Tassi, QE e carry trade (2 lettori)

tontolina

Forumer storico
Basta uno schiocco di dita per far apparire l’inflazione

Di Francesco Simoncelli , il 21 dicembre 2015 2 Comment



Sebbene gli articoli di Rickards siano sempre pieni di idee stimolanti, peccano di alcune imprecisioni che possono indurre in errore il lettore. In questo caso è la differenza tra inflazione e inflazione dei prezzi. La prima fa riferimento all’offerta di denaro, mentre la seconda fa ovviamente riferimento al livello generale dei prezzi. Ludwig von Mises lo spiegò molto bene. Di conseguenza quello che abbiamo oggi è un’inflazione di massa dell’offerta di moneta che non si è tradotta in un’inflazione di massa dei prezzi perché il meccanismo della trasmissione monetaria all’economia più ampia è rotto. Ovvero, Main Street ha raggiunto la condizione di picco del debito e non sta accendendo nuovi prestiti; lo stesso vale per le piccole e medie imprese. Quindi la gran parte di quel denaro creato è rimasto parcheggiato come riserve in eccesso presso la FED, la quale paga un interesse dello 0.25%. Tale denaro, però, è stato utilizzato come collaterale da parte delle banche commerciali per darsi alla pazza gioia nel mercato azionario e obbligazionario societario, colmando in questo modo il vuoto lasciato da Main Street. L’inflazione dei prezzi c’è e si trova nel mercato finanziario: al giorno d’oggi le azioni sono talmente sopravvalutate che i relativi multipli di valutazione sono andati fuori giri. Parecchi colossi della grande imprenditoria hanno beneficiato di questa manna, espandendo di conseguenza la loro produzione. In quale ramo aziendale? Ma ovviamente in quello dell’ingegneria finanziaria che, prendendo in ostaggio i bilanci di tali aziende, le ha saturate di debiti impagabili e capacità in eccesso. Ciò ha avuto ripercussioni lungo tutta la filiera delle commodity, poiché i margini d’azione nell’ingegneria finanziaria si sono ristretti sempre di più a causa di una domanda inesistente e del progressivo assottigliamento dei rendimenti legati ai titoli tradati. Tale situazione sta portando lentamente al fallimento suddette imprese, scatenando un’ondata deflazionistica per quei prodotti per cui non esiste domanda genuina di mercato ed inflazione dei prezzi per quei prezzi per cui c’è. Questi fallimenti, a loro volta, si ripercuoteranno sui bilanci delle banche commerciali e degli hedge fund, saturandoli di NPL e crediti deteriorati. È proprio qui che ci stiamo dirigendo ora, verso il punto in cui le banche centrali non potranno fare più nulla a causa della mole gigantesca di errori economici che s’è venuta a creare.
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di James Rickards
Uno degli enigmi riguardanti la politica monetaria degli ultimi otto anni è stato il fallimento della Federal Reserve nell’innescare l’inflazione (dei prezzi, NdT). Questo fatto suona strano ai più. La gente associa l’inflazione (dei prezzi, NdT) ad una politica monetaria sbagliata da parte delle banche centrali, in particolare quella della FED.

La cosiddetta “stampa di denaro” è considerata un percorso certo verso l’inflazione (dei prezzi, NdT). La FED ha stampato quasi $4,000 miliardi sin dal 2008. Eppure l’inflazione (dei prezzi, NdT) [almeno come misurata dalle statistiche ufficiali] è appena percettibile.

Con così tanti soldi in giro, dov’è l’inflazione (dei prezzi, NdT)?
Questo enigma ha più risposte.
La prima è che la FED ha stampato denaro, ma pochi stanno prestando o spendendo. Le banche non vogliono concedere prestiti e i consumatori non vogliono accendere prestiti. Infatti il settore privato nel suo complesso è stato in modalità deleveraging — vendendo asset e ripagando i debiti — mentre invece il debito pubblico s’è espanso.

La velocità con cui i consumatori spendono denaro (tecnicamente chiamata velocità) è colata a picco.
Questa divergenza tra la creazione di moneta e il suo utilizzo può essere vista chiaramente nei due grafici qui sotto.
Il primo mostra l’aumento della base monetaria sin dal 1996. Dal 1996-2008 è aumentata ad un ritmo costante, esattamente come Milton Friedman e altri monetaristi avevano raccomandato sin dagli anni ’70.
A partire dal 2008, l’offerta di moneta “è schizzata in alto” dopo tre quantitative easing (QE). Sono evidenziati come QE1, QE2 e QE3.




Il secondo grafico, prendendo in considerazione lo stesso lasso di tempo, mostra un calo della velocità. Infatti la stampa di denaro dal 2008 al 2015 è stata annullata dal suddetto calo della velocità. Il risultato è stato praticamente un’assenza d’inflazione (dei prezzi, NdT).




La base monetaria (mostrata nel Grafico 1) è aumentata da $800 miliardi nel 2008 a più di $4,000 miliardi di oggi. Tuttavia la “velocità” del denaro (mostrata nel Grafico 2) è crollata durante lo stesso periodo.
Un aumento della massa monetaria da solo, non provoca inflazione (dei prezzi, NdT).

Il denaro dev’essere preso in prestito e speso.

L’assenza di prestiti e di spesa (come mostrato nella velocità in declino) è uno dei motivi per cui la disinflazione e la deflazione (dei prezzi, NdT) si sono diffuse più dell’inflazione (dei prezzi, NdT).



La seconda ragione per cui c’è assenza d’inflazione (dei prezzi, NdT) è che il mondo si sta confrontando con potenti venti deflazionistici, principalmente la demografia e la tecnologia. Il tasso d’incremento della popolazione mondiale ha raggiunto il picco nel 1995. Oggi le popolazioni sono in declino in Giappone, Russia ed Europa. Sono stagnanti anche altrove, al di fuori dell’Africa e del Medio Oriente.
Meno persone significa meno domanda aggregata di beni e servizi. La tecnologia e l’efficienza dell’analisi predittiva hanno abbassato il costo di tutto, dalle scorte ai trasporti. Questa combinazione di minore domanda e maggiore efficienza sfocia in prezzi inferiori.


L’ultima ragione è la globalizzazione. La capacità delle multinazionali di spostare le fabbriche e ottenere risorse in qualsiasi parte del mondo, ha ampliato il bacino del lavoro disponibile.
Le catene d’approvvigionamento globali e la logistica avanzata fanno sì che i prodotti come gli smartphone, vengano creati con la tecnologia degli Stati Uniti, gli schermi tedeschi, i semiconduttori coreani e l’assemblaggio cinese. I cellulari sono poi venduti in tutto il mondo. Eppure molti dei lavoratori sono pagati poco.
Queste tendenze deflazionistiche rappresentano un grande problema per la FED.


I governi devono provocare inflazione (dei prezzi, NdT) per ridurre il valore reale del debito pubblico. L’inflazione (dei prezzi, NdT) aumenta anche i redditi nominali e questi aumenti nominali possono essere tassati.
Una deflazione (dei prezzi, NdT) persistente aumenterà il valore del debito e ridurrà le entrate fiscali portando gli stati sull’orlo del fallimento. Gli stati sono dunque assetati d’inflazione (dei prezzi, NdT) e si basano sulle banche centrali affinché la facciano comparire.


Negli ultimi otto anni la FED ha provato ogni trucco per generare inflazione (dei prezzi, NdT).
Ha abbassato i tassi, ha stampato denaro, s’è impegnata in guerre tra valute, ha usato la “forward guidance” (promette di non alzare i tassi in futuro), ha implementato “l’Operation Twist” e ha usato obiettivi di PIL nominale.

Tutti questi metodi hanno fallito.
La FED poi s’è data la zappa sui piedi rallentando gli acquisti di asset, rimuovendo la forward guidance e minacciando d’aumentare i tassi. Queste mosse restrittive hanno reso il dollaro più forte e hanno aumentato le forze deflazionistiche proprio mentre la FED sosteneva di volere più inflazione (dei prezzi, NdT).
Gli ultimi due anni sono la prova (non che ce ne fosse bisogno) che la FED non capisce la dinamica delle forze deflazionistiche con cui si sta confrontando.
Secondo me la FED invertirà presto la rotta e ricorrerà ad una qualche forma d’allentamento — probabilmente una forward guidance più accentuata e un dollaro più svalutato. Se mi sbaglio e la FED alzerà i tassi, la deflazione peggiorerà ed emergerà una recessione globale.
Il peggior incubo di una banca centrale è quando vuole l’inflazione (dei prezzi, NdT) e non può ottenerla.

I trucchi della FED hanno fallito.

C’è un altro coniglio nel cappello?
In realtà sì.

La FED può causare una massiccia inflazione (dei prezzi, NdT) in 15 minuti. Può indire una riunione del consiglio, votare su una nuova politica e annunciare al mondo che con effetto immediato il prezzo dell’oro è di $5,000 l’oncia.
La FED può fare una cosa del genere utilizzando l’oro del Tesoro a Fort Knox e quello delle principali banche degli Stati Uniti che si occupano del metallo giallo per condurre “operazioni di mercato aperto”. Comprerebbe se il prezzo arrivasse a $4,950 l’oncia, o meno, e venderebbe se il prezzo raggiungesse i $5,050 l’oncia, o più.
Stamperebbe denaro quando comprerebbe e ridurrebbe l’offerta di moneta quando venderebbe attraverso le banche. Questo è esattamente ciò che fa oggi la FED sul mercato obbligazionario quando attua il QE. La FED potrebbe semplicemente sostituire l’oro alle obbligazioni e prendere di mira il prezzo dell’oro piuttosto che i tassi d’interesse.
Naturalmente i $5,000 l’oncia non rappresentano un premio per gli investitori in oro. Lo scopo è quello di provocare un aumento generalizzato del livello dei prezzi. Un aumento del prezzo dell’oro da $1,000 l’oncia a $5,000 l’oncia, rappresenta una svalutazione dell’80% del dollaro quando misurata secondo la quantità d’oro che un dollaro può comprare.
Questa svalutazione dell’80% rispetto all’oro farà anche aumentare tutti gli altri prezzi in dollari. Il petrolio salirebbe a $400 al barile, la benzina salirebbe a $10.00 per gallone alla pompa e così via. Ecco qui — una massiccia inflazione (dei prezzi, NdT) in 15 minuti: il tempo necessario per votare la nuova linea di politica.
Non pensate che questo sia possibile?
Negli ultimi 80 anni è accaduto due volte negli Stati Uniti.
Potreste addirittura conoscere alcune persone che hanno vissuto entrambi gli episodi.
La prima volta nel 1933, quando il presidente Franklin Roosevelt ordinò un aumento del prezzo dell’oro da $20.67 l’oncia a $35.00 l’oncia, quasi un aumento del 75% del prezzo in dollari dell’oro. Lo fece per sopprimere la deflazione (dei prezzi, NdT) della Grande Depressione, e funzionò. L’economia crebbe vigorosamente (ma in termini nominali e non reali, NdT) dal 1934 al 1936.
La seconda volta nel 1970, quando il presidente Richard Nixon pose fine alla possibilità dei partner commerciali degli Stati Uniti di convertire i dollari in oro. Nixon non voleva l’inflazione (dei prezzi, NdT), e invece fu quello che ottenne.
L’oro passò da $35 l’oncia a $800 l’oncia in meno di nove anni, un aumento del 2,200%.
Dal 1977 al 1981 l’inflazione (dei prezzi, NdT) in dollari fu superiore al 50%. Il valore del dollaro si dimezzò in quei cinque anni.




La storia dimostra che l’aumento del prezzo in dollari dell’oro è il modo più rapido per provocare inflazione (dei prezzi, NdT) generale. Se non ci pensano i mercati, ci pensa lo stato.
Funziona sempre.
La storia dimostra anche che l’oro non sale solo con l’inflazione (dei prezzi, NdT) [1970], ma anche con la deflazione (dei prezzi, NdT) [1930].

Quando la deflazione (dei prezzi, NdT) va fuori controllo, come accadde negli anni ’30 e potrebbe accadere di nuovo, lo stato dovrà aumentare il prezzo dell’oro per controbilanciarne gli effetti. Deve farlo — altrimenti la deflazione (dei prezzi, NdT) manderà in bancarotta il paese.
Mi aspetto una deflazione (dei prezzi, NdT) fuori controllo? In realtà, no. La deflazione (dei prezzi, NdT) è una forza forte ora, ma mi aspetto che alla fine la FED riuscirà ad ottenere l’inflazione (dei prezzi, NdT) che vuole — probabilmente attraverso la forward guidance, le guerre tra valute e i tassi d’interesse negativi.
Quando accadrà tutto ciò, l’oro salirà di prezzo.
Ma anche se la deflazione (dei prezzi, NdT) avrà il sopravvento, l’oro salirà di prezzo se la FED lo userà per svalutare il dollaro quando tutto il resto avrà fallito.
Questo rende l’oro un’asset class per “tutte le stagioni”.
L’oro sale in presenza d’inflazione (dei prezzi, NdT) estrema e deflazione (dei prezzi, NdT) estrema. Pochissime asset class performano altrettanto bene in entrambe le situazioni. Dal momento che sia l’inflazione (dei prezzi, NdT) sia la deflazione (dei prezzi, NdT) sono una possibilità, l’oro dovrebbe trovarsi in ogni portfolio per proteggerlo da questi due estremi.
Saluti,

[*]
traduzione di Francesco Simoncelli: Francesco Simoncelli's Freedonia
 

tontolina

Forumer storico
La stampa di moneta ha causato l’inflazione, sì, ma non dove previsto


Business Insider riporta un articolo di Wolf Street in cui si analizzano gli effetti distorsivi del QE e della politica dei tassi a zero. Dal lato dei prezzi al consumo e dei salari, non si è avuta altro che deflazione, per il semplice motivo che i soldi delle banche centrali non sono mai arrivati nelle tasche dei consumatori, se non in parte sotto forma di un pericoloso indebitamento. Il fiume in piena del denaro a costo zero si è riversato piuttosto sui grandi istituti finanziari e sulle grandi imprese, provocando bolle, distruzione di capitale, e cattivi investimenti.

di Wolf Richter, 27 Dicembre 2015
Mi è stato chiesto, ancora una volta, perché tutta questa “stampa di moneta” da parte della banca centrale, insieme col tasso di interesse globale a zero o addirittura con politiche di interesse negativo, non abbiano causato una grande fiammata inflazionistica, considerata l’inondazione di moneta nel sistema economico.
E’ una domanda cruciale che per un po’ di tempo ha dato molto da pensare, ma ora, che questa storia si trascina ormai da sette anni, rimbalzando da una importante banca centrale all’altra senza che se ne veda la fine, la risposta è sempre più chiara.
Questo grafico di NBF Economics and Strategy mostra la crescente massa di attività, espresse in dollari, che le “quattro grandi banche centrali” – Fed, BCE, Banca del Giappone, e Banca d’Inghilterra – hanno accumulato nei loro bilanci: circa $ 11mila miliardi. E questo senza contare quel che sta facendo la Cina. Le previsioni per il 2016 e 2017 presumono che la Fed e la Banca d’Inghilterra se ne staranno lontano dal QE, che la BoJ aggiungerà annualmente ¥ 80mila miliardi all’anno e la BCE € 60 miliardi, a tassi di cambio invariati:
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Inflazione dei prezzi al consumo v. inflazione dei prezzi degli asset
Quindi questa abbuffata globale di QE ha causato l’inflazione, un sacco di inflazione, ma non l’inflazione dei prezzi al consumo. Ha causato un forte aumento dell’ inflazione dei prezzi degli asset, con azioni, obbligazioni, immobili, auto d’epoca, opere d’arte … tutto salito alle stelle nel corso degli anni.
Praticamente l’unica categoria dei più importanti asset che non ha sperimentato aumenti è il settore delle materie prime. Lì, i prezzi sono crollati. E ci arriveremo tra poco.
Allora, perché il QE ha causato un’inflazione galoppante dei prezzi degli asset, ma poca inflazione dei prezzi al consumo?

