Tassi, QE e carry trade (1 Viewer)

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Forumer storico
io so solo che stanno chiudendo il carry trade sullo yen e fatto quello faranno crollare le borse (ps. mi sono fatto un 13% di guadagno solo vendendo sto cavolo di valuta con tassi negativi)
gli amici degli amici i soldi in questi anni ne hanno fatti a palate e senza fatica, non per nulla 20 nuovi miliardari dal 2007 (prima si contavano solo 10 miliardari in italia)
chiaramente tutti questi miliardari hanno pagato le folli tasse italiane per diventarlo, si si certamente ..
ora questi ricconi che hanno fatto i soldi con duro lavoro devono farli rendere e c'e' solo un modo: aumentare i tassi di interesse
saranno le famiglie, i lavoratori e i paesi emergenti a garantirgli il guadagno sul capitale con le tasse e il debito pubblico
e state ben attenti "paesi emergenti" siete anche voi italiani, con l'inflazione vi mangeranno in un sol boccone gli 80euro e vi accorgerete solo dopo della fregatura
 

tontolina

Forumer storico
IL CASTELLO DI CARTE alla ricerca della reflazione
Scritto il 8 aprile 2016 alle 14:01 da Danilo DT
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Il minute FED che ieri sera è stato reso pubblico ha certamente aumentato le giustificazioni alla volatilità anche se, come detto, non hanno aggiunto nulla di nuovo a quanto noi vi abbiamo già anticipato.
Le parole di Janet Yellen giustificano la prudenza della FED nel voler alzare i tassi. Ma sono una volontà o una costrizione?

(…) Nella riunione del 15-16 marzo, hanno svelato le minute pubblicate ieri sera, c’è stato un intenso dibattito durante il quale i governatori hanno soppesato da una parte la buona performance economica degli Stati Uniti e dall’altra le troppe incertezze legate al clima globale. Alla fine, ha prevalso con una buona maggioranza la posizione cauta sostenuta dal governatore Janet Yellen, in ragione del fatto che alzare i tassi a fine mese “segnalerebbe un senso di urgenza che non consideriamo appropriato”. Non è mancato chi (un paio di banchieri) ha chiesto comunque di alzare i tassi già da marzo. (Source)

E’ chiaro che le colombe stanno cercando di sostenere artificiosamente i mercati. Sanno benissimo che senza il loro sostegno la situazione potrebbe degenerare. Infatti i profitti delle aziende USA sono ormai in declino dal secondo trimestre del 2015. Le stime di crescita economica sono state riviste al ribasso e quindi, un aumento dei tassi “inappropriato” potrebbe avere effetti deleteri.



Questo grafico vi spiega l’andamento degli utili pre-tasse delle aziende USA: una curiosità. Notate l’area cerchiata e paragonatela a quella del 2007.
Chi mi segue da più tempo (mi riferisco appunto al 2007) forse si ricorda che cosa continuavamo a dire in quel periodo. Ci sono delle analogie con quei momenti? Per certi versi si, ma attenzione, il detonatore è stato il default di Lehman Bros, il capro espiatorio della nota vicenda conosciuta come bolla subprime. Oggi la situazione è addirittura più complessa, in quanto stiamo vivendo quella che è una bolla da asset ma con la protezione e la complicità delle banche centrali, il che rende diverso lo scenario. E se ci pensate bene, tale comportamento rischia di renderlo più preoccupante se le cose dovessero scappare di mano proprio ai governanti.

Anche perché il mercato…non è che sia migliorato. Infatti rispetto al 2007, ci sono $ 1.7 trillioni di dollari di junk bond in circolazione – un trilione in più rispetto al 2008, dei quali non possiamo che aspettarci dei default nei prossimi mesi, visto il quadro economico in peggioramento. Società che ovviamente hanno approfittato di tassi a ZERO per finanziarsi a costi risibili.

Banche centrali unite per la reflazione | IntermarketAndMore
 

tontolina

Forumer storico
La trappola del dollaro USA e le conseguenze sui mercati azionari
10 Aprile 2016 - 11:47

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Flavia Provenzani

Il paradosso del dollaro spiegato: gli effetti della forza e della debolezza della valuta estera sui mercati finanziari, ormai in trappola.

La trappola posta dal dollaro USA schiaccia i mercati azionari.
Il paradosso che nasce dagli effetti negativi sull’economia mondiale derivanti sia da un apprezzamento che da una svalutazione del dollaro USA non lascia via d’uscita ai mercati finanziari, ponendosi come uno dei driver principali dei sell-off e delle correzioni anche nei prossimi mesi.

Guardando ai motori che guidano i movimenti dei mercati azionari, oggi più che mai sono le valute ad essere le protagoniste indiscusse, primo su tutte il dollaro americano.

Da qui nascono nuove dinamiche nella guerra valutaria, da cui scaturisce la cautela delle maggiori banche centrali, da qui si generano i freni alla crescita e all’inflazione.

Sembrerebbe che il destino dei mercati azionari mondiali sia tutto nella mani del dollaro USA e della Federal Reserve.
Ma la situazione è paradossale: qualsiasi movimento del dollaro USA, sia al ribasso che al rialzo, pone forti rischi su larga scala all’interno dei mercati.

Mercati in trappola: gli effetti del dollaro debole
A causa di una recente cautela inaspettata da parte della Federal Reserve, banca centrale degli Stati Uniti, il dollaro USA sta sperimentando una forte fase di debolezza.

Il ribasso del dollaro USA porta una serie di conseguenze, con relativi effetti a catena:
  • sostegno ai Paesi emergenti e alla Cina, che hanno alte quote di debito espresse in dollari
  • rafforzamento delle valute rivali maggiori - Euro e Yen.
La forza di Euro e Yen, spinta dalla debolezza del dollaro USA, va contro gli obiettivi delle rispettive banche centrali (BCE e BOJ), ferisce i profitti delle aziende - soprattutto le organizzazioni orientate all’export, mettendo pressione al ribasso sui listini azionari e aumenta le pressioni che portano alla deflazione.

Risultato: il calo del dollaro statunitense influisce negativamente sugli obiettivi di crescita di Giappone e Eurozona, spinge il crollo dei mercati azionari correlati e aumenta il rischio di peggioramento delle problematiche presenti nell’area euro, prima su tutte la fragilità del comparto bancario.



Mercati in trappola: gli effetti del dollaro forte
Al contrario, se la valuta statunitense aumenta di valore, gli effetti sono:
  • debolezza di Euro e Yen
  • crollo delle materie prime
  • difficoltà dei Paesi emergenti e Cina
Sebbene la svalutazione di euro e yen faccia contente BCE e Bank of Japan -poiché da qui scaturisce una ripresa dei profitti corporate e una spinta rialzista all’inflazione - dalla forza del dollaro USA scaturiscono pesanti conseguenze a livello internazionale.

Le materie prime, che sui mercati internazionali sono scambiate in dollari, vedrebbero le quotazioni scendere velocemente poiché l’acquisto diventa meno favorevole per i detentori di valuta estera.
In un simile contesto, a fare molta paura è la Cina, che potrebbe essere costretta a svalutare ancora una volta la valuta cinese in un tentativo disperato di sostenere l’economia. Come sperimentato la scorsa estate, un’azione del genere ad opera della PBoC avrebbe conseguenze disastrose sul mercato mondiale.



