“Tanto sono tutti uguali”. L’arrembaggio degli ignavi (1 Viewer)

@lr

Banned
Un qualsiasi mattino di quest’anno scolastico, in una classe seconda d’un istituto superiore qualunque, la collega di italiano, bravissima, di grande esperienza e passione, scuotendo la testa mi dice: "Questi ragazzi, quando parlano non si rendono più conto del bene e del male, di ciò che si può dire o no. Non sanno più distinguere"! Che dirle? Io ho pensato al capo del governo, tal Berlusconi, che in un’occasione pubblica, apostrofa alcuni magistrati col termine, decisamente insultante, di talebani. Lo fa nel giorno in cui un Italiano muore a Kabul in un attentato: come di consueto sa scegliere tempi e modi. Mi ha fatto piacere che, almeno per quanto si potesse arguire dalla televisione, persino tra i suoi gli applausi fossero un po’ esitanti:

Il cattivo maestro di politica, di governo e rispetto della cosa pubblica, di senso etico, di obbedienza alla legge e alle istituzioni è lui, quel tal Berlusconi, capo del governo d’uno stato democratico che, invece, si crede signore e padrone d’uno stato-azienda, d’uno stato suo.

Quel tal Berlusconi, poveretto, è un uomo del passato più remoto: un feudatario, ma furbo e soprattutto ricco (ma come lo è diventato a tal punto?), potente, abile nell’usare i mezzi di comunicazione, abile nel manipolare e circondato da una corte servile e spesso ignorante; contrastato da un’opposizione indecisa sul suo ruolo, sulla sua identità, spesso nemmeno lei cristallina, e solo ora, forse, capace di unirsi e dire qualcosa di vero, qualcosa di democratico, di legale.

Il cattivo maestro è Berlusconi coi suoi accoliti, lo vediamo nelle scuole, nel futuro dunque.

Ma non voglio dare a lui tutte le colpe (e dunque un’importanza e una grandezza che non ha), vorrei qui piuttosto stigmatizzare la massa di ignavi.

Degli ignavi scrisse Dante: sono gli indecisi, quelli che non prendono posizione, sono rifiutati dal Paradiso e dall’Inferno. La loro punizione è ripugnante, tormentati da insetti che li pungono, corrono nel fango nudi dietro a una bandiera bianca, vuota, dietro al nulla e sono una massa indistinta. "Non ragioniam di lor ma guarda e passa” dice Virgilio con un disprezzo che non comparirà mai più.


Ora mi pare che si sia circondati da ignavi. Oggi l’ignavia, il qualunquismo si manifestano così: "Tanto sono tutti uguali”. Chi? I politici!

Tutti uguali, rubano tutti, urlano tutti, pensano tutti solo al voto ecc.
Può essere vero, la questione morale posta ormai molto tempo fa da Berlinguer (che, viste le celebrazioni, persino insieme a Pertini non assurge alla grandezza di statista di Craxi!) non è stata posta con forza e serietà da nessuno dei partiti, ma io non mi sentirei di dire "sono tutti uguali” anche perché chi dice così finisce per regalare il suo voto a Berlusconi.

Che uguale non è. È il meno uguale di tutti. Lui stesso non si sente uguale tanto che vuol porsi sopra la legge. Non è uguale per potere economico, interessi, potere televisivo, condotta etica e, lasciatemelo dire, effettiva capacità di governo.
Berlusconi e corte non sono uguali perché non solo non sanno governare, ma proprio non credo siano interessati al governo, nel senso di azioni e decisioni prese per il bene comune.

Giudizio azzardato? Osservate la scuola: meno ore di insegnamento; classi più numerose. Osservate l’economia: meno tasse? No. Più evasori e tangenti? Sì. Osservate l’ambiente, la sanità, la cultura, persino la gestione delle emergenze… persino l’immigrazione! Via Padova è a Milano, la Milano della Lega da troppo tempo.

Eppure anche nella mia scuola, tra i miei amici è così comodo dire: “Sono tutti uguali.”

Ancora una volta gli ignavi si lavano le mani e lasciano libero Barabba!
 
Ultima modifica:

@lr

Banned
Noi siamo destinati a ripetere le cose, ma sempre in forme diverse, proprio perché gli effetti negativi ch'esse ci procurano, modificano il livello di consapevolezza del bene comune.

Dovremmo però metterci nelle condizioni di troncare questa spirale perversa, questa coazione a ripetere, poiché se è vero che il ripetere fa parte del ciclo della vita umana, e in fondo della stessa natura, cui apparteniamo, è anche vero che dovremmo basarci soltanto sul meglio, senza sentirci obbligati, ogni volta, a sperimentare il peggio.

