Tassi, QE e carry trade (1 Viewer)

tontolina

Forumer storico
Perché il QE non funziona e come uscirne, secondo Invesco
financial_lounge.png
Economia1 ora fa (08.11.2019 14:42)

pic738ba9ccd9df889f156d597ffb5b71eb.jpg

Financialounge.com è a Londra per la seconda giornata dell’incontro di Invesco dedicato alla stampa di settore. Per il capo economista John Greenwood la Bce ha commesso almeno due errori, e la politica fiscale non è la soluzione

La politica monetaria non è in grado da sola di salvare un’economia che si trova nella cosiddetta ‘trappola della liquidità’. E la soluzione prospettata da Keynes, cioè la politica fiscale espansiva, non è sufficiente”. È duro il giudizio di John Greenwood, capo economista di Invesco, sul modo in cui le banche centrali hanno gestito e stanno gestendo la difficile situazione sui mercati.
I LIMITI DEL QE
Presentando il suo Economic Outlook nel corso dell’incontro di Londra dedicato alla stampa internazionale di settore, Greenwood non ha usato mezzi termini, parlando di “politiche non corrette” da parte di Bce e Bank of Japan. “Non sono le manovre sui tassi d’interesse a guidare l’inflazione, ma viceversa è l’inflazione a guidare i tassi d’interesse”, ha spiegato l’economista, secondo cui è la crescita monetaria il principale fattore in grado di influire sull’andamento del tasso di inflazione...

Continua la lettura

** Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge
 

tontolina

Forumer storico
Fed, Powell non vede rischi che economia Usa collassi
Reuters Staff
2 IN. DI LETTURA
Fed, Powell non vede rischi che economia Usa collassi

WASHINGTON (Reuters) - Il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, ha detto che l’attuale crescita economica sembra essere sostenibile, con pochi segnali di un’imminente recessione, nonostante i rischi legati alla guerra dei dazi, al rallentamento degli investimenti da parte delle aziende e al debole contesto estero.


“L’economia statunitense è l’economia di punta oggi”, ha detto Powell al Comitato per il bilancio della Camera. “Stiamo crescendo attorno al 2%, al di sopra dei ritmi di altre economie avanzate. Non c’è ragione per cui questa crescita non possa continuare”.
Parlando di possibili eccessi capaci di minacciare l’espansione, Powell ha risposto: “Date un’occhiata all’economia odierna. Nessun settore in crescita che rischia di collassare, in altre parole”.
“Si tratta di una panoramica ben sostenibile”.

L’economia statunitense è in crescita per l’undicesimo anno di fila, anche se quest’anno è rallentata rispetto al 2018, quando i tagli delle tasse dei repubblicani hanno contribuito ad un’accelerazione delle attività. Nel terzo trimestre, il Pil annuo è avanzato dell’1,9%, in calo rispetto al 3,4% di un anno fa nello stesso periodo.

L’attività industriale statunitense è stata rallentata, in un contesto dove i dazi reciproci tra Washington e Pechino e la debole domanda dei mercati oltreoceano hanno alimentato un clima d’incertezza. Gli investimenti delle aziende hanno pesato nettamente sul Pil per gli ultimi due trimestri.

Powell non vede rischi di rallentamento dell’economia dovuto a un calo nell’attività industriale.
“È un rischio che seguiamo attentamente - non lo vediamo ancora”, ha detto Powell.

La Fed ha ridotto i tassi d’interesse tre volte quest’anno. Il tasso previsto dalla Fed ora si aggira tra l’1, 50 e l’1,75%, in calo rispetto all’intervallo tra il 2,25 e il 2,50% stimato intorno alla metà dell’anno.