Mercati in trappola: il ruolo delle banche centrali

Definire la situazione dell’economia «mondiale» potrebbe anche essere troppo ottimistico, e in questo contesto le banche centrali fanno difficoltà a mettere in atto delle politiche che abbiano un rapporto beneficio/conseguenze accettabile.

Il miraggio della svalutazione
Le banche centrali ne sono convinte: per migliorare la competitività di un Paese bisogna far scendere la valuta. Basta valutare la moneta e improvvisamente si diventa competitivi.
Ma è solo una soluzione temporanea che regala alle banche centrali un po’ più di tempo nella speranza che l’economia torni a crescere.

Basta dare un’occhiata ai grafici di lungo temine di euro e yen.
L’euro si è svalutato del 30% negli ultimi 5 anni, mentre lo yen del 40%.

Quasi tutti i miglioramenti sui PIL e sui mercati azionari sono strettamente legati alla svalutazione delle due valute. Niente di diverso da ciò che ha fatto il mercato statunitense negli anni passati quando la Fed ha messo in campo il piano di stimolo di politica monetaria.

BCE e BoJ alle strette
Europa e Giappone, in modo particolare, hanno venduto anima e cuore nel tentativo di svalutare la propria valuta e sembrano non avere un piano di riserva.
Le svalutazioni continueranno e il dollaro schizzerà contro lo yen nei prossimi mesi.

Europa e Giappone non hanno altra scelta.

Il problema è che il mondo non sta crescendo al ritmo necessario per permettere una risalita dei mercati azionari.
Le società non aumentano le vendite, i profitti non stanno crescendo e i margini operativi sono in discesa.
L’economia statunitense, motore del mondo, è in difficoltà nel riuscire a produrre crescita a sufficienza tanto da giustificare la valutazione attuale del mercato azionario.




Ripresa del dollaro in vista: cosa succederà sui mercati?
Quando il dollaro USA tornerà a salire, i guadagni sui mercati azionari degli ultimi due mesi verranno annullati, dato che l’andamento dei listini sono fortemente legati alla forza e alla debolezza del biglietto verde.

Questo è ciò che potrebbe accadere dato che non vi è un’altra valuta tra le più importanti nel Forex che sia anche solo vicina ad un rialzo dei tassi. I tori del dollaro torneranno, insieme agli stessi problemi per i mercati azionari che abbiamo visto nei mesi passati.

Le banche centrali sono incastrate: dannate se fanno, dannate se non fanno.

E quando i mercati azionari noteranno la paura degli istituti centrali, sarà una brutta giornata per i mercati finanziari mondiali.



La trappola del dollaro USA e le conseguenze sui mercati azionari
 

tontolina

Forumer storico
«I tassi a zero, Bruno, sono l’altra faccia della compressione salariale e dello smantellamento dei diritti. Il sistema produttivo è troppo grande per la consistenza dei consumi. I prezzi scendono. L’aumento della produttività serve a poco, se crea accumulazione invece di ricchezza, rendita invece di reddito. Chi si illude che sia un evento momentaneo, una congiuntura di breve periodo, sbaglia. E di grosso. Questo è un nuovo paradigma, questo è un inferno fuori da qualsiasi cartografia che conosciamo. Stagnazione, sfiducia, disconnessione tra universi sociali, astensionismo di massa, e odio. Tanto odio, che si accumula come energia in una pila.» Phil si ferma, affannato. Indica una bottiglia d’acqua, in equilibrio incerto su un libro. Bruno si alza e trova un bicchiere in cui versare il liquido. Wade beve un sorso e conclude: «I tassi a zero sono un premio per chi ha svalutato il lavoro, e un’illusione di ricchezza per chi lavora. Sono la trappola delle riforme, come le chiamano pervertendo perfino il linguaggio. E sono l’essenza stessa dell’austerità.»

da Tassi a zero | I Diavoli
 

tontolina

Forumer storico
Le politiche monetarie, i QE, sono stati farmaci potenti. Ma in greco “farmaco” significa anche “veleno”. E il veleno dev’essere metabolizzato, altrimenti uccide. Per questo la liquidità immessa doveva depositarsi da qualche parte, nell’organismo. E noi abbiamo scelto i ricchi, quell’1%. Perché lì non avrebbe fatto danni. L’accumulazione di ricchezza è “innocua”: non produce inflazione, non sposta equilibri, stimola una crescita “sana”. E questo è l’unico, vero sviluppo possibile, quello che tiene in scacco le masse, conservando un equilibrio miracoloso.

Non esiste possibile, l’unico che può aversi è il reale. Non esistono altri mondi possibili, l’unico è quello garantito dall’1%. Oltre i confini della realtà, c’è solo catastrofe e rovina.

Ecco perché nel qui e ora che modelliamo non c’è futuro, non c’è movimento, non c’è entropia. Solo un eterno inverno che conserva la civiltà sotto una coltre di gelo. L’unica esistenza ancora concessa all’Occidente.