Purtroppo però, non sapendo più noi cosa sia il vero bene, in quanto abbiamo voluto abbandonare il comunismo primitivo ed eliminato tutti coloro che nella storia, in un modo o nell'altro, con maggiore o minore consapevolezza, volevano ripristinarlo, sembra che l'unica possibilità che ci resta (di sopravvivere o di resistere dignitosamente), sia quella di far tesoro della negatività, nella speranza di non dover reiterare gli enormi errori già compiuti. Possiamo cioè arrivare al bene attraverso il male, all'ovvia condizione di volerlo davvero.

Sotto questo aspetto non c'è alcun bisogno di guardare la storia in maniera tragica. La vera tragedia infatti non sta tanto nel male che si compie, quanto piuttosto nell'incapacità di trarne profitto per compiere delle svolte decisive verso un'alternativa, sottraendosi al ciclo infernale dei corsi e ricorsi.

La vera tragedia è la perdita di tempo, è la rassegnazione con cui s'accetta qualunque decorso della storia. E' questa ignavia che meriterebbe d'esser messa all'inferno, poiché essa non è, posta in questi termini, un semplice fatto personale, come nella Commedia dantesca, ma un'ipoteca sul futuro della storia, un peso insopportabile sullo sviluppo delle generazioni.

Se affrontassimo con decisione e lungimiranza le conseguenze dei nostri errori, eviteremmo certamente di ripeterli in altre forme e modi. Le dittature (esplicite o, come quelle occidentali, mascherate dal parlamentarismo) dovrebbero servirci per capire il valore della democrazia, quella vera, non per passare continuamente da una dittatura all'altra, in un crescendo di orrori e tragedie, col rischio di annientare per sempre la nostra libertà, salvo gli intermezzi in cui ci lecchiamo le ferite e in cui nuove mistificazioni, ancora più sofisticate, ci fanno vedere la realtà come Alice nel paese delle meraviglie.

Se ci pensiamo, tutta la storia della fase imperiale della Roma classica ha pagato duramente la mancata realizzazione della democrazia durante la fase repubblicana. Ci sono volute le popolazioni cosiddette "barbariche" per ridare libertà non solo agli schiavi catturati in guerra ma anche agli stessi cittadini romani ridotti in schiavitù per i debiti. Ma quanti secoli s'è dovuto soffrire?

Anche nel basso Medioevo tutti i tentativi abortiti d'impedire la nascita della borghesia, non hanno fatto altro che favorire lo sviluppo impetuoso del capitalismo industriale vero e proprio, legittimandolo sul piano dei valori, facendolo diventare "cultura dominante".

Ecco dunque che cos'è l'ignavia: è l'illusione di credere che i poteri forti, vedendo la debolezza della società civile, abbiano meno motivi di comportarsi in maniera arrogante. L'ignavia è il timore che il proprio sacrificio sia inutile per la causa della libertà individuale e, insieme, della giustizia collettiva. L'ignavia è la falsissima idea di far coincidere la giustizia sociale col mero conseguimento di una libertà personale. E' cioè l'accontentarsi di un vantaggio individuale, invece di estenderlo a quante più persone possibili.

Gli ignavi sono peggio dei nemici dichiarati, proprio perché spendono parole sopraffine per arrendersi al sopruso, oppure fingono soltanto di opporvisi.
 
Ultima modifica:

@lr

Banned
« E io ch'avea d'error la testa cinta,

dissi: "Maestro, che è quel ch'i' odo?
e che gent'è che par nel duol sì vinta?".

Ed elli a me: "Questo misero modo
tegnon l'anime triste di coloro
che visser sanza 'nfamia e sanza lodo.

Mischiate sono a quel cattivo coro
de li angeli che non furon ribelli
né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro.

Caccianli i ciel per non esser men belli,
né lo profondo inferno li riceve,
ch'alcuna gloria i rei avrebber d'elli".

E io: "Maestro, che è tanto greve
a lor che lamentar li fa sì forte?".
Rispuose: "Dicerolti molto breve.

Questi non hanno speranza di morte,
e la lor cieca vita è tanto bassa,
che 'nvidïosi son d'ogne altra sorte.

Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:

non ragioniam di lor, ma guarda e passa". »
 

@lr

Banned
ignavo[i-gnà-vo] agg., s.
• agg. Che è indolente, privo di virtù, di forza morale
• s.m. (f. -va) Nel sign. dell'agg.
• sec. XVI
 

@lr

Banned
tanto sono tutti uguali signora mia....

eppure c'è chi prende le difese di personaggi come questo..