Sul sito www.reuters.it le altre notizie Reuters in italiano. Le top news anche su www.twitter.com/reuters_italia
 

tontolina

Forumer storico
Focus Economia di Sebastiano Barisoni - Radio 24
#Fed: via acquisti 60 mld Treasury al mese, fino a 2020 ++ La Fed iniziera' ad acquistare 60 miliardi di dollari di Treasury al mese a partire dal 15 ottobre. Gli acquisti proseguiranno fino al secondo trimestre del 2020 per mantenere un livello di riserve sopra quello degli inizi del settembre 2019. E' la prima volta che la Fed torna ad acquistare titoli pubblici da quando ha messo fine nel 2014 al suo ultimo round di acquisti di bond. La decisione era stata preannunciata nei giorni scorsi da Jerome Powell, precisando che non si tratta di quantitative easing.


Subscribe to read | Financial Times
banca centrale americana ha dichiarato che aumenterà il limite sulla quantità di denaro che presterà sul mercato ad almeno $ 120 miliardi, rispetto ai $ 75 miliardi che aveva precedentemente concordato di fornire su base giornaliera.


CRISI DI LIQUIDITA': IL "NON QE" DELLA FED RICHIESTO 4,8 VOLTE L'OFFERTA
CRISI DI LIQUIDITA’: IL “NON QE” DELLA FED RICHIESTO 4,8 VOLTE L’OFFERTA

La Fed lancia 500 miliardi $ sul mercato per salvare le banche dallo tsunami: bilancio al record storico
jeromepowell-619x368.jpg
Il presidente della Fed Jerome Powell (Photo by Win McNamee/Getty Images)

Quella comunicata dalla Fed di New York appena chiuse le contrattazioni a Wall Street giovedì sera – e in contemporanea con l’annuncio del raggiungimento di un via libera bilaterale alla Phase one dell’accordo commerciale fra Usa e Cina che ha visto Donald Trump firmare in fretta e furia l’atto di sopensione delle nuove tariffe in vigore dal 15 dicembre – rischia di passare alla storia come la più clamorosa smentita che un capo delle Federal Reserve abbia mai tacitamente dovuto compiere.
A sole 24 ore dalla conferenza stampa seguita al board mensile, Jerome Powell ha infatti dovuto cedere alla forza della realtà e dare luce verde a quello che in ambienti finanziari già è stato ribattezzato the firehose: l’idrante.
Come mostra questa tabella
Firehose1.jpg


da qui ai prossimi 30 giorni la Fed inonderà infatti letteralmente il mercato con 500 miliardi di liquidità attraverso aste repo e term, a cui andranno a sommarsi gli acquisti mensili del Qe.

Un qualcosa di assolutamente senza precedenti che, oltre a gettare un’ombra sulla credibilità del numero uno della Banca centrale Usa, conferma i timori di molti: le scadenze di fine trimestre/anno avrebbero scatenato una crisi sul mercato del finanziamento interbancario peggiore di quella che il 17 settembre scorso costrinse proprio la Fed a riattivare acquisti diretti dopo un decennio. Insomma, si temeva un’altra Lehman.
Le cifre, infatti, parlano da sole: il 31 dicembre e il 2 gennaio le aste repo overnight vedranno salire la liquidità a disposizione a 150 miliardi at least, mentre altri 75 saranno offerti il 30 dicembre con maturazione 2 gennaio. E non basta, perché oltre a questo, dal 16 dicembre al 14 gennaio, si terranno anche nove aste term, otto delle quali per un ammontare di 35 miliardi e la prima di 50 miliardi. In totale, qualcosa come 365 miliardi di dollari nell’arco di un solo mese. Ai quali, unendo i controvalori di acquisti diretti in seno al Qe, si arriva a circa 500 miliardi di dollari.
Un vero e proprio diluvio.
L’idrante, appunto.

Un qualcosa che, come mostra bene questo grafico

Firehose2.jpg


porterà il bilancio della Fed a salire dagli attuali 4,066 trilioni di dollari a oltre il suo record massimo di 4,5 trilioni.
La profezia di Zoltan Pozsar, l’analista di Credit Suisse meglio noto come il “guru del mercato repo”, ci ha messo soltanto tre giorni ad avverarsi, visto che nel suo report metteva in guardia la Fed da guai decisamente più seri di quelli di settembre ormai alle porte.