La maratona di New York | I Diavoli
 

tontolina

Forumer storico
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12 maggio 2016
AVVENTURE IN ELICOTTERO
La testimonianza di un pilota
Alla base c’è una certa eccitazione. Era da qualche tempo che vedevamo
degli strani personaggi aggirarsi tra gli hangar e gli uffici. Decisamente dei
civili e sempre con gli occhiali scuri. Cercavano forse di farsi passare per
gente dei servizi o della sicurezza ma a noi era chiaro che non lo erano.
Gessati troppo eleganti, niente auricolare e soprattutto quell’aria da pesci
fuor d’acqua.
Finalmente ci hanno radunati e ce li hanno presentati. Prima però ci
hanno fatto firmare una montagna di carte con cui ci siamo impegnati al
silenzio assoluto. Questi signori, ci hanno detto, sono funzionari di
importantissime istituzioni finanziarie internazionali. Vi prepareranno a una
missione speciale. Voi siete i migliori dei vostri corsi di volo, avete tutti anni
di esperienza e siete addestrati ai teatri di guerra, alle operazioni di soccorso e
di ordine pubblico e al trasporto dei civili. Ma qui si tratta di qualcosa di
assolutamente nuovo. Attenzione, però. La missione non è ancora certa, e in
ogni caso non conosciamo ancora i tempi e i modi. Soprattutto non è chiaro
se si tratterà di un una tantum o se
diventerà per voi un’attività regolare,
quasi di routine. Voi dovete essere
comunque pronti ed è per questo che
vi verrà data una preparazione teorica
e motivazionale. Verrete inquadrati in
un corpo scelto e guadagnerete bene.
Un giorno sarete anche molto popolari
e benvoluti, ma sappiate fin da ora
che l’addestramento sarà intenso e
severo.
Ed è così che è iniziato il corso più strano e affascinante che ci sia mai
capitato di seguire. Hanno iniziato in modo leggero e subliminale, con il
filmato di D’Annunzio che nell’agosto 1918 getta volantini irredentisti su
Vienna dal suo aeroplanino e con la scena del Batman del 1989 in cui Jack
Nicholson getta dollari come fossero coriandoli da un carro da parata lungo
le strade di Gotham City. È qui che quelli degli elitaxi, che si sono messi in
proprio, hanno fatto soldi e leggono la stampa economica, hanno fatto la
faccia di chi aveva già capito tutto.
Settimanale di strategia
Creazione di base monetaria a titolo definitivo.
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AVVENTURE IN ELICOTTERO
La prima lezione ce l’ha tenuta uno
storico. Vi parlerò, ha esordito, del
rapporto tra sovrano e moneta nella
storia. Fino alla fine del XVII secolo il
sovrano ha deciso da solo quanta
moneta emettere. Certo, c’era il vincolo
del valore intrinseco delle monete, il
loro contenuto di oro o argento, ma il
sovrano poteva imbrogliare le carte e
imporre ai sudditi di accettare monete
il cui contenuto d’oro era stato diluito.
I paesi che avevano rifiutato di ricorrere a questo stratagemma, come
l’Inghilterra, trovarono a un certo punto comodo appoggiarsi su una banca,
in questo caso la Bank of England, per farsi periodicamente rifinanziare i
debiti di guerra, offrendo al pubblico titoli irredimibili con un buon tasso in
cambio dei vecchi titoli redimibili. Per qualche tempo la banca centrale
conservò una certa autonomia, ma già con la Rivoluzione Francese e le
guerre che ne seguirono i sovrani si presero il pieno controllo dei loro istituti
di emissione.
Fino al 1951 le banche centrali furono in pratica uffici distaccati dei
rispettivi ministeri del Tesoro. Furono sempre frequenti i casi in cui le banche
centrali finanziavano il disavanzo del Tesoro, risparmiando a questo il ricorso
al debito pubblico. Nel 1951, superati gli squilibri creati dalla guerra e
riportato il debito pubblico a proporzioni accettabili, il Tesoro americano e la
Federal Reserve firmarono un’intesa in base alla quale la Fed non avrebbe
mai più finanziato direttamente il Tesoro. Questa separazione, adottata per
responsabilizzare il sovrano e costringerlo ad affrontare il mercato senza la
comoda rete protettiva della banca centrale, fu poi adottata in tutti i paesi
industrializzati ed è oggi regola generale.
Bella cosa, direte voi, ma dal 1951
a oggi il debito pubblico non ha fatto
che crescere e si è riportato in molti
paesi sui livelli che in passato erano
stati tipici dei tempi di guerra. Dopo
la crisi del 2008 lo stock è salito di
altri 20-30 punti percentuali su Pil
(minori introiti fiscali e maggiori
spese per gli ammortizzatori) ed è
ancora gestibile solo perché i tassi da
pagare sono a zero o negativi. Ma che
succederebbe se ci fosse un’altra crisi,
anche più piccola di quella del 2008?
Lo avete già capito, si tornerà al mondo pre-1951. I dettagli ve li
spiegheranno gli altri docenti, ma intanto siano chiare due cose. La prima è
che non è storicamente vero che la monetizzazione del debito genera sempre
inflazione, così come non è vero che tutti quelli che oggi bevono un bicchiere
The Dark Knight. 2008. L'annullamento dei
titoli di stato comprati dalla banca centrale.
Batman 1989. The Joker distribuisce denaro
di nuova creazione.
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AVVENTURE IN ELICOTTERO
di vino ai pasti finiranno i loro giorni da alcolizzati. Tutti ricordano i guai
della Germania del 1923, quando 2300 tipografie lavoravano giorno e notte
per stampare marchi e tutti hanno in mente lo Zimbabwe degli ultimi due
decenni. Pochi però ricordano il
Giappone degli anni Trenta, che evitò
la deflazione e la crisi con svalutazione
e monetizzazione di nuova spesa
pubblica. E nessuno cita il Canada, che
dal 1935 al 1975 fece più volte ricorso
alla monetizzazione dei programmi di
investimenti pubblici senza incorrere
in inflazione aggiuntiva.
Spesso del resto non si distingue come si dovrebbe l’inflazione creata dalla
banca centrale e quella creata dalle banche ordinarie attraverso il
moltiplicatore del credito. A chi fa giustamente notare come il credito
bancario finisca spesso con il creare inflazione nell’immobiliare e in borsa si
potrebbe rispondere, come fa Adair Turner, che la futura monetizzazione del
debito pubblico potrebbe essere bilanciata da un inasprimento, questa volta
pienamente giustificato, delle ratio patrimoniali delle banche ordinarie.
La seconda cosa che è importante capire è che, mentre storicamente la
monetizzazione è stata imposta alle banche centrali dai sovrani, quella che si
sta discutendo in questo periodo è una monetizzazione decisa
autonomamente dalle banche centrali su considerazioni generali di politica
monetaria. È una bella differenza.
Il giorno successivo, dopo avere dormito sonni agitati, siamo stati travolti
dalla lezione di un funzionario di una banca centrale non meglio specificata.
Ci ha parlato del Quantitative easing e dei suoi limiti. Con il Qe, ci ha
raccontato, la banca centrale compra debito pubblico ma non lo estingue. Il
Qe è presentato come un’operazione temporanea. I titoli comprati verranno
un giorno venduti. Che sia vero o che sia una finzione (chi parla più di exit
strategy?), al pubblico restano comunque bene impressi i dati allarmanti
sullo stock di debito pubblico. Il 270 di debito Pil fa paura ai giapponesi e il
133 non rassicura certo gli italiani.
Scatta allora, in giapponesi, italiani e
molti altri, la cosiddetta equivalenza
ricardiana, ovvero la consapevolezza che
questo debito un giorno andrà pagato
(verosimilmente con nuove tasse) per cui,
invece di gioire e spendere per i tagli di
tasse di oggi, sarà il caso di risparmiare
quello che ci viene dato oggi perché ci
verrà tolto domani.
Sia chiaro, Ricardo era un uomo sobrio e
razionale che viveva in mezzo a uomini
