Piazza Affari si prepara al test-elezioni
Da luglio, azioni e titoli di Stato italiani hanno mostrato rialzi mai visti - Il voto per le politiche potrebbe tuttavia interrompere la tendenza
Gli investitori internazionali s’aspettano una maggioranza che rispetti gli impegni con l’europa
Si è liberi di pensare che lo spread non «ci importi» e che sia «un imbroglio», come ha dichiarato Silvio Berlusconi, ma la realtà è purtroppo diversa. Dal picco del 25 novembre 2011, ossia poco prima delle dimissioni del precedente governo, il rendimento medio dei titoli di Stato italiani è sceso di circa 5 punti percentuali. Significa che da quel livello (di picco) il Tesoro risparmierebbe quasi 15 miliardi il primo anno e assai di più con il passare degli anni fino a un risparmio (teorico) di quasi 100 miliardi annui a regime: ossia quattro volte l’importo raccolto con l’Imu.
Certo il merito di tutto questo è più di Mario Draghi che di Mario Monti,
Piaccia o non piaccia, i mercati esercitano una "tirannia" economica e politica che è pressoché inevitabile in un sistema liberista, specie se si ha un debito collocato all’estero. E i mercati, i cui attori sono semmai più inclini al pensiero conservatore che a quello delle sinistre, nel loro pragmatismo diffidano delle politiche populiste: nella fattispecie, temono che dalle prossime elezioni possa crearsi una situazione di ingovernabilità o, peggio, che possa uscire vincente una coalizione di forze non in sintonia con le regole che l’Europa s’è data.
Per questo motivo l’attenzione degli investitori sta diventando dominante e potrebbe fra poco influenzare fortemente i mercati, se dai sondaggi dovessero arrivare indicazioni allarmanti. Se la simpatia per Monti è fin troppo scoperta tra gli investitori internazionali, la probabile vittoria del centrosinistra non è tuttavia considerata un fattore negativo, specie se dovesse comportare un’alleanza con le formazioni di centro.
E, come è avvenuto per le elezioni presidenziali americane, si sono già attivati i bookmaker.
L’inglese StanJames paga Berlusconi premier 7,5 volte la posta (era 5 prima di Natale), Monti 5,5 e Bersani 1,29, dandolo dunque quasi per certo.