Tassi, QE e carry trade (1 Viewer)

tontolina

Forumer storico
Dal gold standard al fiat standard
di Detlev Schlichter
Francesco Simoncelli's Freedonia: Dal gold standard al fiat standard

Integrare pienamente il denaro nell'ambiente economico si è dimostrata una sfida perenne per gli economisti. La maggior parte degli economisti del diciannovesimo secolo considerava il denaro come un velo che ricopre l'economia reale e che non interferisce con nessuna delle procedure economiche "reali" sottostanti. Il fatto che il denaro sia un mezzo di scambio e che alla fine le persone scambino beni e servizi per altri beni e servizi, con il denaro che semplicemente funge da intermediario, ha fornito una scusa per ignorare il denaro stesso come un fattore.

Uno scienziato sociale che tentò di rompere questo impasse fu l'economista austriaco Ludwig von Mises, il quale all'inizio del XX secolo fu il primo ad applicare la teoria del valore marginale all'analisi monetaria. Il suo libro, “Theory of Money and Credit” – pubblicato nel 1912, seconda edizione 1924 – divenne il testo fondamentale sull'argomento all'interno della Scuola Austriaca. Definisce ciò che viene chiamata la prospettiva "Austriaca".

Mises spiegò che qualsiasi espansione dell'offerta di moneta ha sempre un punto d'ingresso, dove il nuovo denaro viene iniettato nell'economia e da dove poi si diffonde attraverso una catena di transazioni. Ciò significa che alcuni prezzi aumentano prima di altri. Un'espansione dell'offerta di moneta non può mai far salire tutti i prezzi contemporaneamente, o con la stessa intensità.

Qualsiasi espansione dell'offerta di moneta cambia la ricchezza di specifici individui, o gruppi di individui. I primi destinatari del nuovo denaro possono spenderlo prima che si diffonda nell'economia più ampia e quindi prima che molti prezzi salgano. Pertanto i ricevitori primi ne beneficiano a spese dei destinatari successivi, i quali entrano in possesso del denaro ex novo solo alla fine di un certo numero di transazioni e dopo che esso ha perso parte del suo potere d'acquisto originario.

Ogni iniezione di denaro deve cambiare i prezzi relativi, la ricchezza e la distribuzione del reddito, e cambiare la direzione e la struttura dell'attività economica. In breve, il denaro non può mai essere neutrale. Dopo ogni espansione monetaria, l'economia non è la stessa di prima: prezzi più elevati e un PIL più grande. È, in molti modi, un'economia cambiata.

Vorrei enfatizzare la differenza con gli attuali dibattiti sulla politica monetaria, che spesso danno l'impressione che esista un legame diretto tra il denaro e il macro-aggregato del PIL e il livello dei prezzi, senza che tutto il resto ne possa essere influenzato. Ciò ha portato alla sfortunata idea che una politica di "denaro facile" riesca a sollevare tutte le barche contemporaneamente e allo stesso modo. Che questa sia una pericolosa semplificazione è un principio chiave della tesi Austriaca. A proposito, gli indici dei prezzi ora così popolari mascherano questi effetti e sono quindi misure inadeguate riguardo la gamma di conseguenze di eventuali cambiamenti nell'offerta di moneta.

Nell'economia di oggi la maggior parte del denaro viene creata dalle banche commerciali, ed è qui che Mises ha sviluppato la Teoria Austriaca del ciclo economico.

La caratteristica delle banche è che possono estendere il credito emettendo credito fiduciario che poi circola nell'economia più ampia come una forma di denaro. Se le banche sono disposte a ridurre i loro coefficienti di riserva, possono estendere i prestiti accreditando simultaneamente nuovi depositi sui conti dei mutuatari. Quindi le banche emettono nuovo denaro come sottoprodotto della loro attività di prestito.
Gli effetti di questo processo sono tassi d'interesse in discesa e l'aumento degli importi disponibili sul mercato dei prestiti. Questo a sua volta incoraggia ulteriori investimenti. Questi effetti sono gli stessi nel caso in cui la quantità di risparmi disponibili fosse aumentata, ma in realtà non ce n'è di più. I consumatori non hanno liberato risorse astenendosi dal consumo e non le hanno rese volontariamente disponibili per gli investimenti.

I tassi d'interesse artificialmente soppressi sono quindi segnali errati che ingannano gli imprenditori, i quali estendono la struttura del capitale ben oltre i risparmi disponibili. Come ha affermato Roger Garrison: gli investimenti finanziati dal risparmio portano ad una crescita stabile; gli investimenti finanziati dalla creazione di denaro portano al boom e al bust.
È importante riconoscere la funzione di una recessione nell'interpretazione Austriaca. Invece di vedere la recessione come un incidente o un'aberrazione, secondo la teoria Austriaca la recessione è un processo necessario, sebbene doloroso, con cui l'economia torna in equilibrio. Attraverso la recessione, l'economia si purifica dalle cattive allocazioni del capitale che si sono accumulate nel boom precedente alimentato dal credito facile. Se non si vuole avere una recessione, bisogna evitare il boom artificiale alimentato dal denaro facile. Una volta che s'innesca un boom artificiale basato sul credito facile, la correzione sarà inevitabile.

La linea di politica da seguire è semplice: o si limita la capacità delle banche di estendere il credito tramite la creazione di denaro – come in effetti è stato fatto in Gran Bretagna nel 1844 attraverso il Peel Act – o, se questo è ritenuto troppo draconiano, almeno non incoraggiare o sovvenzionare tale pratica. Non socializzare i rischi e le conseguenze.


Cercherò ora di dimostrare che, negli ultimi 100 anni fino ad oggi, gli sviluppi sono andati quasi costantemente nella direzione opposta. La nostra infrastruttura finanziaria si è spostata sempre di più verso valute sempre più elastiche, sovvenzioni sistematiche al settore bancario e progressiva cartellizzazione delle banche sotto il controllo di una banca centrale. Ciò non è accaduto perché la Scuola Austriaca è stata smentita (e non lo è stata), o perché la gente al potere ha ritenuto il keynesismo o il monetarismo più convincenti (credetemi, non lo sono).
La forza trainante dietro l'evoluzione del nostro sistema monetario è stata semplicemente l'antica speranza che la prosperità potesse in qualche modo essere potenziata stampando più denaro e reprimendo artificialmente i tassi d'interesse.

Il mio rapido excursus storico si concentrerà sugli Stati Uniti, ma sicuramente non avrete difficoltà ad identificare parallelismi a livello internazionale.

Prima del 1914 gli Stati Uniti avevano un gold standard e non avevano una banca centrale. Due precedenti tentativi di istituire una Banca degli Stati Uniti erano falliti miseramente. Ma nel 1914 fu inaugurato il Federal Reserve System, apparentemente come una rete di sicurezza sponsorizzata dal governo centrale contro le corse agli sportelli. Si supponeva che la FED avrebbe aggiunto una certa elasticità al gold standard, e questo era inteso a ridurre il rischio di corse agli sportelli. Naturalmente potevamo aspettarci due conseguenze:
  1. il boom del credito sarebbe durato più a lungo, perché non sarebbe stato risolto prontamente dall'offerta limitata di riserve auree;
  2. le banche, sapendo d'avere le spalle coperte da un istituto di credito finanziato dal governo centrale, avrebbero espanso di più i loro bilanci e creato più denaro.
Infatti dal 1914 al 1920 più di 1.700 nuove banche iniziarono ad operare in undici stati, e il totale dei mutui agricoli crebbe di oltre il 9% annuo tra il 1910 e il 1920. L'economia statunitense era, ovviamente, piuttosto diversa 100 anni fa. Il principale beneficiario del denaro facile ancora non era l'edilizia abitativa, ma l'agricoltura.

Ma la deriva dall'obiettivo originario iniziò presto. Il Federal Reserve Act prevedeva che le banche Federal Reserve "fornissero una moneta elastica per elargire i mezzi con cui riscontare il commercial paper [...]", ma nel 1917 la FED iniziò a fornire servizi di prestito in cambio dei titoli di guerra emessi dal governo.

Tra il 1922 e il 1928, la Federal Reserve permise il raddoppio del credito bancario nazionale.
La sponsorizzazione da parte dello stato non rende i boom del credito innocui. Secondo la Teoria Austriaca, gli squilibri accumulati in un ciclo prolungato alla fine diventano più grandi. Il boom potrebbe durare più a lungo; il bust finale sarebbe quindi solo più grave.

Il boom terminò, naturalmente, e per gli Stati Uniti e un certo numero di altri Paesi si concluse con una grave depressione economica.

Come spiega la Teoria Austriaca, la recessione era diventata un processo importante per riportare l'economia in equilibrio. Secondo l'analisi Austriaca non c'era alcuna alternativa razionale all'aggiustamento dei prezzi e alla liquidazione degli investimenti inadeguati. Questo non ha nulla a che fare con "l'azzardo morale". Non ha nulla a che fare con la punizione degli eccessi precedenti. È anche sbagliato suggerire che la Teoria Austriaca inciti la deflazione. La Scuola Austriaca sostiene semplicemente che il boom alimentato dal credito facile introduce necessariamente distorsioni nei prezzi e nell'allocazione del capitale. Queste sono le principali cause alla radice della recessione. L'economia può logicamente adattarsi e tornare all'equilibrio se i prezzi possono tornare a riflettere la nuova realtà. Ciò che lo stato non dovrebbe fare in nessuna circostanza è ostacolare le forze di mercato. Più velocemente l'economia può aggiustarsi alle nuove condizioni, più breve sarà la correzione.

Certo, ostacolare le forze di mercato è esattamente ciò che fece l'amministrazione Roosevelt, come ha fatto anche la maggior parte delle amministrazioni sin da allora; lo stato ha introdotto interventi nei mercati su una scala senza precedenti, con molte delle sue politiche mirate a sostenere i prezzi, compresi i salari. Quasi tutti gli interventi anti-crisi fino ad oggi sono di natura conservatrice: mirano a sostenere le strutture di prezzo e l'allocazione delle risorse esistenti, anche se queste vengono distorte dal boom precedente. Ostacolano quindi la liquidazione e il riequilibrio economico, e tendono a prolungare la recessione. Gli Austriaci non negano che tali politiche possano generare riprese temporanee, ma di solito non durano tanto. L'economia americana rimbalzò nel 1933, solo per tornare in profonda recessione nel 1937. Il verdetto è chiaro: fu il New Deal a porre l'aggettivo "Grande" nella Grande Depressione.

È importante sottolineare che il contesto istituzionale per la creazione di credito bancario venne allentato ulteriormente. Alle banche venne concessa la possibilità di andare in default sulle loro promesse ai depositanti: riscattare i depositi in oro. Praticamente potevano rimanere aperte senza preoccupazioni. Nel 1933 attraverso un ordine esecutivo, Roosevelt confiscò tutto l'oro privato negli Stati Uniti e vietò ai cittadini statunitensi di possedere il metallo giallo, un divieto che durò fino al 1974. Essendo già stato ferito mortalmente dalle politiche dei precedenti due decenni, il gold standard venne infine sotterrato, almeno sul piano nazionale.

A livello internazionale, tuttavia, l'oro era ancora considerato essenziale per la stabilità monetaria. Dopo la seconda guerra mondiale fu respinto il ritorno ad un gold standard classico. Invece venne messo in atto una sorta di gold standard annacquato: il sistema di Bretton Woods. Come tutti i precedenti gold standard, o quasi gold standard, anche questo entrava in collisione con il desiderio perenne di tenere bassi i tassi d'interesse, di tenere allentato il credito e di aumentare i deficit. Negli anni '60 l'abitudine di avere deficit di bilancio persistenti si era impadronita degli Stati Uniti e presto iniziò ad indebolire la fiducia nella volontà americana di mantenere una parità aurea con il dollaro sui mercati internazionali. Il 15 agosto 1971 si verificò un altro default di fatto, quando gli Stati Uniti si rimangiarono i propri impegni internazionali riguardo l'oro, ponendo così fine a Bretton Woods.