Perché il denaro non è mai andato ai consumatori – sotto forma di salario. Ne avrebbero speso la maggior parte, spingendo ad un aumento della domanda, che avrebbe dato origine a pressioni inflazionistiche sui prezzi al consumo. Ma non hanno mai avuto questo denaro.


OK, vi è stata un’inflazione che ha ridotto il potere di acquisto in alcune parti dello spettro dei prezzi al consumo, per esempio, nelle spese sanitarie e nelle spese per il college.

Questo grafico di Advisor Perspectives mostra che, dal 1991, le tasse e contributi per l’università sono lievitati del 338% e le cure mediche del 167%. Gli aumenti hanno subito un’ accelerazione dal 2001 …
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Così le persone con figli nei college e con problemi medici cronici sono state stroncate dall’inflazione. Ma quella forma di inflazione è andata avanti per molti anni ed è stata causata da fattori diversi dalle attuali politiche monetarie.
Allora, perché il QE non ha causato un’impennata di inflazione dei prezzi al consumo? Perché il denaro è stato riversato sui grandi istituti finanziari e sulle grandi società, che lo hanno investito in attività finanziarie (compresi i riacquisti di azioni proprie e altre forme di “ingegneria finanziaria”), spingendo così verso l’alto i prezzi degli asset.

Come i prezzi degli asset sono saliti, i loro possessori sono diventati più ricchi e hanno reinvestito i loro guadagni, amplificando così il boom dei prezzi. Queste persone, già ricche, non avevano bisogno di spendere i loro guadagni (quello che Bernanke ha chiamato l'”effetto ricchezza”) perché erano già in grado di spendere tutto quello che volevano. Quindi il boom dei prezzi degli asset ha avuto poco impatto sui consumi e non ha creato pressioni inflazionistiche dalla parte dei consumatori (tuttavia, alcuni beni di lusso come gli yacht hanno mostrato un’intensificazione delle vendite).


Deflazione dei Salari
QE e ZIRP (Zero Interest Rate Policy) hanno dato priorità al capitale piuttosto che al lavoro. Così i salari aggiustati all’inflazione per la fascia dell’80% delle famiglie meno ricche sono diminuiti, una tendenza che è iniziata dopo il picco dei salari reali nel 2000, ed ha accelerato con la crisi finanziaria. Dal momento che l’80% delle famiglie ha meno potere di acquisto, e una buona parte anche molto meno potere di acquisto, i consumatori non possono spendere come prima a meno che non prendano in prestito di più, e anche questo vale a contenere la domanda dei consumatori e le pressioni inflazionistiche.
Questo grafico di Advisor Perspectives mostra che per il 5% (linea nera tratteggiata) e il 20% (linea blu) delle famiglie più ricche, le cose non vanno troppo male in termini di reddito medio aggiustato all’inflazione. Per fortuna, l’ 1% non è mostrato separatamente. Ma quanto è successo all’80% delle famiglie più povere (cerchiato in rosso) è deflazione salariale:
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La Fed mantiene l’occhio di falco sui salari, soprattutto dell’80% più povero dei lavoratori. Il suo obiettivo è quello di fornire manodopera a basso costo all’America delle grandi società. E quando l’inflazione salariale tende a salire, la Fed può essere piuttosto radicale nell’aumento dei tassi.
Ma perché bassi salari fanno cattivi consumatori, la Fed sta cercando di mettere a loro disposizione l’indebitamento a buon mercato, trasformandoli in schiavi del debito, problema risolto, per il momento.
Quindi questa è una lezione che abbiamo imparato: il QE incanalato verso gli istituti finanziari e le società provoca inflazione dei prezzi degli asset, non l’inflazione dei prezzi al consumo. E tende ad esacerbare la deflazione dei salari per la fascia bassa dell’80% delle famiglie.
Una delle eccezioni è l’affitto. Quando i prezzi degli immobili residenziali salgono, gli affitti tendono a seguire. E gli affitti sono aumentati notevolmente in molte città. Ma a differenza delle azioni, la gente deve vivere nelle case, e quando gli affitti salgono oltre la loro portata, succede di tutto, tra cui il crash dei prezzi immobiliari.


Cattivi Investimenti, Eccessi, e Deflazione
QE e tassi di interesse a zero (ZIRP) causano anche qualcos’altro: una insidiosa “ricerca di rendimento”, con gli investitori che cercano di guadagnare un rendimento percepibile in un ambiente artificiale di interesse a zero, e che spinge anche gli investitori più prudenti ad esporsi sulla curva del rischio in cerca di minuscole e decrescenti tracce di rendimento. I loro tentativi deprimono ulteriormente i rendimenti sulle attività a rischio. E così si finisce nell’assurdità totale, come le rischiose obbligazioni spazzatura che nel 2014 rendono meno del 5%. Ora gli investitori stanno finendo rovinati.
Da troppo tempo questa attività inonda interi settori molto rischiosi con enormi quantità di denaro. Il risultato è il “cattivo investimento” in attività improduttive o in settori troppo affollati, il che porta alla sovrapproduzione e all’eccesso, come ad esempio nel settore del trasporto container oltreoceano, del petrolio e del gas USA, nel settore minerario e dei metalli, di altre materie prime, sino alle città fantasma in Cina …
Gli eccessi provocano il crollo dei prezzi, come ora possiamo vedere. E quando i prezzi crollano, il capitale che è affluito in questi settori viene distrutto. Il cattivo investimento è una cosa terribile.
Questo crollo dell’energia e di altre materie prime, tra cui le materie prime agricole, sta filtrando sui prezzi al consumo e spinge l’inflazione dei prezzi al consumo verso il basso. In questo modo, negli anni, QE e ZIRP creano pressioni deflazionistiche!


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tontolina

Forumer storico
THE BIG QUESTION: e ora che farà Wall Street?

Scritto il 31 dicembre 2015 alle 12:37 da Danilo DT

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Target price per lo SP500 e in più il grafico fondamentale che mette a nudo il rapporto fra FED e mercati. Ma ora che il quantitative easing USA è terminato, riuscirà la borsa USA quantomeno a tenere queste quotazioni?

Come ogni fine anno che si rispetti, la domanda più ricorrente tra gli operatori, in questi giorni, è “ma che farà Wall Street nel 2016″? Bella domanda: in molti si buttano con il toto-target, sparando numeri giustificati da calcoli stranissimi oppure spannometrici. Facendo una media tra le varie analisi raccolte dal Bloomberg, ecco cosa ne scaturisce.
FORECAST: previsioni target SP500 per il 2016






Gli analisti quindi si aspettano mediamente una performance pari al 7% (2.207 punti) Devo essere sincero: farei firma per avere la sicurezza di questa percentuale a fine anno. Vedremo anche perchè saranno moltissime le variabili che influenzeranno la tendenza di Wall Street. Inoltre non dimentichiamoci di un elemento che io considero assolutamente importante e “unico”.
Il 2015 è stato l’anno della svolta. Quantomeno se parliamo di politica monetaria USA. E’ stato l’anno dell’inversione di tendenza, dove dopo tanti anni di tassi tendenzialmente ZIRP, (tasso zero, dal 2008), la FED ha deciso all’unanimità di rialzare i tassi di interesse. Importo marginale, certo, ma comunque simbolico, un +0.25% che rappresenta il giro di boa e l’inversione.
Non voglio in questa sede dilungarmi sugli effetti del QE americano. Quello che invece mi preme portare in evidenza è un altro fattore.
Credo sia chiaro a tutti che il quantitative easing USA, come anche quello giapponese, inglese e dell’Eurozona, hanno avuto effetti quantomeno discutibili sull’economia, ma chairissimi sugli asset finanziari. In altri termini, hanno contribuito a far gonfiare a dismisura il valore di molte asset class. Basta guardare il valore di certi bonds, o di certe società quotate.
La cosa interessante, per il mercato USA, è la relazione tra politica monetaria e mercati finanziari, visibile in questo grafico.
BIG CHART: rapporto tra quantitative easing e Wall Street




Come potete vedere, il sostegno della banca centrale USA è stato determinante per le quotazioni della borsa. Il tutto grazie agli effetti diretti ed indiretti della politica monetaria USA.
Ma oggi, come vedete dal grafico verde, i tempi sono cambiati. La linea si è impennata (anche se di poco) e allo stesso tempo, Wall Street è come se avesse perso il suo “smalto” a cui eravamo abituati.

Riuscirà la BCE e la BOJ a sostituire il ruolo della FED sui mercati finanziari e sarà sufficiente? L’impressione che ho io, è che il mercato USA, nelle migliori delle ipotesi, può al massimo lateralizzare.
 

tontolina

Forumer storico
LA FINE DELLE BOLLE FINANZIARIE

25 gennaio 2016




Guest Post Voci dall’Estero che, da ZeroHedge, ha tradotto in interessante articolo scritto a dicembre da David Stockman, ex politico e uomo d’affari americano. Secondo Stockman l’economia mondiale è di fronte ad un periodo di deflazione almeno decennale (la ‘stagnazione secolare’) causato dalla politica di tassi bassi in vigore dagli anni ’90; questi tassi hanno alimentato, oltre alle bolle speculative degli ultimi 25 anni, un’enorme bolla sugli investimenti in beni capitali che ha enormemente ampliato la capacità produttiva mondiale oltre la capacità della domanda di assorbirla, rubando capacità produttiva al futuro. Dopo 84 mesi di zero lower bound e con la liquidità indotta con i QE sui mercati degli asset che ha causato investimenti sempre più speculativi, la risalita dei tassi, già avviata, innescherà la distruzione di questa capacità in eccesso per via deflattiva. L’alternativa – con i tassi ancora a zero – è il crollo del sistema finanziario.
Vi ricordo che, ove interessati, potete iscrivervi al convegno:
COME INVESTIRE NELL’EPOCA DEI TASSI A ZERO E DEI SALVATAGGI BANCARI A CARICO DEI RISPARMIATORI.

di David Stockman, 13 dicembre 2015
Ci stiamo avvicinando un punto di svolta cruciale nel ciclo globale delle bolle finanziarie che è in corso da più di due decenni. Vale a dire, le banche centrali del mondo hanno finalmente finito la polvere da sparo. Saranno incapaci di fermare l’implosione del credito, che inesorabilmente seguirà la nuova bolla.

Finiremo col parlare della Fed che si appresta ad un cambiamento epocale alzando i tassi di interesse, ma prima è fondamentale delineare il contesto macroeconomico globale.
In una parola, stiamo entrando in una grandiosa deflazione. Il precipizio si manifesta nel rinnovato massacro che si sta svolgendo nei mercati delle materie prime.
Questa settimana l’indice Bloomberg delle materie prime, che comprende tutto, dal petrolio greggio a soia, rame, nichel, cotone e bestiame, è affondato sotto quota 80 per la prima volta dal 1999. Adesso è inferiore quasi del 70% rispetto al suo massimo storico, alla vigilia della crisi finanziaria, e del 55% dal suo picco durante la ripresa del 2011.