The Dark Knight. The Joker esamina le
nuove passività della banca centrale.
Batman 1989. Joker dollar.
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AVVENTURE IN ELICOTTERO
sobri in un’epoca sobria. Oggi, se vi arrivasse a casa un assegno di 10mila
dollari dal governo, molti di voi correrebbero a spenderlo o a giocarlo ai dadi
senza pensare al corrispondente aumento del debito pubblico (brusio di
consenso in sala). Nel sobrio Giappone e tra i ricchi di tutto il mondo
l’equivalenza ricardiana funziona però benissimo anche al giorno d’oggi ed è
per questo che il Qe fatica a fare crescere la propensione al consumo.
Pensate invece che cosa succederebbe se il 270 giapponese di debito Pil, in
mano per metà a alla banca centrale e ad altri enti pubblici, venisse da
domani abbassato al 135 grazie alla cancellazione dei crediti della Banca del
Giappone. Tutti si sentirebbero un grosso peso in meno e sarebbero più
pronti a spendere. Ci sarebbe anche lo spazio per aumentare di nuovo la
spesa pubblica di 5 o 10 punti percentuali senza creare particolari problemi.
Certo, qualcuno farebbe notare che la banca centrale si troverebbe a quel
punto con un grosso buco, ovvero con un patrimonio negativo, e che questo
equivarrebbe più o meno alla fine del mondo. Passerebbe però un giorno, ne
passerebbero due e si vedrebbe che la vita continua come prima (meglio di
prima) anche con una banca centrale in default tecnico. Tutti
continuerebbero ad accettare volentieri le banconote emesse dalla Banca del
Giappone, che potrebbe comunque sistemarsi i suoi conti creandosi nuovi
yen e depositandoseli sull’attivo.
Ma come, si dirà, ci deve pur essere il trucco da qualche parte, non
esistono i pasti gratis. E invece no. Nelle dosi giuste 100 dollari di
monetizzazione funzionano molto meglio di 100 dollari di Qe. Il solo
problema, non piccolo, è che i governi, alleggeriti da una parte del debito,
non avrebbero incentivi per rendere più efficienti se stessi e il paese che
governano. Ma questa pigrizia la vediamo già oggi con il Qe, che ha di fatto
deresponsabilizzato le classi politiche.
E allora, se ci dobbiamo fare di
qualcosa, insomma, che sia almeno
divertente e non la tristezza infinita
dei tassi negativi.
Il terzo giorno ha parlato un esperto
di questioni legali. I politici, ci ha
detto, non si tagliano mai i ponti
dietro le spalle e il divorzio tra
governi e banche centrali non è mai
stato reso irreversibile e totale come
sembra. Per noi avvocati è un gioco da ragazzi trovare le possibili scappatoie
nella legislazione esistente. Il Regno Unito, del resto, ha utilizzato nel 2008,
una clausola che permette alla banca centrale di anticipare soldi al Tesoro
senza una scadenza precisa. Il Tesoro americano, che batte moneta (ma non
stampa banconote), potrebbe dal canto suo emettere una moneta da uno,
cinque o dieci trilioni e depositarla alla Fed o spenderla come vuole (se ne era
discusso già nel 2009).
A little help from my friends. A fine 2008 la
Bank of England passò al Tesoro alcune centinaia
di milioni di sterline.
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AVVENTURE IN ELICOTTERO
La Germania, nel suo furore antinflazionistico, ha imposto alla Bce il
divieto di finanziare governi, enti locali e imprese, ma si è dimenticata delle
persone fisiche. Ed è qui che entrate in gioco voi e i vostri elicotteri. La Bce
non violerebbe nessuna regola se decidesse di farvi lanciare banconote dai
vostri apparecchi su tutta l’eurozona. Oh certo, ci sarebbero milioni di ricorsi
alla Corte di Giustizia europea, ma voi sareste già tornati alle vostre basi a
missione compiuta. E in tempo per effettuarne una seconda, cui forse non
avete ancora pensato, quella di rovesciare nell’Etna o nel Vesuvio (non è
colpa di nessuno se gli unici vulcani attivi dell’eurozona sono in Italia) i
titoli del debito pubblico acquistati in questi anni dalla Bce.
Troppo spettacolare? Vero, ma in queste cose esiste un costo di
opportunità. L’accredito sul conto corrente o un bonus fiscale sarebbero più
seri e per bene del denaro buttato dall’elicottero ma colpirebbero meno
l’immaginazione e sarebbe quindi necessaria, per raggiungere l’obiettivo,
una monetizzazione più grande. Se il Tesoro dei vari paesi europei emettesse
uno zero coupon perpetuo (che se ci pensate un attimo non vale
assolutamente niente) e lo desse alla banca centrale in cambio dei Btp e dei
Bund da questa detenuti l’effetto sarebbe lo stesso, contabilmente, del
vostro lancio di titoli nel cratere dei vulcani. Psicologicamente, però, sarebbe
diverso.
Le giornate successive del corso sono state
dedicate a questioni tecniche (quanto è possibile
avvicinarsi a un cratere in eruzione, come
gettare soldi in condizioni di particolare
ventosità) ma i signori coi gessati hanno
continuato a mescolarsi con noi in mensa e alle
machine del caffè. In quel clima più informale si
sono lasciati andare un po’ di più. Voi siete una
metafora, ci hanno confidato, e non andrete mai
in missione. Ma come metafora sarete preziosi,
perché potenzierete l’effetto di misure
dall’apparenza asettica.
Quanto ai tempi, ci hanno detto sottovoce,
sono più vicini di quello che si pensa. Se è
bastata la paura di gennaio e febbraio (senza
recessione, senza default, senza crolli veri di
borsa) per imprimere un’accelerazione così forte al dibattito sulla
monetizzazione, figuriamoci che cosa succederà in presenza di una recessione
vera, anche molto superficiale.
Il Giappone sarà il primo a esplorare questa strada, anche in assenza di
recessione. L’America dovrà aspettare comunque le elezioni, ma che sia
Trump o Clinton nessuno metterà ostacoli alla Fed se questa riterrà maturi i
tempi. L’America, in ogni caso, è il paese che meno ha bisogno di helicopter
money nell’orizzonte prevedibile. Prima della monetizzazione faremo infatti
in tempo a vedere il pieno impiego e altri rialzi dei tassi.
Whirlybirds (in Italia Avventure
in Elicottero). 111 episodi tra il
1957 e il 1960.
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AVVENTURE IN ELICOTTERO
L’Europa arriverà per ultima, come fa sempre. Prima griderà allo
scandalo, come ha fatto con la svalutazione americana post-2008 (salvo poi
svalutare l’euro nel 2014), con il Qe degli altri (salvo poi adottarlo anche lei)
e con i tassi a zero degli altri, giudicati sleali e poi adottati con entusiasmo.
Si comincerà con quantità modeste, per minimizzare l’impatto negativo
sulla parte lunga della curva del debito. L’effetto sulle borse sarà positivo.
Rovesciare una tendenza alla stagnazione o alla recessione farà infatti
premio sulla compressione dei multipli derivante da un aumento dei tassi.
Si riuscirà a evitare la dipendenza da una cosa così bella e divertente? Chi
vivrà vedrà.
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Alessandro Fugnoli
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gli amici degli amici i soldi in questi anni ne hanno fatti a palate e senza fatica, non per nulla 20 nuovi miliardari dal 2007 (prima si contavano solo 10 miliardari in italia)
chiaramente tutti questi miliardari hanno pagato le folli tasse italiane per diventarlo, si si certamente ..
ora questi ricconi che hanno fatto i soldi con duro lavoro devono farli rendere e c'e' solo un modo: aumentare i tassi di interesse
saranno le famiglie, i lavoratori e i paesi emergenti a garantirgli il guadagno sul capitale con le tasse e il debito pubblico
e state ben attenti "paesi emergenti" siete anche voi italiani, con l'inflazione vi mangeranno in un sol boccone gli 80euro e vi accorgerete solo dopo della fregatura
e lo aprono sull'€uro



