TRUMP è il Presidente più perseguitato della storia (1 Viewer)

tontolina

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La fine di questo entusiasmante bull market passerà per la capitolazione degli Orsi: è inevitabile. Ieri abbiamo assistito ad un significativo episodio in tal senso: Soros ha comunicato alla SEC lo smantellamento pressoché integrale di una disastrosa quanto cospicua (quasi 2 milioni di contratti) posizione aperta tempo addietro in opzioni put sullo S&P500. Una resa imbarazzante, perché seguita a dichiarazioni a dir poco ostili nei confronti del mercato, e prima ancora dell'attuale inquilino della Casa Bianca: dopo aver perso un miliardo di dollari subito dopo le rocambolesche elezioni di un anno fa, a Davos Soros definì Trump un «camionista e aspirante dittatore», garantendo che il caos avrebbe fatto piazza pulita del bull market.

Per fortuna, il mercato separa i soldi dalle cattive idee. Nel frattempo il Congresso USA ha finalmente licenziato la riforma fiscale, che passa ora al Senato per l'approvazione definitiva. Si parla di un imponente taglio fiscale, che porterebbe le imposte sul reddito di impresa ai livelli più bassi degli ultimi 78 anni. In soldoni - è il caso di dire - la sforbiciata ai tributi incrementerebbe gli utili aziendali netti di un buon 20%.
La conseguenza più immediata?
il Price/Earnings atteso per i prossimi dodici mesi scenderebbe dall'attuale multiplo di 17.5 volte, a 16 volte: in linea con la media storica. Altro che mercato in bolla...

Così, mentre gli investitori - professionali e part time - precipitavano nel panico, Wall Street si riportava a ridosso dei massimi storici, con la chiara intenzione di migliorarli.
Le piazze europee come è noto hanno risentito maggiormente delle vendite, con l'Eurostoxx50 che ha messo in discussione il recente superamento della cruciale soglia dei 3600 punti.
 

alingtonsky

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https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2017/11/07/un-anno-trump-declino

Pierre Haski, L'Obs
7 novembre 2017 10.08

È l’ex primo ministro australiano Kevin Rudd ad aver trovato l’espressione più tagliente, oltre che la più azzeccata: “In meno di un anno, l’America di Donald Trump è diventata lo zimbello (the laughingstock in inglese) del mondo intero”, scrive Rudd in un articolo della rete Project Syndicate.

La cosa più grave in questa crudele definizione è che a essere evocata è “l’America di Donald Trump”, non la figura del presidente. Perché se il miliardario divenuto comandante in capo della prima potenza mondiale suscita regolarmente risate e sorrisi, talvolta a denti stretti, quel che sta succedendo per gli Stati Uniti è di natura diversa.

Un anno dopo l’elezione di Trump, l’8 novembre 2016, ... il suo è ancora il regno dell’imprevedibilità.

Il paese chiuso in se stesso
Questa imprevedibilità, verso la quale la diplomazia prova solitamente orrore, riguarda sia il destino personale di Donald Trump, sempre più incerto a mano a mano che procede l’inchiesta sulla Russia connection durante la campagna elettorale, sia la posizione e la strategia degli Stati Uniti nel mondo, oggi difficilmente interpretabili.

La “guerra culturale” in corso negli Stati Uniti, e l’energia impiegata dalla Casa Bianca per difendersi ed evitare al presidente le insidie di un procedimento di messa in stato d’accusa (impeachment), ovvero di destituzione parlamentare, rischiano di far chiudere il paese sempre più in sé stesso, rendendolo meno ricettivo a quanto accade nel mondo e ai mutamenti geopolitici.

Sarebbe un fatto positivo se la cosa permettesse di evitare avventure potenzialmente catastrofiche come l’invasione dell’Iraq decisa dall’amministrazione Bush nel 2003, di cui il mondo paga ancora a caro prezzo le conseguenze. Ma le difficoltà interne e le incoerenze dell’amministrazione Trump non le impediscono comunque d’imperversare, perlopiù negativamente.

Dal suo arrivo alla Casa Bianca, Donald Trump ha esercitato il suo potere in chiave negativa, smontando una parte dei risultati ottenuti dal suo predecessore Barack Obama, al quale tributa un odio ammantato di gelosia.