I rialzisti di Wall Street e gli apologeti keynesiani della Fed vogliono farvi credere che non c’è molto da dire. Sostengono che è solo un temporaneo eccesso di petrolio e qualche eccessiva esuberanza di investimenti in conto capitale nel settore dei metalli e dell’industria mineraria.
Ma le loro rassicurazioni che, in un anno o giù di lì, l’attuale eccessiva offerta di rame, greggio, minerali di ferro e altre materie prime sarà assorbita da un’economia globale in espansione non potrebbero essere più lontane dalla verità. In realtà, questo errore è al centro del mio punto di vista sugli investimenti.
Noi riteniamo che l’economia globale sia enormemente rigonfia di spesa basata su debito che non può essere sostenuta. E che questa distorsione sia aggravata sul lato dell’offerta da un incredibile surplus di capacità produttiva in eccesso. A cui si sommano antieconomici e cattivi investimenti che sono stati innescati dal credito a bassissimo costo offerto dalle banche centrali.
Di conseguenza, l’economia mondiale in realtà sta per contrarsi per la prima volta dagli anni ’30. Questo perché il prezzo in caduta delle materie prime è solo il preludio a quella che sarà una depressione degli investimenti in conto capitale in tutto il mondo – proprio il genere di cose che non è più successo dagli anni ’30.
C’è stato così tanto eccesso di investimenti nel settore energetico, minerario, in quello della lavorazione, produzione e stoccaggio dei materiali, che nulla di nuovo sarà costruito negli anni a venire. Il boom degli ultimi due decenni, in sostanza, [anticipando gli investimenti] ha rubato al futuro molto della sua capacità di produzione.
Quindi ci sarà una seria riduzione nella produzione di macchine per miniere e movimento terra, di impianti di perforazione per i giacimenti di petrolio, di autocarri pesanti e vagoni ferroviari, di navi cargo e portacontainer, di macchinari per la movimentazione e lo stoccaggio di materiali, di macchine utensili e apparecchiature per il trattamento chimico e molto, molto altro.
Il punto cruciale, però, è che la netta riduzione dell’industria dei beni capitali ha implicazioni molto più distruttive per la macroeconomia rispetto ad una riduzione delle vendite di elettrodomestici di consumo o del numero di posti in bar e ristoranti.
I servizi sono praticamente senza scorte di lavoro e le catene di approvvigionamento di beni di consumo durevoli come lavastoviglie e automobili in genere hanno forse da 50 a 100 giorni di scorte a portata di mano. Così, quando si accumulano investimenti eccessivi in scorte, l’alleggerimento delle stesse e la conseguente riduzione della catena di approvvigionamento sono relativamente di breve durata.
Ma quando si tratta di beni strumentali il metro importante per la misura dell’inventario è la capacità in essere. Ecco dove le politiche pro-bolle finanziarie da parte della Fed e delle altre banche centrali hanno fatto tanti danni.
Lunghi periodi di costo sotto mercato del capitale inducono la aziende a sopravvalutare drasticamente il rendimento degli investimenti. E quindi alla fine ad accumulare l’equivalente di anni e anni di eccesso di capacità.
Questo è molto diverso dalle recessioni dei beni di consumo vissute dai nostri nonni negli anni ’50 e ’60. Quelle tipicamente implicavano tagli moderati di produzione e diversi trimestri di riduzione delle scorte. Questa volta l’aggiustamento dei beni capitali richiederà anni, forse più di un decennio.
Ecco perché.
Quando le miniere di ferro sono ampiamente sovradimensionate, per esempio, i nuovi ordini per le grandi macchine gialle da miniera della Caterpillar (CAT) possono scendere quasi a zero. Ecco perché CAT sta già vivendo il più lungo periodo di calo delle vendite al dettaglio – 35 mesi di fila e non è ancora finita – nella sua storia centenaria.



Questo è anche il motivo per cui la recessione globale in arrivo sarà così prolungata e ostinata. Quando il credito a buon mercato genera un boom di beni capitali longevi e costosi, dà luogo ad una “conduttura” di nuove capacità.
Questa conduttura non è facile da chiudere e spesso ha senso completarla – diciamo portacontainer, acciaierie o nuovi campi minerari – anche se i prezzi e la redditività sono già in declino. Questo è noto come il problema dei “costi irrecuperabili“.
Gli ordini di macchine da miniera rischiano di restare profondamente depressi per il resto del decennio. E questa sindrome si presenterà anche nella maggior parte degli altri settori, come per camion pesanti, cantieri navali, impianti di perforazione petrolifera, ecc
Questa depressione nelle industrie di beni capitali, a sua volta, significa la scomparsa di migliaia di posti di lavoro altamente qualificati e ben remunerati in aziende come Caterpillar. Lo stesso accadrà per le loro vaste catene di rifornimento di componenti, materiali e fornitori di servizi in outsourcing. E la cascata di queste contrazioni lungo la catena alimentare dell’economia intensificherà ed espanderà ulteriormente la dinamica deflazionistica.
Il grafico sottostante da qualche suggerimento sulla crisi massiccia che si sta parando davanti al mondo intero.
Nel corso degli ultimi 25 anni gli investimenti in conto capitale da parte delle società quotate in borsa del mondo sono cresciuti di un incredibile 500%. Gran parte di questo fenomeno è accaduto in Cina e nelle economie dei mercati emergenti (EM), e nelle infrastrutture di trasporto e di distribuzione che li collega.



Eppure questa massiccia esplosione della spesa per investimenti non si è verificata perché diversi miliardi di contadini asiatici improvvisamente hanno deciso di mettere da parte un’infinità di nuovi capitali.
In realtà, questa campagna senza precedenti di costruzioni e investimenti in conto capitale è stata finanziata quasi interamente dall’emissione massiccia di credito a tasso di interesse reale virtualmente nullo.
Ciò significa che il capitale è stato drasticamente sotto-prezzato facendo abbondare sprechi, eccessi e inefficienze.
Alla fine, l’economia globale si è pericolosamente sbilanciata. E queste conseguenze negative del falso boom di credito delle banche centrali mettono infatti in evidenza le opportunità di investimento future.
Il sano investimento capitalistico basato sui prezzi di mercato e sull’accantonamento del risparmio dal reddito corrente può andare avanti all’infinito, alimentando l’aumento di efficienza, produzione e ricchezza.
Ma gli investimenti in conto capitale basati sul credito a basso costo consentono solo temporaneamente all’economia mondiale di allargare la sua torta, e mangiarsela anche. Ora è il tempo del conto.
Inutile a dirsi, durante la fase di espansione della bolla finanziaria innescata dalle banche centrali, regna l’ottimismo e rialzisti e speculatori insistono sul fatto che “questa volta è diverso”.
Eppure le solide leggi della finanza e dell’economia di mercato non cambiano mai. Spesso ci vuole un tempo prolungato prima che tutti gli eccessi facciano il proprio lavoro e infine la bolla scoppi.
Il grafico sottostante riassume questa grande deformazione.
Nel corso degli ultimi due decenni, il debito da rimborsare nel mercato globale del credito è salito da 40 trilioni di dollari a 225 trilioni di dollari. Questo rappresenta un’incredibile espansione del debito di 185 trilioni di dollari. Questa eruzione sarebbe semplicemente inimmaginabile senza l’aiuto delle banche centrali che stampano denaro.
Al contrario, il PIL globale è cresciuto soltanto di 50 trilioni di dollari nello stesso periodo, e anche questo risultato è un’esagerazione. Gran parte di questa crescita rappresenta soltanto il pass-through del credito facile, e non risparmi reali investititi efficientemente nella produzione.
Di conseguenza, è probabile che l’economia globale abbia accumulato più di $ 4 di nuovo debito per ogni $ 1 di PIL incrementale.
Non solo questa è evidentemente un’equazione finanziaria insostenibile, ma significa anche che quando si ferma la crescita del credito, il debito si ritira dal PIL. Non era nuova ricchezza, solo produzione rubata al futuro.



E questo ci porta alla prossima mossa della Fed di alzare i tassi di interesse per la prima volta in 10 anni. Sarà pari a un cambiamento di rotta che a tempo debito frantumerà l’intero regime delle bolle finanziare che ha dato origine al falso credito e al boom degli investimenti in conto capitale descritto sopra.
Come ho detto spesso, la Fed è diventata dipendente dalla “Soluzione Semplice”. Durante più dell’80% degli oltre 300 mesi nel corso dell’ultimo quarto di secolo o ha tagliato i tassi o li ha lasciati invariati.



Di conseguenza, i giocatori d’azzardo professionisti nell’odierno casinò di Wall Street non hanno alcuna vera esperienza di un periodo in cui l’adagio “la Fed è tua amica” non funziona. Hanno sperimentato essenzialmente mercati fittizi a senso unico, sapendo che l’”opzione” Greenspan/Bernanke/Yellen sarebbe venuta in soccorso su azioni e altri asset rischiosi.
Ma ecco il punto. Dopo 84 mesi di tassi di interesse a zero – gente, questa sì che è pura follia secondo tutti gli standard storici – la Fed ha esaurito tempo e scuse.
Se alla fine non comincia a normalizzare i tassi, come più volte promesso, la sua credibilità sarà fatta a pezzi. E accadrà quello che ha a lungo mortalmente temuto. Cioè, il mercato crollerà in un attacco sibilante che frantumerà la fiducia in quello che è essenzialmente un gigantesco schema Ponzi basato sul credito.
E le altre principali banche centrali del mondo sono nella stessa barca.
Proprio la scorsa settimana abbiamo visto la BCE fermata bruscamente dalla potente rappresentanza tedesca che essenzialmente ha detto a Draghi che 1.3 trilioni di euro stampati sono abbastanza.
Allo stesso modo, anche la Banca popolare della Cina (PBOC) ha esaurito la polvere da sparo. E questo è di monumentale importanza.
L’epicentro del boom globale di materie prime, investimenti in conto capitale e industriale era in Cina. Grazie alla frenesia con cui la PBOC ha stampato la più grande quantità di denaro nella sua storia, un eccezionale debito pubblico e privato è esploso da 500 miliardi di dollari nel 1994 a 30 trilioni di dollari oggi.
Questa è una crescita di 60 volte. C’è da meravigliarsi che i grafici sui beni e gli investimenti in conto capitale mostrati sopra sono andati quasi verticali durante il picco del boom globale?
Ma ora la Cina è di fronte al crollo del suo schema Ponzi, e il capitale è in fuga dal paese ad un ritmo prodigioso.
Soltanto negli ultimi 15 mesi, quasi 1 trilione di dollari è volato a Londra, New York, in Australia, a Vancouver e in altri luoghi sicuri per la fuga di capitali
Così la PBOC è costretta a fermare le sue macchine da stampa, al fine di evitare che il tasso di cambio dello yuan crolli e che il deflusso di capitali vada completamente fuori controllo.
Anche in Giappone, la stampa della Banca del Giappone non sta più accelerando. Questo perché nonostante migliaia di miliardi di nuovi capitali creati dal nulla negli ultimi anni, il Giappone è sull’orlo della sua quinta recessione in sette anni. Anche in Giappone, la bolla finanziaria sta perdendo la sua credibilità.
 

tontolina

Forumer storico
Caos pianificato: l’inevitabile implosione del sistema monetario fiat — Parte 1