I creditori
pagano il costo
dell’economia a tassi negativi

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11 MAGGIO 2016 – L’economia dello Zero Lower Bound, come ormai si connota l’esito delle politiche monetarie non convenzionali, sta producendo notevoli cambiamenti nei nostri costumi economici il più evidente dei quali è la lenta erosione della ricchezza dei creditori a vantaggio dei debitori. Questi ultimi riescono meglio a sopportare il peso dei debiti, perché servirli è meno costoso. Ma poiché non esistono pasti gratis, il loro risparmio equivale alla perdita di qualcun altro, ossia il loro creditore. Risultato che potrebbe pure soddisfare le pulsioni di chi simpatizza per i debitori a svantaggio delle loro controparti, ma probabilmente perché dimentica che la posizione di creditore non riguarda solo i ricchi capitalisti. E’ sufficiente che ognuno di noi sia titolare di un conto corrente e abbia alcuni risparmi per diventare – di fatto – un creditore. Se poi è iscritto a un fondo pensione o ha un’assicurazione dove sta cumulando risparmio, lo è a maggior ragione. Altresì, la simpatia che di solito si riserva ai debitori, che gran parte della vulgata dipinge come vittime dell’avidità dei capitalisti, potrebbe raffreddarsi sol che si ricordi come i più grandi debitori sono gli Stati – pensate solo agli Usa o al Giappone – le grandi corporation e, in generale, le entità che usano il debito, magari come strumento speculativo.
Un’idea chiara di quello che sta accadendo ce la fornisce un recente studio di Fitch, nel quale si osserva che l’economia dei tassi a zero o negativi ha condotto gli investitori a dover gestire quasi 10.000 miliardi di bond pubblici, 9,9 trilioni per la precisione, che hanno rendimenti negativi. Ciò genera conseguenze di difficile comprensione sul futuro dell’equilibrio finanziario, e in particolare su colui che necessita rendimenti positivi dagli investimenti per poter ripagare le proprie obbligazioni. Per dirla con le parole di Fitch, “la crescita nell’ammontare di debito sovrano a rendimento negativo sta aumentando la pressione sugli investitori che dipendono pesantemente dai redditi che provengono dalle obbligazioni governative”. In particolare si fa riferimento alle banche, le assicurazioni e gli altri investitori in titoli sovrani, tipo i fondi pensione.
“Le politiche monetarie non convenzionali in Giappone e in Europa – ha spiegato Robert Grossman, managing director di Macro Credit Research dell’agenzia di rating – hanno spinto i rendimenti ancora più in basso, limitando l’abilità degli investitori a ottenere profitto attraverso i redditi da investimenti”.
I dati dicono che questi 9,9 trilioni di debito a rendimento negativo si suddividono in 6,8 trilioni a lungo termine, mentre i restanti 3,1 trilioni sono a breve, quindi sono strumenti del mercato monetario. La simulazione, svolta sui valori registrati al 25 aprile scorso, ha calcolato che questa montagna di obbligazioni genera uno yield negativo per 24 miliardi di dollari. Ciò vuol dire che chi ha comprato queste obbligazioni ha praticamente “pagato” ai debitori questa cifra solo per il fatto di averle acquistate. E’ interessante sottolineare che in tempi normali, quindi quando le obbligazioni generavano un rendimento positivo, i risultati sarebbero stati ben diversi. Ai tassi del 2011, quando lo yield era all’1,23%, gli investitori avrebbero potuto contare su incassi per 122 miliardi. Se si andasse ai rendimenti del 2006, quotati all’1,83%, sarebbero stati 180 miliardi.
Questa sorta di rivoluzione culturale – per la quale i creditori pagano i debitori anziché il contrario – genera importanti ricadute sui comportamenti finanziari degli investitori. “Il desiderio di generare migliori ritorni può condurre banche e compagnie di assicurazioni, fondi monetari e altri investitori ad allungare le scadenze o abbassare la qualità media del credito dei loro portafogli, contribuendo ad aumentare i rischi del sistema finanziario”. Vale la pena osservare che il solo Giappone pesa il 66% di questa montagna di debito a rendimento negativo, grazie alle politiche di QQE realizzate dalla BoJ, che oltre a portare i tassi in zona negativa, ha potenziato gli acquisti di bond governativi. Il resto è localizzato in Europa.La sindrome giapponese ormai ci ha contagiato.
Non finisce qui. Il new normal della politica monetaria a ZLB sta generando una pluralità di esiti imprevisti che potremmo iscrivere nella casistica dell’eterogenesi dei fini. “Una delle possibili implicazioni di uno stock crescente di debito a yield negativo – aggiunge Fitch – è la domanda crescente di security governative a più alto rendimento, come i Treasury Usa, abbassando ulteriormente i rendimenti a lungo termine, complicando lo sforzo della Fed nell’aumentare i tassi a breve più tardi nel corso di quest’anno”. Insomma, la politica dello ZLB può creare i presupposti della sua stessa irreversibilità. La trappola perfetta.
Un altro esempio di eterogenesi dei fini, riportato di recente dal capo economista della Bis, Hyun Song Shin, riguarda l’andamento del credito in Europa dopo la decisione della Bce di portare in zona negativa i rendimenti sulle riserve bancarie detenute presso la banca centrale. Si è osservato che mentre la crescita del credito nell’eurozona è rimasta anemica, c’è stato un notevole aumento del credito in Svezia, ossia in un paese fuori dall’EZ, per la semplice circostanza che “Le banche svedesi sono sensibili agli sviluppi nell’area euro e specialmente all’inclinazione della curva dello yield”. In pratica hanno trovato conveniente indebitarsi in euro e prestare a lungo termine in corone. Sicché hanno emesso bond a lungo termine denominati in euro e poi li hanno usati come collaterale nel mercato monetario per prendere a prestito corone che hanno dato a loro volta a prestito al mercato domestico per lucrare sui differenziali dei tassi. In sostanza hanno sfruttato l’andamento dell’euro per avere finanziamenti a costo più contenuto. Il risultato è stata “un’abbondanza di euro in Svezia da parte di venditori (le banche, ndr) che vogliono prendere a prestito corone con euro come collaterale”. L’analisi mostra inoltre che “le banche in Svezia tendono ad attingere più fondi all’estero quando l’euro è debole” e questa è una evoluzione alquanto recente, nota ancora. “In questo senso la notevole crescita del credito in Svezia può essere collegata sia agli sviluppi monetari dell’euro zona che a circostanze domestiche”.
Tutto ciò per dire che dell’economia dello ZLB sappiamo ancora poco, quanto alle sue conseguenze. Sappiamo però che i creditori stanno già pagandone il prezzo, visto che per avere più rendimento devono correre più rischi. E il rischio crescente rende il mercato più instabile. Questa forse è la conseguenza più grave.
 

tontolina

Forumer storico
Perché le banche centrali non riescono mai a vedere una bolla
Di Francesco Simoncelli , il 17 giugno 2016 4 Comment

di David Stockman

Ogni giorno abbiamo la conferma che il casinò è un luogo estremamente pericoloso e che l’esposizione ai mercati azionari e obbligazionari è da evitare a tutti i costi. In sostanza tutta la baracca si basa su una menzogna istituzionalizzata, ovvero, le dichiarazioni dei banchieri centrali, dei broker di Wall Street e dei grandi dirigenti di società sono costituite da depistaggi, offuscamenti e inganni.

Come abbiamo indicato molte volte nei precedenti articoli, tutto viene definito dalle luci dei banchieri centrali di oggi e dai loro seguaci a Wall Street. Dal momento che i primi sono occupati con “l’accomodamento” e lo “stimolo” delle economie di tutto il mondo, le recessioni e i bust del mercato azionario non possono accadere.

Allo stesso tempo, i discorsi del casinò puntano sempre alle opportunità di oggi e ancor di più alle prospettive di domani (cioè, nella seconda metà di quest’anno e il prossimo). I venditori ambulanti proiettano gli utili dell’S&500 per il quarto trimestre 2016 a $32/azione, una crescita del 39% rispetto ai $23/azione per il quarto trimestre 2015; ed entro la fine del 2017 puntano ad un aumento del 57%.

Alla chiusura dei mercati di oggi, a 2094, cosa c’è che non va coi livelli di valutazione e i rapporti PE? Dopo tutto, le gambe rialziste dei venditori ambulanti puntano a $119 per azione nel 2016 e $136 nel 2017. I multipli impliciti PE sono un modesto 17.3X e 15.3X, rispettivamente.

Tranne che le cose non stanno neanche lontanamente così. Gli utili dell’S&P 500 su base GAAP sono a $86.47 e per il trimestre in corso stanno già perdendo il 10%.