Val la pena di sottolineare che il nuovo sistema – o meglio il non-sistema – nato in quel momento, non rifletteva una teoria attentamente ponderata su un ordine monetario sostenibile; non era ampiamente sostenuto dagli economisti accademici. Nixon nel 1971, proprio come Roosevelt nel 1933, agì d'impulso e in risposta a ciò che percepiva come emergenze nazionali.

Dall'agosto del 1971 il mondo intero finì per avere, per la prima volta nella storia, uno standard cartaceo completamente scoperto. Oggi la produzione di moneta non è affatto limitata da un collegamento con una merce avente offerta limitata. Quindi era stato compiuto il passo finale verso un sistema monetario pienamente elastico: dal gold standard al fiat standard.

In base alla Teoria Austriaca, quali conseguenze avremmo dovuto aspettarci da tale organizzazione?
I boom possono ora essere ampliati ulteriormente. Certo, squilibri ed allocazioni errate di capitale possono ancora accumularsi, rendendo le recessioni occasionali ancora necessarie e inevitabili, ma le banche centrali ora non hanno più alcuna restrizione significativa nell'allentamento delle condizioni monetarie. Potrebbero quindi essere in grado di abbreviare le correzioni, di ostacolare il processo di pulizia e persino innescare un nuovo boom, prima che la recessione possa liquidare completamente le distorsioni del precedente boom. Sembra quindi ragionevole presumere che nel tempo si accumuleranno squilibri – come, ad esempio, bilanci bancari gonfi ed elevati livelli di debito. Di conseguenza la politica monetaria dovrà correre sempre più velocemente, per così dire, e dovrà diventare sempre più accomodante per contrastare le forze di liquidazione, e sarà sempre più difficile generare il prossimo boom artificiale. Ironia della sorte, poiché la linea di politica diventa sempre più spudoratamente accomodante, diventa anche meno efficace.

Diamo un'occhiata ad alcune delle cose che sono accadute dal 1971 e poniamoci la domanda: il mondo è diventato più stabile? Le prove ci dicono di no. Nel loro studio, This Times is Different, del 2011, Carmen Reinhard e Kenneth Rogoff – due economisti difficilmente riconducibili alla Scuola Austriaca – hanno dimostrato che dal 1971 il numero e l'intensità delle crisi bancarie in tutto il mondo è aumentato.
Abbiamo avuto la crisi latino-americana del debito negli anni '80,
la crisi messicana nel 1994 e la crisi asiatica del debito nel 1997.
I Paesi scandinavi hanno subito una grave crisi bancaria nei primi anni '90.
Il Giappone ha sperimentato una crescita fenomenale nel suo settore bancario negli anni '80, alimentata da un massiccio boom nel mercato immobiliare e azionario. Nel 1987 le dieci più grandi banche del mondo misurate per volume di depositi erano tutte giapponesi. Da quando il boom si è trasformato in bust nei primi anni '90, il Giappone ha faticato a riguadagnare una significativa crescita economica e il Paese è praticamente diventato un gigantesco banco di prova per prescrizioni monetarie di stampo keynesiano. Decenni di soppressione dei tassi d'interesse e di persistente deficit di bilancio – tutti in nome della reflazione e dello "stimolo della domanda aggregata" – hanno lasciato il Giappone con il più grande debito pubblico sul pianeta. Mi sono meravigliato che per 30 anni gli economisti keynesiani e monetaristi abbiano detto ai giapponesi che le loro politiche fossero giuste, che alla fine avrebbero funzionato – le autorità giapponesi devono semplicemente aumentare il dosaggio. Da una prospettiva Austriaca, queste politiche sono controproducenti.
 

tontolina

Forumer storico
La popolazione degli Stati Uniti ha beneficiato dal passaggio al denaro completamente elastico?
Non credo proprio. Negli Stati Uniti il tasso del risparmio personale ha raggiunto il picco del 13.3% nel 1971. I salari orari effettivi, ovvero i salari aggiustati all'inflazione, hanno raggiunto il picco nel 1972; da allora il salario orario medio è stato sostanzialmente piatto.

Naturalmente, come spiegato da Mises 100 anni fa, i primi ricevitori beneficiano del denaro appena iniettato a spese dei ricevitori successivi. Quindi alcune persone ne hanno beneficiato. Man mano che i nuovi soldi vengono canalizzati attraverso il sistema bancario e i mercati finanziari, è probabile che coloro che possiedono asset finanziari o immobiliari, o che lavorano in settori correlati, si siano ritrovati ragionevoli risultati positivi. Val la pena di stare vicino al rubinetto monetario.

Che dire dell'ipotesi secondo cui il sistema si deteriora progressivamente e che le banche centrali debbano diventare sempre più interventiste per raggiungere i loro obiettivi? Le prove potrebbero essere aneddotiche, ma penso che siano ovunque.
Quando la crisi asiatica e il default della Russia innescarono il crollo dell'hedge fund LTCM nel 1998, la FED tagliò i tassi per evitare la minaccia del deleveraging. I mercati azionari e del credito salirono rapidamente – e nacque la cosiddetta "Greenspan put". Investitori e trader appresero che la banca centrale copriva loro le spalle. Sempre più spesso ormai la banca centrale non poteva più permettersi di non farlo.

Dopo lo scoppio della bolla del NASDAQ nel 2000 e nel periodo in cui Enron e Worldcom andarono in bancarotta nel 2002, la FED ha portato all'1% il tasso Fed Funds e l'ha lasciato così per più di tre anni. La politica ultra-allentata della FED in quegli anni è stata determinante nel gonfiare la gigantesca bolla immobiliare che è scoppiata nel 2007 e che ha dato il via alla crisi finanziaria globale del 2008. Dopo tre round di quantitative easing e oltre 7 anni di tassi d'interesse a zero, la FED ha iniziato un processo di "normalizzazione". In una conferenza qui a Londra, solo due settimane fa, Janet Yellen ha detto che non crede che vedremo un'altra crisi finanziaria nella nostra vita. Spero che la Yellen abbia una vita lunga e sana, soprattutto per vedere come si sbagliasse.

Credo che vedremo più crisi in un futuro non troppo lontano e credo che non avverrà una significativa "normalizzazione". Se il "denaro facile" ha sottoscritto la ripresa, com'era nelle intenzioni delle banche centrali, allora lo ha fatto introducendo nuove allocazioni errate nell'economia e seminando così i semi della prossima recessione. Questo è quanto afferma la Teoria Austriaca e si lega bene a ciò che abbiamo visto nei mercati negli ultimi 30 anni. Il sistema è diventato sempre più dipendente dal supporto della politica monetaria e qualsiasi rimozione di tale supporto ha portato a sintomi di astinenza progressivamente peggiori.
Purtroppo ci siamo allontanati progressivamente dai principi di libero mercato nel campo monetario. 100 anni fa, con un gold standard, i banchieri si trovavano di fronte ad un rischio più pressante di bancarotta, ma le banche erano ancora imprese capitaliste. I banchieri dovevano soppesare il profitto di un'estensione del bilancio col rischio di perdere la fiducia dei loro depositanti. È importante sottolineare che i banchieri erano ancora responsabili nei confronti dei loro depositanti. 100 anni dopo, sulla scia di un'estesa regolamentazione bancaria e un'assicurazione sui depositi gestita dal governo centrale, e ora con il supporto di una banca centrale che utilizza le banche commerciali come canale per le sue politiche macroeconomiche, le banche commerciali non prestano quasi più attenzione al consumatore e ora rispondono ai loro regolatori e alla banca centrale.

Anche la banca centrale è cambiata radicalmente. Ricordate, la FED venne fondata per "fornire una moneta elastica per elargire i mezzi con cui riscontare il commercial paper [...]", ma sin da allora è diventata il più grande acquirente e proprietario di titoli di stato statunitensi e un massiccio investitore in titoli garantiti da ipoteca. Negli anni '50 la FED continuava a concentrare le sue operazioni di mercato aperto sul lato corto della curva dei rendimenti, in modo da non influenzare i prezzi delle obbligazioni con scadenze più lunghe. Con l'Operation Twist del 2011, la FED ha assunto il compito di modellare la forma della curva dei rendimenti. Altre banche centrali hanno compiuto i passi successivi: la BCE e la Banca d'Inghilterra acquistano obbligazioni societarie con l'obiettivo di gestire gli spread creditizi; la Banca del Giappone e la Banca Nazionale Svizzera acquistano titoli azionari e fondi comuni d'investimento nel settore immobiliare. E lo scorso anno, la Banca del Giappone è stata la prima banca centrale, per quanto ne so, ad annunciare un obiettivo specifico per i rendimenti decennali sul debito pubblico. (Perché non annunciare anche un target per il mercato azionario?) James Grant ha definito questo sistema il Phd-standard: piuttosto che basarsi su regole rigide, il sistema ripone tutta la sua fiducia nell'abilità degli economisti che ora gestiscono le grandi banche centrali e nelle teorie che attualmente sottoscrivono.

Dal punto di vista Austriaco, è improbabile che questi sviluppi determinino stabilità e crescita sostenibile. Ma tutto ciò che possiamo fare, rappresentando l'opinione della minoranza, è di incoraggiare un ripensamento su quale dovrebbe essere il corretto ruolo della banca centrale nell'economia moderna.



Francesco Simoncelli's Freedonia: Dal gold standard al fiat standard

[*] traduzione di Francesco Simoncelli: Francesco Simoncelli's Freedonia
 

tontolina

Forumer storico
ECONOMIA
Vi spiego le vere novità decise dalla Bce

di Anna Grimaldi
Vi spiego le vere novità decise dalla Bce

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Che cosa cambia dopo gli annunci di Mario Draghi della Bce? Il commento di Anna Maria Grimaldi, senior economist della direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo, sulle decisioni della Bce

La Bce all’unanimità ha deciso di sorprendere i mercati per contrastare “la pervasiva incertezza” che circonda uno scenario di crescita ben più debole delle attese della stessa Bce di dicembre scorso.

Il Consiglio, sulla base dei dati sinora disponibili, e preso atto delle revisioni al ribasso delle stime di crescita e inflazione, ha deciso di spostare in avanti a fine 2019 la data in cui i tassi resteranno sui livelli attuali riducendo, quindi, il gap con le attese di mercato.

La decisione sulla guidance è una sorpresa dal momento che le attese erano perché questa fosse confermata nella formulazione precedente ovvero di tassi fermi fin dopo l’estate 2019. Molti membri del Consiglio hanno suggerito di spostare la data della forward guidance fino a marzo 2020 per ridurre ulteriormente il gap con la strip EONIA, ma alla fine si è deciso che le informazioni dai dati non giustificavano un ulteriore slittamento.

Durante la conferenza stampa è emerso che la Bce non ha discusso misure per mitigare l’impatto dei tassi negativi sulla redditività del sistema bancario dal momento che per ora l’evidenza complessiva del regime resta positiva. La vera sorpresa riguarda le misure di sostegno al credito.

La Bce ha annunciato che nuove operazioni di rifinanziamento ciascuna con la durata di due anni saranno condotte con cadenza trimestrale tra settembre 2019 e marzo 2021 per complessive 7 nuove aste. Le attese erano per indicazioni e impegno di massima a lanciare nuove misure di credit easing ma la decisione di introdurre ben 7 nuove aste è inaspettata, anche perché più membri del Comitato esecutivo avevano indicato che marzo era troppo presto per annunci in merito.