  • Ha fatto marcia indietro in maniera alquanto irrazionale a proposito del Trattato transPacifico (Tpp), che era stato negoziato in Asia per “contenere” la Cina, un obiettivo che pure era uno dei temi portanti della campagna presidenziale di Trump.
  • Ha ritirato la partecipazione degli Stati Uniti al trattato di Parigi sul riscaldamento del clima, dando così una forte spinta agli scettici dei cambiamenti climatici, in barba ai dati scientifici e all’opinione del resto del mondo.
  • Ha rifiutato di confermare l’accordo nucleare con l’Iran, indebolendo senza tuttavia vanificare uno dei rari successi delle trattative multilaterali degli ultimi anni, rischiando così di destabilizzare ulteriormente il Medio Oriente ma anche di distruggere ogni possibilità di negoziato con una Corea del Nord già nuclearizzata e che ha tutte le ragioni, ormai, di diffidare della parola di un presidente degli Stati Uniti.
A questa lista già sufficientemente pesante, si aggiungono le gravi minacce che fa pesare sul Nafta, l’accordo di libero scambio tra gli Stati Uniti, il Messico e il Canada, e la cui scomparsa, qualunque cosa si pensi di questo tipo di accordi, avrebbe serie conseguenze sugli equilibri tra il suo paese e il suo vicino meridionale.

Questa capacità del capo dell’esecutivo di fare danni non è accompagnata da una strategia chiara. Questo isolazionista primordiale ha comunque deciso di rilanciare l’impegno militare statunitense in Afghanistan, ha bombardato la Siria perché sua figlia aveva visto delle immagini impressionanti su Fox News, e ha rischiato di provocare uno scontro tra il Qatar e i suoi vicini del Golfo autorizzando un’offensiva congiunta di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti contro il loro rivale di Doha.

È vero che ha contribuito in maniera decisiva alla sconfitta del gruppo Stato islamico (Is) nelle sue due roccaforti di Mosul e Raqqa. Ma è altrettanto chiaro che non possiede alcun piano per il dopo Is, né in Siria né in Iraq. La questione curda in Iraq lo dimostra in maniera evidente.

Per restare in Medio Oriente, viene da chiedersi se riuscirà mai un giorno a comprenderne la complessità: Donald Trump si mostra così compiacente nei confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu da spingere quest’ultimo ad accelerare la colonizzazione di Gerusalemme Est e della Cisgiordania, senza timore di proteste da parte della Casa Bianca, con il rischio di creare così le guerre di domani.

Nel momento in cui è in corso la sua prima lunga visita in Asia, un viaggio la cui posta in gioco è gigantesca, tra nucleare nordcoreano e relazioni con la superpotenza di domani, la Cina di Xi Jinping, Donald Trump continua a non avere una linea politica chiara, sballottato com’è tra due entourage in conflitto tra loro, sull’orlo della rottura con il suo segretario di stato Rex Tillerson, che lo ha esplicitamente definito un “cretino” (moron), e preoccupato prima di tutto di proteggere la sua base elettorale conservatrice.

Il principale beneficiario
Questo cocktail di dilettantismo, accecamento ideologico e interessi contraddittori mette sempre più fuori gioco il paese. Non perché gli Stati Uniti abbiano deciso così o perché siano privi dei mezzi per rimanere “in gioco”, ma perché la loro incoerenza li rende un alleato sempre meno affidabile, degli strateghi senza strategia e neppure una visione.

Il principale beneficiario di questa situazione è evidentemente Xi Jinping, appena incoronato “re” di Cina, secondo la formula ironica ma carica d’ammirazione usata dallo stesso Donald Trump in un’intervista televisiva.

I dirigenti cinesi analizzano da anni il “declino” della potenza americana. Pensavano che il momento fosse già arrivato nel 2008, durante la crisi dei subprime, quando hanno creduto troppo presto che il loro momento fosse arrivato. Questo accadeva prima di Xi Jinping, arrivato al potere nel 2012, e prima di Donald Trump, eletto solamente un anno fa.