Infatti il mercato azionario è ora valutato al 24.2X in un momento in cui il ciclo di crescita globale si sta invertendo, la pseudo-ripresa negli Stati Uniti ha di gran lunga sorpassato le medie passate e gli utili GAAP effettivi sono giù del 18.5% rispetto al picco del settembre 2014.




E all’interno di questo enorme divario troviamo la suddetta menzogna istituzionalizzata. E tanto per iniziare in bellezza la settimana, abbiamo avuto un altro bel pacco di frottole.

Durante il fine settimana il folle stampatore di denaro a capo della BCE, Mario Draghi, ha detto che non ci sono bolle in vista — nonostante il fatto evidente che egli abbia trasformato il mercato obbligazionario europeo in una bolla monumentale.

Allo stesso modo, prima che i mercati aprissero questa mattina, abbiamo avuto due esempi della stessa prevaricazione delirante. Sia PepsiCo che Morgan Stanley hanno riferito risultati disastrosi per il primo trimestre, ma in modo del tutto spudorato i portavoce aziendali e i media li hanno liquidati come “una tantum”. Naturalmente questo ha mandato in orbita i prezzi delle loro azioni, e nel caso di Pepsi a quasi un massimo storico.

Per quanto riguarda Morgan Stanley, è difficile immaginare come i suoi risultati potessero essere peggiori. I ricavi al netto degli interessi sono calati del 26% rispetto all’anno passato, mentre il suo core business e il suo investment banking hanno fatto registrare un calo del 18% e del 43%. Nel complesso, i ricavi totali sono crollati del 21% rispetto all’anno passato, e l’utile netto è sceso di un incredibile 54%.
Proprio così. Rispetto all’utile netto di $2.4 miliardi dell’anno scorso, il risultato del primo trimestre è stato pari a soli $1.1 miliardi, mentre il rendimento sul capitale proprio è crollato dal 14.1% al 6.2%.
In un libero mercato, Morgan Stanley sarebbe stata mandata sulla panchina delle penalità, ma non nel casinò di oggi. È salita soprattutto perché gli utili riportati di 55 centesimi per azione “hanno battuto” le aspettative del consenso (es. 46 centesimi).
Ma a ottobre il “consenso” prevedeva $1.00 per azione. Nel frattempo c’è stato un frenetico abbassamento delle stime che non si è fermato — com’è evidente dalla linea rossa qui sotto — fino alla vigilia della sua relazione del primo trimestre.

Fare finta che questo sia semplicemente un “battito” non solo è un insulto all’intelligenza di un bambino delle elementari, ma in realtà è emblematico della serie di menzogne presenti nel casinò.

Perché le banche centrali non riescono mai a vedere una bolla - Rischio Calcolato
 

tontolina

Forumer storico
Crisi economica e Banche: Tassi negativi quali saranno le ripercussioni sulle banche
Scritto il 21 giugno 2016 alle 11:11 da Paolo Cardenà
Come sapete e come avete potuto leggere decine di volte in questi pixel, chi scrive ritiene che, oltretutto, il vero cavallo di Troia della moneta unica siano i sistemi bancari nei vari paesi. L’Eurozona è gravata da oltre 1000 miliardi di crediti deteriorati (quelli noti, poi ci sarebbero anche quelli meno noti), un terzo dei quali appartengono alle banche italiane.
Non è un caso che, come avevo scritto qualche settimana fa, in Italia il rapporto tra le sofferenze lorde e il totale degli impieghi si colloca al 17.25%. Nessuno dei paesi che contano riesce a fare peggio dell’Italia, nemmeno lontanamente. E l’Italia non è esattamente Cipro, la Grecia, lo Yemen o il Senegal…. Infatti, come vedete dal grafico che segue, tra i primi 11 paesi considerati (cioè quelli che hanno il rapporto sofferenze lorde/impieghi totali più alto), 3 adottano l’euro. Direi che è abbastanza significativo…..

Fatto è che la debolezza del sistema bancario europeo è desumibile dall’andamento in borsa di molti titoli bancari. Tra questi, c’è anche Unicredit e Deustche Bank:

Come vedete l’andamento dei due titoli si sovrappone, proprio a testimoniare che la debolezza del settore, seppure con le dovute eccezioni.
I problemi delle banche dell’Eurozona (e in particolare di quelle italiane) sono tutti noti:
  • Le sofferenze che erodono capitale;
  • La mole dei crediti deteriorati;
  • La scarsa crescita economica, che non consente di assumere rischi e aumentare il volumi del credito;
  • I margini di intermediazioni ridottissimi a causa della caduta dei tassi di interesse, come conseguenza del spinte deflazionistiche e delle manovre espansive della BCE. Il che disincentiva le banche a concedere credito, vista la scarsa possibilità di ottenere una remunerazione adeguata a fronte di rischi elevati connessi alla debolezza del ciclo economico.
In ordine a quest’ultimo tema, già in un precedente articolo avevo parlato degli effetti indesiderati dei tassi negativi (leggi QUIGUEST POST: LE CONSEGUENZE INDESIDERATE DEI TASSI NEGATIVI ) che si riflettono non solo sulla redditività della banche (aggravando un situazione già fragile), ma minacciano anche la stabilità finanziaria per via dei riflessi che i tassi bassi di interesse stanno avendo sulle assicurazioni (leggi QUI SE AVETE INVESTITO IN POLIZZE DOVETE LEGGERE QUESTO ARTICOLO ).
Ormai nel mondo ci sono circa 10 miliardi di titoli stato che offrono rendimenti negativi e circa il 60% di essi hanno un rendimento inferiore all’1%.


La scorsa settimana il bund tedesco (10 anni), per la prima volta nella storia ha toccato un rendimento negativo. Ormai il club dei paesi con rendimenti negativi è abbastanza assortito, e ciò che sorprende ( e preoccupa) è che, in alcuni pesi, anche le scadenze più lunghe offrono rendimenti vicinissimi allo zero.


Se siete interessati ad osservare il lungo percorso (ultimi 36 anni) che ha condotto alla caduta dei tassi di interesse e i principali eventi che ne hanno determinato l’evoluzione, ecco un interessante grafico di JP Morgan.


C’è da dire che, nelle ultime settimane, la corsa dei prezzi delle obbligazioni sovrane più sicure è stata alimentata anche dalle incertezze determinate dal referendum del prossimo 23 giugno in Gran Bretagna. Ma questo, a mio avviso, giustifica solo in parte la caduta dei rendimenti.
Ormai da tempo la BCE si trova in piena manovra espansiva e se si considera che il bilancio, nell’ultimo anno, è aumentato di oltre un miliardo di euro (ossia più della metà del volume degli acquisti preventivati, appaiono troppo deboli i risultati ottenuti sul fronte dell’inflazione e della crescita.


La realtà è che, se le intenzioni della BCE erano quelle di stimolare l’inflazione, il quantitative easingnon sta affatto producendo gli effetti desiderati, determinando comunque degli effetti collaterali di difficile immaginazione.


Ma non è tutto.
Se si considera che, nella stima delle attese di inflazione, uno degli indicatori preferiti dalla BCE è l’andamento del tasso swap forward a 5 anni, il grafico che segue sembra suggerire che le aspettative di inflazione nella zona euro sono in netto deterioramento.