Le operazioni saranno condotte al Refi prevalente nella vita della operazione e non al tasso sui depositi, dunque a condizioni di costo meno generose rispetto alle TLTRO II ma in ogni caso per alcuni parti del sistema più vantaggiose rispetto al funding sul mercato.

Le nuove operazioni saranno condotte a partire da settembre e non da giugno 2019 come molti si aspettavano in modo da evitare un impatto rilevante sul NSFR. Draghi ha specificato che la ratio delle operazioni è quella di alleviare i problemi di funding a medio periodo delle banche europee, e quindi, eventuali effetti sull’erogazione di nuovi prestiti, senza interferire con il lavoro regolamentare.


Le caratteristiche delle operazioni TLTRO III sono simili a quelle delle TLTRO II dal momento che:

1) Le banche potranno prendere a prestito fino al 30% dello stock di impieghi eleggibili al 28 febbraio 2019 (prestiti alle imprese e prestiti alle famiglie esclusi i mutui).

2) Le operazioni incorporeranno incentivi al fine di preservare condizioni creditizie favorevoli. Informazioni più precise sui termini delle TLTRO III saranno comunicate prossimamente La Bce ha inoltre deciso di estendere l’assegnazione piena fino a marzo 2021. Un nuovo programma di acquisto non è stato discusso alla riunione di marzo.

La necessità di imprimere un forte impulso ai mercati e alle condizioni finanziarie è giustificata dalla revisione al ribasso alle stime di crescita e inflazione 2019- 2021 headline e core (vedi tabella sotto) e dal fatto del tutto inusuale che il Consiglio ha mantenuto una valutazione dei rischi verso il basso anche dopo la revisione ciò riflette l’elevato grado di incertezza derivanti da fattori esterni e come tale non facilmente quantificabile né contrastabile.

La principale fonte di incertezza è l’entità e la durata del rallentamento del commercio internazionale dal momento che i fattori idiosincratici interni sembrano in parte rientrati. L’atro elemento di rischio è l’esito dei negoziati su Brexit che potrebbe aver pesato in modo decisivo sulle decisioni odierne. Draghi colpisce ancora e sorprende con un pacchetto che va ben oltre le attese.

Basterà a consolidare una fase di crescita ancora debole e soprattutto a riportare l’inflazione verso il target? Il futuro della politica monetaria dopo Draghi non è banale.

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tontolina

Forumer storico
Perchè negli USA la FED ha avuto un po’ più di successo rispetto alla BCE in Europa?
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L’annuncio del TLTRO da parte della BCE non ha colto di sorpresa gli operatori, perchè la situazione degli istituti di credito europei è opaca e non promette nulla di buono.

Il problema è che le politiche di risoluzioni delle crisi bancarie nel vecchio contenente non sembrano aver avuto l’efficacia di quelle d’oltre oceano, che, pure, partivano da una condizione di base peggiore dopo in fallimento di Lehmann Brothers. Eppure le quotazioni di borsa sono molto più premianti negli USA

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Rispetto ai valori di borsa del 2007 le banche europee sono cresciute solo del 40% mentre quelle USA del 320%. questo in parte è dovuto alle diverse condizioni ambientali, perchè non può esserci un settore creditizio sano senza un’economia sana, ma anche dalle diverse politiche di soluzione della crisi finanziaria intraprese da FED e BCE.

Prima di tutto la FED fu molto più rapida nell’applicazione della politica dei tassi di interesse espansiva, pur non spingendosi in territorio negativo. In questo modo la FED diede subito alle banche possibilità di rifinanziarsi, senza però punire con i tassi overnight sotto lo zero le banche che avevano un eccesso di liquidità. Un tasso negativo non aiuta il sistema bancario che cercherà solo di aggirarlo in ogni modo . La BCE impiegò 7 anni per arrivare al proprio minimo dei tassi, un tempo molto lungo. Questo è visibile nel seguente grafico.

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Quella “Gobbetta” nel 2011 fu un incentivo alla crisi del debito in europa di cui, sinceramente, si sarebbe fatto volentieri a meno.

Anche nel contenuto delle azioni le due banche hanno differito in modo molto sensibile. La FED nelle proprie operazioni di rifinanziamento del sistema non si è fatta nessun problema a comprare non solo titoli di stato in mano alle banche, ma anche carte commerciali, mutui cartolarizzati e azioni bancarie il tutto sotto il Troubled Asset Relief Program per 400 miliardi di dollai. Ci fu un momento in cui, scherzando, si diceva che se una banca avesse presentato un conto della spesa , la FED avrebbe comprato anche questo. Questo portò ad una ricapitalizzazione forzata del sistema creditizio americano, riportandolo rapidamente in bonis. La BCE, per vincoli statutari, on poteva compiere un’operazione del genere, non poteva ricapitalizzare direttamente le banche cancellando gli NPL, quindi si è limitata, con il QE a comprare titoli di stato, di enti parastatali o di grandi società. Mentre i titoli pubblici sono stati pari solo al 40% delle operazioni della FED sono state l’85% di quelle della BCE, ma questo non ha eliminato i problemi di capitalizzazione legati agli NPL; che sono rimasti a zavorrare il sistema.

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Inoltre l’azione della FED è stata coerente e decisa, mentre quella della BCE è sempre appaarsa, ed appare ora, politicamente segnata. Ashoka Modi ha già notato come l’azione della BCE sia meno credibile dal punto di vista espansivo e quindi non riesca a convincere i mercati.

Chiaramente non è un problema di comprensione e conoscenza degli strumenti monetari, ma di regole e di composizione del board. Pensare che la BCE, anche in via temporanea, intervenga dei capitali delle banche appare fuori dal pensabile in Europa, eppure questo sarebbe lo strumento meno costoso per la collettività, e più immediato, di risoluzione delle crisi bancarie. Purtroppo la costruzione della banca centrale del vecchio continente, fatta a tavolino e frutto di un compromesso politico, si è rivelata troppo rigida per poter essere funzionale.
 

tontolina

Forumer storico
FINANZA/ La nuova tattica di Fed e Bce per ritardare la crisi
21.07.2019 - Ugo Bertone
FINANZA/ La nuova tattica di Fed e Bce per ritardare la crisi

La Bce e la Fed sembrano pronte ad adottare nuove politiche accomodanti, che porteranno a far crescere il debito


Diceva una volta un banchiere centrale degli anni Cinquanta, ricorda il professore Marco Onado, che il segreto della politica monetaria era portare via l’alcol prima che i partecipanti alla festa diventassero troppo brilli. È quello che fece all’inizio degli anni Ottanta Paul Volcker, che riuscì a debellare l’inflazione, cioè a porre fine alla trappola di inflazione con bassa crescita del decennio precedente. Da allora, a poco a poco, i banchieri centrali hanno lasciato sempre un po’ più a lungo gli alcolici sul tavolo, fino al dilemma attuale: lasciare impazzare ancora la festa dei mercati o richiamare tutti di colpo alla dura realtà?

È scontato che, sotto il forcing di Donald Trump, la Fed sceglierà la strada dell’ammorbidimento monetario. In linea con quanto farà la Bce. E non solo. Prima delle decisioni di Bce e Fed i mercati hanno già registrato nell’ultima settimana i tagli decisi dalle autorità monetarie di Corea del Sud, Indonesia e Sud Africa. Prima in primavera a muoversi erano state le banche centrali di Nuova Zelanda, India, Malaysia e Filippine. Facile prevedere che, dopo gli interventi delle due istituzioni più importanti, presto potrebbe muoversi anche la Bank of England, seppur paralizzata dalle tensioni sul futuro della Brexit. Né va trascurata, ovviamente, la serie di interventi espansivi (e sul cambio dello yuan) che hanno caratterizzato la politica monetaria cinese sotto la pressione dell’offensiva di Donald Trump sui dazi.

L’allentamento della politica monetaria si accompagna all’aumento del debito, altro dato che caratterizza le economie, sia quelle avanzate che quelle ormai impropriamente definite emergenti come la stessa Cina. L’aumento del debito è sempre più connesso alla crescita. Un po’ ovunque, a partire dagli Usa, dove il debito pubblico l’anno scorso è cresciuto del 6%.

Niente di drammatico, almeno fino a quando il rendimento marginale dei capitali presi in prestito non scende sotto certi livelli. A quel punto sarà necessario sempre più debito per creare un’unità di Pil. Di qui la prospettiva, ormai dibattuta in sede Ue, di rivedere il target dell’inflazione nell’Eurozona (vicino al 2%), punto di riferimento delle politiche monetarie per adottare un target di inflazione che possa sconfiggere la stagnazione secolare che caratterizza la situazione odierna.

Una mossa del genere, senza troppa pubblicità, è stata al centro di un recente incontro della Federal Reserve in cui si è discussa proprio l’adozione di un nuovo obiettivo di inflazione: non più un obiettivo annuale, da tempo il 2%, ma un obiettivo medio di lungo periodo, sempre del 2%. La differenza? Nel primo caso ogni anno si ricomincia da capo e, se l’anno precedente l’inflazione è stata, poniamo, dell’1,5%, l’anno seguente avrà comunque il 2% come obiettivo. Nel secondo caso, invece, se nei dieci anni precedenti l’inflazione effettiva è stata dell’1,5%, nei prossimi dieci, per compensare, dovrà essere del 2,5%. Facile che il nuovo sistema venga adottato nel 2020, in sintonia con una decisione simile da parte della Bce affidata a Christine Lagarde.

Insomma, si cercano modi per alzare l’obiettivo di inflazione (o la tolleranza verso l’inflazione) senza dire di farlo. E le banche centrali obbediscono, strette come sono dalle richieste dei governi in attesa che la prossima crisi finanziaria non spezzi il gioco che, tra l’altro, fa affluire fiumi di ricchezza sui mercati finanziari. A meno che qualcuno non abbia, prima o poi, il coraggio di ritirare la bottiglia dal tavolo.
 

tontolina

Forumer storico
La dedollarizzazione dell’impero finanziario americano
di Michael Hudson
11.07.2019

Abbiamo tradotto per voi questa interessantissima intervista all’economista americano Michael Hudson.
Nonostante la lunghezza, ne consigliamo la lettura, in quanto ci aiuta a comprendere in modo molto chiaro come l’uso del dollaro e dei bond americani nel mondo sia determinante per la politica internazionale attuale e dei prossimi decenni.
Buona lettura.



L’imperialismo è il conseguimento di qualcosa in cambio di niente. E’ una strategia per ottenere il surplus di altri paesi senza svolgere attività produttive, ma creando un sistema di rendita estrattivo. Un potere imperialista obbliga altri paesi a pagare un tributo. Ovvio, l’America non dice apertamente agli altri paesi “dovete pagarci un tributo”, come facevano gli imperatori Romani con le province che governavano.
I diplomatici statunitensi insistono semplicemente sul fatto che altri paesi investano gli utili della loro bilancia dei pagamenti e le riserve ufficiali della loro banca centrale in dollari americani, in particolare in titoli del Tesoro americano. Questo sistema di utilizzo dei buoni del tesoro americani trasforma il sistema monetario e finanziario globale in un sistema tributario in favore degli USA. E’ questo che consente agli USA di pagare i costi delle spese militari, incluse le 800 basi militari dislocate in tutto il mondo.


Sono Bonnie Faulkner, oggi su Guns and Butter, dottor Michael Hudson.

Il tema di oggi è la dedollarizzazione dell’impero finanziario americano.
Il dottor Hudson è un economista finanziario e anche uno storico.
E’ presidente dell’Institute for the Study of Long-Term Economic Trend [Studio delle tendenze economiche a lungo termine], è analista finanziario a Wall Street e distinto professore di economia presso l’Università del Missouri, a Kansas City.
Fra i suoi libri più recenti troviamo: And Forgive Them Their Debts…Lending [E perdona I loro debiti.., prestando], Foreclosure and Redemption from Bronze Age Finance and Jubilee Year [Preclusione e riscatto dalla finanza dall’età del bronzo al Giubileo], Killing the Host: How Financial Parasites and Debt Destroy the Global Economy [Uccidere l’ospite, come i parassiti della finanza e il debito distruggono l’economia globale]; e J is for Junk Economics: A Guide to Reality in an Age of Deception [J come “junk economy” (economia spazzatura), una guida alla realtà in un’era dell’inganno].