Di Francesco Simoncelli , il 25 febbraio 2016 6 Comment




di Francesco Simoncelli
Nel 1920 Ludwig von Mises scrisse uno dei suoi migliori saggi nel campo della teoria economica. In esso descriveva come un’economia di comando fosse inevitabilmente destinata all’autodistruzione. Il calcolo economico, mezzo attraverso il quale gli attori di mercato allocano le risorse economiche, sarebbe divenuto un processo talmente distorto da causare lo sfacelo della società stessa. Gli investimenti improduttivi avrebbero fagocitato i risparmi reali della popolazione e condotto allo spreco vagonate di capitale. Non c’è da sorprendersi se la disperazione dei comunisti era tale da inviare scienziati in tutto l’occidente affinché studiassero i mercati azionari e trovassero il modo d’implementarne una qualche versione iper-pianificata in patria. Inutile dire che fallirono miseramente. Questo perché la libertà economica non è qualcosa che può essere concesso. Invece è qualcosa che esiste a prescindere dalla volontà pianificatrice di una qualche commissione statale.
Le crisi economiche ce lo ricordano. Ed è per questo che la maggior parte degli economisti di oggi non le vede arrivare. Oltre a non avere gli strumenti metodologici adatti, hanno la presunzione d’avere tutte le informazioni necessarie per dire con relativa certezza laddove si troverà l’economia in un determinato periodo del tempo. Nel corso del tempo è sembrato come se i banchieri centrali avessero il potere non solo di dire dove si sarebbe trovata l’economia, ma addirittura di poterla direzionare a piacimento lungo lidi più consoni al presunto benessere della società. All’improvviso era come se alcune persone fossero diventate più intelligenti delle altre, e fossero le uniche ad avere il potere di dire cosa fosse necessario per la società nel suo complesso. In poche parole, l’occidente s’è lentamente trasformato nella sua nemesi. Il crollo dell’URSS ha insegnato all’occidente la lezione sbagliata.
O forse i pianificatori centrali hanno visto la loro stessa fine? Questo non lo sappiamo. Però sappiamo che nel 1950 Ludwig von Mises scrisse un libricino quasi mai citato dagli Austriaci, Planned Chaos. In esso viene tracciata la via percorsa dalla cosiddetta economia mista verso l’autodistruzione. Il metodo era quello utilizzato nel suo saggio del 1920, Economic Calculation in the Socialist Commonwealth, l’unica differenza era che l’autodistruzione veniva paragonata ad un incidente al rallentatore. Ovvero, sebbene il calcolo economico avesse una certa libertà, sarebbe stato sempre più imbrigliato dalla pianificazione centrale al fine di sostenere i suoi progetti improduttivi e la sua esistenza parassitaria.
L’ORIGINE DEI MALI
Quello che non arrivano a capire i pianificatori centrali e i loro galoppini nel mondo dell’economia mainstream, è che, utilizzando le parole di Hayek, si tratta di un problema di conoscenza e d’informazioni. Gli attori di mercato non sono più liberi di scambiare le informazioni in loro possesso con gli altri poiché incapaci di effettuare un calcolo economico con i segnali economici che recepiscono. Detto in modo più semplice, equivale ad attraversare la strada con una benda sugli occhi e dei tappi alle orecchie. Possiamo affidarci solo agli altri sensi. Poco utili in questo caso, poiché incapaci di calcolare con accuratezza il passaggio di un’autovettura. Potreste provare, ma i risultati non sarebbero idilliaci. All’interno dell’ambiente di mercato la conoscenza dei singoli attori di mercato non riesce a carpire quelle informazioni necessarie attraverso le quali dare inizio a progetti sostenibili.
Detto in modo diverso, sebbene la conoscenza soggettiva dei vari attori di mercato permetta loro di avere ben chiaro quale possa essere un progetto d’investimento potenzialmente remunerativo, vengono sviati nella realizzazione di tale progetto e nella sua manutenzione da un ambiente economico che fornisce informazioni inaccurate e molto spesso errate. Di conseguenza la pianificazione centrale dell’economia che propaganda un ambiente economico quanto più vicino alla stabilità possibile, in realtà fomenta il caos e da quest’ultimo non c’è via d’uscita se non un reset totale. Perché? Perché un’inversione di tendenza richiederebbe una correzione degli errori che si sono accumulati nel tempo a causa di suddette distorsioni. Al giorno d’oggi non solo sarebbe finanziariamente suicida per la pianificazione centrale, ma anche politicamente suicida. Quindi va avanti.
Sebbene l’intorbidimento dei segnali di mercato sia iniziato ben prima, il 1971 ha rappresentato una data cruciale in cui s’è abbandonata ogni parvenza di un calcolo economico accurato. La disconnessione tra sostituto del denaro coperto e sostituto del denaro scoperto ha rappresentato l’origine dei nostri mali economici. Ovvero, la chiusura della finestra dell’oro nel 1971 da parte di Nixon, ha sganciato il dollaro fiat dalla sua copertura con l’oro. Dalla conferenza di Bretton Woods nel 1944 fino allo shock di Nixon nel 1971, l’economia mondiale è vissuta in un sistema monetario basato su una parvenza di gold standard. Ciononostante era alquanto efficace. Il dollaro era agganciato all’oro e rappresentava anche la valuta di riserva globale; indirettamente, quindi, anche le altre valute del mondo erano collegate all’oro (per la precisione ad un tasso di cambio di $35 l’oncia).
Il denaro onesto contribuiva a mantenere onesta la grande asta di mercato in cui tutti noi siamo immersi. In che modo? Permettendo agli attori di mercato di operare un calcolo economico quanto più accurato possibile grazie ad un’unità monetaria pressoché stabile. L’espansione del credito era razionata dal mercato, ovvero, quando i risparmi erano abbondanti e i mutuatari pochi, le dinamiche della domanda e dell’offerta fungevano da catalizzatore primario per il prezzo del credito. In questo caso, il tasso d’interesse era basso principalmente a causa delle preferenze temporali degli attori di mercato i quali erano disincentivati a risparmiare di più e i mutuatari erano, invece, incentivati ad accendere prestiti per avviare progetti impensabili da attuare in un ambiente con tassi d’interesse più alti. In questo contesto l’attività economica in generale tendeva ad espandersi, permettendo a salari, profitti e spese d’aumentare di conseguenza. Anche le banche centrali avrebbero “dato una spinta” a tale processo, ma la loro invasività non era preponderante.
Ovvero, lasciavano che il mercato si correggesse e si purgasse di gran parte degli errori economici. Man mano che gli attori di mercato concorrevano per risparmi disponibili sempre più esigui, i tassi d’interesse salivano in risposta a tale cambiamento, incentivando i risparmiatori a risparmiare di più e disincentivando i mutuatari ad accendere nuovi prestiti. Le correzioni erano considerate “eventi naturali” e venivano ostacolate solo marginalmente. Non rappresentavano l’anatema finale sul mondo intero, e venivano viste alla stregua d’opportunità piuttosto che di cataclismi. Questo punto di vista è mutato dal 1971 in poi, con i banchieri centrali che hanno iniziato ad aumentare la mole d’interventi per impedire alle correzioni del mercato di estendersi alle entità protette dal loro cartello: banche commerciali e stati. Per 8 anni la FED, ad esempio, ha combattuto il ciclo economico cercando d’aggirarne le sanzioni negative, fino a quando non è arrivato Volcker e ha restituito l’istituzione di cui divenne presidente al ruolo passivo per cui venne creata.
La correzione risultante costò la rielezione a Carter, ma Tall Paul permise alle forze di mercato di spazzare via parte degli errori che avevano caratterizzato i mandati di Arthur Burns e William Miller. In questo modo non solo permise agli Stati Uniti d’uscire da una delle crisi più dure sin dagli anni ’30, ma consacrò l’era del dollar standard la quale avrebbe fatto dimenticare ben presto del gold standard. Infatti la demonetizzazione dell’oro venne completata quando Greenspan prese il posto di Volcker e nel 1987 diede il via all’era dell’intrusività pesante della pianificazione monetaria centrale nei processi decisionali individuali del mercato. L’ingegneria finanziaria sarebbe diventata il nuovo mezzo nelle mani dei giocatori d’azzardo dei mercati azionari per staccare profitti da favola, spingendo a più non posso sulla leva del debito.
La politica monetaria delle varie banche centrali, invece di arginare questi sviluppi, se n’è fatta promotrice, dichiarando al mondo la loro onnipotenza attraverso strumenti di politica come la Taylor rule, la curva di Phillips, il NAIRU, o la forward guidance. Inutile dire che questi strumenti altro non sono che giustificazioni per rendere magicamente risolutive le decisioni dei banchieri centrali. Questa china scivolosa li ha portati a decidere a tavolino quale fosse il tasso d’interesse al quale gli individui avrebbero dovuto accendere nuovi prestiti, li ha visti adottare una politica monetaria talmente sconsiderata che nessuno prima del 2008 aveva mai neanche immaginato, li ha visti implementare tassi d’interesse negativi, li ha visti dichiarare guerre tra valute una dietro l’altra, ecc.
L’incidente al rallentatore previsto da Mises in Planned Chaos lo stiamo vedendo proprio ora, con le banche centrali che implementano una politica distruttiva dietro l’altra. Pensano di poterla fare franca come accadde negli anni ’80. Ma la Yellen non è Volcker; i mercati dei capitali non sono quelli di 30 anni fa; la quantità di debiti e distorsioni nell’economia in generale non è quella di 30 anni fa. Oggi il dollaro non è forte perché il dollar standard sta vivendo una “seconda età dell’oro”, bensì perché tutte le altre principali valute del mondo continuano ad essere svalutate. Così come Bernanke, la Yellen non vuole essere ricordata come colei che ha frantumato il dollaro. Ma nemmeno come colei che ha penalizzato l’economia non ascoltando le grida di dolore lanciate dai pennivendoli sulla carta stampata. Questo significa che comprerà tempo. Questo significa che i cicli di boom/bust continueranno. Questo significa che ben presto invertirà la sua politica (presumibilmente dopo le elezioni negli USA).
IL LIMITE NON È PIÙ IL CIELO
Questa prospettiva è già stata pienamente abbracciata dalla BCE, infatti lo scorso 21 gennaio Mario Draghi ha affermato che non esistono limiti a quanto possa fare una banca centrale. Il mini-rally in azioni e petrolio è stato un evento quasi scontato, vista la promessa di maggiore credito a basso costo (ormai negativo). Ciò presuppone che il prossimo mese lo zio Mario amplifichi la portata del QE europeo, includendo nelle operazioni d’acquisto della BCE altri tipi di asset. Il sentiero pare proprio quello tracciato da Kuroda, dove la BOJ ha praticamente messo sul tavolo un programma di stimolo atto a sequestrare nel bilancio della banca centrale qualsiasi asset mobile o immobile all’interno dei mercati azionari e obbligazionari. Ma ecco il punto importante: Draghi ha incolpato i prezzi del petrolio e del cibo troppo bassi per il mancato raggiungimento dell’obiettivo d’inflazione.
Nonostante tutte le chiacchiere a sostegno della Taylor rule, essa non gode di prova alcuna che possa siglarne la veridicità. Perché diavolo i consumatori dovrebbero sentirsi più appagati nel comprare cose che costano di più? Ma soprattutto, perché un 2% d’inflazione dovrebbe essere salutare rispetto ad uno 0.1%, o 1%, o 3%? Nessuno lo dice. In realtà, l’obiettivo d’inflazione non rappresenta altro che una giustificazione alle continue intrusioni del settore bancario nell’economia. Una certa stabilità dei prezzi è stato qualcosa di concreto già negli ultimi 5 anni, eppure il fantasma della deflazione continua a terrorizzare banchieri centrali, commentatori nello zombie-box e pennivendoli assortiti.


Gente, questi loschi individui non ricercano lo stimolo dell’economia attraverso il quale distribuire ricchezza economica in tutta la società. Non sono capaci di farlo. Non hanno le conoscenze insite nella testa di ogni singolo attore di mercato. I prezzi di cui si preoccupano realmente sono quelli nei mercati obbligazionari e azionari facenti riferimento ai protetti dal loro cartello. Aiutare gli stati a diluire i propri carichi di debiti. Diminuire silenziosamente i salari dei lavoratori resi eccessivamente onerosi da leggi burocratiche. È in questo modo che la banca centrale “aiuta” l’economia. In un video su Bloomberg c’era Jim Grant che rispondeva ad un classico keynesiano secondo il quale la FED è stata “costretta” ad effettuare il quantitative easing per “curare” l’economia, la quale languiva in uno stato semi-depressivo. Secondo il suo ragionamento, inoltre, la crescita economica si baserebbe esclusivamente sul fatto che le persone corrano dei rischi investendo; in caso contrario, possono accomodarsi ai bordi del campo e venire tassati dalle banche centrali per questo loro atteggiamento “passivo”. Il mandato della FED, ad esempio, le permette di fare ciò che è più giusto per l’economia nel suo complesso. Aggiustare i tassi e mandarli in territorio negativo farebbe parte di questa presunta visione onnisciente.
Il sangue sta già scorrendo lungo i mercati mondiali, ma è quello dei risparmiatori. Il presunto effetto ricchezza immaginato dai pianificatori monetari centrali non s’è riflesso nell’economia più ampia a causa del picco del debito.



Tutto il pattume finanziario pre-2008 ha costretto famiglie e piccole/medie imprese a vivere dei propri utili, mentre i loro fondi pensione, ricolmi di asset iper-comprati da parte delle banche centrali, hanno continuato a subire perdite. Non solo, ma quelle grandi aziende che hanno potuto accedere alle nuove linee di credito sfornate dalle banche commerciali, hanno alimentato prezzi più alti nei loro settori. Ciò include anche il settore immobiliare, ad esempio. La persona media non può permettersi questi prezzi, soprattutto ora che i lavori da capofamiglia sono mosche bianche.
Il gioco è truccato. Ma la maggior parte delle persone non lo sa o non ne comprende le meccaniche, e coloro che sono costretti ad entrare nel casinò azionario sono le classiche pecore che vanno al macello. La maggior parte delle volte si posizionano long e non hanno il minimo rudimento nel fare investimenti nei mercati finanziari (es. Banca Etruria e i polli spennati). Le banche commerciali, oltre a fare soldi attraverso i prestiti, fanno soldi impacchettando asset di dubbia qualità e vendendoli ad investitori ignari. La garanzia è sempre la stessa: banca centrale che stampa denaro, o soldi dei contribuenti. Poi quando i debitori al margine vanno in default, la catena di fallimenti inizia a fare vittime all’interno dei mercati e puntualmente si alzano i cori in favore di un maggiore interventismo da parte delle autorità centrali. Ed è proprio questo quello che Draghi pare intenzionato a fare. Il pattern è lo stesso di quello già messo in campo dalla FED sin dal primo quantitative easing: permettere alle entità protette dal cartello delle banche centrali, in particolar modo le banche commerciali, di scatenare un effetto ricchezza attraverso una gigantesca offerta d’acquisto per asset di qualsiasi tipo. Da cosa è costituita questa gigantesca offerta d’acquisto? Dalle riserve in eccesso.


La parvenza di solidità la si vuole dare incentivando le grandi aziende a gozzovigliare nel mercato azionario, affinché mostrino capitalizzazioni di mercato da capogiro e con il denaro che riescono a racimolare nel casinò far partire nuovi progetti d’investimento. Da cosa sono guidati questi progetti? Niente che possa essere basato sui fondamentali di mercato. Di conseguenza il denaro non viene investito in settori come la R&S, bensì in ingegneria finanziaria, prendendo in ostaggio i bilanci delle varie aziende e riempiendoli di debiti. È questo che è accaduto alla Caterpillar, alla Fiat, alle grandi aziende nel settore tecnologico, nel settore minerario/estrattivo, nel settore biotecnologico/farmacologico, ecc. L’insostenibilità dei loro progetti basati sul credito facile non solo metterà nei guai i lavoratori e l’azienda stessa, ma anche quegli istituti finanziari che hanno concesso loro prestiti.
È questo il motivo per cui il settore bancario commerciale in Europa è tuttora nell’occhio del ciclone nonostante il QE della BCE. Gli investimenti improduttivi intrapresi da queste società abbagliate dalle dolci promesse del credito facile, stanno saturando il mercato mondiale di elementi con nessuna o poca domanda. Ciò significa un calo dei profitti. Ciò significa bancarotta. La crisi nel mercato dell’olio di scisto è il caso emblematico. Sta di fatto che, a causa della politica monetaria degli ultimi venti anni, il settore bancario è diventato una pentola a pressione ricolma di asset non performanti. Soprattutto dopo la ZIRP, il calo dei rendimenti all’interno dei mercati obbligazionari e azionari ha costretto i giocatori d’azzardo ad affondare le mani sempre di più in asset rischiosi. La caccia a rendimenti decenti ha fatto ingurgitare e sfornare al settore bancario commerciale una caterva di asset alla cui base non c’era altro che tossicità.
La cartolarizzazione di qualsiasi cosa si muovesse all’interno e all’esterno dei mercati finanziari ha creato bombe ad orologeria che adesso vagano indisturbate nei bilanci di attori di mercato ignari. Quindi anche il fallimento di una minuscola banca potrebbe innescare un effetto domino pericoloso che potrebbe gettare nel panico l’intero mercato finanziario globale. È una storia che abbiamo già visto nel 1998 con LTCM. Più di recente, l’abbiamo rivista con il caso MPS e Nomura. Inutile dire che quando a gennaio è fluito il sangue nel comparto bancario europeo, il quale ha perso più di €400 miliardi in valore di mercato, la prima linea difensiva da parte degli investitori retail è stato il denaro contante. In realtà, lo è da un po’ ed è per questo che ultimamente la propaganda a favore dell’abolizione del contante sta intensificando la sua voce. Sicurezza e privacy non sono temi all’ordine del giorno sul tavolo della pianificazione centrale. Il controllo lo è, ma l’era dell’instabilità e del caos pianificato sta incrinando la credibilità e l’affidabilità che ha accompagnato il settore bancario centrale sin dal 1971.