Ritornando alla questione della banche e agli effetti collaterali terminati da manovre di politica monetaria fortemente espansive, non deve sorprendere che in Germania esiste un ampio fronte fortemente critico nei confronti della BCE, colpevole -a loro dire- di causare enormi problemi alle banche e alle assicurazioni.
Così il Ministro delle finanze tedesche, Schaeuble, il 12 aprile scorso:
“È indiscutibile che la politica dei tassi di interesse intrapresa stia causando enormi problemi alle banche e all’intero sistema finanziario tedesco, compresi anche i piani pensionistici.”

Prendendo spunto dalle parole di Schaeuble, considerato il crollo dei titoli bancari europei da inizio anno, ho cercato di comprendere la relazione esistente tra il crollo e l’aumento dei prezzi delle obbligazioni sovrane (e quindi la diminuzione dei tassi di interesse). Premesso che l’analisi di seguito riportata è solo una chiave lettura del fenomeno (non è l’unica e non è detto che sia la più corretta), la correlazione esistente tra la caduta dei prezzi delle azioni e l’aumento dei prezzi degli asset obbligazionari, sembra dare ragione al ministro Schauble. In economia e tanto più in finanza, comprendere le connessioni esistenti tra diverse fenomeni è esercizio assai difficile, e talvolta impossibile. Però, quanto di seguito riportato potrebbe essere utile a comprendere possibili evoluzioni e a stimolare qualche riflessione.
Nel secondo grafico pubblicato in apertura dell’articolo, abbiamo visto l’andamento del tutto analogo (correlato) delle azioni Unicredit e Deutsche Bank da metà del 2015. Ora al grafico di cui sopra, aggiungiamo un altro elemento: l’Indice BoFa Ml EmuDirect Governments 15+ Yrs (linea blu), che è un indice rappresentativo delle obbligazioni sovrane dell’Eurozona con scadenza oltre i 15 anni, quindi particolarmente sensibile alla dinamica dei tassi.

Confrontando le dinamiche da inizio 2015, emergono cose che si conosco già. Ossia che a inizio 2015 si è assistito a una poderosa salita sia delle due azioni (nel grafico Unicredit e Deutsche Bank) che dell’indice rappresentativo delle obbligazioni sovrane. Infatti, a gennaio del 2015 venne annunciato il Qe da parte della BCE e quindi i mercati salirono in maniera significativa fino ad aprile. Quindi, una correlazione quasi perfetta tra le azioni e i titoli di stato. Successivamente, tra maggio e giugno, si assiste a un pesante sell-off sulle obbligazioni e quindi, anche le due azioni scendono, ma non in maniera troppo correlata rispetto ai bond. La questione cambia notevolmente a partire dal 2016, quando già si intuisce che la BCE avrebbe implementato altre misure espansive (poi rese ufficiali nella riunione di marzo).
Infatti, isolando il periodo che va da inizio 2016 fino ai giorni nostri, si ottiene questo:

Un grafico che rappresenta il crollo delle due banche e la salita dei titoli sovrani. Un grafico che potrebbe risultare anonimo, ma che in realtà non lo è affatto.
Infatti, mettendo su ordini di grandezza diversi le due azioni considerate (scala destra) e l’andamento dell’indice Bofa ML, si ottiene questo grafico:

La questione cambia, e anche di molto. Come potete vedere, a partire da gennaio, esiste una decorrelazione abbastanza netta tra la performance dei titoli di stato e l’andamento delle due azioni: le azioni scendono quando i prezzi dei titoli aumentano (per effetto della diminuzione dei tassi) e viceversa.
La decorrelazione esistente è ancor più intuibile invertendo la curva dell’indice Bofa ML (invertito sulla scala destra)

Certo, come ho detto, la decorrelazione potrebbe in parte essere dovuta al fatto che i prezzi dei titoli di stato sono saliti a causa delle incertezze per il referendum in Gran Bretagna, ma questo potrebbe riguardare più che altro i bund tedeschi, non certamente i titoli italiani (non sono ritenuti dei titoli sui quali rifugiarsi).
Il ragionamento proposto (che ripeto è solo una chiave di lettura) ci aiuta a formulare qualche ulteriore spunto di riflessione:
Sappiamo che molti sistemi bancari (tra cui l’italia) soffrono a causa del scarsa redditività, fortemente compressa dalla dinamica dei tassi di interesse. Sappiamo anche che le banche, hanno fatto affari d’oro investendo in titoli di stato, grazie alla salita dei prezzi per effetto del crollo dei tassi. Gli utili realizzati investendo in titoli di stato hanno consentito di mitigare gli effetti derivanti dalle pesanti perdite dovute all’esplosione delle sofferenze. Alla luce di quanto appena esposto, i grafici sopra riportati sembrano suggerire che la caduta dei prezzi delle azioni potrebbe anche essere attribuibile (almeno in parte) all’esaurirsi della spinta propulsiva dei prezzi dei titoli di stato. Infatti, con gli attuali livelli, sembra poco probabile che i tassi possano scendere ancora favorendo l’ulteriore apprezzamento (significativo) dei titoli in portafoglio. Di certo, non avverrà in maniera significativa. Quindi, per ricapitolare:
  • I bassi tassi di interesse disincentivano le banche a prestare, per via del fatto che i margini di profitto sono assai ridotti, soprattutto se si considerano i rischi derivanti dalla debole crescita economica;
  • La redditività quindi è compressa dai bassi tassi di interesse;
  • Poiché si è giunti ormai alla fine della caduta dei tassi, viene meno anche l’ulteriore elemento di redditività delle banche, dato (fino a questo momento) dall’aumento dei prezzi dei titoli di stato e da cedole robuste.
  • L’ultimo elemento è chiaramente più evidente nelle banche che hanno una maggiore esposizione nei titoli governativi;
  • Le banche sono molto esposte nei titoli sovrani, e per quanto si possa ritenere che i tassi saranno destinati a rimanere bassi per un lungo periodo di tempo (come sembra peraltro suggerire anche le aspettative sull’inflazione), sono comunque esposte al rischio aumento dei tassi (quando avverrà) che determinerebbe delle perdite sul portafoglio titoli;
  • Le banche, essendo i primi prenditori del denaro “stampato” dalla Bce, dovrebbero risultare fortemente favorite da manovre espansive. Eppure, a seguito delle ultime misure espansive adottate, la banche sembrerebbero fortemente penalizzate per quanto sopra esposto. Tutto ciò si riflette nei prezzi dei titoli che vengono venduti, anche per via del volume delle sofferenze che affliggono i bilanci bancari. Ne consegue che le perdite derivanti dal passaggio a sofferenza dei crediti deteriorati (350 miliardi di euro, nel caso italiano), non potranno essere attenuate nemmeno dai guadagni derivanti dell’aumento dei prezzi dei titoli di stato (in quanto lo spazio per crescere è ormai esaurito).
  • E’ chiaro che alla vendita delle azioni bancarie abbia contribuito anche le incertezze per il referendum in Gran Bretagna, ma questa è una lettura parziale e appare assai riduttivo attribuire al Brexit la caduta dei corsi azionari. In realtà, questo rischio va ad esprimersi in un terreno reso fertile dalle considerazioni sopra esposte.
Se quanto sopra affermato dovesse essere confermato anche nei prossimi mesi, state sicuri che assisteremo all’ampliarsi dello scontro tra la Germania e la Bce. Se la Germania dovesse prevalere, uscire da questa situazione sarebbe un percorso ad ostacoli tutt’altro che semplice e privo di rischi.
Ps: andrebbe anche ricordato che il mandato di Draghi giungerà a termine nel 2019. Allo stato attuale è assai difficile non immaginare che al suo posto andrà Jens Weidmann.