Torniamo oggi su una discussione dell’importante libro del 1972 del dottor Hudson, Super Imperialism: The Economic Strategy of American Empire [Super imperialismo: la strategia economica dell’impero americano], una critica del modo in cui gli Stati Uniti sfruttano le economie straniere attraverso il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale.
Discutiamo di come gli Stati Uniti hanno dominato economicamente il mondo, sia operando come più il grande creditore, sia in seguito operando come il maggior debitore, dando infine uno sguardo all’imminente declino del dominio del dollaro.

Bonnie Faulkner: Michael Hudson, bentornato.

Michael Hudson: Bello essere di nuovo qui, Bonnie.

B.F.: Perché il presidente Trump insiste a chiedere che la Federal Reserve abbassi i tassi di interesse? Pensavo fossero già molto bassi. E se scendessero ancora, quale sarebbe l’effetto?

M.H.: I tassi di interesse sono storicamente bassi e sono stati mantenuti bassi per cercare di continuare a fornire denaro a basso costo agli speculatori, per loro comperare azioni e obbligazioni e ottenere guadagni di arbitraggio. Gli speculatori possono prendere in prestito a un basso tasso di interesse per comperare un’azione che offrono dei dividendi (facendo anche guadagni sul capitale) ad un tasso di rendimento più elevato o acquistando obbligazioni tipo le obbligazioni-spazzatura che pagano interessi più alti, tenendosi la differenza. In breve, i bassi tassi di interesse sono una forma di ingegneria finanziaria.

Trump vuole che i tassi di interesse rimangano bassi per gonfiare ancora di più il mercato immobiliare e quello azionario, come se fosse un indice di economia reale, e non solo il settore finanziario che è avvolto intorno all’economia della produzione e del consumo. Al di là di questa preoccupazione interna, Trump immagina che se si tengono i tassi di interesse più bassi di quelli europei, il tasso di cambio del dollaro subirà una diminuzione. Pensa che ciò renderà le esportazioni USA più competitive rispetto ai prodotti stranieri.
Trump sta criticando la Federal Reserve per non aver mantenuto i tassi di interesse ancora più bassi di quelli dell’Europa. Pensa che se i tassi sono bassi, ci sarà un deflusso di capitali dagli USA per comprare azioni e obbligazioni straniere che pagano un tasso di interesse più alto. Questo deflusso finanziario ridurrà il tasso di cambio del dollaro. Ritiene che ciò aumenterà la possibilità di ricostruire le esportazioni manifatturiere americane.

Questo è il grande errore di calcolo dei neoliberisti. Ed è anche la base dei modelli economici del Fondo Monetario Internazionale.
Siccome i bassi tassi di interesse ridurranno il tasso di cambio del dollaro, aumentando i prezzi delle importazioni, l’idea guida di Trump è che abbassando il valore del dollaro si ridurrà il costo del lavoro per i datori di lavoro.
Questo è quello che accade quando si svaluta una moneta.
La svalutazione non riduce i costi che hanno un prezzo comune in tutto il mondo. C’è un prezzo comune per il petrolio in tutto il mondo, un prezzo comune per le materie prime, e praticamente un prezzo comune per il credito e i capitali. Quindi la cosa che viene principalmente svalutata quando si spinge verso il basso una valuta sono il prezzo e le condizioni di lavoro. I lavoratori vengono schiacciati quando precipita il tasso di cambio di una valuta, poiché devono pagare di più per le merci che importano. E il dollaro scende giù rispetto allo yen cinese o all’euro, le importazioni cinesi costeranno di più in dollari, stessa cosa per quelle europee. Questa è la logica dietro alle svalutazioni del tipo “impoverisci il nemico”. Quanto di più costeranno le importazioni straniere dipende da quanto scende il dollaro. Ma anche se calasse del 50%, anche se dovesse diventare una valuta spazzatura, come quelle argentine e latino americane, questo non potrà mai far crescere realmente le esportazioni manifatturiere americane. Perché molta della forza lavoro americana non lavora più nelle fabbriche. I lavoratori guidano taxi e lavorano nel settore dei servizi o per le compagnie di assicurazione sanitaria. Anche se si fornissero tutti gli abiti e cibo gratis ai lavoratori americani delle aziende manifatturiere, non potrebbero comunque competere con i paesi stranieri, perché il costo dei loro alloggi, dell’assicurazione sanitaria e delle loro tasse è così alto che sono fuori dai mercati mondiali. Quindi non sarà di grande aiuto se il dollaro scende dell’1%, 10% o anche del 20%. Se non hai fabbriche attive e non si dispone di un sistema di trasporto, di alimentazione elettrica, e se i nostri servizi pubblici e infrastrutture vengono trascurati, non c’è nulla che la manipolazione della valuta possa fare per consentire all’America di ricostruire rapidamente le sue fabbriche da esportazione.

Le case madri americane hanno già trasferito le loro fabbriche all’estero. Hanno rinunciato all’America. Fino a quando Trump o i suoi successori si asterranno dal cambiare quel sistema (ovvero: fino a quando darà vantaggi fiscali che fanno delocalizzare all’estero le società) non c’è niente che possa fare per riportare qui l’industria. Ma ha adottato l’economia-spazzatura del Fondo Monetario Internazionale, il discorso neoliberista dato a bere all’America Latina sostenendo che se un paese abbassa il semplicemente tasso di cambio, sarà in grado di abbassare i salari e gli standard di vita, pagando la manodopera meno in termini valutari fino a quando a un certo punto, quando povertà e austerità raggiungeranno livelli critici, diventerà più competitivo. Questo non funziona da 50 anni in America Latina. Non ha funzionato in altri paesi e nemmeno negli Stati Uniti.

La Scuola Americana di economia politica del XIX secolo sviluppò la dottrina dell’economia degli alti salari.
Parlo di questo nel mio libro sul decollo protezionista americano: 1815-1914. In quel modello si riconosceva che se si paga di più la manodopera, essa è più produttiva, può permettersi un’istruzione migliore e lavorare meglio. Ecco perché la manodopera ad alto salario elevato può sottostimare quella ‘povera’ a basso salario. Trump è dunque indietro di un secolo nel far sua l’idea di austerità del FMI, secondo la quale basta svalutare la moneta e ridurre salari e standard di vita in termini internazionali per rendere l’economia più redditizia e in qualche modo “liberarti dal debito”.
Ciò che il deprezzamento valutario fa quando il dollaro viene svalutato è quello di consentire alle imprese di Wall Street di prendere in prestito l’1% e di comprare valute e obbligazioni europee che rendono il 3, il 4 o il 5%, o pacchetti azionari che rendono ancora di più.
L’idea guida è di fare quello che fece il Giappone nel 1990: avere tassi di interesse molto bassi per aumentare quello che viene chiamato il carry trade”. “Carry trade significa ottenere denaro a basso prezzo e comprare obbligazioni che rendono un tasso più elevato, realizzando così un guadagno di arbitraggio sul differenziale tra i tassi di interesse. Quindi Trump sta creando opportunità di arbitraggio per gli investitori di Wall Street. Finge che questa operazione sia a favore del lavoro e che serva a ricostituire il sistema produttivo, ma invece aiuta solo a svuotare l’economia statunitense, facendo pervenire denaro ad altri paesi per renderli più forti, piuttosto che investire su noi stessi. Pertanto l’effetto di ciò che fa Trump sarà l’opposto di quello che lui dice di fare.


B.F.: Esattamente. Qual è lo scopo di veicolare gli investimenti in paesi stranieri, lontano dagli Stati Uniti?

M.H.: Se sei un investitore, puoi fare più soldi smantellando l’economia americana. Puoi prendere in prestito all’1% e acquistare un titolo o azioni che producono il 3-4%. Questo si chiama arbitraggio. E’ un “pasto gratis” finanziario. L’effetto di questo “pasto gratis”, come dice lei, è di rafforzare economie straniere o almeno i loro mercati finanziari e allo stesso tempo danneggiare il tuo. La finanza è cosmopolita, non patriottica. Non gli importa dove si fanno soldi. La finanza va dove il tasso di rendimento è più alto. Questa è la dinamica che ha deindustrializzato gli Stati Uniti negli ultimi 40 anni.

B.F.: Da quello che sta dicendo, sembra che le politiche di Trump portino a fare agli Stati Uniti quello che l’FMI e la Banca Mondiale hanno tradizionalmente fatto alle economie straniere.

M.H.: Questo è quello che succede quando svaluti. Il settore finanziario vedrà che i tassi di interesse stanno scendendo, così anche il tasso di cambio del dollaro diminuirà. Gli investitori trasferiranno il loro denaro (o prenderanno prestiti) in euro, in oro, in yen giapponesi o in franchi svizzeri, il cui tasso di cambio dovrebbe salire. Così si sta offrendo un arbitraggio finanziario e un guadagno di capitale agli investitori che speculano in valute estere. Stai anche svuotando l’economia e comprimendo i livelli di salario e gli standard di vita reali.

Perché la svalutazione non aiuterà a reindustrializzare l’economia americana
B.F.: Crede che Donald Trump capisca quello che sta facendo?

M.H.: Non credo. Penso che abbia una visione iper-semplificata di come funziona il mondo. Ritiene che se svalutiamo il dollaro possiamo vendere a prezzi inferiori rispetto alla Cina ed all’Europa. Ma questo puoi farlo solo se disponi di fabbriche di automobili. Se non possiedi fabbriche, non sarai in grado di vendere a costo più basso di costruttori di auto stranieri, indipendentemente da quanto il valore del dollaro scenda. E se non hai un complesso di fabbriche manifatturiere di computer e di fornitori locali già presenti negli Stati Uniti, non avrai la capacità di produzione per vendere a prezzi inferiori alla Cina.

Soprattutto, c’è bisogno di infrastrutture pubbliche e di alloggi a prezzi accessibili, di istruzione e di assistenza sanitaria. Quindi la visione di Trump è una fantasia. E’ come dire che “se avessimo un po’ di prosciutto, potremmo avere un po’ di prosciutto con le uova, se avessimo anche delle uova”. Le cause della de-industrializzazione americane non vengono prese in considerazione. Se avessimo dei disoccupati ex produttori di auto, di computer e di altro, fabbriche che fossero inattive in un’economia piuttosto competitiva, allora la svalutazione potrebbe avere un senso. Ma gli americani sono tutt’altro che competitivi. I costi per gli alloggi, i costi per l’assicurazione medica e sanitaria, le imposte e le trattenute sui salari e i prezzi per le infrastrutture di base sono così alti che non c’è modo di competere con i paesi stranieri semplicemente con la manipolazione valutaria.
A partire dal 1980 l’economia americana è stata è diventata molto costosa.

C’è stato inoltre anche un forte aumento della pressione sui redditi da lavoro, a causa dell’aumento dei prezzi sui bisogni di prima necessità. Anche se i salari aumentano, la gente non può più permettersi di vivere come viveva 30 anni fa. E’ necessaria una riforma radicale per ripristinare un’economia di tipo industriale e a piena occupazione. Bisogna de-privatizzare, spezzare i monopoli. Serve una economia e di riforma economica come quella che l’America aveva sotto Franklin Roosvelt negli anni 1930. Ma non credo che questo accadrà.

B.F.: Crede che Donald Trump sia stato piazzato lì come presidente degli Stati Uniti per sovrintendere alla loro bancarotta e allo smantellamento dell’impero?