Esaminando il discorso fiume di Xi Jinping durante il diciannovesimo congresso del Partito comunista cinese, la settimana scorsa, è possibile leggere tra le righe come Pechino sia oggi convinta che ci siano tutte le condizioni perché la Cina ridiventi quella potenza mondiale che era un tempo l’“impero di mezzo”.

Lo deve ai suoi notevoli sforzi, che le hanno permesso di diventare la seconda economia mondiale in tre decenni, ma anche a Donald Trump, che sta facendo sprofondare il suo paese in una condizione di disagio strategico che può essere interpretato come un segno di declino.

Così facendo, Donald Trump ottiene un risultato opposto a quanto difende e professa: invece di rendere l’America great again, trasmette ai suoi rivali l’immagine di un uomo che sta indebolendo il suo paese e la sua statura su scala mondiale. Chi crede ancora che gli Stati Uniti stiano diventando più “grandi” con Trump? Di sicuro non Xi Jinping.

Gli europei assistono a questi sconvolgimenti con la loro abituale indifferenza verso le evoluzioni del mondo. Lo psicodramma catalano concentra tutte le attenzioni, ma si tratta solo di uno spettacolo secondario, come dicono gli statunitensi, un granello di sabbia rispetto alla posta in gioco del tempo presente.

Dopo essere stati rinvigoriti dalle minacce di Donald Trump di togliere il proprio “scudo” agli europei che non erano disposti a pagarlo, i paesi del “vecchio continente” sono stati rassicurati dalle parole concilianti pronunciate in seguito, e tutto si svolge come se l’allarme fosse rientrato.

Sarebbe un errore grave, che per di più minaccerebbe gli europei di essere solo delle pedine, e non i protagonisti, dei cambiamenti strategici profondi in corso oggi.

Questa presa di coscienza è cominciata, in particolare dopo l’elezione di Emmanuel Macron in Francia, ma resta ancora troppo incerta per cambiare le cose. Un anno dopo l’elezione di Donald Trump, l’Europa deve ancora decidere se vuole essere l’appendice di un’America in crisi o padrona del proprio destino.

(Traduzione di Federico Ferrone)


Donald Trump précipite le déclin de la puissance américaine
 

tontolina

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I CANNONI DI BANNON!
Scritto il 5 gennaio 2018 alle 08:59 da icebergfinanza

Tutto procede a meraviglia in America tra un record e l’altro si ignorano le cattive notizie come il crollo delle immatricolazione delle auto nel mese di dicembre o altri dati negativi nascosti tra le pieghe dei dati macroeconomici usciti ieri e si continua a volare questa volta tirandosi dietro pure quello che resta dell’Europa.

Oggi sono in uscita di dati relativi al mercato del lavoro che vedranno importanti revisioni dei mesi precedenti determinati dalle conseguenze degli uragani estivi e la recente tempesta di neve che sta abbattendosi su parte dell’America con conseguenze non indifferenti sulla crescita dei prossimi mesi e sull’occupazione. In sintesi è molto probabile visti anche alcuni indicatori anticipatori che i numeri siano decisamente inferiori al consenso del mercato che si attende intorno a 190/200.000 nuovi posti di lavoro.

Neppure la realtà raccontata da Bannon l’artefice della vittoria di Trump, scalfisce il minimo storico assoluto del VIX , una volta indice della paura, ora inutile indicatore facilmente manipolabile, oggi indice delle favole che si racconta ai bambini, dove tutti vivranno felici e contenti…

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Nelle anticipazioni sul libro che sono da prendere alla lettera in quanto difficilmente uno come Bannon si è inventato qualcosa solo per vendicarsi dell’esclusione, visto che Trump è una sua creazione, tra la vera storia dei capelli di Donald e le lecrime amare di Melania per la vittoria di Trump, ci sta la vera storia di questa vittoria.

Antipatriotico l’incontro con i russi, nessuna possibilità che Trump non sapesse nulla, una campagna elettorale dove tutti nello staff pensavano alla sconfitta. Rupert Murdoch che definisce il presidente degli Stati Uniti, “fottuto idiota” e il sostenitore miliardario Tom Barrack che lo definisce ‘non solo pazzo, è anche stupido’.