“Questione di giorni”, vaticinava nel suo studio dal titolo decisamente emblematico: Countdown to Qe4?. Il motivo di questa previsione?
Semplice e ottimamente sintetizzata da questo grafico

REPO_support.jpg


il mercato necessita da oltre due mesi di un supporto diretto della Fed di questa magnitudo, unicamente per mantenere un andamento regolare.
Se qualcosa accadesse, in caso la Federal Reserve sottovalutasse i rischi di fine anno, l’unica risposta possibile per evitare uno scenario da 2008 sarebbe quella dell’ampliamento immediato e a dismisura del Qe in atto, lo stesso che Jerome Powell rifiuta di definire tale.

Altra colossale smentita, dopo che soltanto nella conferenza stampa post-board (24 ore prima dell’annuncio della Fed di New York) aveva accuratamente evitato ogni domanda relativa allo studio di Pozsar, salvo poi concedere la possibilità che nelle ultime due aste dell’anno si potesse ampliare la platea di assets accettati come collaterale, accettando anche coupons.
Insomma, un brodino.
Tramutatosi però a tempo di record in una cura da cavallo.
E ad aggravare la situazione, ci aveva pensato lo scorso weekend anche la Banca per i Regolamenti Internazionali, ovvero la Banca centrale delle Banche centrali, la quale aveva dedicato la sua ultima Quarterly Review proprio all’intervento forzato della Fed sul mercato repo, alle sue conseguenze sistemiche e, soprattutto, alle ragioni che lo hanno reso necessario.

Per la Bri, “attualmente i mercati repo statunitensi dipendono troppo dal ruolo di quattro banche come prestatori marginali. E visto che la composizione dei loro assets liquidi è divenuta nel tempo sempre più distorta e indirizzata verso la detenzione di Treasuries, la loro capacità di fornire finanziamento con breve preavviso sui mercati repo è andata via via diminuendo.
Allo stesso tempo, l’aumento di domanda proprio per quel finanziamento da parte di istituzioni finanziarie particolarmente esposte al leverage – come ad esempio gli hedge funds – attraverso il canale repo dei Treasuries sembra aver esacerbato al massimo i limiti di quelli che si credevano unicamente dei fattori temporali”.

E questo grafico

REPO_hedge.jpg


mostra il detonatore di quello squilibrio: fondi speculativi come come Citadel, Millennium o Point 72 operano infatti in maniera tale da vedere 20-30 miliardi di assets under management (Aum) tramutarsi in 200 miliardi proprio attraverso l’esposizione alla leva. E come raggiungono quei livelli, da dove trae linfa quel leverage, quel colossale schema Ponzi finalizzato al profitto a brevissimo termine?

Fino al 16 settembre scorso, in maniera sistemica proprio dal mercato repo overnight. Si è portato il sistema allo stremo.
Conclude la Bri: “Non solo la FED si è trovata da affrontare, improvvisamente, una crisi in stile LTCM ma proprio a causa dell’uso e abuso del mercato repo da parte di questi soggetti attraverso i cosiddetti multi-strat funds, ciò che si è trovata davanti è stata in realtà una costellazione di situazioni potenzialmente esplosive in stile LTCM. E in contemporanea.
Un qualcosa che, se non tamponato immediatamente ed emergenzialmente, avrebbe potuto far partire una valanga che sarebbe facilmente sfociata in trilioni di dollari di controvalore in assets forzatamente liquidati come conseguenza dello tsumani di margin calls che avrebbe colpito gli hedge funds di tutto il mondo”.