M.H.: Nessuno lo ha “piazzato lì”; ci si è messo da solo. Non credo che la maggioranza delle persone si aspettasse la sua vittoria. Se si guarda alle probabilità che i bookmaker e gli oddsmaker davano al suo successo nel momento in cui annunciò la sua candidatura, la maggioranza pensava che l’assonnato Jeb Bush avrebbe ottenuto la nomina e che questi avrebbe poi perso contro Hillary Clinton. Quindi ci furono in realtà tentativi di piazzare la Clinton o Bush. Ma non Trump. E’ riuscito a superarli con la schiettezza, l’umorismo e la celebrità.
Non aveva consiglieri a cui avrebbe dato ascolto, perché è sempre stato un one-man show. E lui davvero non sa cosa sta facendo a livello economico. Sa imbrogliare le persone, vittimizzare i fornitori e come fare soldi nel settore immobiliare semplicemente non pagando i fornitori e prendendo denaro in prestito dalla banche senza restituirlo. Ma non capisce che non si può portare avanti l’economia del paese in questo modo. Essere un “mafioso” del settore immobiliare non è esattamente la stessa cosa di gestire un’intera economia. Trump non ne ha idea e non penso che qualcuno sappia come controllarlo, tranne forse Fox News.


Wall Street contro l’economia “reale”: cos’è davvero più reale?
B.F.: Cosa sta succedendo alla classe dominante negli Stati Uniti? Qualcuno all’interno dei suoi ranghi sa come gestire l’economia di un paese?

M.H.: Il problema è che gestire un’economia, per aiutare le persone e migliorare lo standard di vita e anche per abbassare il costo della vita e fare affari nell’economia reale, significa non gestirla per aiutare Wall Street. Se qualcuno sa come amministrare l’economia, il settore finanziario vorrà tenerlo ben al di fuori da qualsiasi ufficio pubblico. L’alta finanza ragiona a breve termine, non a lungo termine. Fa il gioco del “mordi e fuggi”, non svolge il compito molto più arduo di creare un quadro adatto ad una reale crescita economica.
E’ possibile solo fare una delle due cose: dare una mano all’economia del lavoro o aiutare Wall Street. Se gestire l’economia significa aiutare la forza lavoro e migliorare gli standard di vita fornendo migliori cure mediche, questo avverrà a scapito del settore finanziario e degli utili aziendali a breve termine. Quindi per loro l’ultima cosa che si debba fare è avere qualcuno che faccia girare l’economia per la prosperità della stessa e non con lo scopo di aiutare Wall Street.

La questione è chi pianificherà questo cambiamento. Saranno funzionari pubblici eletti nel governo o sarà Wall Street? L’ufficio di pubbliche relazioni di Wall Street è l’università di Chicago. Essa afferma che un libero mercato è quello in cui i ricchi investitori di Wall Street e la sua classe finanziaria governano l’economia. Ma se si lasciano votare le persone e democraticamente eleggere i governi per scrivere delle regole, questo viene chiamato “interferenza” nel libero mercato.
Questa è la battaglia che Trump combatte con la Cina.
Dice che la Cina si è arricchita negli ultimi 50 anni con mezzi sleali, con aiuti governativi e imprese pubbliche. In effetti, vuole che i cinesi siano minacciati e insicuri quanto i lavoratori americani. Dovrebbero sbarazzarsi dei loro mezzi pubblici, dei loro sussidi. Dovrebbero lasciare che molte delle loro aziende fallissero così da poter essere acquisite dagli americani. Dovrebbero avere lo stesso tipo di “libero mercato” che ha massacrato l’economia americana.
La Cina non desidera quel tipo di mercato libero, ovviamente. Ha un’economia di mercato. In realtà è molto simile agli Stati Uniti nel loro decollo industriale del XIX secolo, grazie ad importanti aiuti governativi.

 

tontolina

Forumer storico
Il cambio di strategia monetaria: dal surplus della bilancia dei pagamenti al deficit

B.F.: Nella sua opera magistrale del 1972, Super Imperialism: The Economic Strategy of American Empire lei scrive: “
Se il dominio degli Stati Uniti sull’economia mondiale dal 1920 al 1960 derivava dalla loro posizione di creditori, il controllo a partire dagli anni 1960 deriva dalla posizione di debitori. Non solo sono cambiate le carte in tavola, ma i diplomatici statunitensi si sono resi conto che la loro influenza
come principale economia debitrice al mondo è forte quanto quella che precedentemente aveva riflesso la posizione di creditori netti”. Questo concetto sembra contro-intuitivo. Potrebbe spiegarlo meglio? Iniziamo dal 1920 fino al 1960. In che modo gli Stati Uniti potevano dominare l’economia mondiale da una posizione di creditori?

M.H.: La posizione di creditore degli Stati Uniti iniziò dopo la Prima Guerra Mondiale, per via del denaro prestato agli alleati prima di unirsi alla guerra. Quando la guerra finì, i diplomatici americani dissero a Inghilterra e Francia di ripagare loro le armi che avevano comprato. Ma in passato, per secoli, i vincitori di solito cancellavano tutti i debiti una volta finita la guerra. Per la prima volta, l’America insistette che gli Alleati pagassero per il sostegno militare che aveva loro venduto prima di allearsi con loro. Gli alleati europei si trovavano alquanto devastati dalla prima guerra mondiale e si rivolsero alla Germania, insistendo sui risarcimenti di guerra che la mandarono presto in bancarotta.
La Germania mandò in bancarotta la sua economia cercando di pagare Francia e Inghilterra, che a loro volta dovevano ripagare gli Stati Uniti. Il loro bilancio era in deficit, e le loro valute si svalutavano. Gli investitori americani vi videro un’opportunità di acquistare le loro industrie. L’oro era la misura del potere, il sostegno alla moneta nazionale e al credito, ergo agli investimenti di capitale. L’America era molto più produttiva, non avendo subito danni dalla guerra.

Tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e il 1950, quando scoppiò la guerra in Corea, l’America accumulò oltre il 70% dell’oro mondiale come riserva monetaria. Gli Stati Uniti erano forti nelle esportazioni agricole, in crescita nelle esportazioni industriali e avevano denaro sufficiente per acquistare le industrie leader in Europa, America Latina e altri paesi. Ma a partire dal 1950, con la guerra di Corea, il bilancio degli Stati Uniti andò in deficit per la prima volta. La situazione peggiorò quando il presidente Eisenhower decise che l’America doveva sostenere il colonialismo francese nel sud-est asiatico, nell’Indocina francese, Vietnam e Laos. Nel momento in cui la guerra in Vietnam si intensificò negli anni 1960, il dollaro stava passando un periodo di grossi deficit di bilancio. Ogni settimana a Wall Street vedeva le riserve d’oro diminuire, in favore di paesi che non erano in guerra, come Francia e Germania. Stavano incassando i dollari in eccesso che venivano spesi dai militari statunitensi.

Negli anni 1960 fu chiaro che l’America era destinata all’esaurimento delle sue riserve d’oro entro un decennio a causa di queste spese militari d’oltremare. E così fu, nell’agosto del 1971 cessò di vendere oro alla borsa di Londra, per cui il prezzo salì fino a oltre 35 dollari l’oncia. Il bilancio degli Stati Uniti era ancora in forte deficit a causa dei combattimenti nel Sud-est asiatico e altrove, creando un deficit permanente.
Il settore privato era in equilibrio negli anni 1950 e 1960, l’intero deficit era proveniva dalle spese militari.

Quando l’America esaurì le riserve d’oro, le persone cominciarono a chiedersi cosa sarebbe
successo. Molti predissero un giorno del giudizio economico. Gli USA stavano perdendo la loro capacità di governare il mondo attraverso l’oro. Ma quello che io allora compresi (e fui il primo a pubblicarlo) era che se i paesi non potevano più comprare e tenere l’oro nelle riserve internazionali, cosa potevano fare? C’era solo un asset che potevano trattenere: titoli di stato del governo degli Stati Uniti, vale a dire buoni del Tesoro.
Un titolo del Tesoro è un prestito al Tesoro degli Stati Uniti, quando una banca centrale straniera compra un’obbligazione, finanzia il deficit del budget degli Stati Uniti.
Quindi il deficit di bilancio finì per finanziare il deficit nazionale.

Il risultato fu un flusso circolare di spese militari riciclate da banche centrali straniere. Dopo il 1971 gli Stati Uniti continuarono con le spese militari all’estero e come risposta nel 1974 i paesi dell’OPEC quadruplicarono il prezzo del petrolio. A quel tempo gli Stati Uniti dissero all’Arabia Saudita che poteva far pagare quanto voleva per il suo petrolio, ma che doveva accumulare tutti i suoi guadagni netti in dollari.
I sauditi non dovevano comprare oro.

Fu detto loro che sarebbe stato considerato un atto di guerra se non avessero ri-speso negli Stati Uniti i dollari ricevuti per le loro esportazioni di petrolio. Furono incoraggiati a comprare buoni del Tesoro americani, ma potevano anche acquistare altre obbligazioni e azioni statunitensi per contribuire a far salire i mercati azionari e obbligazionari, sostenendo quindi il dollaro. Gli Stati Uniti hanno mantenuto il proprio stock di oro, mentre hanno preteso che il resto del mondo mantenesse i propri risparmi sotto forma di prestiti agli Stati Uniti. Quindi il dollaro non è sceso. Altri paesi che ricevevano dollari li hanno semplicemente riciclati per acquistare titoli finanziari americani.

Cosa sarebbe successo se non avessero fatto questo?

Facciamo finta che lei sia la Germania, la Francia o il Giappone. Se non ri-spende le sue entrate in dollari nell’economia degli Stati Uniti, la sua valuta aumenterà. Gli afflussi di dollari derivanti dalle vendite dell’export vengono convertiti nella sua valuta, aumentandone il tasso di cambio. Ma con l’acquisto di titoli o azioni statunitensi, il prezzo del dollaro viene rialzato rispetto alla suo reale tasso di cambio. Quindi quando gli Stati Uniti gestiscono un deficit di bilancio in condizioni in cui gli altri paesi mantengono le loro riserve in dollari, l’effetto è che essi mantengono i loro tassi di cambio stabili-principalmente prestando denaro al governo USA. Questo è un affare per gli Stati Uniti. Possono disseminare il mondo di basi militari e i dollari spesi per farlo, che gli vengono poi restituiti.

Immagini di firmare delle cambiale (dei pagherò, come lo sono i titoli di stato), quando va in un negozio o al ristorante, che poi non verranno mai incassati! Il negozio potrebbe dire: “Abbiamo una cambiale di Bonnie Faulkner. Teniamocelo come forma di risparmio. Invece di versarlo in banca o di chiedere un pagamento in moneta reale, continuiamo a collezionare queste cambiali di Bonnie Faulkner.” Le aziende chiamano questo tipo di crediti “ricevibili”. Ora, supponiamo che lei faccia delle spese folli, consegnando un miliardo di dollari al negozio in cambiali. Non ci sarebbe modo di pagare questo miliardo. In tal caso i negozi che ricevessero queste cambiali direbbero: “Non possiamo escludere Bonnie, perché sappiamo che non può pagare. Perderemmo il valore dei crediti dalla parte in attivo del nostro bilancio, tutte le cambiali che abbiamo accumulato.

Questo è essenzialmente ciò che i paesi stranieri fanno con le loro riserve di dollari. La posizione degli Stati Uniti è, di fatto, che non rimborseranno mai a nessun paese straniero il debito in dollari che gli devono. Come disse il Segretario del Tesoro John Connolly, I dollari sono nostri, i problemi sono vostri”. Altri paesi devono pagarci, pena il bombardamento.
La dimensione militare di questo accordo è la posizione degli Stati Uniti secondo la quale sarebbe considerato un atto di guerra se non continuassero a spendere i loro proventi in dollari delle esportazioni in prestiti, azioni od obbligazioni americane.

