Tassi, QE e carry trade (1 Viewer)

tontolina

Forumer storico
Goldman Sachs prevede che la Fed lanci un nuovo Qe a partire da novembre. Per 15 miliardi al mese
Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, la quarta asta repo tenuta la mattina di venerdì 20 settembre dalla Fed per calmare le tensioni legate alla liquidità nel mercato interbancario ha portato con sé una nota di sereno: nonostante l’ammontare massimo (75 miliardi di dollari) sia andato in ultra-sottoscrizione, questa volta lo ha fatto solo per 550 milioni di dollari. Briciole, rispetto ai 8,875 miliardi di dollari di richiesta inevasa dell’asta del 19 settembre.
E il miglioramento della situazione, a livello di tensione finanziaria, è stato testimoniato subito anche dai tassi repo che nei giorni scorso erano volati anche oltre l’8%, costringendo la Fed di New York a intervenire direttamente dopo 10 anni di assenza dal mercato: avendo aperto al 2,00%, sono quasi subito scesi a 1,90%. Più alto del 1,725% della chiusura del 19 settembre ma sideralmente normalizzato rispetto agli scossoni di inizio settimana. Resta un fatto, però: negli ultimi quattro giorni, la Fed ha dovuto forzatamente e in via emergenziale immettere sul mercato liquidità per 278,2 miliardi di dollari. Oltretutto, con richieste combinate superiori di quasi 15 miliardi all’offerta massima negli ultimi tre giorni di emissioni. Insomma, il bicchiere è in realtà anche mezzo vuoto e questo grafico


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Fonte: St. Louis Fed

lo certifica, mettendo a nudo la gravità e profondità del problema. Ed ecco sorgere la domanda da un milione di dollari: avendo dovuto garantire a condizioni di favore liquidità per quell’ammontare e con queste modalità, sintomo che un problema esiste a livello finanziario, perché Jerome Powell ha detto no a un nuovo Qe, almeno in prima battuta, limitandosi a un taglio di 25 punti base del benchmark e di 30 dello Ioer che sovrintende appunto i tassi overnight? Insomma, la Fed – a dispetto del tono da falco che la Casa Bianca ha attribuito al comunicato del 18 settembre, parlando di ennesimo fallimento nel comprendere le necessità dell’economia Usa – ha supportato chiaramente Wall Street.
E lo ha fatto non in punta di piedi o dalla porta sul retro, bensì en plein air, avendo perso totalmente il controllo sul range di oscillazione dei tassi che regolano il meccanismo del mercato interbancario, di fatto il sistema circolatorio dell’intero carrozzone. Nel frattempo, la Borsa non ha fatto un plissè, come se nulla di importante fosse accaduto. Anzi, Wall Street ha dimostrato di aver digerito a tempo di record l’assenza di Qe nelle determinazioni della Federal Reserve, tanto che nella seduta di contrattazioni del giorno seguente ha flirtato con i massimi storici. Certo, il driver è stata la frase pronunciata da Jerome Powell nel corso della conferenza stampa, quando ha ammesso che la FED dovrà fare con ogni probabilità ritorno a un’espansione del suo stato patrimoniale prima del previsto.
Di fatto, porta spalancata al Qe in arrivo.
Non oggi, non domani. Ma presto.

E un’altra frase ha sostenuto gli indici, quella in base alla quale “se l’economia si indebolirà, potrebbero essere necessari tagli dei tassi più estensivi”.

Detto fatto, Michael Pillsbury, descritto da Trump in persona come “la massima autorità in campo di rapporti con la Cina”, ha sentito la necessità di rendere noto al South China Morning Post che “allo stato attuale, le tariffe in vigore verso Pechino sono molto basse e potrebbero salire fino al 50% o 100%”.
E in perfetto stile pavloviano, ennesimo crollo delle aspettative di mercato per un accordo commerciale in tempi brevi, come mostra il grafico:

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Fonte: Zerohedge/Bloomberg


nulla di meglio per mettere di buon umore gli indici, visto che bad news is goog news se serve un pretesto per armare la mano della Fed. E tanto per gettare benzina sul fuoco, ecco che il flip-flop nello scontro con la Cina è entrato di colpo in un loop assoluto. Da un lato, la Casa Bianca ha forzato la mano su nuove esenzioni relative ad alcune tipologie merceologiche cinesi, quasi a voler lanciare un ramoscello d’ulivo ma al tempo stesso il vice-presidente, Mike Pence, avvisava Pechino che “l’era della resa economica è finita “. Cortocircuito assoluto, arrivando i due messaggi dal medesimo mittente. Quantomeno, a livello di indirizzo al civico di Pennsylvania Avenue. Ed ecco che, con timing perfetto, l’uomo che non più tardi del 18 settembre aveva votato contro in sede di Consiglio monetario, poiché riteneva necessario un taglio immediato di 50 punti base, lanciava la bomba a mano nello stagno. Per il capo della Fed di St. Louis, James Bullard, da più parti visto come l’uomo che Trump vorrebbe al posto di Powell, un intervento più drastico era necessario, poiché “l’economia sta rallentando e in alcuni settori della manifattura si scorgono già i segnali di recessione conclamata”. Vero? Falso? Questo grafico:

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Fonte: Bloomberg

sembra smentire questa narrativa e dare ragione a chi, come Eric Rosengren della Fed di Boston, ritiene che un intervento di stimolo diretto sia non solo superfluo ma, anzi, potenzialmente dannoso, stante il ritmo ancora sostenuto da fine ciclo che l’economia Usa pare aver ripreso da qualche settimana. Una cosa è certa, insomma: se già per Jerome Powell il Qe è vicino, qualcuno ha reso chiaro da subito che sta lavorando per accorciare ancora le attese. Ma quanto presto? La risposta l’ha data, come spesso accade, Goldman Sachs.
E senza particolari giri di parole e teorie ipotetiche fumose: per la banca d’affari più politica d’America, da novembre la Fed partirà con operazioni di mercato continuative. In perfetta contemporanea con la riattivazione degli acquisti della Bce, sotto la guida di Christine Lagarde. Di fatto, il Qe4 è servito. E i particolari sono tutti contenuti in questo grafico:

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Fonte: Goldman Sachs

dal quale si evince che gli acquisti attraverso il mercato secondario in seno a un programma permanente di aumento del bilancio (barre di colore grigio) saranno nell’ordine dei 15 miliardi di dollari al mese per due anni, necessari per aumentare lo stato patrimoniale, ricostituire il cuscinetto di riserve e alleviare strutturalmente le necessità legate alla liquidità di mercato emerse in questi giorni. A questo si uniranno reinvestimenti in massa di Treasuries a maturazione e di Mbs da tramutare in Treasuries attraverso il mercato secondario, mosse tali da raggiungere circa 375 miliardi di controvalore annuo fino al novembre 2021.
Insomma, circa 180 miliardi l’anno di acquisti per necessità di bilancio più 375 di acquisti netti: un bazooka, insomma.
Dopo 5 anni di attesa, l’America sarebbe pronta a tornare in modalità di espansione monetaria, nonostante le ultime letture macro sembrino ridimensionare l’allarme. Il quale, invece, è stato suonato a passo di carica dal sistema finanziario e dai mercati attraverso tassi fuori controllo che hanno reso noto ai controllori come la liquidità stesse finendo e che non sarebbero stati accettati ulteriori rinvii o pannicelli caldi.
Insomma, si torna a stampare per Wall Street e non per Main Street? Questo ultimo grafico:

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Fonte: Longview Economics/Macrobond
sembra confermare questa tesi, in sé nota ai più ma sempre sottaciuta: il legame incestuoso fra liquidità a costo zero delle Banche centrali e rallies azionari è tale da non permettere alle prime di normalizzare le loro politiche senza che i secondi crollino, per reazione diretta. Soprattutto da una politica che vede alla Casa Bianca l’uomo che dovrebbe, per promessa elettorale, contrastare elites ed establishment ma che sta premendo più di ogni altro – ormai da mesi – per una rottura degli indugi rispetto a nuova monetizzazione del debito in modalità sistemica.
Anche perché, stante le necessità elettorali in vista delle presidenziali del novembre 2020, Donald Trump sa che nuovo deficit a fine di consenso politico presuppone la necessità matematica di una Fed in modalità di acquirente marginale di Treasuries da emettere con sempre maggiore lena. E, magari, con scadenze più lunghe, tanto che il Tesoro parla chiaramente di discussioni in atto riguardo la nascita del Treasury a 50 anni. Sarà Qe elettorale e tutto finanziario, alla faccia dell’America first di Mid-West e blue collars? Quanto accaduto negli ultimi quattro giorni alla Fed di New York, pare confermare la teoria.
 