Insomma, si è rischiato un altro 15 settembre 2008, a causa del combinato devastante delle quattro banche più grandi degli Usa, le cosiddette Big Four, che da sole detengono più del 50% di tutti i Treasuries utilizzabili come collaterale nelle operazioni repo di finanziamento a breve, mentre le 30 più grandi banche del Paese messe insieme arrivano a oltre il 90% di detenzione. A questa distorsione sistemica va unito appunto il ruolo degli hedge funds, i quali utilizzano il mercato repo non come fonte di finanziamento per chiudere i deals quotidiani e mantenere l’operatività ordinaria nei flussi di cassa ma per costruire posizioni a leva sempre più estreme, talmente estreme da sembrare castelli di sabbia.
E il 16 settembre scorso, la marea si era alzata a tal punto da essere quasi pronta a spazzarli via in blocco. E visto quanto deciso dalla Fed di New York senza preavviso e preso atto di quanto debba essere costato a Jerome Powell doversi smentire in maniera così plateale, questa volta si sarebbe rischiato un vero e proprio tsunami.
 

tontolina

Forumer storico
OPS… LA FED COMPRA QUASI TUTTI I TITOLI EMESSI DAGLI USA

Si parla spesso di monetizzazione del debito come di una follia, ma se questo tipo di politica fosse già in corso e nessuno se ne fosse accorto?
In questo grafico presentiamo da un lato, in grigio


In grigio le emissioni di titoli di stato USA, in arancione gli acquisti da parte della FED, divisi fra TOMO (blu) e POMO (rosso scuso), le due principali operazioni di rifinanziamento del sistema bancario USA.

La FED ha pompato 437 miliardi di dollari nel sistema bancario per fornire liquidità, ma come questo è successo? Semplicemente il sistema bancario investe il proprio attivo in titoli di stato, e poi, a corto di liquidità , si fa rifinanziare con i vari programmi POMO e TOMO dalla FED: A questo punto i titoli finiscono alla FED, ad un rendimento inferiore, con operazioni di pronto contro termine. Le banche non possono fare diversamente dato che si avvicina il prossimo lunedì 23 dic2019 quando ci saranno delle importanti scadenze fiscali, oltre che i prelievi per le spese natalizie, e non si possono lasciare gli ATM vuoti, o non pagare le tasse dei clienti.

A questo punto, visto il comportamento del sistema bancario, non è neanche un grosso problema finanziare il debito pubblico.
Sino a Trump c’era una vera e propria guerra per aumentare il tetto del debito, ma , dopo la prima schermaglia nel primo anno di presidenza con un mese di chiusura dei servizi non essenziali, sembra che il problema sia risolto, anche se il debito continua a crescere. Del resto le banche si sono buttate a pesce nel debito pubblico USA, spesso sostituendolo (vedi JP Morgan).

Se i tedeschi capissero quello che fa la FED diventerebbero matti !!
 

tontolina

Forumer storico
FINANZA/ La crisi “nascosta” che le Banche centrali possono far esplodere
22.12.2019 - Giovanni Passali
Le banche centrali rischiano di essere il detonatore amplificato della crisi che loro stesse finora hanno nascosto

FINANZA/ La crisi "nascosta" che le Banche centrali possono far esplodere


Inizia a venir fuori con maggiore chiarezza quello che è successo a metà settembre sul mercato bancario overnight americano, quando la Fed procedette a pesanti iniezioni di liquidità per calmierare interessi bancari balzati improvvisamente e sorprendentemente al 10%. In mancanza di spiegazioni (se non quelle vaghe date dalla Fed), le ipotesi in circolazione facevano presagire gli scenari più cupi, anche perché quelle iniezioni di liquidità venivano ripetute nei giorni (nelle notti) successivi, segno che il problema non appariva momentaneo ma strutturale.
C’era forse una banca in difficoltà?
E quale banca poteva essere?
Mentre queste domande si accavallavano senza risposta, la memoria riportava alla mente il fatto che operazioni simili si erano viste nei momenti peggiori della crisi del 2008, quella che per poco non faceva saltare per aria l’intero sistema finanziario globale, quando con il fallimento della Lehman Brothers il mondo intero si accorse che nessun istituto finanziario poteva dirsi sicuro.