Poi aggiunge Bannon, Trump non ha cultura, non legge, per tutto il resto è semialfabetizzato, ripete sempre tre volte le stesse storielle nello spazio di dieci minuti, definisce il cognato Kushner un “succhiasangue” e Bannon un pazzo.

E se anche Trump, da candidato, avesse incontrato russi a New York?

Nel pieno della campagna elettorale dello scorso, anche Donald Trump e non solo il suo staff potrebbe avere incontrato alla Trump Tower dei russi pronti a fornire informazioni compromettenti su Hillary Clinton, la sfidande democratica dell’allora candidato repubblicano nella corsa verso la Casa Bianca. E’ quanto sembra avere insinuato Steve Bannon, l’ex stratega di ultra destra di Trump dal tre gennaio 2018 ufficialmente scomunicato dal miliardario di New York diventato leader Usa.

La Casa Bianca ha subito smentito ma il contenuto esplosivo di un libro di Michael Wolff – i cui dettagli sono emersi per la prima volta grazie al Guardian, che ne ha ottenuto per primo una copia – è destinato ad alimentare ulteriormente lo scontro tra un Trump “disgustato” e “furioso” e Bannon.

A Michael Wolff, l’autore de “Fire and Fury: Inside the Trump White House” (presto nelle librerie con l’editore Henry Holt), Bannon avrebbe detto che Donald Trump Jr (il figlio dell’attuale presidente Usa), Paul J. Manafort (l’ex direttore della campagna elettorale di Trump) e il suo genero Jared Kushner sono stati “sovversivi” e “antipatriottici” per avere incontrato dei russi alla Trump Tower nel giugno 2016.

“I tre ragazzi senior nella campagna hanno pensato che fosse una buona idea incontrare un governo straniero nella Trump Tower nella conference room al 25esimo piano senza avvocati”, Bannon avrebbe detto nel libro, di cui anche Nbc News ha ottenuto una copia. “Anche se si pensava che quell’incontro non fosse sovversivo o antipatriottico…si doveva subito chiamare l’Fbi”, ha continuato Bannon nel libro insinuando che il gruppo di russi fu portato a incontrare lo stesso Trump (cosa da quest’ultimo sempre negata). “Le probabilità che Don Jr non abbia accompagnato questi jumos su all’ufficio del padre al 26esimo piano sono pari a zero”.

“Non ce la farà”, dichiara Bannon, nessuna possibilità che Trump completi il proprio mandato senza impeachment o sconfitte alle prossime elezioni di medio termine. Bannon definisce “traditori antipatriottici” la cerchia più intima del presidente Perfino la figlia Ivanka viene definita stupida, Cohn ex GoldmaSachs, eliminato recentemente per fortuna dalla cerchia dei possibili nuovi governatori della FED considera Donald ottuso idiota circondato da pagliacci.

Ma lasciamo perdere, la storia farà il suo corso, occupiamoci invece di Federal Reserve un nido di inutili economisti che crede ancora che ci sarà inflazione o che i salari saliranno…

C’è incertezza all’interno della Federal Reserve sugli effetti della riforma fiscale approvata prima di Natale in Usa. “I partecipanti hanno discusso diversi rischi che, se realizzati, potrebbero richiedere un rialzo dei tassi più rapido”. E’ quanto emerso dai verbali della riunione degli scorsi 12 e 13 dicembre del Federal Open Market Committee della banca centrale Usa. In quell’occasione il braccio di politica monetaria della banca centrale Usa aveva annunciato il terzo rialzo dei tassi del 2017; la stretta era stata di 25 punti base all’1,25-1,5%, come ampiamente atteso.

Nel documento, da cui emerge anche incertezza sull’inflazione, si legge che i rischi sopra citati “includono la possibilità che le pressioni inflative aumentino…forse per via degli stimoli fiscali o delle condizioni accomodanti dei mercati finanziari”. Leggi qui un approfondimento su America24

Questi non ne hanno indovinata una negli ultimi dieci anni dal punto di vista macro, il problema è che il prossimo anno come vedremo insieme a Machiavelli, il FOMC è questa volta in maggioranza composto da falchi esaltati, che alzeranno come minimo aggiungo io i tassi tre volte, invertendo definitivamente la curva dei rendimenti e preparando la strada ad una nuova e profonda recessione.