Voglio dire, prendiamo ad esempio il settore bancario italiano. Le misure messe in campo finora non ha risolto nessuna delle preoccupazioni che sin dall’inizio della Grande Recessione hanno accompagnato i titoli dei giornali. Le bombe innescate, ma non ancora scoppiate, sono state semplicemente caricate d’ulteriore polvere da sparo. Avendo ostacolato il fallimento d’entità in disaccordo con i desideri e le necessità reali dell’ambiente di mercato, la loro tossicità è stata diffusa ulteriormente nelle sale del casinò azionario. Ora i pianificatori monetari centrali cercano di mettervi una pezza promulgando pseudo-soluzioni quali bad bank o bail-in. Palliativi. Perché? Perché fino ad ora tutte le soluzioni partorite da questa banda di truffatori non ha avuto l’effetto da loro desiderato.
Come spiegato sopra, è un problema di conoscenza. E’ un problema d’asimmetria informativa. La divergenza tra economia reale ed economia pianificata è talmente distante che ormai sta divenendo impossibile per i banchieri centrali intuire dove andrà la prima. Detto in altro modo, è la legge dei rendimenti decrescenti al lavoro. Di conseguenza il salvataggio di Novo Banco in Portogallo attraverso il bail-in non è altro che l’ennesima prova di un sistema bancario europeo “malato”. Il salvataggio di Banca Etruria attraverso il bail-in non è altro che l’ennesima prova di un sistema bancario europeo “malato”. Prima ancora, il salvataggio di Monte dei Paschi attraverso emissioni obbligazionarie garantite dallo stato era ancora l’ennesima prova di un sistema bancario europeo “malato”. Tutti i presunti piani ben congeniati dei pianificatori centrali non fanno altro che sortire lo stesso effetto quando si raggiunge il punto dei rendimenti decrescenti: fallimento.
Non sorprende quindi se Novo Banco, la quale ha “ospitato” gli asset presumibilmente buoni di Banco Espirito Santo, s’è ritrovata un buco da €1.4 miliardi a seguito di tale operazione. Sì, perché gli asset definiti “buoni” vengono calcolati da commissioni e presunti esperti che, attraverso calcoli “complicati”, applicano un presunto valore agli asset definiti “buoni”. Coloro che sbandierano la presunta onestà e limpidità di tale processo nei media mainstream e nei blog indipendenti, pavoneggiandosi davanti al proprio pubblico come narratore imparziale, non hanno compreso il funzionamento del sistema bancario commerciale/centrale. O peggio, ne ignorano le meccaniche. Di conseguenza c’assicurano che lo stato “non interverrà”. Sciocchezze.
I debiti pubblici dei vari stati europei dipendono dal sistema bancario commerciale affinché esso compri il loro pattume obbligazionario e dal sistema bancario centrale affinché esso agevoli quanto più possibile tale processo. Pensate al Trattato di Maastricht. La BCE l’ha infrante. Pensate al tetto dei deficit. Gli stati europei l’hanno infranto. Pensate al limite del debito pubblico in percentuale del PIL imposto dalle regole europee. Anche questo infranto. L’apparato statale e il suo stuolo di burocrati infrangono sempre le promesse. Ciò vale anche per il recente accordo sulla bad bank italiana che dovrebbe avere una copertura minima da parte dello stato. Non fatevi ingannare. Guardiamo ad esempio lo stato in cui versano le banche europee e il relativo rischio.


Solo in Italia ci sono circa €200 miliardi di sofferenze bancarie, un aumento del 160% sin dal 2009. La gigantesca offerta d’acquisto scatenata dalla banca centrale per alleviare i problemi di debito dei vari stati europei, ha tirato artificialmente giù i rendimenti obbligazionari dei loro debiti. La ZIRP, di conseguenza, ha invaso i mercati finanziari con una fame di rendimenti senza precedenti, incanalando i vari player in zone del mercato molto rischiose. La mancanza di un price discovery onesto ha impedito loro di valutare correttamente il rischio, andando ad ingolfarsi di asset altamente rischiosi. Il settore bancario commerciale, quindi, nonostante agevolato dalla stampante monetaria s’è caricato d’ulteriori asset tossici. Inutile dire che la sua implosione scatenerebbe di nuovo il panico nei mercati, soprattutto in quello dei bond sovrani. Ciò significa rendimenti crescenti. Ciò significa lo spettro della bancarotta. E’ per questo che lo zio Mario lo scorso 21 gennaio ha fatto sapere d’essere disposto a fare “di più” per stabilizzare l’UE. Non sorprenderebbe se iniziasse anche a comprare pattume delle bad bank.
Anche l’Italia, uno dei malati più gravi in Europa, ha raggiunto un accordo con l’UE riguardo la propria bad bank. Innanzitutto osserviamo i grafici seguenti.




Il primo rappresenta l’andamento azionario delle varie banche negli ultimi tre mesi; il secondo cattura l’ammontare dei prestiti non performanti all’interno dei loro bilanci. L’idea quindi è quella di creare un istituto in grado d’incamerare queste sofferenze ed alleviare i bilanci delle banche in questione. L’equivalente di spazzare marciume sotto il tappeto. Peggio, perché questo marciume sarà dapprima spazzato sotto il tappeto e poi confezionato di nuovo per essere venduto come se fosse un prodotto di prima classe!
Infatti l’idea è quella di cartolarizzare la spazzatura che finirà nella bad bank ed inondare i mercati finanziari con questo pattume come se niente fosse. E cosa accadrà in un ambiente in cui c’è una fame di rendimenti decenti? Esatto! Si comprerà. Perché qualcuno dovrebbe essere così folle da fare una cosa del genere? Ovvio, c’è la garanzia dello stato. In poche parole, qualora qualcosa dovesse andare storto, sarà chiamato in causa il bancomat dello stato: il contribuente. Infatti quando il costo della garanzia di suddette cartolarizzazioni inizierà a richiedere esborsi sempre maggiori, la via sarà duplice: nuove tasse o più deficit.
È esilarante vedere come banchieri centrali e stampa mainstream continuino ad affermare che per uscire da una buca bisogna scavare più in profondità.

da Freedonia di Francesco Simoncelli
 

tontolina

Forumer storico
Caos pianificato: l’inevitabile implosione del sistema monetario fiat — Parte 2

Di Francesco Simoncelli , il 26 febbraio 2016 1 Comment



SPASMI
Ma il fallimento delle politiche monetarie senza precedenti non è solo qualcosa che sta accadendo in Europa. Anche il resto del mondo se ne sta accorgendo. Soprattutto gli Stati Uniti, dove la recessione economica è alle porte. Dopo 84 mesi di ZIRP e un’espansione del bilancio della FED da $3,500 miliardi, l’unica cosa che i banchieri centrali hanno da mostrare è un’economia di Main Street stagnante e una di Wall Street in evidente astinenza da credito facile. Negli ultimi due anni l’S&P 500 non è andato da nessuna parte, tornando alle cifre del gennaio 2014. Questo significa che il casinò ha perso tutta quell’aria fritta accumulata grazie alla stampante monetaria dell’Eccles Building. Ciò vale anche per la capitalizzazione di mercato di società e banche quotate nei mercati. Ciononostante i robo-trader continuano a spacciare la favoletta “buy the dips”, fiduciosi in un miracolo delle banche centrali. Con miracolo, ovviamente, s’intende ciò che anche Draghi ha promesso lo scorso 21 gennaio: più della stessa cosa… che finora ha fallito. Perché? Perché il canale della trasmissione della politica monetaria all’economia più ampia è rotto.
Main Street ha raggiunto il cosiddetto “picco del debito” ed ora sta ricorrendo alle proprie forze per sopravvivere. Ha smesso di credere nell’elisir dell’immortalità costituito dal credito facile. Ripagare i debiti è diventata la priorità, così come vivere del proprio reddito per gestire gli acquisti. I giorni in cui il bancomat degli americani era la propria casa sono finiti. Ma la ripercussione non è stata solo la bolla immobiliare, bensì anche la de-industrializzazione del paese. Infatti gli USA sono diventati sempre più una società fondata sui servizi, lasciando che le industrie delocalizzassero verso lidi più economici. La gigantesca espansione monetaria degli ultimi venti anni ha dapprima inondato i consumatori americani con credito facile, il quale è stato utilizzato per creare un’enorme domanda interna di prodotti esteri. Sulle spalle di questa domanda fasulla sono cresciuti pachidermi industriali come quello cinese e tutta la sua catena di paesi emergenti esportatori al seguito.
Una volta che i rubinetti monetari sono stati chiusi negli USA, la Cina ha dovuto guardare al proprio interno per trovare una domanda talmente grande da poter giustificare l’espansione industriale che aveva avuto luogo sul proprio suolo grazie alle sconsideratezze della FED. Di conseguenza la stampante monetaria della PBOC è stata ulteriormente arroventata, trasformando in trader presumibilmente esperti anche tassisti semi-analfabeti e fattorini ritardati.
La maggior parte dei giocatori d’azzardo nel casinò azionario s’era improvvisamente immedesimata in Dustin Hoffman nel film Rain Man. Inutile dire che, a seguito di questa strategia, la Cina ha gonfiato al suo interno una delle bolle immobiliari più incendiarie mai viste finora. Per non parlare del pattume cartolarizzato che circola nelle banche cinesi e la capacità industriale in eccesso pronta ad invadere l’intero globo. Un coacervo d’investimenti improduttivi ed eccesso d’investimenti sbagliati che s’è esteso lungo tutta la catena d’approviggionamento cinese, la quale include Brasile, Australia, Canada, India, Corea del Sud, Germania. Non sorprende quindi se nell’ultimo anno la Cina ha visto una fuga di capitali pari a circa $1,000 miliardi. Non solo, ma per pagare i suoi oneri saranno intaccate le riserve in valuta estera che finora ha accumulato infuocando il crescendo di vendite e fallimenti.



Questo significa, a sua volta, un ulteriore stop alla domanda di petrolio, il cui prezzo rimarrà nel range dei $25-$35 al barile per i prossimi due anni. Inutile sottolineare che questa rappresenterà una cattiva notizia anche per i petro-stati, i quali saranno costretti a scaricare sul mercato quegli asset nei loro fondi sovrani. E queste notizie cosa possono significare per i mercati azionari e obbligazionari se non “allarme rosso”?



Questo significa che le strategie non convenzionali, al pari di quelle convenzionali, sono state un fallimento, perché come abbiamo scoperto, Mises aveva ragione: la cosiddetta economia mista è destinata a scivolare lentamente verso un’economia di comando, il cui destino è la bancarotta. Infatti il bilancio collettivo delle principali banche centrali s’è espanso del 10X negli ultimi 20 anni, da $2,100 miliardi negli anni ’90 ai $21,000 miliardi di oggi. E l’unica cosa che i banchieri centrali sono riusciti ad ottenere è stato solamente una dilazione del redde rationem. La prova di ciò è la narrativa mainstream e quella delle banche centrali inneggianti una ripresa economica, le quali sono in totale contrasto con la realtà dei fatti. È alle porte una recessione e sono gli stessi dati dei mulini statistici dello zio Sam a dirlo.



Gli ordini di beni di capitale sono ritornati al livello dell’aprile del 2000, giù del 25% rispetto al picco del 2014; il rapporto tra inventari e vendite sta cavalcando in alto; le vendite degli esercizi imprenditoriali sono diminuite del 4% rispetto al picco del 2014.




Ma il dato più sconcertante di tutti e che genererà un pandemonio una volta che la recessione non potrà essere negata neanche dai banchieri centrali, è la quantità d’individui all’interno della forza lavoro. Sin dal bust delle dot-com ha sperimentato un trend calante che ora ha raggiunto i livelli del 1978. E tutto ciò nonostante la Yellen abbia proclamato che la FED ha raggiunto il suo obiettivo di disoccupazione del 5%. Inutile ricordare come i vari report del BLS subiscono vari aggiustamenti nel tempo, smorzando la sensazionalità dei numeri appena sfornati. Questo per dire che l’aggregato statistico che misura la disoccupazione è un indicatore mal aggiustato e pressoché inutile per inquadrare la situazione lavorativa degli Stati Uniti. L’eruzione del part-time e dei benefici del welfare ha indotto molti individui facenti parte di Main Street ad arrangiarsi, impedendo la costruzione di una famiglia, l’acquisto della prima casa, ecc. Non sorprende quindi se molti figli più che maggiorenni non riescono a trovare un lavoro con cui mantenere una famiglia e a 30 anni sono ancora costretti a vivere nel seminterrato della casa dei genitori.


Infatti, sebbene il credito al consumo sia leggermente ripartito, ciò è dovuto principalmente a due fattori: prestiti agevolati per studenti e prestiti agevolati per automobili. Entrambi rappresentano un vicolo cieco. Le nuove generazioni, non trovando un lavoro decente, tornano a studiare affinché possano acquisire un pezzo di carta in più da sfoggiare durante i colloqui. Ciò trasforma le università in giganteschi parcheggi per disoccupati e per cattedre clientelari. Si crea occupazione fasulla in questo modo, spingendo gli studenti ingenui verso un indebitamento dal quale non riusciranno a liberarsi. E non possono nemmeno andare in default, perché essi stessi, insieme all’eventuale flusso di reddito che genereranno, rappresenteranno il rimborso dei prestiti. Ma in questo modo non si crea un ambiente di mercato in cui domanda e offerta stabiliscono genuinamente quali lavori sono sostenibili e quali no, bensì si concentrano risorse economiche in un settore presumibilmente proficuo senza averne riscontro attraverso le necessità e i desideri degli attori economici.
Non sorprende, quindi, se la maggior parte dei neo-laureati non trova un posto di lavoro nel settore nel quale s’è specializzata. Le spese statali aumentano, quindi, perché i prestiti faticano ad essere ripagati e lo stato deve mantenere pachidermi scolastici incapaci di generare utili da giustificarne l’esistenza. Senza contare coloro che richiedono le indennità di disoccupazione e altri programmi di welfare. Invece le vecchie generazioni rimangono intrappolate nei prestiti per automobili, perché al giorno d’oggi coloro i quali ricevono credito al consumo sono i pensionati o coloro che hanno uno stipendio consistente (o conti bancari consistenti). Il denaro contante è l’unica garanzia accettata. E i genitori sono, in un certo senso, costretti a finanziare i propri figli i quali non riescono a sbarcare il lunario, diventando di conseguenza la garanzia collaterale.