Un noto detto afferma che “prima o poi la verità viene a galla”: io sono un fermo sostenitore di questo detto, anche se ancora oggi non abbiamo la “verità” su quanto successo nel mercato interbancario a settembre scorso.
Però sappiamo qualcosa di più, qualcosa di interessante, grazie a un report della Bis (Bank of International Settlement), che bisogna considerare come “la banca centrale delle banche centrali”, poiché è l’organismo che a livello internazionale detta le norme per le banche centrali e per tutto il sistema bancario. Da questo organismo sono nate, per esempio, le norme chiamate “Basilea” e “Basilea II”; hanno preso questo nome dalla città di Basilea, in Svizzera, dove ha sede la Bis. Essa è costituita da 60 banche centrali, che coprono circa il 90% del mondo. Dal Sudafrica alla Norvegia, dal Messico al Giappone, c’è tutto il mondo bancario che conta al mondo.
Nata nel 1930, è la più antica istituzione finanziaria al mondo. Le istituzioni fondatrici sono state Belgio, Francia, Germania, Italia, Giappone e Svizzera. Iniziò con un compito piuttosto spiacevole, poiché dovette gestire i pagamenti per i danni di guerra tedeschi seguenti alla Prima guerra mondiale. Successivamente i suoi compiti furono allargati e a essa nel tempo aderirono tutte le maggiori banche centrali

Come si può intuire, era ben difficile che questa istituzione non riportasse qualcosa di quanto è successo. Ma ha fatto molto di più, dedicando all’argomento l’intero suo BIS Quarterly Review”, pubblicato lo scorso 8 dicembre, dal titolo esplicito “September stress in dollar repo markets: passing or structural?”. Già nel titolo viene messo a fuoco la domanda capitale: si tratta di una situazione temporanea oppure di un fenomeno strutturale?. Anticipo subito quello che ho capito: per ora la situazione non è chiara, ma il forte sospetto è che il malanno che si vuole curare sia strutturale.
Il report ripercorre la situazione ordinaria per cui esiste il mercato dei cosiddetti repo: si tratta di transazioni a breve termine (normalmente overnight) di prestiti “collateralizzati” (cioè a fronte di un collaterale) con le quali un richiedente un prestito offre un contratto di riacquisto di un collaterale (tipicamente un titolo di Stato) allo stesso prezzo, più gli interessi. Tali prestiti sono “alti” per il settore di riferimento (i titoli di Stato, per esempio), ma dal costo finale contenuto, proprio perché a breve termine.
Questo è uno dei bizzarri effetti, dovuti al fatto che da decenni tutti gli Stati hanno iniziato a emettere sempre più titoli a lunga scadenza e non a breve (Italia inclusa, dagli anni ’80, cioè dal divorzio tra ministero del Tesoro e Banca d’Italia) per attrarre investitori istituzionali e grandi fondi speculativi. In questo modo, la gran parte di titoli posseduti da piccoli risparmiatori sono passati ai grandi investitori e i piccoli risparmiatori hanno iniziato a lasciare i soldi cash sui propri conti correnti. L’effetto è che praticamente i titoli a breve termine sono ormai troppo pochi e non ve ne sono abbastanza per i grandi investitori. Quindi la soluzione bizzarra trovata, per fare un investimento a breve termine, è quella di accettare come garanzia un titolo di Stato a lungo termine e quindi prestare denaro a un interesse tipico del prestito a breve termine, che non è per nulla correlato all’interesse del titolo di Stato. Ovviamente in tale strano mercato se le richieste sono molte e superano di molto le offerte, gli interessi salgono. Infatti, c’è una sola cosa che una banca o un’istituzione finanziaria non può permettersi: rimanere senza liquidità, perché allora si diffonde il panico, che ha pure il terribile difetto di essere contagioso.