tontolina

Forumer storico
I bond giapponesi tremano e la scossa si sente anche su Bund, Btp e Treasury
L’imponderabile – o quasi – è accaduto. E i tremori si sono sentiti ai quattro angoli del mondo obbligazionario, dall’Asia che li ha irradiati fino agli Usa e passando per l’Europa. Se il mercato avesse sentito la necessità di visionare uno spoiler riguardo le conseguenze, in un regime di tassi di interesse ultra-bassi, del venire meno di un sostegno strutturale di Banche centrali e Fondi pensione, questa curiosità un po’ morbosa e molto pericolosa è stata soddisfatta dalla patria del Qe in persona, il Giappone dell’Abenomics. Dove i bond sovrani hanno patito il peggior tonfo giornaliero dal 2 agosto del 2016, con i futures sul titolo decennale scesi di botto di 0,97 yen a quota 154,05 nella sessione overnight. Un’inezia per praticamente tutti i mercati a reddito fisso del mondo ma non per il Giappone, dove la Bank of Japan ha implementato la sua politica espansiva di acquisto proprio con la finalità di mantenere pressoché empiricamente fisso il tasso di interesse sulla sua carta benchmark, in una sorta di controllo totale della curva. E il tutto, per dirla in inglese, è accaduto in the blink of an eye. In un batter d’occhio e senza pravviso, per dirla in inglese, in the blink of an eye. In un batter d’occhio. Il messaggio è chiaro: se qualcosa può scuotere nelle fondamenta il Paese in cui la Banca centrale non solo è onnivora ma controlla la curva dei rendimenti in maniera strutturalmente marziale, cosa potrebbe accadere altrove, dove le dinamiche sono meno ferree e gli scossoni più endemici?

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Fonte: Zerohedge

Tre i motivi del crash, per l’esattezza.
---Primo, mettendo a nudo tutta la dipendenza del mercato dal new normal dello stimolo perenne, il governatore della Bank of Japan, Haruhiko Kuroda, ha annunciato che l’istituzione che presiede da questo mese potrebbe smettere di acquistare debito con scadenza superiore ai 25 anni. Di fatto, un taglio agli acquisti. Reazione del mercato: panico. Certo, stando a Mari Iwashita, capo economista a Daiwa, la notizia sarebbe paradossalmente da festeggiare, poiché dopo trimestri di eccessi “la Bank of Japan sta mostrando la chiara intenzione di intervenire sulle distorsioni del mercato con aggiustamenti flessibili delle sue operazioni”. Più realista il giudizio di Eiji Dokhe, capo strategist del reddito fisso presso SBI Securities, a detta del quale “la mossa comunicata oggi relativamente al cambio di politica operativa ha avuto un enorme impatto psicologico, poiché è di tutta evidenza che ormai gli investitori sono restii dall’acquistare qualcosa che la Bank of Japan potrebbe evitare o escludere dalla sua platea”. E lo chiamano libero mercato.
---Secondo motivo, pressoché in contemporanea con l’annuncio della Bank of Japan [in quello che a qualche analista è parso un involontario stress test per saggiare la tenuta del mercato obbligazionario] il Government Pension Investment Fund, il fondo pensionistico sovrano che opera da veicolo di acquisto di tutto ciò che si muova nell’aria al fine di tenere blindata la curva dei rendimenti, ha reso noto che potrebbe aumentare il controvalore di bond esteri nel suo portafoglio, di fatto diminuendo però il controvalore di quelli nipponici. Operando, di fatto, un altro cambio di politica statutaria, visto che il limite del 19% riguardo le detenzioni di bond stranieri currency-hedged si sta avvicinando e la mossa intenderebbe ampliare quella percentuale fino al 30%, controbilanciando con un calo dei bond domestici: festa per Treasuries e Bund, un disastro per i JGB’s. E già questo combinato disposto giustificherebbe il tonfo di giornata ma a completare il quadro, la proverbiale cherry on top, ci ha pensato proprio l’asta di bond sovrani a 10 anni in programma quando in Italia era l’alba del primo giorno di ottobre. Solitamente, una formalità. Non questa volta. Come mostrano i grafici:

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Fonte: Zerohedge



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Fonte: Bloomberg


quanto emerso prima che l’emissione avesse inizio ha mandato nel panico il residuo di mercato che ancora ha il coraggio di avvicinarsi alla carta nipponica, portando la ratio bid-to-cover dell’asta a 3,42, il minimo dal 2016. Detto fatto, il secondo grafico mostra come il rendimento del decennale giapponese sia salito di 5,5 punti base a -0,16%, un’enormità per gli standard da pianificazione sovietica del Giappone. Tanto da aver scatenato una margin call alla Japan Securities Clearing Corporation, le cui vendite hanno innescato un ulteriore calo dei prezzi e una seconda sell-off due ore dopo l’asta, i cui scossoni sono giunti fino in Europa sul Bund (e sui Btp, di riflesso) e hanno immediatamente contagiato i futures sui Treasuries Usa. Questo altro grafico

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Fonte: Bloomberg


mostra poi come l’intero mese di settembre sia stato pessimo per i bond sovrani giapponesi, i quali hanno registrato il peggior calo su base mensile da tre anni a questa parte. La miglior sintesi dell’accaduto l’ha offerta Takahiro Sekido della MUFG Bank: “I bond giapponesi hanno raggiunto il punto in cui sono divenuti quasi impossibili da acquistare”. Tradotto e declinato per i destini dell’obbligazionario globale e, più in generale, per quelli dell’intero sistema finanziario mondiale – vista la strategicità del mercato giapponese a livello di equilibri, hedging e carry trade -, si sta raggiungendo il punto di non ritorno. E, seppur su un fronte macro, sempre dall’Asia è giunta un’ulteriore conferma del livello estremo di instabilità che stiamo vivendo: come mostra questo grafico



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Fonte: Bloomberg


per la prima volta da quando viene ufficialmente tracciata la serie storica (1966), i prezzi al consumo in Corea del Sud sono calati su base annua a settembre. E con i dati del commercio che hanno registrato un calo molto più marcato del previsto sia di export che di import, la parola che comincia a circolare sulla bocca di tutti – seppur a bassa voce – è deflazione. E se Bank of America utilizza da sempre le esportazioni sudcoreane come proxy per determinare i cicli economici e stimare i rischi recessivi, un motivo ci sarà. Il tutto, con la Fed che nella sua prima asta repo di ottobre ha dovuto far fronte a una richiesta di liquidità per 55 miliardi di dollari, controvalore sotto il livello massimo di offerta ma che manda in soffitta definitivamente la narrativa che voleva i guai nel mercato interbancario temporanei e legati unicamente alle scadenze di fine terzo trimestre.
La risposta? Quasi certamente, sarà più Qe per tutti. Praticamente, whisky per curare un alcolizzato.
 

tontolina

Forumer storico
QUALE BANCA USA HA MAGGIORMENTE CAUSATO LA CRISI DI LIQUIDITA’?

Sappiamo che negli USA la FED è dovuta intervenire per ormai 15 giorni fornendo liquidità al sistema bancario tramite operazioni di REPO; cioè di finanziamento dietro cessione di titoli, dato che gli interessi sul mercato interbancario erano esplosi arrivando a quasi il 10%. Centinaia di miliardi messi in campo per aiutare le banche.

Ora nella settimana clou di settembre, quella finita il 18 settembre il cambiamento dei valori liquidi della varie banche USA, divise fra piccole, grandi e straniere, è stato come segue:



Come vediamo sono state sopratutto le banche di grandi dimensioni USA a vedere una fuga di liquidità, mentre quelle straniere, soprattutto europee, hanno visto un incremento nelle disponibilità liquide per circa 13 miliardi. Del resto le banche europee, con i tassi negativi overnight prima dello 0,4% e poi dell 0,5%, non hanno problemi nel recuperare liquidità.

Allora quale grande banca è stata dietro l’esplosione dei tassi di interesse interbancari di settembre,, con una riduzione della propria liquidità tale da pesare sul sistema? Reuters fa notare come JP Morgan , istituto con 2.200 miliardi di attivo, abbia visto calare i proprio depositi liquidi presso la FED per 158 miliardi nella prima parte dell’anno, fino a giugno. Una cifra tale da pesare per un terzo del totale delle riduzioni di liquidità del sistema bancario nel suo complesso, banche estere comprese.