Vi anticipo che con un’amministrazione come quella di Trump, credo poco o per nulla ai dati macroeconomici diffusi in questi mesi, la realtà che mi viene raccontata anche da amici che vivono in Amerivca è diversa.
Leggi qui un approfondimento su America24

Il mese scorso, i membri della Fed hanno discusso delle ricadute che potrebbero avere i tagli alle tasse per 1.500 miliardi di dollari previsti in 10 anni. La banca centrale sembra tuttavia più cauta dell’amministrazione Trump, convinta che la riforma fiscale porterà il Pil Usa a crescere del 4% annuo. La Fed ha sì rivisto al rialzo le stime di crescita per il 2018 e il 2019 ma non ai livelli sognati dall’inquilino della Casa Bianca,

Nel loro dibattito, i vari membri della Fed hanno fatto capire di aspettarsi un incremento modesto delle spese per capitale “anche se la portata di tali effetti è incerta”. Altrettanto incerte sono le ricadute sulla fiducia dei consumatori. Secondo alcuni “le aspettative per la riforma fiscale potrebbero già avere alzato le spese dei consumatori nel senso che quelle aspettative hanno alimentato incrementi nelle valutazioni degli asset e nei patrimoni delle famiglie”. Citando poi contatti con le aziende, la Fed sembra inoltre pensare che grazie a un taglio permanente dell’aliquota aziendale al 21% dal 35%, la liquidità che verrà a crearsi “sarà probabilmente usata per fusioni e acquisizioni o per la riduzione del debito o programmi di riacquisto di titoli propri”.

Sin qui siamo d’accordo, ma davvero c’è qualche ingenuo che dopo oltre tre trilioni di dollari di liquidità immessa dalla Banca centrale in questi anni e miliardi di dollari di stimoli fiscali, solo perché arriva un inutile idiota che abbassa le tasse ai ricchi, le aziende dovrebbero spendere in investimenti quando per anni hanno aumentato dividendi o usato la liquidità per riacquistare azioni proprie, ma davvero c’è qualcuno di così ingenuo in circolazione?

Un esempio lo troviamo con AMEX colosso delle carte di credito che con il passaggio al nuovo regime fiscale, lamenta che i suoi utili in maggior parte accumulati all’estero saranno tassati e considerati come automaticamente rimpatriati. L’azienda ha dichiarato che prende seriamente in considerazione la sospensione o riduzione del suo programma di riacquisto azioni previsto per il 2018, mica ha dichiarato che ridurrà i suoi investimenti, l’unico scopo sono gli utili e i dividendi altro che investimenti, investire in cosa, visto che non c’è domanda!

La maggioranza dei membri dell’Fomc continua a credere che il dato si risolleverà nel medio termine verso il target prefissato con il venire meno di fattori considerati transitori. Su questo fronte la Fed resta divisa: c’è chi teme che l’inflazione resti debole portando eventualmente “a una traiettoria più piatta dei tassi” e c’è chi invece non esclude che uno “stimolo fiscale o condizioni accomodanti di mercato possano richiedere un rialzo dei tassi più rapido” se porteranno a un rafforzamento inatteso dell’inflazione.

Questa è una scommessa vinta, ZERO possibilità per l’inflazione, anzi più alzano i tassi e drenano liquidità e più la velocità di circolazione della moneta crolla, studiate la deflazione da debiti invece di lanciare monetine o leggere fondi di caffè.

Arrivano già segnali di difficoltà per il mercato immobiliare a seguito della riforma di Trump, spese per costruzioni che restano sulla stessa falsariga del 2016 e sottoindici occupazionali ISM che segnalano contrazione.

I Treasury restano in rialzo nonostante questi ultimi dati e i tassi a lungo termine ben lontani dai minimi dell’anno, qualcosa vorrà pur dire tutto questo, nessuna reazione ai dati comunque positivi delle ultime settimane, probabilmente non ci credono neanche loro.
 

tontolina

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Aggiornamento sulla petizione
IL VERO LIBRO ESPLOSIVO E' A FIRMA TRUMP

9 gen 2018 — Manlio Dinucci

Tutti parlano del libro esplosivo su Trump, con rivelazioni sensazionali di come Donald si fa il ciuffo, di come lui e la moglie dormono in camere separate, di cosa si dice alle sue spalle nei corridoi della Casa Bianca, di cosa ha fatto suo figlio maggiore che, incontrando una avvocatessa russa alla Trump Tower di New York, ha tradito la patria e sovvertito l’esito delle elezioni presidenziali.