Dal medesimo report della Bis viene ricordato che al mercato interbancario ormai accedono non solo banche, ma anche compagnie di assicurazione, asset manager, fondi e “altri investitori istituzionali”. In questo modo – sempre secondo la Bis – ogni mercato aiuta gli altri a gestire la propria necessità di liquidità. Per comprendere la vastità di questo mercato, basti dire che ogni giorni vi transitano circa mille miliardi di dollari. Proprio tutto questo rende assolutamente eccezionale una mancanza di liquidità su questo mercato di prestiti a breve termine. Per esempio, questo mercato è entrato in crisi nel 2008, all’apice della crisi bancaria, quando nessuna banca si fidava più di ogni altra banca e dovette intervenire direttamente la Fed per fornire liquidità e non far collassare l’intero sistema bancario e finanziario. Quindi il blocco di questo mercato è un segnale catastrofico, come catastrofico è stato il periodo che poi ha portato al fallimento della Lehman Brothers.

Il fatto è, come chiarisce il rapporto, che questo stesso mercato si è evoluto nel tempo e di fatto la liquidità ormai viene offerta in gran parte da soli quattro istituti bancari americani. Quindi questi quattro stanno facendo le veci della banca centrale, prestando liquidità a tutti gli altri in caso di necessità. E se questi quattro non prestano, tutti si allarmano e chi presta inizia a chiedere tassi sempre più alti, immaginando un rischio elevato, anche se non visto.

Sempre secondo il report della Bis, i tassi di tali prestiti fluttuano di 10 punti base (pari a 0,1%) o al massimo 20. Invece il 17 settembre scorso le variazioni arrivarono a 700 punti base (7%), segnale evidente di un nervosismo fuori scala. Il nervosismo, questo è il punto, è stato scatenato da un hedge fund che ha fatto una richiesta molto alta di prestito a breve termine. Non trovando un prestito presso le quattro grandi banche (la cui identità non è stata resa nota), i prezzi degli interessi sono schizzati alle stelle.

Questo è uno dei tanti effetti di una crisi mai risolta.
Il continuo interventismo delle banche centrali ha gonfiato i loro bilanci e ha offerto liquidità a una moltitudine di soggetti. La soluzione di far intervenire le banche centrali nel mercato interbancario ha offerto una via d’uscita temporanea a un problema gravissimo, nel 2008. Ma non è stata trovata una soluzione e quindi quel mercato si è polarizzato (i grandi gruppi, in un mercato senza regole, prima o poi diventano sempre padroni invadenti di quel mercato) e quindi se loro smettono di intervenire, quel mercato improvvisamente sparisce.

L’intervento della Fed non può essere senza conseguenze, soprattutto dopo l’annuncio che proseguirà acquisti nel mercato interbancario al ritmo di 60 miliardi al mese. Infatti, se in circolazione vi fossero mille miliardi di titoli e (per quel mercato) mille miliardi di dollari e a un certo punto un titolo venisse venduto per un dollaro, allora questo corrisponderebbe in qualche modo alle aspettative di quel mercato. Ma se invece la quantità di denaro di quel mercato fosse infinita (come il denaro che può creare una banca centrale dal nulla), quale sarebbe il valore corrispondente di un titolo? Tendente all’infinito? Ma sarebbe quello il valore reale del titolo oppure sarebbe il denaro che non vale più niente? L’iperinflazione è solo uno spettro lontano?

Nessuno sembra essersi reso conto di un fatto molto semplice: con l’enorme produzione di liquidità (praticata anche dalla Bce) le banche centrali hanno tenuto sotto controllo i mercati finanziari, ma hanno perso completamente il controllo dell’economia reale poiché quando la banca centrale immette liquidità, con la stessa azione nel perde il controllo. Il disastro potrebbe essere dietro l’angolo (grandi fondi speculativi che iniziano a comprare beni reali perché non si fidano più di prodotti finanziari?) e le banche centrali hanno già iniziato a segare il ramo su cui loro stesse si sono sedute. Possono immettere liquidità o possono azzerare le immissioni di liquidità, ma non possono togliere la liquidità già immessa, non hanno alcuno strumento per tale tipo di operazione.