Per dare un’idea delle dimensioni nel buco la seconda banca per riduzione della liquidità + Bank of America con 29 miliardi, ma che ha un attivo non molto diverso da quello di JP Morgan. Ora questa riduzione può aver avuto un senso, in quando il rendimento della liquidità è minimo, ma, nello stesso tempo, il fatto che improvvisamente ci sia stato un tale forte calo di liquidità ha accentuato una situazione ambientale non favorevole, causando l’esplosione dei tassi, proprio in concomitanza con …. l’anniversaio di Lehmann Brothers.
 

tontolina

Forumer storico
Focus Economia di Sebastiano Barisoni - Radio 24
Ieri alle 17:24 ·
#Fed: via acquisti 60 mld Treasury al mese, fino a 2020 ++ La Fed iniziera' ad acquistare 60 miliardi di dollari di Treasury al mese a partire dal 15 ottobre. Gli acquisti proseguiranno fino al secondo trimestre del 2020 per mantenere un livello di riserve sopra quello degli inizi del settembre 2019. E' la prima volta che la Fed torna ad acquistare titoli pubblici da quando ha messo fine nel 2014 al suo ultimo round di acquisti di bond. La decisione era stata preannunciata nei giorni scorsi da Jerome Powell, precisando che non si tratta di quantitative easing.
 

tontolina

Forumer storico
LIQUIDITA’ USA: DOMANDE DI RIFINANZIAMENTO ALLE STELLE

Le operazioni di “NON QE” da parte delle Federal Reserve USA stanno proseguendo a tutto spiano e non sembrano essere sufficienti rispetto alle domande di liquidità del sistema creditizio.
Infatti abbiamo dei livelli si domanda di liquidità molto superiori rispetto ai 20 miliardi di dollari per operazione messi a disposizione dalla Banca Centrale



Come vediamo si è arrivati ad un preoccupante livello di domanda rispetto all’offerta nelle operazioni di riacquisto titoli fisse che però non possono essere chiamate QE, o almeno così non vuole la FED. Se consideriamo anche tutte le altre operazioni di rifinanziamento del sistema bancario USA la situazione è ancora più particolare Iniziamo con le operazioni overnight, a breve termine



Venerdì le domande di finanziamento del sistema bancario sono state pari a 90 miliardi e la FED si è trovata nella necessità di mettere a disposizione per il rifinanziamento del sistema oltre 100 miliardi di dollari. Se poi consideriamo anche le operazioni a medio termine, abbiamo queste cifre



Sono 45 miliardi di dollari. In un solo giorno la FED con le operazioni di rifinanziamento del sistema creditizio ha iniettato 135 miliardi di dollari, a cui aggiungere 20 miliardi del POMO. Un totale di 155 miliardi di dollari che è sei volte il QE mensile della BCE.




Tutti questi acquisti comunque vengono a pesare sul bilancio della FED, e l’attivo della Banca Centrale ha ricominciato a crescere.
Dopo il minimo di settembre ha ricominciato a crescere, e piuttosto rapidamente. La FED quindi sta immettendo massa monetaria, dopo che la scarsità ha contribuito all’ultima crisi dei paesi emergenti. Ammesso che continui questo aumento richiederà mesi prima di sentirne gli effetti a livello economico internazionale.
 

tontolina

Forumer storico
FED: POLITICA MONETARIA APPROPRIATA SECONDO L'ATTUALE DISOCCUPAZIONE E INFLAZIONE
Danilo Ronchi Zello
Hola amigos,
torno a scrivere della #Fed di #Powell e delle prospettive della #politica monetaria USA.
Gran parte dell'anno trascorso abbiamo assistito ad un Powell impegnato a contrastare le forze dell'incertezza che gravano sull'economia e durante l'ultimo meeting la Fed ha dichiarato "Vittoria".
In assenza di un nuovo deterioramento delle prospettive economiche, il presidente della Fed Jerome Powell e i suoi colleghi, con la mossa politica di questo mese, ritengono che di aver tagliato i tassi nella misura appropriata alle condizioni attuali.
Dobbiamo quindi aspettarci una pausa di questa politica di allentamento; la Fed non è né interessata ad allentare ulteriormente la politica alla luce delle attuali prospettive, né a innalzare per qualche tempo i tassi a causa dell'inflazione che permane sotto l'obiettivo target. [ricordiamo che Subscribe to read | Financial Times
banca centrale americana ha dichiarato che aumenterà il limite sulla quantità di denaro che presterà sul mercato ad almeno $ 120 miliardi, rispetto ai $ 75 miliardi che aveva precedentemente concordato di fornire su base giornaliera.]
Sinceramente pensavo che la Fed avrebbe posto più condizionalità sulla prossima mossa di politica monetaria.