Questo è ciò che rende gli Stati Uniti un “paese eccezionale”. Il valore della nostra moneta è basato sui risparmi degli altri paesi. Il denaro che risparmiano deve essere mantenuto sotto forma di dollari o titoli che non rimborseremo mai, neanche se potessimo farlo. Questo è un enorme vantaggio.

C’è da pensare che Donald Trump voglia continuare su questa strada. Ma quando sostiene che la Cina sta manipolando la sua moneta riciclando i propri dollari in prestiti al Tesoro degli USA, che cosa intende dire? La Cina sta guadagnando molti dollari esportando le sue merci negli Stati Uniti. Cosa fa con questi dollari? Ha cercato di fare quello che fece l’America con l’Europa e il Sud-America: ha cercato di acquistare società americane. Ma gli Stati Uniti le hanno impedito di farlo, sulla base di pretestuose ragioni di sicurezza nazionale.
Il governo sostiene che la nostra sicurezza nazionale sarebbe in pericolo se la Cina comprasse una catena di stazioni di rifornimento, come aveva intenzione di fare in California.
Quindi gli Stati Uniti hanno due pesi e due misure, sostengono che sono minacciati se la Cina acquisisce qualsiasi società, ma insistono sul loro diritto di comprare le vette dominanti delle economie straniere con il loro credito elettronico in dollari.
Tutto questo lascia alla Cina un’unica soluzione: può acquistare titoli del Tesoro degli USA, dando in prestito i proventi in dollari delle esportazioni al Tesoro stesso.



Trump sta portando altri paesi fuori dall’orbita del dollaro

La Cina si è ben resa conto che il Tesoro degli Stati Uniti non ha intenzione di rimborsare i dollari.
Anche se la Cina volesse riciclare i suoi proventi in buoni del Tesoro o azioni e obbligazioni o in immobili statunitensi, Trump ora dichiara di non volere che la Cina sostenga il tasso di cambio del dollaro (mantenendo il proprio tasso di cambio basso) con l’acquisto di asset americani. Stiamo dicendo alla Cina di non fare ciò che abbiamo detto agli altri paesi di fare per 40 anni: acquistare titoli statunitensi. Trump accusa altri paesi di manipolazione artificiale della valuta se mantengono le loro riserve straniere in dollari. Cioè sta dicendo loro, e in modo specifico alla Cina, di sbarazzarsi delle loro partecipazioni azionarie in dollari, di non comprare più dollari con le entrate del loro export. Quindi la Cina sta comprando oro.
Anche la Russia sta comprando oro e gran parte del mondo è ora in procinto di tornare allo standard del cambio dell’oro (Nel senso che l’oro viene usato per regolare gli squilibri dei pagamenti internazionali), ma non è connesso alla creazione di moneta nazionale.
I paesi si rendono conto che c’è un grosso vantaggio nel cambio dell’oro: c’è solo una quantità limitata di oro nelle banche centrali del mondo. Ciò significa che qualsiasi paese affronti una guerra dovrà gestire un deficit di bilancio così grande da rischiare di esaurire le riserve auree. Pertanto rivitalizzare il ruolo dell’oro potrebbe impedire a qualsiasi paese, Stati Uniti compresi, di andare in guerra e soffrire un deficit militare.

L’ironia è che Trump sta distruggendo il grande privilegio finanziario americano, che è la sua politica di imperialismo monetario, dicendo ai paesi di smettere di riciclare i loro afflussi di dollari.
Devono dedollarizzare le loro economie.
L’effetto è di rendere queste economie più indipendenti dagli Stati Uniti.

Trump ha già annunciato che non assumeremo cinesi nel settore IT (tecnologia dell’informazione), né lasceremo loro studiare nelle università materie che potrebbero metterli in grado di competere con noi.
Quindi le nostre economie si separeranno.
Di fatto Trump ha detto che se non possiamo vincere in un accordo commerciale, se non possiamo far perdere altri paesi e renderli più dipendenti dai fornitori americani e dai prezzi di monopolio, allora non firmiamo l’accordo. Questa posizione sta portando non solo la Cina, ma anche la Russia e persino l’Europa ed altri paesi fuori dall’orbita americana.
Il risultato finale sarà che gli Stati Uniti resteranno isolati, senza essere più in grado di produrre come lo erano una volta. Hanno smantellato la loro produzione industriale. Ed ora come se la caveranno?
Alcuni dati sulla popolazione americana sono stati pubblicati una settimana fa.
Questi dati mostrano che metà degli USA si sta svuotando. La popolazione si sta spostando dagli stati del Midwest e delle montagne verso Est, verso le coste occidentali e del Golfo.
Le politiche di Trump stanno dunque accelerando la de-industrializzazione degli Stati Uniti senza fare nulla per mettere in campo nuovi centri produttivi e non volendo nemmeno che altri paesi investano qui.

Le compagnie automobilistiche tedesche vedono Trump imporre dazi sull’acciaio importato di cui hanno bisogno per costruire macchine negli Stati Uniti. Le costruivano qui per aggirare le barriere tariffarie e di altro tipo contro le automobili tedesche. Ma ora Trump non gli sta nemmeno permettendo di importare le parti di cui hanno bisogno per assemblare queste macchine negli impianti “non sindacalizzati” che hanno costruito nel Sud.
Cosa possono fare?
Magari proporranno uno scambio con General Motors e Chrysler. Gli europei otterranno le fabbriche che le compagnie americane posseggono in Europa, e gli daranno in cambio le loro fabbriche americane.
Questo tipo di scissione si sta verificando senza alcun tentativo di rendere la manodopera americana più competitiva abbassando il costo degli alloggi, o il prezzo delle spese medico-sanitarie, o i costi per i trasporti, o delle infrastrutture. L’America viene quindi lasciata all’asciutto, in quanto economia costosa all’interno di un mondo nazionalista, mentre nel contempo gestisce un enorme deficit di bilancio per sostenere le sue spese militari in tutto il mondo.


B.F.: Ricapitolando quando gli Stati Uniti hanno abbandonato il Gold Standard, il dollaro ha praticamente rimpiazzato l’oro come asset principale in cui i governi stranieri potevano detenere le loro riserve. Lei ora dice che da quando non c’è più stato il gold standard, se le economie straniere non compravano i buoni del Tesoro Usa, il prezzo della loro valuta aumentava e le rendeva meno competitive.

M.H.: Esatto. Immagini se gli americani dovessero pagare sempre più dollari per comprare macchine tedesche. Ci sarebbe una maggiore domanda di valuta tedesca, l’euro, il cui tasso di cambio aumenterebbe. Questo è quello che accadeva negli anni 1960 e 1970, prima dell’euro. L’unico modo in cui la Germania poteva tenere basso il valore del marco era di comprare qualcosa che si pagava in dollari. Non comprava le esportazioni americane, perché l’America stava già producendo ed esportando sempre di meno, cibo a parte (e i tedeschi potevano mangiare una quantità limitata di grano e soia). Quindi l’unica cosa che la Germania poteva acquistare e che aveva un prezzo in dollari erano i buoni del Tesoro americano. Questo evitò che il marco salisse ancora più rapidamente, e mantenne il bilancio in equilibrio.
Il Giappone ha avuto un problema simile. I Giapponesi cercarono di acquistare immobili americani, ma non avevano idea di ciò che rese prezioso il patrimonio immobiliare qui (in America). Persero un miliardo di dollari per l’acquisto del Rockfeller Centre, non rendendosi conto che l’edificio era separato dal valore del terreno, e il terreno era proprietà della Columbia University. L’edificio stesso andava avanti in deficit. La maggior parte del valore locativo pagato andò al proprietario dei canoni di affitto del terreno. I giapponesi non avevano idea di come funzionassero gli immobili americani.
 

tontolina

Forumer storico
L’euro è solo una moneta satellite del dollaro americano
Alcuni americani temevano che l’euro potesse diventare un rivale del dollaro.
Tutto sommato, l’Europa non si sta de-industrializzando. Sta andando avanti e sta producendo macchine migliori, aerei ed altri prodotti da esportazione.
Per questo gli Stati Uniti hanno persuaso i politici europei a paralizzare l’euro, rendendolo una valuta dell’austerity, consentendo di emettere così pochi titoli di stato in modo da non rendere possibile che l’euro diventi un veicolo abbastanza grande da consentire ad altri paesi stranieri di usarlo per uscire dal dollaro, usando le proprie riserve in euro al posto del dollaro.
Gli Stati Uniti possono creare sempre più debito in dollari gestendo un bilancio a deficit. Possono attuare politiche keynesiane, facendo più debito per assumere maggior forza lavoro. Ma la zona Euro non ammette che i paesi abbiano un deficit maggiore del 3% del loro PIL. Quel limite è molto ridotto rispetto agli Stati Uniti.
Se si cerca di non fare affatto deficit, ma anche se lo si mantiene sotto il 3%, si sta imponendo austerità al proprio paese, mantenendo l’occupazione a bassi livelli. Si sta soffocando il mercato interno, ci si taglia la gola non riuscendo a creare un concorrente al dollaro.
Ecco perché Donald Rumsfeld ha definito l’Europa una “zona morta”, perché l’unica alternativa di valuta rivale del dollaro è lo yuan cinese. I cinesi si stanno muovendo verso la creazione di un’area valutaria basata sull’oro insieme alla Russia, l’Iran e altri membri della Shangai Cooperation Organization.


B.F.: L’Unione europea che non consente ai paesi dell’Eurozona di superare il 3% di rapporto deficit/PIL ha praticamente tagliato la gola all’euro. Perché fare una cosa del genere?
M.H. Perché i capi delle banche centrali stanno combattendo una lotta di classe. Si considerano generali finanziari nella lotta economica al lavoro, per danneggiare la classe lavoratrice, abbassare i salari e aiutare il loro elettorato, la classe dei ricchi investitori finanziari.
L’Europa ha sempre avuto una lotta di classe più feroce rispetto agli Stati Uniti. Non si è mai realmente sganciata dal suo sistema aristocratico post-feudale. I suoi banchieri centrali e le sue università seguono la scuola del libero mercato dell’Università di Chicago, affermando che la strada per diventare ricchi è di rendere poveri i lavoratori, creando un governo in cui la forza lavoro non abbia voce. Questa è la filosofia economica dell’Europa ed è per questo che non ha eguagliato la crescita che stanno vivendo la Cina ed altri paesi.

B.F.: Insomma gli Stati Uniti sono stati capaci di dominare l’economia mondiale a partire dal 1971 da una posizione debitrice.
M.H.: Quando perdevano oro, dal 1950 al 1971, non erano dominanti; stavano perdendo la disponibilità americana di oro rispetto a paesi come Francia, Germania, Giappone ed altri. Solo quando posero fine al gold standard, lasciando gli altri paesi senza altre alternativa per i loro risparmi, se non l’acquisto di buoni del Tesoro americano o di altri titoli, furono in grado pagare le spese militari senza perdere il loro potere.
Dal 1971 la diplomazia mondiale è stata praticamente prodotta dal potere militare americano. Non è un “mercato libero”.
Il potere militare mantiene i paesi in una camicia di forza finanziaria in cui gli Stati Uniti possono indebitarsi senza doverli ripagare.
Agli altri paesi che detengono i crediti verso gli USA non è consentito espandere le proprie economie, né per rivaleggiare con gli Stati Uniti, né tantomeno per migliorare gli standard di vita dei lavoratori. Solo i paesi al di fuori dell’orbita degli Stati Uniti, come ad esempio la Cina, la Russia ed altri paesi asiatici, sono in grado di aumentare il loro tenore di vita, gli investimenti di capitali e la tecnologia, essendo liberi da questa guerra di classe finanziaria globalizzata.