Le banche centrali rischiano di essere il detonatore amplificato della crisi che loro stesse finora hanno nascosto, nascondendo il problema della moneta debito.
 

tontolina

Forumer storico
L'ex capo della Fed di New York afferma che è tempo di revisionare il toolkit di repo
Pubblicato
  • 06 gennaio 2020, 8:43 EST
Di più in


William Dudley, che era solito supervisionare l'interazione della Federal Reserve con i mercati finanziari, ha affermato che la banca centrale dovrebbe introdurre uno strumento discusso a lungo ma mai implementato per garantire che i mercati dei contanti statunitensi mantengano la calma.

In una rubrica pubblicata lunedì da Bloomberg Opinion, l'ex presidente della Fed Bank di New York ha raccomandato di creare una struttura di pronti contro termine permanente, unendosi a un coro di sostenitori. Dovrebbe essere aperto, ha sostenuto, a una vasta gamma di controparti e accettare come garanzia titoli del Tesoro e di agenzie garantiti da ipoteca.

"Una tale struttura limiterebbe effettivamente i tassi di pronti contro termine", ha scritto Dudley. "Affronterebbe anche il potenziale problema della Fed che fornisce liquidità ai rivenditori primari, ma i rivenditori primari non prestano i fondi ad altri partecipanti al mercato che potrebbero aver bisogno di finanziamenti pronti contro termine a breve termine".

Un meccanismo di pronti contro termine permanente consentirebbe ai partecipanti di convertire i titoli in contanti su richiesta, contribuendo a mantenere stabili i tassi a breve termine limitando il potenziale per improvvise carenze di liquidità.

Dudley ha proposto altre revisioni al toolkit di politica monetaria della Fed, tra cui il "de-enfatizzare il tasso sui fondi federali" come principale parametro di riferimento della politica della banca centrale. Il suo contributo al dibattito arriva quando John Williams, che è succeduto a Dudley nel 2018, e altri banchieri centrali contemplano come tenere sotto controllo i mercati dei finanziamenti a breve termine a seguito del caos registrato a metà settembre.

I tassi per gli accordi di riacquisto, che sono saliti al 10% da circa il 2% durante le turbolenze, sono tornati alla normalità, ma non senza un grande intervento della Fed. E non è chiaro se la banca centrale possa estrarre se stessa senza problemi riaffiorando. Dudley, da parte sua, non è preoccupato per le maggiori implicazioni.

"Il picco in autunno non è stato un" canarino nella miniera di carbone "che segnala maggiori problemi nel sistema finanziario", ha scritto Dudley. "Invece, riflette la difficoltà di prevedere la domanda di riserve date le modifiche alle normative."

Dudley non è l'unica persona ad approvare una struttura di pronti contro termine permanente.
Altri due ex funzionari della Fed, Brian Sack e Joseph Gagnon, hanno scritto in un post sul blog di settembre che uno dovrebbe essere implementato, continuando una campagna che hanno iniziato anni fa quando lavoravano presso la banca centrale.
Meno di due settimane dopo le turbolenze del pronti contro termine di metà settembre, anche l'ex presidente della Fed di Minneapolis Narayana Kocherlakota ha approvato l'idea.

Gli attuali responsabili politici della Fed hanno discusso i meriti di tale strumento, ed è stato sollevato durante la riunione del Federal Open Market Committee di dicembre come qualcosa di cui discutere in una riunione futura.

"È un'idea intrigante", ha dichiarato la presidente della Cleveland Fed Loretta Mester, parlando venerdì di una struttura di pronti contro termine durante un'intervista televisiva a Bloomberg. "Sarei favorevole alla Fed che sta davvero facendo il duro lavoro per valutare se è necessario andare avanti", ha aggiunto. "Ma, a questo punto, possiamo prendere il nostro tempo lì, perché le cose sembrano essersi sistemate in quei mercati."

Notizie di Bloomberg
Former New York Fed boss says it’s time to overhaul repo toolkit
 

Users who are viewing this thread

Alto