Ma la Fed non ha deluso il mercato.
Vediamo di analizzare lo statement per ricavarne i "take away" indispensabili ad orientarci da qui in avanti.
La Fed rispetto alla precedente dichiarazione ha omesso la frase "agirà in modo appropriato per sostenere l'espansione". Quella frase è stata un messaggio in codice che segnalava che i futuri tagli dei tassi erano improbabili; questa rimozione è stata una chiara svolta nel campo della messaggistica che lascia presagire che un altro taglio dei tassi non è attualmente in esame.
Nella conferenza stampa post-riunione, Powell ha fugato ogni dubbio sul fatto che la Fed consideri questo taglio come la fine del percorso di aggiustamento di metà ciclo, affermando che "vediamo probabile che l'attuale posizione della politica rimanga appropriata fintanto che i dati e le informazioni future sull'economia rimarranno sostanzialmente coerenti con le nostre prospettive. "
Questo è un messaggio semplice ma che stabilisce la condizionalità per le eventuali ulteriori riduzioni dei tassi. Lo status quo circa le prospettive economiche, è sufficiente oggi per giustificare questa riduzione dei tassi, ma non lo è per giustificarne uno ulteriore.
Powell ci ha inoltre segnalato il tipo di dati che potrebbero costringere la Fed a un altro taglio: tutto quello sarà sufficiente per influire materialmente negativamente sulle prospettive economiche. Per rendere concisa un'analisi complessa, un altro taglio dei tassi richiede una costellazione di dati che indica una pressione al rialzo sostanziale e sostenuta sulla disoccupazione. La Fed non vede tali dati come probabili, e quindi non si aspetta di tagliare di nuovo.
Tuttavia, questo non è così hawkish come potrebbe sembrare.
Sebbene la Fed non abbia intenzione di tagliare ulteriormente i tassi, non si aspettano di aumentarli nel prossimo futuro.
Per la Fed Ci vorrà molto più di un semplice allentamento dei rischi delle prospettive economiche per invertire questa serie di tagli.
Inoltre secondo Powell, la Fed non aumenterà i tassi finché non vedrà una persistente e significativa crescita dell'inflazione. Ma anche questo non è nelle loro prospettive.

Ecco allora che la politica è oggi appropriata in quanto non sono necessari ulteriori allentamenti né restrizioni delle condizioni attuali.
Questa è la ricetta per attendersi una pausa prolungata.
Naturalmente, questa previsione, come tutte le previsioni della Fed, dipenderà anche dai dati conseguenza dell'aumento dei dazi e dall'esito della trattativa su questi ultimi.
Tuttavia i dati in arrivo ci potrebbero raccontare questo; l'indice di gestori degli acquisti regionali ( regional purchasing manager indexes) suggeriscono che il bottom del ciclo produttivo potrebbe essere in fase di completamento; in tal caso potremmo presto vedere notizie migliori dal settore manifatturiero nazionale. Se ciò accade mentre il mercato del lavoro rimane solido (come previsto nel prossimo rapporto sull'occupazione di ottobre, dopo aver tenuto conto di eventuali debolezze temporanee indotte dallo sciopero), la Fed non vedrà alcun motivo per tagliare ulteriormente.

Powell non ha quindi eliminato del tutto la possibilità di un ulteriore taglio ma ne ha condizionato la probabilità a due circostanze ben definite: 1) Pressioni inflazionistiche e 2) tensione occupazionale .
Conclusioni: fintanto che i dati rimangono coerenti con una crescita nell'intorno del 2%, ci sarà una pausa da parte della Fed in questa politica di allentamento dei tassi. E fintanto che i dati rimangono coerenti con l'inflazione al 2% (ovvero è una certezza che resterà al di sotto del 2%), la Fed non è neppure propensa ad aumentarli i tassi.
Questo scenario previsionale di "pausa nella politica dei tagli" sembra una buona condizione dopo un anno piuttosto frenetico.
Saluti
DRZ
 

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