Quasi nessuno, invece, parla di un libro dal contenuto veramente esplosivo, uscito poco prima a firma del presidente Donald Trump: «Strategia della sicurezza nazionale degli Stati uniti». È un documento periodico redatto dai poteri forti delle diverse amministrazioni, anzitutto da quelli militari. Rispetto al precedente, pubblicato dall’amministrazione Obama nel 2015, quello dell’amministrazione Trump contiene elementi di sostanziale continuità.

Basilare il concetto che, per «mettere l’America al primo posto perché sia sicura, prospera e libera», occorre avere «la forza e la volontà di esercitare la leadership Usa nel mondo». Lo stesso concetto espresso dall’amministrazione Obama (così come dalle precedenti): «Per garantire la sicurezza del suo popolo, l’America deve dirigere da una posizione di forza».

Rispetto al documento strategico dell’amministrazione Obama, che parlava di «aggressione russa all’Ucraina» e di «allerta per la modernizzazione militare della Cina e per la sua crescente presenza in Asia», quello dell’amministrazione Trump è molto più esplicito: «La Cina e la Russia sfidano la potenza, l’influenza e gli interessi dell’America, tentando di erodere la sua sicurezza e prosperità».

In tal modo gli autori del documento strategico scoprono le carte mostrando qual è la vera posta in gioco per gli Stati uniti: il rischio crescente di perdere la supremazia economica di fronte all’emergere di nuovi soggetti statuali e sociali, anzitutto Cina e Russia le quali stanno adottando misureper ridurre il predominio del dollaro che permette agli Usa di mantenere un ruolo dominante, stampando dollari il cui valore si basa non sulla reale capacità economica statunitense ma sul fatto che vengono usati quale valuta globale.

«Cina e Russia – sottolinea il documento strategico – vogliono formare un mondo antitetico ai valori e agli interessi Usa. La Cina cerca di prendere il posto degli Stati uniti nella regione del Pacifico, diffondendo il suo modello di economia a conduzione statale. La Russia cerca di riacquistare il suo status di grande potenza e stabilire sfere di influenza vicino ai suoi confini. Mira a indebolire l’influenza statunitense nel mondo e a dividerci dai nostri alleati e partner».

Da qui una vera e propria dichiarazione di guerra: «Competeremo con tutti gli strumenti della nostra potenza nazionale per assicurare che le regioni del mondo non siano dominate da una singola potenza», ossia per far sì che siano tutte dominate dagli Stati uniti.

Fra «tutti gli strumenti» è compreso ovviamente quello militare, in cui gli Usa sono superiori. Come sottolineava il documento strategico dell’amministrazione Obama, «possediamo una forza militare la cui potenza, tecnologia e portata geostrategica non ha eguali nella storia dell’umanità; abbiamo la Nato, la più forte alleanza del mondo».


La «Strategia della sicurezza nazionale degli Stati uniti», a firma Trump, coinvolge quindi l’Italia e gli altri paesi europei della Nato, chiamati a rafforzare il fianco orientale contro l’«aggressione russa», e a destinare almeno il 2% del pil alla spesa militare e il 20% di questa all’acquisizione di nuove forze e armi.

L’Europa va in guerra, ma non se ne parla nei dibattiti televisivi: questo non è un tema elettorale.

(il manifesto, 9 gennaio 2018)
 

tontolina

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POLITICA
Russiagate, Trump approva la pubblicazione del memo "anti Fbi"
Il presidente Usa: "Quello che succede nel nostro Paese è una vergogna. Molte persone dovrebbero provare vergogna"
02/02/2018 18:55 CET | Aggiornato 02/02/2018 19:59 CET
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Yuri Gripas / Reuters


Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato di avere declassificato il controverso memo dei repubblicani che si ritiene accusi l'Fbi di abuso di potere in relazione al Russiagate, spianando così la strada alla sua pubblicazione da parte del Congresso. Che l'ha subito pubblicato.