Cosa hanno imparato gli americani dal crollo immobiliare del 2008? Sostanzialmente niente. Dopo aver creduto all’illusione dei mutui facili, adesso stanno credendo all’illusione dei prestiti al consumo facili per acquistare automobili, ad esempio.
Negli ultimi 12 mesi le vendite delle concessionarie sono salite di $65 miliardi, ma il totale dei prestiti per automobili è salito di $90 miliardi. Un record di tutti i tempi. Ma la storia vera non è rappresentata tanto dai default a catena che ne conseguiranno, bensì dalle cartolarizzazioni che un sistema bancario affamato di rendimenti ha sfornato per ottenere un segno positivo a fine anno sul proprio bilancio. Inutile sottolineare che questa non è altro che ingegneria finanziaria sotto steroidi che ha replicato non una, ma una miriade di bolle subprime la cui tossicità ora è sparsa in un tutto l’ambiente finanziario. Infatti gli ABS creati attraverso le cartolarizzazioni sono stati venduti come prodotti di “prima classe”, ma soprattutto il loro valore si basa principalmente su un flusso costante di pagamenti. Nel caso dei prestiti per automobili, sul ripagamento del prestito acceso.
Ed è questo quello di cui sono fondamentalmente preoccupati i giocatori d’azzardo nel casinò. Con la stampante monetaria USA temporaneamente ferma, i trade all’interno delle bische clandestine quali sono diventati i mercati azionari hanno iniziato a soffrire per una mancanza di liquidità. Come mostrato nella Prima Parte, la pseudo-ripresa economica è avvenuta solamente nel sistema finanziario e ha investito tutte quelle grandi imprese che hanno goduto delle attenzioni dei giocatori d’azzardo. In questo modo hanno avuto a disposizione combustibile altamente incendiario con cui espandere le loro attività su una base apparentemente solida, ma in realtà argillosa. Infatti non hanno minimamente investito in settori come quello della R&S e di conseguenza i multipli di valutazione sfoggiati nei mercati finanziari non erano altro che aria fritta pompata nel casinò mediante l’ingegneria finanziaria.
Hanno offerto i loro bilanci come sacrificio sull’altare della ZIRP. Ora subiscono le conseguenza di una produzione superflua e inutilmente sovrabbondante, cosa che a sua volta deprimerà le spese in conto capitale e abbatterà i profitti. Ma nessuno dei presunti esperti sulla stampa mainstream e sui canali dei media finanziari è riuscito a prevedere tutto questo. Anzi, il loro consiglio ai lettori e telespettatori era quello di affondare con mani e piedi nella retorica “buy the dips”. Non hanno una teoria economica sulla quale basare i loro giudizi. Non sanno dove guardare per tracciare l’origine degli attuali guai economici e finanziari. Sono gli stessi che nel 2014 proiettavano per l’anno successivo utili per azione riguardo l’S&P 500 a $137. Poi è arrivato il 2015 e in base alla contabilità GAAP dell’ultimo trimestre dell’anno gli utili per azione dell’S&P 500 si attestavano a $106 per azione. Nel periodo più recente, invece, tale numero è sceso ulteriormente a $90.66 per azione.
La cosa divertente è che questo è un film che abbiamo già visto nel 2007. Mentre gli imbonitori sell-side strombazzavano per il 2008 utili per azione a $120, la contabilità GAAP ha raccontato un’altra storia. Una discesa importante fino al fondo del giugno del 2009 a $7 per azione.





La lezione da apprendere in tutto questo caos pianificato è che in un mercato libero, questa follia non avrebbe avuto luogo. La mancanza di risparmi avrebbe reso impossibile l’espansione abnorme del settore azionario e obbligazionario, facendo subentrare tempo fa una correzione la quale non avrebbe lasciato scampo a tutte quelle entità che avevano commesso errori economici. Il loro posto sarebbe stato preso da entità concorrenti, le quali avrebbero anche acquisito gli asset di quelle entità andate in bancarotta. Ci sarebbe stata una crisi. Ma sarebbe stata proporzionale alla quantità d’errori commessi, ciò significa che molto probabilmente sarebbe durata poco data l’inesistenza d’istituzioni centrali in grado di mettere i bastoni tra le ruote alla crisi correttiva. Abbiamo visto questo “film” durante la depressione del 1920-1921.
Soprattutto, non ci sarebbe stato spazio per deformità economiche simili:


Se non fosse stato per la carovana delle stampanti monetarie mondiali, a quest’ora staremmo parlando di un’altra storia. Molto simile a quella degli anni ’70. Infatti gli USA avrebbero sperimentato un’inflazione dei prezzi “vecchio stile” a seguito dell’incredibile quantità di credito sfornato dalla banca centrale, invece sono stati salvati dalla grande offerta d’acquisto alimentata dalla PBOC, la quale ha sequestrato nei suoi caveau pile e pile di IOUSA. Non si trattava di solidarietà, bensì della volontà dei suzerain cinesi di seguire alla lettera la teoria mercantilistica, ovvero, svalutare la propria valuta comprando pattume obbligazionario USA in modo da favorire il proprio settore dell’export.
Ovviamente tale stato di cose non sarebbe potuto andare avanti per sempre, perché l’espansione monetaria interna ha innescato una baldoria di credito che ha alimentato la più grande bolla immobiliare della storia e un gigantesco boom d’investimenti. L’afflusso di hot money dall’estero, in tal frangente, ha dato l’illusione che l’economia cinese fosse un miracolo economico. In realtà era una questione di tempo prima che il castello di carte cinese iniziasse a barcollare pericolosamente. E lo sgonfiamento delle riserve di valuta estera ne è la prova.



Una volta che la macchina del credito in Cina e nel resto dei paesi emergenti si fermerà del tutto, quelle riserve torneranno nei rispettivi paesi d’emissione andando a caccia di troppo pochi beni. Alla fine le banche centrali otterranno quello che finora hanno disperatamente cercato.



DISPERAZIONE
Nel frattempo continuano ad implementare “più della stessa cosa” che finora ha fallito. Come abbiamo visto nella Prima Parte di questo saggio, la BCE è scesa mani e piedi nella terra della NIRP. Ciononostante, gli individui stanno lentamente dirigendosi ai bordi del campo da gioco, preferendo il buon vecchio contante agli asset finanziari. Questa protezione è efficace in questo contesto, perché il denaro contante in possesso degli attori di mercato elimina l’effetto dei tassi negativi. È per questo che al giorno d’oggi la guerra al denaro contante da parte dello stato e del settore bancario si sta intensificando. Quando i vostri depositi sono sotto forma elettronica, non avete il controllo dei vostri possedimenti. Entità quali lo stato sopravvivono grazie alla sottrazione di risorse economiche dal resto della società. Al giorno d’oggi in tutto il mondo esistono circa $7,000 miliardi di bond statali tradati a rendimenti negativi. In un ambiente finanziario affamato di rendimenti decenti, dove le banche centrali possono prendere risorse per comprare e sovvenzionare simili follie?
Il settore bancario centrale insieme allo stato sta mettendo in atto pratiche al limite della disperazione. Infatti la costante digitalizzazione del mercato insieme ai tassi negativi non farebbe altro che rosicchiare lentamente i depositi degli attori di mercato. Ad esempio, se a gennaio il vostro conto è di €10,000, con i tassi negativi a febbraio arriverà a €9,900. Non solo i tassi negativi trasferiscono risparmi alle banche affinché possano mettere una toppa agli azzardi morali del passato, ma permette loro di continuare a comprare debito statale. Inutile sottolineare come la scomparsa del contante significhi anche una diminuzione della privacy. Parafrasando Hayek, siamo sulla via verso una nuova schiavitù.


Ma questa è solo la metà della storia. L’altra metà, invece, ci racconta che nessuna di quelle persone con una certa familiarità con la storia e la logica, può credere per un solo nanosecondo che un tale sistema economico e finanziario sia sostenibile. Né è possibile credere che una gigantesca monetizzazione dei debiti mediante le stampanti monetarie, un ambiente economico pervaso da tassi negativi (reali e nominali) e il lento deragliamento verso un’economia di comando, possa avere un altro esito se non quello di una catastrofe economica e finanziaria.
Voglio dire, basta guardare il Giappone. Questa è una colonia di pensionati la cui forza lavoro si restringe ogni mese che passa, i deficit statali superano il 40% delle spese e il debito pubblico è un macigno indistruttibile. Ciononostante il decennale giapponese rende ora 6 miseri punti base, e la recente campagna monetaria da “ritardati totali” infliggerà l’ennesimo colpo incapacitante ai risparmiatori giapponesi.


L’Abenomics, in realtà, altro non era che un piano per gettare nella pattumiera delle valute fallite lo yen, perché questo tipo di strategia politica serve solo a far guadagnare tempo ai pianificatori monetari centrali. Non è di certo la loro soluzione definitiva. Ma una volta che hanno scelto la china scivolosa dell’interventismo progressivo, hanno implicitamente acconsentito a finire in un’economia di comando. Cos’è, ad esempio, il “whatever it takes” di Draghi? Lo stesso discorso è valido per la scelta della NIRP da parte di Kuroda. Infatti questa scelta può fornire un po’ di respiro all’economia giapponese, ma si tratta lo stesso di un palliativo. Voglio dire, come si può pensare che i giapponesi non si siano assicurati una Hiroshima finanziaria dopo che la BOJ ha iniziato a sequestrare nel proprio bilancio ogni asset che si muoveva nei mercati azionari e obbligazionari?
E nemmeno la scusa della deflazione era valida per giustificare l’assurda politica monetaria intrapresa dalla BOJ.



Come sottolineato nella Parte Prima di questo saggio, non esiste affatto una cifra numerica magica legata all’inflazione dei prezzi, grazie alla quale l’economia può crescere indisturbata. È retorica delle banche centrali per giustificare la loro intrusione nei mercati finanziari e adempiere al loro ruolo di cartello. E dopo i recenti bagni nell’indice Nikkei e in quelli dei PIIGS, anche i media maisntream stanno iniziando a porsi delle domande. Questo estratto dal WSJ va dritto al punto:
Le politiche non convenzionali in Giappone ed Europa sono la prova che le banche centrali non possono evocare una crescita economica la quale ha bisogno di riforme strutturali affinché le risorse economiche possano trovare usi produttivi migliori. La vecchia analogia “push on a string” è tuttora valida. Se le compagnie non riescono a trovare investimenti promettenti, la creazione del credito rimarrà ferma, non importa quanto a buon mercato possa essere.
In poche parole, le banche centrali sono a corto di polvere da sparo. Due decenni di espansione monetaria senza controllo hanno condotto il Giappone e il resto del mondo in una condizione di picco del debito, mentre negli ultimi 8 anni hanno scatenato un mostro inflazionistico feroce nel settore finanziario. Esclusi i bilanci delle famiglie della classe media e quelli delle piccole/medie imprese già saturi di debiti, sono state le grandi aziende che hanno offerto i loro bilanci affinché venissero saturati di debiti. L’effetto ricchezza che ne è scaturito è stato temporaneo ed ora i nodi stanno venendo al pettine. Infatti i bilanci da saturare non ci sono più, e la trasmissione della politica monetaria è definitivamente interrotta.
Questo significa che la recessione deflazionistica incombente, che sgonfierà una bolla del credito da $225,000 miliardi, metterà a nudo l’impotenza delle banche centrali di fomentare ancora una volta una crescita artificiale. Di conseguenza, con la caduta della presunta onniscienza delle banche centrali, cadranno a loro volta anche tutte quelli illusioni che hanno sostenuto i mercati fino ad oggi. In particolare, tutti quei multipli di valutazione nei mercati azionari. La correzione più pesante, però, avverrà nei mercati obbligazionari statali. Come possiamo vedere questo grafico qui sotto, circa $6,000 miliardi di bond statali sono tradati a rendimenti negativi.


PROTEZIONE
Quando alla fine il bluff viene scoperto, i giocatori fanno “call” e mettono alle strette il presunto giocatore furbo. Le forze di mercato hanno fatto “call” alle strategie delle banche centrali, le quali negli ultimi 8 anni si sono dimostrate fallimentari una dietro l’altra. Potreste pensare che io sia “di parte”, ma ecco alcune prove dagli stessi banchieri centrali:
Central banks go to new lengths to boost economies;
Global central banks are running ‘out of ammo’.
Dati gli attuali livelli di pazzia monetaria e fiscale, anche l’economia più ampia sta realizzando lentamente che le banche centrali si stanno spingendo troppo oltre con le loro politiche. Di conseguenza non sorprende se l’andamento dell’oro spot sia tornato a salire. Anche in considerazione dei recenti sviluppi all’interno del COMEX, dove il registered gold è ai minimi storici e ad oggi esistono 542 contratti cartacei ogni oncia d’oro. Ci sarà da divertirsi quando tutti coloro che ritengono l’eligible gold tanto affidabile quanto il registered, scopriranno che i caveau delle banche centrali e commerciali occidentali sono praticamente vuoti. Sin dal 2000 l’oro è andato da ovest a est, ovvero, dagli stati occidentali a quelli orientali (soprattutto Cina, Russia, India e Turchia). Faranno la figura degli sciocchi. Diventeranno degli zimbelli come Gordon Brown, il quale poco prima del rally dell’oro d’inizio secolo, vendette gran parte delle riserve della nazione.
Coincidenza delle coincidenze, poi, ultimamente il Canada ha fatto la stessa cosa.