Crisi economica e Banche: Tassi negativi quali saranno le ripercussioni sulle banche | FinanzaNoStop
 

tontolina

Forumer storico
articolo di MILANOFINANZA dal titolo poderoso e invitante
Bank of England, per rilanciare l'economia ci vuole il bitcoin

Sul tema bitcoin e valute digitali, le banche centrali potrebbero cominciare a prendere seriamente in considerazione l'adagio Se non puoi batterli, unisciti a loro. In una ricerca pubblicata lunedì scorso, gli economisti della Bank of England caldeggiano agli istituti centrali l’emissione di una propria moneta digitale.
Scegliendo gli Stati Uniti come caso di studio sostengono che l’effetto potrebbe essere una spinta costante all'economia di circa il 3%, oltre all’elaborazione di strumenti più efficaci di politica per domare boom e crolli finanziari. John Barrdear e Michael Kumhof della BoE scrivono che "limature in tassi di interesse reali, imposte con effetti distorsivi e costi delle transazioni monetarie" potrebbero rilanciare l'economia.
STAMPARE MONETA DAL NULLA E SENZA REGOLE PRECISE..LE BANCHE CENTRALI STAMPANDO NUOVE MONETE CREANO INFLAZIONE INDOTTA.......QUESTA AFFERMAZIONE E' IMPORTANTISSIMA PER CAPIRE L'ECONOMIA DEL DOMANI..

INIZIERA' COME AL SOLITO IL PIU' DISASTRATO IL GIAPPONE...
Proprio come con il contante fisico, le valute digitali sul genere dei bitcoin consentono il pagamento diretto da un soggetto all’altro, ma mantengono anche tutti i vantaggi dei bonifici bancari perché permettono istantaneamente grandi pagamenti in tutto il mondo. Tuttavia, l’attrattiva principale del bitcoin non è il formato elettronico. In realtà, gran parte del denaro già lo è: appena il 5% circa del denaro circolante è fisico; il resto sono depositi bancari. Piuttosto, una moneta digitale offre un sistema decentrato per effettuare pagamenti senza l’intermediazione delle banche commerciali che registrano la transazione. I pagamenti sono convalidati da altri utenti in una rete globale di computer e poi aggiornati in un registro condiviso noto come blockchain.
Le banche centrali delle economie mature, tra cui la Bank of England e la Bank of Canada, stanno studiando le potenzialità di questa tecnologia. Se le banche centrali emettessero denaro virtuale e lo mettessero a disposizione del pubblico, il denaro esisterebbe elettronicamente al di fuori dei conti bancari in portafogli digitali, tanto quanto le banconote fisiche. Questo significa che famiglie e imprese potrebbero bypassare completamente le banche nell’esecuzione dei pagamenti.
A sua volta, questo indurrebbe un rimodellamento radicale del sistema finanziario. "Rendere il denaro delle banche centrali ampiamente disponibile potrebbe indurre un impatto sui depositi presso le banche commerciali e un effetto a catena sul sistema bancario", ipotizzava la BoE in un documento di ricerca dello scorso anno, perché la nuova moneta digitale sarebbe vista come alternativa più economica e più sicura. "Non vedo come le banche possano competere", commenta Peter Stella, ex central-banking head del Fondo monetario internazionale e direttore di Stellar Consulting.
Molti economisti accoglierebbero con favore uno scenario in cui tutto il denaro di un’economia è emesso dalla banca centrale, invece di esistere nella forma di conto corrente o depositi, che sono passività delle banche private. Kumhof, nel 2012 ha collaborato anche a una ricerca per il Fondo monetario internazionale che promuoveva la riserva al 100%, sostenendo che potrebbe stimolare l'economia degli Stati Uniti di circa il 10%.
Anche insigni economisti americani del calibro di Irving Fisher e Milton Friedman hanno propugnato la teoria della riserva bancaria totale. Con questo sistema, le banche sarebbero costrette a supportare ogni singolo deposito rilasciato ai clienti con del denaro presso la banca centrale, trasformando essenzialmente l’istituto centrale nell’unico creatore di denaro.
Attualmente, il sistema monetario non funziona in questo modo. Finché i depositi presso le banche private possono fungere da denaro, le banche hanno il potere di crearne una quantità infinita dal nulla: quando concedono un prestito, usano semplicemente i loro computer per incrementare il saldo del conto del cliente. È solo quando una banca deve effettuare dei pagamenti a vantaggio di un’altra che necessita di liquidità reale emessa dalla banca centrale, le riserve. Le banche possono sempre aumentare le proprie riserve presso la banca centrale, ma a un prezzo.
Per quanto questo prezzo, il tasso di interesse, possa influenzare la quantità di denaro che le banche private producono, molti economisti da tempo valutano questo strumento di controllo troppo debole in quanto lascia aperta la strada a bolle finanziarie.

Dalla crisi del 2008 si è osservato un revival delle proposte di messa al bando del denaro. L’Islanda in testa sta studiando un sistema alternativo in cui sia generato esclusivamente dalla banca centrale.
Un bitcoin emesso dalle banche centrali rappresenterebbe uno strumento di politica monetaria per controllare completamente la quantità di denaro presente nell’economia, un po’ come il full-reserve banking. Al momento si tratta di una via poco percorribile tenendo conto del fatto che le banche private possono creare autonomamente denaro.
Secondo molti economisti, tuttavia, focalizzare l’attenzione sulla quantità di denaro e su chi lo produce è un errore. Ciò conta è l'ammontare del credito e come viene utilizzato. Pertanto, aspettative eccessivamente ottimistiche per il futuro porteranno ancora a una bolla finanziaria. "È il settore privato che decide se accettare tali termini e condizioni, e se rivolgersi alle banche per il prestito", ricorda Charles Goodhart, professore alla London School of Economics ed ex BoE.
Il dibattito risale allo scontro tra la Currency School e la Banking School sorto in Gran Bretagna nel XIX secolo. Mentre la Currency School riteneva l’eccessiva emissione di banconote delle banche private la spiegazione per un'inflazione esagerata, la Banking School affermava che la quantità di denaro in circolazione fosse il risultato di quanto avviene all’interno dell'economia, e non la causa.
L'idea che il controllo della quantità di denaro presente nell'economia determini crescita, inflazione o la creazione di credito appare da tempo inesatta. Da quando le banche centrali hanno avviato i programmi di acquisto di obbligazioni nel 2008, per esempio, la quantità di denaro della banca centrale è cresciuta a dismisura, ma l'inflazione non si è materializzata. Anche gli esperimenti per controllare la quantità di denaro degli anni 80, ispirati a Milton Friedman, si sono rivelati fallimentari e negli anni 90 le banche centrali sono tornate alla politica dei tassi di interesse.
Inoltre, le proposte per la creazione di una valuta delle banche centrali in stile bitcoin rischiano di alienarsi le simpatie di un altro gruppo di attivisti: i veri fautori del bitcoin. Il senso di una moneta digitale, dal loro punto di vista, è l’assenza di un governo. "Il vantaggio principale è il decentramento", spiega Marco Streng, amministratore delegato di Genesis Mining. "Lo scenario migliore è quello in cui la gente non deve necessariamente fidarsi del governo, ma semplicemente del blockchain".
 

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