati in fase di negoziazione da parte degli Stati Uniti si sono schierati i sindacati e quei settori dell’economia USA penalizzati dalla competizione con le aziende di altri paesi. Queste pressioni sono state tuttavia decisamente inferiori rispetto a quelle esercitate dai rappresentanti delle corporations che vedono gigantesche possibilità di guadagno nei trattati come la Partnership Trans-Pacifica (TPP) o la Partnership Transatlantica sul Commercio e gli Investimenti (TTIP).

Inoltre, anche i governi che stanno trattando con Washington - a cominciare da Giappone e Australia - avevano espresso preoccupazione per l’iniziale bocciatura della TPA, minacciando più o meno apertamente un possibile stop ai negoziati se la situazione non si fosse sbloccata a favore della Casa Bianca.

L’apparato militare americano era poi intervenuto per favorire l’approvazione dei trattati. Il segretario alla Difesa, Ashton Carter, aveva ad esempio incoraggiato il Congresso ad assecondare l’agenda di Obama in ambito commerciale, lasciando intendere come il TPP sia uno strumento complementare della strategia di accerchiamento e contenimento della Cina già in fase di implementazione sul fronte diplomatico e militare.

Il TPP dovrebbe essere il primo trattato a essere approvato secondo la “corsia preferenziale” appena accordata dal Congresso all’amministrazione Obama. Le trattative sono in corso in gran segreto da alcuni anni tra gli Stati Uniti e altri 11 paesi asiatici, del continente americano e dell’Oceania (Australia, Canada, Cile, Brunei, Giappone, Malaysia, Messico, Nuova Zelanda, Peru, Singapore, Vietnam), frequentemente interrotte soprattutto a causa delle condizioni vessatorie imposte da Washington per favorire le proprie imprese anche a discapito della sovranità dei potenziali partner.

Il carattere strategico del TPP è stato più volte confermato anche dallo stesso Obama, il quale in varie interviste ha sollecitato l’approvazione del trattato per consentire al capitalismo americano di “scrivere le regole” del commercio globale per evitare che a farlo sia la Cina.

Significativamente, i paesi asiatici e dell’area Pacifico che dovrebbero aderire al TPP hanno come loro principale partner commerciale proprio la Cina, da qui il tentativo di Washington - la cui riuscita è però tutt’altro che garantita - di riorientare le rispettive economie verso l’orbita statunitense.

Il corrispettivo europeo del TPP è il TTIP, il secondo trattato che potrebbe essere soggetto alle norme di approvazione semplificata previste dal TPA appena licenziato dal Congresso USA.

Con Il TTIP, gli Stati Uniti intendono sostanzialmente cementare la partnership economica con i paesi UE, anche in questo caso secondo le regole dettate dalle corporations americane, così da ostacolare la crescente integrazione euroasiatica e isolare la Russia.

La collaborazione tra la Casa Bianca e i repubblicani al Congresso sul commercio internazionale, infine, potrebbe inaugurare un’insolita alleanza da qui alla fine del secondo e ultimo mandato di Obama alla presidenza, con possibili punti di intesa identificati nell’ambito dei finanziamenti per le infrastrutture e l’aumento dell’impegno militare americano in Medio Oriente.

USA, il TPP è servito
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