B.F.: In Super Imperialism lei scrive che “Le pressioni per la creazione di un nuovo ordine mondiale economico crollarono alla fine degli anni 1970”. Intende dire che gli altri paesi semplicemente si arresero e accettarono l’imperialismo monetario americano? Cosa successe?
M.H.: Mi è stato riferito che la corruzione era allora su vasta scala. Funzionari dell’amministrazione Reagan mi hanno riferito che pagavano funzionari stranieri affinché sostenessero la posizione degli Stati Uniti, non un nuovo Ordine Economico Internazionale.
Le agenzie degli Stati Uniti manovravano all’interno dei partiti politici dei paesi europei e dell’Est al fine di promuovere funzionari filo-americani ed emarginare coloro che non accettavano di agire come satelliti degli USA.
Ci furono in ballo parecchi soldi in questa ingerenza. In questo modo gli Stati Uniti hanno corrotto la politica democratica in tutta Europa, nel Medio Oriente e in gran parte dell’Asia.
Questa azione ha sterilizzato l’indipendenza di stati stranieri dagli Stati Uniti.
Nel Frattempo furono promosse le idee neoliberiste di Reagan e della Thatcher, invece del modello economico che Roosevelt ed i socialdemocratici stavano promuvendo da 50 anni.


Chi pianificherà l’economia? I manager della finanza o i governi democratici?

B.F.: Se c’erano pressioni per creare un nuovo ordine economico internazionale negli anni 1970, a cosa puntava questo nuovo ordine?
M.H.: Dei paesi volevano fare per le loro economie ciò che altri paesi facevano per la loro: utilizzare la spesa a deficit del loro governo per costruire infrastrutture, migliorare gli standard di vita, costruire alloggi e promuovere una tassazione progressiva, che avrebbe impedito alla classe dei redditieri, dei proprietari terrieri ed alla classe finanziaria di prendere il controllo della gestione economica.
In campo finanziario volevano che i governi battessero la propria moneta, per promuovere il loro sviluppo, proprio come fanno gli Stati Uniti.
Il progetto del neoliberismo era l’opposto: promuovere il settore immobiliare, finanziario ed i monopoli, per togliere l’amministrazione economica dalle mani del governo.
Quindi la vera domanda a partire dagli anni 1980 in poi sarebbe stata chi doveva essere il centro di pianificazione di base della società. Sarebbe stato il settore finanziario (le banche e gli azionisti, costituiti dall’1% che possiede la maggioranza delle azioni e delle obbligazioni delle banche)? Oppure i governi che cercano di finanziare l’economia per aiutare la crescita e la prosperità del restante 99%?
Quella era la visione socialdemocratica opposta al Thatcherismo e al Reaganismo.
 

tontolina

Forumer storico
La spinta internazionale alla dedollarizzazione
B.F.: Fu questa pressione a fermare un nuovo ordine economico internazionale portato avanti dagli Stati Uniti che stavano uscendo dal gold standard?
M.H.: No. Fu una reazione contro la politica degli Stati Uniti di svuotamento degli alti comandi delle economie straniere. Gli Stati Uniti vogliono controllare le esportazioni delle loro materie prime, in particolare petrolio e gas. Vogliono controllare il loro sistema finanziario, in modo che tutti i loro guadagni vadano agli investitori stranieri, specialmente investitori americani. Vogliono trasformare le altre economie in economie al servizio degli Stati Uniti e trasformarle in una specie di super-alleanza militare NATO, la quale si opporrà a qualunque paese non voglia far parte dell’ordine mondiale unilaterale incentrato sugli Stati Uniti.

B.F.: In che modo l’imperialismo monetario moderno, il super-imperialismo, differisce da quello del passato?
M.H.: E’ uno stadio superiore dell’imperialismo. Il vecchio imperialismo era colonialismo. Entravi ed usavi il potere militare per mettere a capo una classe dirigente clientelare. Ma ogni paese aveva la propria moneta.
Ciò che ha reso l’imperialismo “super” è che l’America non deve colonizzare un altro paese. Non deve invadere un paese o andarci in guerra. Ha bisogno solo che quel paese investa i propri risparmi e i guadagni delle esportazioni in prestiti al governo degli Stati Uniti. Ciò consente agli Stati Uniti di mantenere bassi i tassi di interesse e agli investitori americani di prendere in prestito denaro dalle banche americane ad un tasso basso per comperare l’industria e l’agricoltura straniere che generano utili del 10-15% in più o investimenti del genere.
In questo modo gli investitori americani capiscono che, nonostante il deficit di bilancio, possono richiedere quei dollari in prestito dai paesi stranieri a un tasso così basso, pagando solo dall’1-3 % sui buoni del Tesoro che possiedono, mentre pompano dollari nelle economie straniere comprando le loro industrie, l’agricoltura, le infrastrutture e i servizi pubblici, facendo grossi guadagni di capitale.
La speranza è che presto troveremo una via d’uscita da questo sistema del debito, tramite un nuovo libero accordo.

L’imperialismo è il conseguimento di qualcosa in cambio di niente.
E’ una strategia per ottenere il surplus di altri paesi senza svolgere attività produttive, ma creando un sistema di rendita estrattivo. Un potere imperialista obbliga altri paesi a pagare un tributo. Ovvio, l’America non dice apertamente agli altri paesi “dovete pagarci un tributo”, come facevano gli imperatori Romani con le province che governavano.
I diplomatici statunitensi insistono semplicemente sul fatto che altri paesi investano gli utili della loro bilancia dei pagamenti e le riserve ufficiali della loro banca centrale in dollari americani, in particolare in titoli del Tesoro americano. Questo sistema di utilizzo dei buoni del tesoro americani trasforma il sistema monetario e finanziario globale in un sistema tributario in favore degli USA. E’ questo che consente agli USA di pagare i costi delle spese militari, incluse le 800 basi militari dislocate in tutto il mondo e la sua legione straniera di combattenti contro l’Isis ed Al-Qaeda e le “rivoluzioni colorate” per destabilizzare i paesi che non aderiscono al sistema economico globale basato sul dollaro.

B.F.: Lei scrive: “Oggi sarebbe necessario che Europa e Asia progettassero un’alternativa al dollaro, artificiale, creata politicamente come riserva internazionale di valore. Questo potrebbe essere il punto cruciale delle tensioni politiche internazionali per la prossima generazione.” Come si può rompere questo dominio del dollaro dei “due pesi e due misure”?
M.H.: Sta già arrivando. E Trump è un grande catalizzatore che accelera la dipartita degli ospiti.
La Cina e la Russia stanno riducendo le loro partecipazioni in dollari. Non vogliono tenere titoli del Tesoro americano, perché se gli USA vanno in guerra contro di loro, faranno quello che hanno fatto con l’Iran. Terranno tutto il denaro, non ripagheranno gli investimenti che la Cina ha mantenuto nelle banche americane e nel Tesoro. Quindi si stanno liberando dei dollari che detengono. Stanno comprando oro e si stanno muovendo più velocemente possibile per essere indipendenti da qualsiasi esportazione americana. Stanno rafforzando le loro forze militari, così che se gli Stati Uniti cercheranno di minacciarli, si potranno difendere.
Il mondo si sta spaccando.

B.F.: Quali sono i paesi come la Cina e la Russia che sono soliti comprare oro? Lo stanno comprando con i dollari?
M.H.: Si. Guadagnano dollari o euro da quello che esportano. Questi soldi finiscono nella banca centrale cinese perché gli esportatori cinesi vogliono che gli yuan nazionali paghino i loro lavoratori e fornitori cinesi. Così vanno alla banca centrale cinese, che cambia dollari in yuan. La banca centrale decide quindi cosa fare con questa valuta straniera.
Possono andare sul mercato e comprare oro. Oppure, possono spenderli in paesi stranieri, nell’iniziativa Belt and Road per costruire un’infrastruttura ferroviaria e di navigazione, nello sviluppo dei porti per aiutare gli esportatori cinesi a integrare la propria economia con gli altri e, infine, con l’Europa, rimpiazzando gli Stati Uniti come clienti e fornitori. Vedono gli Stati Uniti come un’economia morente.

B.F.: I cinesi possono realizzare i progetti per le infrastrutture della “Belt and Road” con i dollari?
M.H.: No. Si stanno sbarazzando dei dollari. Stanno già ricevendo un surplus così alto ogni anno che utilizzano i dollari soltanto per comprare oro a alcuni beni, come i Boeing, ma principalmente cibo e materie prime. Quando la Cina compra ferro dall’Australia per esempio, vende dollari dalle sue riserve di valuta estera e compra valuta australiana per pagare agli australiani l’oro importato. Utilizzano i dollari per pagare altri paesi che fanno ancora parte dell’area del dollaro e che sono ancora disposti ad accumulare questi dollari nelle loro riserve monetarie ufficiali invece di tenere l’oro.

B.F.: Beh, è sorprendente che altri paesi non abbiano iniziato a farlo molto prima.
M.H.: C’è stata una forte pressione politica affinché non si ritirassero dal sistema del debito in dollari.
Se i paesi agiscono in modo indipendente, rischiano di essere rovesciati.
Ci vuole un governo forte per resistere alle interferenze americane e ai giochi sporchi per mettere al primo posto il proprio paese invece di seguire le richieste dei consulenti e degli agenti degli Stati Uniti, che li pagano per servire l’economia americana piuttosto che la propria.
O per resistere al lavaggio del cervello dell’economia-spazzatura proveniente dall’Università di Chicago.

B.F.: Quanto è lontana la fine del dollaro come valuta delle riserve mondiali?
M.H.: Sta già rallentando. Trump sta facendo di tutto per accelerarla, minacciando che se i paesi stranieri continuano a riciclare i loro proventi da esportazione in dollari (aumentando il tasso di cambio del dollaro), li accuserà di manipolare la loro valuta.
In pratica lui vorrebbe che questa storia finisse entro la fine del suo secondo mandato, nel 2024.

B.F.: Cosa succederebbe agli Stati Uniti se il dollaro non fosse più la valuta di riserva mondiale?
M.H.: Se continueranno a lasciare che sia Wall Street a fare la pianificazione economica, l’economia assomiglierà a quella argentina.

B.H.: E com’è l’Argentina?
M.H.: Una ristretta oligarchia al vertice, che mantiene la forza lavoro al basso livello, che toglie ai lavoratori il diritto di unirsi in sindacati, un’economia i cui settori finanziario e militare hanno vinto la guerra di classe.

B.F.: La Cina, con il suo progetto di infrastrutture per la “Belt and Road”, sta acquistando oro sul mercato, come stanno facendo altri paesi. Il sistema bancario occidentale è penetrato in Cina? E se sì, come definirebbe il sistema bancario cinese?
M.H.: C’è un tentativo da parte degli Stati Uniti di penetrare in Cina. Nei recenti accordi commerciali, la Cina ha consentito alle banche degli Stati Uniti di fare credito.
Non sono sicuro che questa cosa decollerà ora che Trump sta accelerando la guerra commerciale. Ma, fondamentalmente, in America ci sono banche private che fanno credito alle grandi società.