"È stato declassificato, vedremo cosa succederà", ha detto Trump nello Studio Ovale. "Quello che succede nel nostro Paese è una vergogna", ha proseguito, aggiungendo che "molte persone dovrebbero provare vergogna".


Il rapporto estremamente critico sulla gestione "politicizzata" in chiave anti-Trump, dell'inchiesta sul Russiagate, da parte dell'Fbi nella fase iniziale (2016) si concentra su "rilevanti informazioni omesse" nell'inchiesta. In particolare il rapporto preparato dal presidente della commissione Intelligence della Camera, il repubblicano Devin Nunes, critica "l'uso illegittimo da parte del ministero della Giustizia (all'epoca - 2016 - guidato dal ministro democratico afroamericano Loretta Lynch e dall'Fbi, il cui direttore era James Comey, licenziato da Trump il 9 maggio 2017) della legge 'Fisa', la norma che autorizza le intercettazioni di americani e stranieri e che venne usata durante l'intera campagna elettorale presidenziale.


Secondo il rapporto sia il ministero che l'Fbi, da cui dipende, hanno abusato della legge Fisa e della corte speciale (Foreign Intelligence Surveillance Court o Fisc) che autorizza caso per caso le intercettazioni, per raccogliere informazioni contro Trump con ogni mezzo.


Tra i punti citati l'omissione da parte del ministero e dell'Fbi del ruolo giocato dall'ex 007 britannico Christopher Steele - a lungo una fonte dell'Fbi - che su incarico del Partito Democratico e della campagna elettorale di Hillary Clinton venne pagato 160.000 dollari tramite lo studio legale 'Perkins Coie' ed il gruppo di intelligence privata "Fusion GPS" per preparare un falso rapporto sui legami tra Donald Trump e la Russia. Steele era l'autore del testo che rivelava presunte collusioni con funzionari di Mosca ma soprattutto dell'esistenza di un filmato girato dall'Fsb, i servizi segreti russi, in cui Trump nel 2013 si sarebbe intrattenuto in modo particolare con una prostituta in una stanza del Ritz-Carlton della capitale russa. Filmato con cui Mosca era pronta a ricattare Trump una volta eletto.

Nel rapporto si legge che nel settembre del 2016 Steele ammise la sua ostilità contro l'ancora candidato Trump quando disse che "era ferocemente contrario all'idea che Donald Trump fosse eletto e sosteneva che non doveva diventare presidente". Queste chiare prove, secondo il rapporto di Nunes, non vennero citate nella richiesta per ottenere tramite la legge Fisa l'autorizzazione a spiare (Carter) Page, capo consigliere in politica estera della campagna elettorale di Trump, sorvegliato dall'Fbi perchè aveva fatto numerosi viaggi in Russia nel 2016 e che veniva considerato il trait-d'union il Cremlino e Trump.

La centralità del presunto abuso di potere del ministero della Giustizia e dell'Fbi, secondo il rapporto è testimoniata dallo stesso ex numero 2 dell'Fbi, Andrew McCabe (dimessosi pochi giorni fa in polemica con Trump e i Repubblicani) che davanti la commissione Intelligence della Camera nel dicembre del 2017 affermò che "non sarebbe stato ottenuto alcuna autorizzazione all'intercettazione dalla Corte speciale (Fisc) senza il dossier raccolto da Steele".

Nè la richiesta iniziale alla Fisc dell'ottobre 2016 nè le successive hanno mai fatto riferimento al ruolo del Partito Democratico, della campagna di Clinton, o di altri nel aver finanziato il dossier di Steele. Non solo. La richiesta iniziale di poter procedere alle intercettazioni tramite la legge Fisa, sottolineava che Steele lavorava per conto di un cittadino americano ma senza citare il gruppo Fusion GPS (l'intermediario con Steele, ndr) nè Glenn Simpson (fondatore del gruppo)...malgrado all'epoca sia il ministero della Giustizia che l'Fbi sapessero che i democratici e Clinton avessero pagato Steele, che lavorava per conto ed in nome loro o che l'Fbi autorizzo un pagamento separato all'ex 007 britannico per le stesse informazioni.
 

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