L’oro, quindi, non è altro che il proverbiale canarino nella miniera. C’era chi lo dava “per morto”. Questa gente non capisce causa ed effetto in economia. Non ha una teoria per analizzare i mercati. Si basano sulle azioni di prezzo che appaiono sui monitor e procedono a formulare le loro conclusioni di conseguenza. Ignorano i trend sottostanti. Ignorano il trend dell’azione umana:
Investors ‘go bananas’ for gold bars as global stock markets tumble;
“Unprecedented Demand” – US Mint Sells Nearly As Much Gold On First Day Of 2016 As All Of January 2015.
Poi ci sono i pazzi, come Martin Wolf, che predicano l’avvento dell’elicottero carico di soldi da sganciare sulla popolazione. Potete immaginare come andrà a finire. Non fatevi trovare impreparati.

CONCLUSIONE
Quando Mises scrisse Planned Chaos negli anni ’50, aveva in mente il destino che avrebbe atteso la cosiddetta “economia mista”. Un lento scivolamento verso il caos pianificato culminante con un’economia di comanda, la quale non sarebbe sopravvissuta alle prove del libero mercato. Non era chiromanzia o chiaroveggenza. Era l’inevitabilità di un sistema basato sul costante offuscamento di quei segnali che avrebbero garantito una prosperità economica in accordo con i desideri degli attori di mercato.
L’analisi presentata in questo saggio delle varie economie mondiali, vuole fornire la prova di tale deriva e permettere al lettore di comprendere laddove hanno avuto origine i guai economici e finanziari. Ora, ancora una volta, sapete come e perché. È tempo, quindi, di “pianificare” la mossa successiva. Esiste una raccolta di saggi di von Mises intitolata, Planning for Freedom. In essa vengono tracciate le linee guida per non cadere preda del caos pianificato e camminare lungo un sentiero affine alla libertà individuale.
È questo il nostro compito ora. Ovvero, il compito degli amanti della libertà è quello di rappresentare una guida per tutti coloro che, assistendo al lento sgretolamento del sistema economico interventista, cercheranno una spiegazione a tale dipartita. Il keynesismo, teoria economica dominante, finirà sul banco degli imputati. Stavolta non la passerà liscia. Il tempo dei free ride si sta esaurendo.
Io, nel mio piccolo, ho cercato di fornire suddette linee guida scrivendo dapprima un libro di facile accessibilità per chi non conoscesse la Scuola Austriaca, e poi traducendone un altro per approfondire le meccaniche calla base di tale scuola di pensiero economica. Il messaggio di fondo è chiaro: “Non rubare, altrimenti ci saranno sanzioni negative inevitabili.” Le banche centrali hanno avuto la presunzione di poterle evitare; keynesiani e monetaristi hanno appoggiato questa illusione. Ma tutte le distorsioni economiche che si sono accumulate sin ad ora, sono troppo ingombranti per essere ignorate. Stanno trascinando a fondo la presunta onniscienza delle banche centrali e il feticismo dei macroeconomisti per i modelli matematici. Crisi dopo crisi non avranno modo di spiegare cosa sta accadendo, e tutte le loro “ricette” non saranno altro che un buco nell’acqua.
Gli Austriaci sono stati chiari fin dall’inizio, poiché comprendono l’origine dei problemi: l’intromissione statale negli affari economici attraverso la banca centrale. Crisi dopo crisi avremo modo di ribadire questo concetto cruciale.

da Freedonia di Francesco Simoncelli
 

tontolina

Forumer storico
Piano Bar : European Zone 2016_03
Piano Bar - European Zone

Marzo 2016

Il terzo appuntamento mensile con i lettori dedicato ad un focus sui mercati europei ci regala un quadro generale che nella sostanza non è mutato granchè dal report di Febbraio. I principali indici azionari europei continuano a calare in modo impulsivo da Aprile dello scorso anno. D’accordo che nell’ultimo mese si è assistito ad un rimbalzo ma fino a prova contraria il rimbalzo in corso è semplicemente un rimbalzo in contro trend (movimento correttivo) peraltro già in fase piuttosto avanzata che non appena terminato porterà ad una nuova e più potente onda al ribasso dove vedremo il FTSE100, il DAC, il CAC40, e l’EuroStoxx 50 mettere a segno nuovi minimi nel carniere del mercato orso. In questo momento vediamo particolarmente vulnerabili i titoli tecnologici europei e britannici e vediamo un sentimento euforico che conferma i nostri timori di un movimento correttivo in fase di esaurimento. Il rischio di default per numerose aziende europee negli ultimi 12 mesi è aumentato, e questa tendenza purtroppo è solo all’inizio.

Le vendite misurate e gentili che gli investitori hanno mostrato finora, diventerà sempre più nervosa e caotica man mano che si avanza nell’anno; peraltro tenete anche conto che fra poco più di un mese arriva maggio, e con maggio il periodo stagionalmente meno favorevole dell’anno per i mercati azionari. Come ben sanno gli amici elliottiani, i mercati azionari seguono un'evoluzione alternata di sviluppo e decadimento (impulso e correzione) di tipo frattale. Ora le onde che in quest’ultimo anno hanno determinato ribassi tra il 20 e il 30% degli indici azionari, sono ancora onde di piccolo grado (minute, minor, intermediate). Ma mano a mano che il mercato orso avanza, queste piccole onde diventano gocce per onde di grado primary , cycle e supercycle in grado di ribaltare banche d’investimento che stanno sul mercato da oltre un secolo. A quel punto gli investitori saranno colti dal panico questa volta per una questione primaria fondamentale: il passaggio del loro stato d’animo verso un profondo pessimismo renderà lentamente le banche centrali incapaci di contrastare il debito e tutte le loro manovre di Q.E inutili. A quel punto sarà come un palazzo o un viadotto quando cede un pilone di cemento portante. La riprova di quanto sto affermando è ben visibile osservando la disperazione che sta montando nelle banche centrali del mondo e la loro escalation sulla cassa sottoposta a continui giri di vite. Come ha spiegato Robert Prechter circa tre anni fa, “Le autorità non vogliono che tu abbia contanti, perché significa che non stai aiutando le banche a puntellare il debito”. Effettivamente le banconote ad alto valore sono diventate in tutta Europa un possesso pregiato al punto che ora si parla di far sparire le banconote da 500 euro adducendo ovviamente a subdole motivazione e balle che non stanno né in cielo né in terra. Un grafico di Bloomberg di qualche settimana fa mostrava come il numero delle banconote da 1.000 Franchi Svizzeri in circolazione che è uno dei tagli più grandi del mondo è più che raddoppiato a partire dal 2000 e dati della Banca Nazionale Svizzera parlano di un aumento della domanda di queste banconote cresciuta di ben un 17% da Novembre del 2014 a inizio di quest’anno. Ma anche sul versante dell’euro non va diversamente; così il numero di banconote da 500€ dal 2002 ad oggi è più che triplicato catturando l’attenzione dei governi continentali e così mentre la BCE tenta di rimuovere la banconota da 500€ la Germania cerca di porre un limite di 5.000 euro alle transazioni effettuate con pagamenti in contanti. In questo clima è entrato recentemente a gamba tesa Lawrence Summers ex segretario del tesoro americano, invitando i governi a livello mondiale ad “arrestare per sempre la stampa di banconote di grande taglio” (WSJ del 22 febbraio) raccogliendo immediatamente l’eco di favore da un ex consigliere della Banca d’Inghilterra che già a settembre dello scorso anno intervenendo ad una conferenza finanziaria aveva a sua volta sostenuto la necessità di sbarazzarsi delle banconote di grande taglio. Queste mosse ufficialmente vengono giustificate con la necessità di combattere il riciclaggio di denaro, il finanziamento del terrorismo e di altre attività criminali.

Come si legge su Bloomberg in un articolo intitolato “Draghi Could Scrap Biggest Note to Fight Crime and Deflation” (Draghi potrebbe eliminare la banconota più grande per combattere il crimine e la deflazione) (nda: passi la scusa del combattere il crimine ma quella della deflazione è una puttanata grande come una casa) “la rimozione di queste banconote dovrebbe contribuire a rimuovere uno dei principali ostacoli a spingere i tassi d’interesse più in basso” Il tutto con la benedizione urbi et orbi del mondo accademico. Un professore della London School of Economics, precisa che la rimozione delle banconote di grosso taglio, costringeranno gli aspiranti accaparratori di cassa ad utilizzare il sistema bancario, rendendo la conservazione dei contanti più costosa e difficile. Peccato che in un ambiente contagiato dalla deflazione del credito questa mossa diventerà impraticabile per i signori banchieri, poiché i rischi e i costi connessi associati al mantenimento di cassa in un conto bancario faranno impallidire e sembrare minimali i rischi e i costi connessi alla detenzione di banconote in denaro a casa propria. Anche se pubblicamente si presentano sempre con l’aria di chi sa cosa fare in ogni circostanza nel tentativo di infondere fiducia a tutti i costi, fiancheggiati da media e giornalisti incapaci di balbettare una sola parola contro questi personaggi che del loro operato, peraltro, non rispondono a nessuno (né ai governi né ad un elettorato) i banchieri centrali restano terrorizzati dalla deflazione del credito e dalla distruzione del debito associato che seguirà. In questa fase avanzata del trend le posizioni di cassa soprattutto di grandi dimensioni rappresenteranno un’occasione di investimento storica quando la tempesta sarà finita.

Passiamo quindi alla rassegna di qualche grafico, iniziando dall' EuroStoxx 50:



Il rally su Euro Stoxx è giunto ad un momento della serie "o vai o stai". Ovvero l'indice deve superare rapidamente i 3.130 punti se vuole puntare alla zona dei 3.200 punti dove passa il ritracciamento del 61,8% di Fibonacci della precedente onda i cerchiata. Diversamente un cedimento del supporto di 2.935 punti segnalerà l'inizio della nuova tappa del mercato orso.

La situazione è simile sul CAC40 dove peraltro giovedì scorso si è verificato una figura di Double Key Reversal Bearish, per cui ora la sfida per i tori è il superamento del massimo di giovedi scorso in tempi rapidi per scongiurare e invalidare quel segnale. Diversamente il cedimento del minimo di giovedi scorso confermerà che il rimbalzo è finito e il bear market può riprendere il suo corso.



Sul DAX il quadro di lungo termine è certamente ribassista, destinato a raggiungere la zona dei 5000 punti ma nel breve periodo il Dax potrebbe certamente salire in zona 10.335 - 10.388 per raggiungere un ritracciamento del 61,8% della precedente onda i cerchiata. Ma l' onda ii potrebbe anche spingere oltre fino a riportare il Dax vicino agli 11.000 punti prima di riprendere il cammino verso il basso.



Anche sul FTSE 100 , a nostro avviso manca un ultima spinta verso l'alto per completare le cinque onde che consentiranno la successiva inversione al ribasso.

Come ogni mese diamo un occhiata all'indice di fiducia degli investitori tedeschi (fonte http://it.tradingeconomics.com/germany/zew-economic-sentiment-index )



Come si vede il dato di febbraio va a scraniarsi all'1% dimezzando praticamente il minimo dello scorso Ottobre e questo non è un gran bel segnale senza contare poi che nel mese di febbraio perde quasi 2 punti percentuali anche l'indice di fiducia delle imprese come mostra il grafico successivo.



[Bund Futures]



Il mese scorso eravamo in dubbio sul fatto che il massimo di allora rappresentasse il massimo di onda 3 o 5. Il movimento laterale che si è sviluppato da allora è coerente con lo sviluppo di un onda 4 per cui una volta terminata la correzione ci sarà ancora un'onda 5 al rialzo. Il supporto di tenuta per l'onda 4 dovrebbe aggirarsi attorno a 160,1 - 160,5.

Prima di concludere rispolveriamo anche uno strumento che non mostravamo da parecchio tempo ovvero il siderografo di Bradley per il 2016 con le date di turnazione individuate. Ricordiamo che la curva del siderografo non indica la direzionalità del mercato ma solo le date in cui più probabilmente potremo assistere a delle inversioni.





alla prossima
http://www.lombardreport.com/2016/3/16/piano-bar-european-zone-2016-03/
 

tontolina

Forumer storico
LA LENTA MORTE DI UN TORO

È cosa comune ascoltare dai media mainstream una sequela di elogi nei confronti del mercato azionario, soprattutto a seguito di cali improvvisi e inaspettati. Allora al minimo accenno di rimbalzo la maggior parte degli imbonitori e dei commentatori finanziari dichiara finita la turbolenza e invita gli investitori a tornare in massa nei casinò. Diamo un'occhiata alle performance dell'ultimo anno degli indici azionari più rilevanti.











Come possiamo notare dai grafici qui sopra, il trend ribassista aleggiante in ogni mercato azionario mondiale viene ignorato focalizzando l'attenzione sui vari tentativi di rally falliti. In realtà, attraverso i media mainstream la maggior parte delle persone non ha affatto compreso come mai la situazione sia degenerata a tal punto e soprattutto perché proprio ora. Brancola nel buio, affidandosi alle presunte analisi accurate di uno stuolo di statistici al soldo delle agenzie statali e una folla di burocrati nelle istituzioni ufficiali. Inutile sottolineare come questa gente faccia affidamento su modelli matematici obsoleti facenti riferimento alle credenze keynesiani di un'economia inquadrabile dal punto di vista numerico. Più in particolare, fanno riferimento al modello della vasca da bagno teorizzato da James Tobin negli anni '60. In base a questa reliquia barbarica del passato si presume che le varie economie siano compartimenti stagni completamente sigillati e impossibilitati in alcun modo a comunicare tra di loro. Ovvero, gli effetti avversi di una non possono avere effetti avversi sull'altra.