In Cina ci sono banche governative che fanno prestiti. Questo impedisce alla Cina di avere una crisi finanziaria come quella degli Stati Uniti. Dicono che il 12% delle aziende americane siano aziende zombi. Sono già insolventi, non in grado di fare profitti dopo aver pagato il loro pesante debito. Ma le banche danno loro ancora credito sufficiente per rimanere in affari, in questo modo non falliscono e non generano una crisi.
La Cina non ha questo problema, perché quando l’industria e le fabbriche cinesi non sono in grado di pagare, la Banca di Cina può semplicemente condonare il debito. La sua scelta è chiara: lasciare che le aziende falliscano e siano vendute a basso prezzo a qualche compratore, soprattutto americani; oppure può cancellare i debiti inesigibili.
Se la Cina fosse stata abbastanza folle da fare dei prestiti ai suoi studenti e da impoverire i propri laureati invece di fornire istruzione universitaria gratuita, la Banca Centrale Cinese potrebbe poi semplicemente rinunciare a recuperare i crediti dagli studenti.
Nessun investitore ci perderebbe, perché le banche sono proprietà del governo.
La loro posizione è: “Se sei una fabbrica, non vogliamo che tu chiuda i battenti e lasci i lavoratori disoccupati. Ci limiteremo a ridurre il tuo debito. E se i tuoi dipendenti stanno attraversando un periodo difficile, ridurremo i loro debiti, così che possano spendere i loro soldi in beni e servizi per aiutare la crescita del mercato interno.
Le banche americane sono proprietà di azionisti e obbligazionisti, i quali non lascerebbero mai che Chase Manhattan o Citibank o Wells Fargo condonino i vari prestiti fatti. Ecco perché le banche pubbliche sono molto più efficienti a livello di grande economia rispetto alle banche private. E’ per questo che le banche dovrebbero essere un servizio pubblico, non privatizzato.

B.F.: Può spiegare in che modo ridurre debiti sia un bene per l’economia?
M.H.: Bene, pensi all’alternativa. Se non si riduce il debito degli studenti americani, i laureati dovranno pagare così tanto per il servizio del credito agli studenti (ora lo pagano al governo) che in seguito non avranno abbastanza denaro per comprarsi una casa, per sposarsi, per comprare beni e servizi. Significa che la maggior parte delle persone che oggi possono comprare casa sono laureati con fondi fiduciari, studenti i cui genitori sono abbastanza ricchi da non dover usufruire di un prestito per pagare l’istruzione dei loro figli.
Queste famiglie ereditarie sono abbastanza ricche da comprare loro gli appartamenti.
Ecco perché l’economia americana si sta polarizzando tra persone che ereditano abbastanza denaro per avere alloggi di proprietà e i loro risparmi liberi da prestiti per gli studi e da altri debiti, rispetto a famiglie che sono indebitate e aumentano il ricorso al debito senza avere molti risparmi.
Questa biforcazione finanziaria ci sta rendendo più poveri. Eppure la teoria economica neoliberista vede ciò come un vantaggio competitivo. Per loro, e per i datori di lavoro, la povertà non è un problema da risolvere, è la soluzione alla loro mira di fare profitti.

B.F.: In sostanza questo piano di privatizzazioni, in particolare la privatizzazione del sistema bancario e la privatizzazione di molte infrastrutture, è ciò che sta mandando in bancarotta gli Stati Uniti?

M.H.: Si. Proprio come ha mandato in rovina l’Inghilterra e altri paesi che hanno seguito il thatcherismo o la teoria neoliberista a partire dal 1980 circa.

B.F.: Michael Hudson, grazie ancora.

M.F.: E’ sempre un piacere.

Tratto da:
De-Dollarizing the American Financial Empire | Michael Hudson

Traduzione a cura di Renato Nettuno
 

tontolina

Forumer storico
Manipolazione dei tassi di cambio.
Saverio Berlinzani


Cosa significa manipolare un tasso di cambio ? Da tempo si parla di questo argomento nel quadro di una guerra commerciale che dura ormai da 25 anni (in forma più o meno latente) e nella quale sono talvolta manifeste le accuse reciproche tra Stati sui presunti tentativi di deprezzare artificialmente la propria valuta per sostenere i surplus delle bilance commerciali.
E' divenuto un mantra, il mercantilismo, anche se demonizzato, almeno a parole.
L'Italia era uno dei paesi leader, negli anni 80-90, delle cosiddette "svalutazioni competitive" (anche se il termine è improprio e scorretto perchè dovremmo chiamarle riallineamenti indispensabili per combattere l'aumento della produttività dei paesi concorrenti basata sulla svalutazione salariale interna unitamente ad un aumento di spesa pubblica produttiva, che poi è quello che la Germania ha fatto con l'euro), ma poi la nascita della moneta unica l'ha costretta a svalutare pesantemente i salari interni obbligandola ad un lungo periodo di austerità per contenere il disavanzo pubblico, con l'obiettivo di mantenere un surplus commerciale degno di questo nome.
Ma ciò ha reso impossibile il riallineamento del tasso di cambio che sarebbe stata la naturale conseguenza, come accadeva in passato , quando avevamo sovranità monetaria, di uno squilibrio che veniva riaggiustato dalla flessibilità valutaria, l'unico sistema considerato "democratico", ovvero deciso dalle libere forze di mercato. A tale principio si ispiravano tutti quanti, compreso il Fondo Monetario Internazionale, e nello statement finale dei G7/G20, negli anni '90 vi era sempre, alla fine, un richiamo formale alla necessità di lasciare le valute fluttuare liberamente.
Oggi le cose sono cambiate, e già da tempo non si legge più con la stessa frequenza, che i cambi devono essere lasciati fluttuare secondo la legge di domanda e offerta, specialmente dopo la nascita della moneta unica, che ha rappresentato un modello esattamente contrario a quello richiamato precedentemente.
Non addentriamoci nelle ragioni della creazione della moneta unica, che nei fatti ha però creato maggiori disequilibri di quelli esistenti in passato in presenza delle diverse monete nazionali, ma cerchiamo di comprendere se e quando si possa configurare come manipolazione di un tasso di cambio, una azione di una banca centrale.

Per manipolare un tasso di cambio vi sono tre possibili strade, due delle quali molto complicate perchè non è sempre certo l'ottenimento di un risultato positivo.
-La prima è la politica monetaria sui tassi di interesse, che indirizza il comportamento degli investitori rendendo una valuta più appetibile o meno appetibile a seconda che i tassi salgano o scendano. Questa non si può definire una manipolazione del tasso di cambio, anche se ha effetti analoghi e spesso maggiormente efficaci degli altri due. Si tratta di consuete decisioni di politica monetaria (strumento indispensabile per le Banche Centrali) in linea con la necessità delle autorità monetarie di produrre quegli aggiustamenti necessari per controllare gli aggregati macroeconomici.
-La seconda strada, è la manipolazione verbale, che consiste in interventi, dichiarazioni da parte delle autorità monetarie o del Tesoro, per frenare gli acquisti della valuta forte e le vendite di quelle deboli. Ma il successo di questi interventi dipende dalla credibilità del paese e delle autorità monetarie in questione. Nel caso della Cina, la #Pboc ha dimostrato negli ultimi venticinque anni di saper controllare il tasso di cambio con una certa autorevolezza, anche per l’inserimento di un peg reso poi flessibile nel tempo. Quest’ultimo, attivo dal 1994, prevedeva un massimo range di oscillazione giornaliero prima dello 0.3% al giorno poi allargato all’1% di #UsdYuan oltre il quale, la Pboc si era data l'obbligo di intervenire sui mercati comprando dollari in caso di ribasso o vendendoli in caso di rialzo al di sopra di tali soglie. Questa pratica, possiamo dirlo, era chiara ed evidente manipolazione perchè si impediva la rivalutazione naturale dello Yuan, intervenendo artificialmente sui prezzi. Ma era giustificata e tollerata dagli altri paesi adducendo il fatto che la Cina, essendo paese emergente, necessitava di interventi pubblici per salvaguardare il sistema bancario interno, pertanto aveva il diritto di tenere il tasso di cambio sotto stretto controllo. Oggi tale manipolazione appare meno evidente, perchè la Cina ha smesso di accumulare dollari come in passato, ma anche per decisione del Governo centrale di Pechino. Lo Yuan infatti, pur essendo un’unica moneta, viene negoziata a due diversi tassi di cambio, in base al luogo di contrattazione:
Esiste una quotazione “onshore” il cui simbolo/abbreviazione è “CNY”, valida per le transazioni interne al Paese ed esiste una quotazione “offshore”, il cui simbolo/abbreviazione è “CNH”, valida per le transazioni esterne al Paese. Attualmente CNY onshore e CNH offshore sono due mercati distinti. La principale caratteristica del CNY è che il suo tasso di cambio con il dollaro Usa è determinato dalla Banca centrale cinese, quindi è fortemente controllato. Gli operatori del mercato in CNY sono normalmente degli esportatori onshore, che acquistano Renminbi al tasso CNY e vendono Dollari americani. A differenza del primo, il tasso di cambio CNH è determinato dall’incrocio fra offerta e domanda privata di RenminbiYuan che proviene dai mercati esteri, quindi è un tentativo di lasciar fluttuare liberamente il tasso di cambio, evitando proprio queste accuse di manipolazione. Capita però talvolta, che l’offerta del CNH venga soppressa mediante regolamento dal governo cinese, cosicchè la domanda è, in linea generale, superiore all’offerta. Pertanto esistono casi in cui il CNH viene negoziato a livelli più alti rispetto al valore del CNY. Di conseguenza, non esistendo più un peg controllato dalla Pboc, non si può affermare che ad oggi, vi sia una manipolazione chiara e persistente,del tasso di cambio, anche se qualche intervento "nascosto" potrebbe esserci e c'è effettivamente stato.
-La terza strada per manipolare una valuta, sarebbe quella di intervenire continuamente a comprare o vendere valuta estera a mercato, per indirizzarne l’andamento (fare trading come ha fatto per anni la Boj), intervenendo come un market maker nel tentativo di creare una tendenza o per limitari gli eccessi di volatilità, nel tentativo di manipolare i prezzi, che altrimenti sarebbero liberi di fluttuare a seconda della domanda e offerta che si genera sul mercato stesso. Questo tipo di intervento, soprattutto nei casi di tensione sui mercati, ha scarso successo se la speculazione e la tensione restano sostenute, e ha solo l'obiettivo di frenare la cosiddetta speculazione di breve termine. E in questi casi, il rischio di bruciarsi riserve valutarie è alto. Ma questo rischio è concreto per altre banche centrali, quelle dei paesi occidentali, solitamente non preoccupate di costruire una massa di riserve imponenti e raramente impegnate negli interventi sui cambi (se ne contano 2 o 3 negli ultimi 30 anni). Nel caso di Cina e Giappone invece, la quantità di riserve è talmente enorme da rendere il rischio di bruciarsi riserve quasi nullo. Infatti i due paesi si contendono il titolo di maggiori detentori di dollari al mondo, con riserve che superano abbondantemente i mille miliardi, detenuti principalmente in titoli di stato Usa. Che la Cina in passato, abbia manipolato il cambio indirizzandolo attraverso il peg dello 0.3% e poi dell’1% al giorno, è un fatto. Ma oggi con il UsdYuan, non è così chiaro questo atteggiamento. In questi ultimi mesi, sottoposti all'attacco di Trump con i dazi, e di fronte ad un aumento della tensione, la domanda di dollari è aumentata e la Pboc si è limitata a lasciar fluttuare il cambio liberamente, così come è accaduto per altre coppie di valute come AudUsd e NzdUsd per esempio. Lo dimostra il fatto che negli ultimi anni, i dollari in loro possesso sono diminuiti di circa 200 miliardi. Certamente, è vero che non hanno fatto nulla per fermarlo, tantomeno sono intervenuti a vendere parte dei dollari che hanno in portafoglio, ma questo non è sufficiente per definirli manipolatori. Perchè allora dovremmo chiamare tali anche la Rba e la Rbnz o la stessa Bce. Semplicemente hanno lasciato che la domanda di dollari si sfogasse senza tentare alcun intervento, verbale e non, per modificarne l’andamento del mercato.

Speriamo di aver chiarito una questione, quella della manipolazione sui cambi, che spesso viene usata anche a sproposito senza conoscere le diverse tecnicalità del mercato.

Buona giornata
 

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