In questo modo è possibile appuntare la banca centrale come rubinetto della vasca in modo che, attraverso uno stimolo monetario, riempia la vasca da bagno di domanda aggregata affinché l'economia in generale raggiunga il suo potenziale di PIL. Dopodiché l'effetto ricchezza si diffonderà in tutto l'ambiente economico permettendo un boom e il raggiungimento del nirvana keynesiano della piena occupazione. Non appena sentite i banchieri centrali parlare a vanvera di "fiacchezza" nel mercato del lavoro, potete star sicuri che le loro tesi si basano fondamentale su questo modello di ragionamento economico. Negli Stati Uniti sono passati 86 mesi prima che la ZIRP fosse interrotta e il risultato è stata una pseudo-ripresa dell'economia, dove la disconnessione tra economia di Main Street e Wall Street s'è fatta più marcata.

Infatti solo quest'ultima ha goduto della manna monetaria elargita dal settore bancario, il quale non ha fatto altro che compiere il compito per cui è stato creato, ovvero, salvaguardare quelle entità protette dal suo cartello: stato e grandi banche commerciali. Al fine di salvare tali entità le banche centrali non si sono accorte d'aver gonfiato la terza bolla più grande di questo secolo: quella nel settore obbligazionario statale.
Dopo un timido intervento con il TARP, negli Stati Uniti ad esempio, e con il LTRO, in Europa, le banche centrali sono andate all-in puntando sulla monetizzazione palese del pattume dei vari stati sovrani. Questo ha permesso a questi ultimi non solo di trovare un prestatore di ultima istanza disposto a sovvenzionarlo nonostante i bilanci in bancarotta, ma anche di rimpinguare le grandi banche commerciali di nuova valuta con cui ammorbidire i loro bilanci disastrati. Infatti, a fronte di un stato patrimoniale in continua erosione dal lato degli attivi, la manna monetaria elargita dalle banche centrali è servita loro da collaterale per "ristrutturare" il loro stato patrimoniale.

Dopo aver parcheggiato il nuovo denaro presso le rispettive banche centrali come riserve in eccesso (guadagnanti un interesse), le grandi banche commerciali si sono gettate anima e corpo nel mercato azionario. Per questa gente avere anche un bilancio in pareggio significa lo stesso una perdita, di conseguenza hanno gozzovigliato nei mercati azionari per acquisire asset e mostrare a fine anno un bilancio in positivo. L'effetto ricchezza che le banche centrali speravano di scatenare in questo modo, s'è riversato in alcune realtà della grande impresa sovvenzionando attività artificiale che a loro volta hanno dato vita ad altre attività artificiali. In breve, la nascita della bolla delle patch di scisto, della bolla dei prestiti per automobili, delle bolle nei vari titoli del mercato azionario, ecc., sono il risultato della massiccia e progressiva intrusività della pianificazione monetaria centrale negli ambienti di mercato. L'abbassamento a livelli artificiali dei tassi d'interesse ha creato una gigantesca offerta d'acquisto nei mercati obbligazionari e azionari che ne ha distorto il price discovery. Il risultato è stato un mispricing degli asset e un'errata allocazione delle risorse economiche.

Questa mania ha invaso Main Street solo in parte. I miglioramenti nei dati legati all'occupazione sono principalmente da attribuirsi a lavori "rinati" sulla scia della baldoria di credito facile abilitata dalle banche centrali. Sebbene sia superfluo sottolineare come questi lavori non siano destinati a durare data la fragilità sulla quale si fondano, hanno influito a loro volta sull'ambiente economico circostante permettendo una reflazione della bolla immobiliare. Hedge fund e banche commerciali, sempre presenti alle aste di fallimenti, hanno fatto man bassa d'edifici comprati per quattro soldi e poi, trasformandosi repentinamente in padroni di case, hanno girato queste case in affitto. Non solo, ma è stata creata anche tutta una serie di strumenti finanziari alla cui base c'era la convinzione che gli affitti sarebbero continuati ad essere pagati. Di conseguenza una volta che la recessione colpirà ancora una volta, le prime teste a cadere saranno coloro che hanno goduto indirettamente della mania monetaria scatenata dalle banche centrali.

Quando verranno licenziati poiché le imprese che hanno gozzovigliato col credito facile hanno fondamentalmente arroventato la loro esposizione all'ingegneria finanziaria, non hanno affatto basato la loro crescita su basi solide investendo ad esempio nella R&S. Si sono semplicemente limitate a cavalcare la bolla sequestrando al loro interno risorse umane e di capitale. Capiterà loro ciò che sta attualmente capitando ai campi abbandonati in North Dakota: bancarotta. Ciò indebolirà di nuovo Main Street e la relativa capacità di adempiere ai propri pagamenti. Inutile dire che questo significherà anche il fallimento di quei titoli che sono stati costruiti su questa illusione di prosperità. Una volta che la FED, ad esempio, ha smesso d'inondare il casinò con nuova liquidità e ha assecondato (seppur marginalmente) l'andamento del mercato rialzando lievemente il tasso del denaro nel mercato monetario, ciò non ha dissuaso i grandi pachidermi che si sono abbeverati sino ad ora alla fontana del credito facile.








Una volta che tornano a fallire aziende e gente di Main Street, basta uno schiocco di dita prima che tale effetto si propaghi anche ai cosiddetti TBTF. E ad oggi gli indicatori segnalanti una recessione si stanno intensificando. Pensate ai prestiti per studenti. Pensate ai prestiti per automobili. Il mercato ad alto rendimento sta tornando lentamente ai suoi livelli storici. L'indice riguardante il trasporto delle merci negli USA è sceso del 7% rispetto all'anno scorso. Le esportazioni sono diminuite dell'11%.







Ma la deformazione dell'ambiente economico non riguarda solo gli Stati Uniti, anche la Cina sta dando ulteriore sfoggio di pazzia. Infatti pochi tra i media mainstream hanno fiatato sul casino finanziario che la Cina vorrebbe aggiungere a quello esistente. Ovvero, cartolarizzare cataste di prestiti non performanti e trasformarli in ABS presumibilmente d'alta qualità. Nei mercati di oggi, affamati di rendimenti decenti a causa della ZIRP e della NIRP, questa sarebbe l'ennesima scusa per prolungare un po' di più gli spasmi del "toro morente".

La Cina è un incidente annunciato che non hai mai avuto nulla di stabile o sostenibile, la cui economia è andata avanti a botte di sfogliate di denaro fiat uscite dalla stampante della PBOC e, di conseguenza, a bolle incendiarie in quasi ogni settore industriale. Per non parlare dell'aumento mastodontico del suo debito pubblico del 30X, da $500 miliardi negli anni '90 ai $30,000 miliardi di oggi. Ora però Pechino sta navigando in capacità in eccesso che sta facendo stramazzare al terreno qualsiasi industria sul suolo cinese, soprattutto i loro profitti, creando un circolo vizioso di prestiti non performanti e la necessità d'ulteriore credito per cercare di portare avanti investimenti palesemente improduttivi. E indovinate un po'? Rispetto a gennaio dell'anno scorso i prestiti alle imprese sono aumentati del 73%!

Fortunatamente non sono tutti impazziti in Europa e una voce della ragione ancora s'alza per scaraventare nella pattumiera tutti quegli articoli che finora hanno inneggiato ad un divieto dei contanti e al decollo degli elicotteri monetari. Inutile sottolineare che quella della Germania è l'unica voce della ragione... probabilmente a livello mondiale. Qui da noi, invece, la propaganda a favore dei deficit corre veloce e santifica la volontà dello zio Mario d'aumentare il carico del QE il prossimo mese. Non scordiamoci che in Italia ci sono circa €200 miliardi di prestiti andati a male che verranno trasformati in ABS con la garanzia statale. Sebbene giornali e blog indipendenti abbiano dettagliato le specifiche di questo piano affermando che solo quegli strumenti finanziari con grado di rating più alto verranno garantiti dallo stato, in realtà le cose non stanno così.

Innanzitutto non c'è in cantiere alcuna ristrutturazione delle banche i cui asset verranno garantiti. Finora tutte le regole stabilite per smorzare gli azzardi morali sono state infrante (limiti di debito, limiti di deficit, trattato di Maastricht, ecc.) e i mercati vengono "calmati" solo se si conferma la presenza di garanzie statali. I nuovi strumenti finanziari otterranno il grado d'investimento più alto solo le banche vi rimarranno esposte mediante accordi di riacquisto. Il problema però non sono tanto le banche fallite, quanto un ambiente di mercato pervaso da asset mispriced ed errata allocazione del capitale. Quali prospettive ha l'economia di migliorare e di conseguenza far migliorare i bilanci delle banche, quando le premesse sono queste deformità economiche? Verranno chiamate in causa ulteriori garanzie di stato.

In realtà questo piano non è affatto una strategia per "stimolare" l'economia, bensì un modo per scaraventare nei mercati finanziari ulteriori asset incendiari, fomentando solamente l'azzardo morale per tenere in vita un settore marcio e fatiscente. Non scordiamoci che gli ABS garantiti dallo stato avranno i requisiti per essere comprati anche dalla BCE. Il grado di follia si sta ingigantendo e con esso anche la sensibilità che un evento "insignificante" possa buttare già questo castello di carte.



SCHIVARE I FENDENTI DEL MATADOR

Ma quale può essere uno di questi eventi "insignificanti"? Io credo di saperlo. Uno degli strumenti finanziari più pericolosi al giorno d'oggi sono gli exchange traded funds, o ETF. Questi strumenti, diversamente dai fondi comuni d'investimento, fungono essenzialmente come azioni ma sono stati pensati per la gente comune che ha "più praticità" con i casinò di tutti i giorni. Scommettere con gli ETF equivale esattamente a giocare alla roulette: è possibile farlo per tutto il giorno e i costi d'entrata sono più bassi dei fondi comuni d'investimento. Negli ultimi 10 anni c'è stata letteralmente un'esplosione di questi strumenti, sia nelle negoziazioni che nei settori interessati. Infatti stiamo parlando di un mercato da $450 miliardi nel 2005, mentre ora il suo ammontare è arrivato a $3,000 miliardi.

Non c'è alcuna connessione con la realtà, ma solo il trading del momentum in cui si trova il casinò di Wall Street. Infatti, come abbiamo già visto con Valeant, questi strumenti finanziari speculativi reagiscono positivamente solo in presenza di un mercato toro alimentato dalle stampanti monetarie delle banche centrali. Pensate davvero che in un libero mercato con un price discovery onesto avremmo visto apparire dal nulla 5,500 tipi diversi di queste bombe ad orologeria finanziarie? Ma il settore biotecnologico è solo uno dei settori in cui gli ETF hanno prosperato, c'è anche il settore petrolifero, minerario, bancario, ecc. I giocatori d'azzardo, i robo-trader e i cosiddetti fast money ammassandosi per comprare le azioni sottostanti, hanno fatto sembrare appetibili gli ETF che hanno di conseguenza guadagnato slancio anche agli occhi degli investitori retail.

Ciò può andare avanti finché il denaro quasi-gratis fluisce all'interno dei canyon delle bische clandestine e la mania delle bolle fa credere ai giocatori d'azzardo che il limite alle scommesse non è affatto il cielo. Quando il movimento sottostante al mercato toro chiude i rubinetti, gli sciocchi vengono lasciati col cerino in mano. Lo scorso agosto ne abbiamo avuto un assaggio. Nonostante le azioni alla base degli ETF abbiano subito una breve battuta d'arresto e i prezzi siano calati, gli ETF che le rappresentavano sono calati in modo più drastico, perfino del 40% in più. A questo punto, visto che la FED ha temporaneamente raffreddato la stampante monetaria, sono le banche commerciali che stanno cercando di tappare i buchi.





Infatti gli ETF sono considerati liquidi in base al presupposto che ci sarà sempre qualcuno desideroso d'acquistarli. I problemi sorgono quando non esiste un proverbiale "sciocco più sciocco" e i broker si ritrovano a dover sborsare denaro per coprire le perdite. Il 26 agosto dell'anno scorso sono scattati 1,300 trading halt e la stragrande maggioranza ha riguardato gli ETF. Questo per dire che strumenti finanziari simili non sono altro che scommesse speculative partorite da un mercato drogato da denaro a basso costo, il quale, essendo affamato di rendimenti decenti, ha generato aberrazioni simili ignorando i rischi annessi.

In breve, una volta che si esaurisce il mercato toro, si esaurisce anche la possibilità di trarre profitto da strumenti finanziari come gli ETF. Al presente stiamo entrando in un mercato orso di conseguenza posizionarsi long sugli ETF equivale ad un vero e proprio suicidio. Come evidenziato nei primi quattro grafici di questo articolo, i mercati azionari sperimenteranno diversi dead cat bounce ma la tendenza sarà decisamente al ribasso. E nemmeno il mercato azionario più ampio è il luogo in cui trovarsi al momento, poiché sopravvalutato dopo gli 86 mesi di ZIRP.





Quindi, cosa fare?

Read more: http://francescosimoncelli.blogspot.com/#ixzz44CpbeI9C
 

tontolina

Forumer storico
Chi o che cosa c'è dietro a questa improvvisa svolta verso il "Bail In", che costringe i risparmiatori a pagare per gli errori dei banchieri? Il nostro conto corrente è garantito? Cosa ci attende nel 2016 dal punto di vista economico? Il video-messaggio di fine anno di Claudio Borghi, economista, docente all'Università Cattolica di Milano, risponde a tutte queste domande e svela le manovre e gli interessi che si celano dietro allo spostamento dell'onere dei salvataggi bancari dalla BCE di Mario Draghi alle tasche dei correntisti, cioè noi.
 

tontolina

Forumer storico
Chi o che cosa c'è dietro a questa improvvisa svolta verso il "Bail In", che costringe i risparmiatori a pagare per gli errori dei banchieri? Il nostro conto corrente è garantito? Cosa ci attende nel 2016 dal punto di vista economico? Il video-messaggio di fine anno di Claudio Borghi, economista, docente all'Università Cattolica di Milano, risponde a tutte queste domande e svela le manovre e gli interessi che si celano dietro allo spostamento dell'onere dei salvataggi bancari dalla BCE di Mario Draghi alle tasche dei correntisti, cioè noi.
chi ha escogitato questo sistema suicida?
ma mario Monti
ne dubitavate?
 

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