"Fa bene Tosi a esporre la foto perché Napolitano è anziano, metti che muore domani, aggiunge un velo nero ed è già pronto". Con questa frase shock l'europarlamentare leghista Mario Borghezio ha risposto alla trasmissione "La zanzara" a una domanda sulla scelta di Flavio Tosi di esporre la foto del presidente della Repubblica.

Parole che hanno provocato l'immediata reazione del neosegretario della Lega Nord, Roberto Maroni, secondo il quale le frasi di Borghezio "sono sgradevoli e fuori luogo". Ma l'eurodeputato del Carroccio, pur parlando di "dichiarazioni scherzose", non arretra e rilancia: "Maroni si deve abituare all'idea che noi indipendentisti, allevati alla scuola di Bossi, siamo usi a parlare chiaro con il linguaggio del popolo e non con il felpato politichese dei politicanti di Roma".

Nel corso del suo intervento, Borghezio aveva avuto modo di prendersela anche con Garibaldi e le celebrazioni per i 150 anni dell'Italia unita: "Quando ci sarà la Padania sostituiremo tutte queste statue con quelle di Bossi, colui che ci ha guidato all'indipendenza, che ha fondato il movimento di liberazione".


http://video.repubblica.it/politica...apolitano-pronte-per-la-sua-morte/99908?video
 
Ultima modifica:

@lr

Banned
Gli ignavi nel mondo attuale
di nuovasicilia (Medie Superiori ) scritto il 02.12.11
Se in passato l’ignavo era il monaco negligente e poco propenso all’ora et labora o l’uomo che, scansando la fatica di prendere decisioni o di assumersi qualsivoglia responasbilità, viveva una vita “tranquilla” e non diveniva meritevole nè del Paradiso nè dell’Inferno, oggi l’ignavo è colui che passa attraverso la vita facendosi trasportare, piuttosto che prender in mano le redini del proprio destino; per questo motivo è difficile individuare le sfumature fra negligenza, accidia e noncuranza.
Nella maggior parte dei casi gli ignavi oggi si presentano sotto forma di individui superficiali, per i quali la colpa è sempre di qualcun altro, per i quali è meglio non intervenire perché non si sa cosa succederà, salvo poi vantarsi della propria scelta se l’evolversi della situazione è positiva. Questo disinteresse diffuso si riscontra in molti campi, dallo scarso interesse per l’attività politica alla indifferenza con cui passiamo davanti a un bisognoso o assistiamo impassibili a un atto di sopruso.
I valori civili dell’impegno, dell’intervento, della militanza suonano ostici e ardui, al punto che è meglio non votare, non fare volontariato, non esporsi troppo.
Forse non riflettiamo abbastanza sul fatto che questo nostro scansare l’intervento diretto nelle questioni “nazionali” dà spazio a chi invece, con il proprio singolo voto o pensiero, lascia intendere che tutti i silenziosi la pensino come lui.
 

@lr

Banned
diranno che va bene così, si ricandiderò e la democrazia in cui hanno piena fiducia (come nella la piena libertà di parola cui si è parlato ampiamente e che resta vergognosamente ancora lì nella presentazione del cortile) deciderà. Perché all'apparenza sono dei veri democratici (che cassano la prima parola dissenziente, ma questo è un dettaglio).

Intanto siamo di nuovo nel mirino dell'europa, solo al sentir nominare il personaggio.

Questa volta siamo finiti veramente e c'è persino chi applaude.


MA TANTO SONO TUTTI UGUALI SIGNORA MIA.....
 
Ultima modifica:

@lr

Banned
L' ignavia cos' è e chi è l' ignavo?

Ignavo è colui che lasciò libero Barabba e permise la condanna a morte di Cristo, ben sapendo della sua innocenza.

L’ ignavo è colui che si lava le mani di fronte a una questione importante a un dilemma serio: non si pronuncia, così resta indenne e pulito, qualunque cosa accada.

E’comunque attentissimo, ascolta tutti, è superinformato, ma lascia che tutto scivoli via dalla sua persona senza lasciare traccia, lascia semplicemente fare agli altri, malcelandosi dietro le mentite spoglie della mitezza e della finta superiorità …

Nel terzo canto dell’ Inferno Dante ce li fa incontrare nell’ antinferno: essi, per il Vate non sono degni neppure di stare tra i dannati e tra loro colloca anche la schiera di quegli angeli che non furono ribelli a Dio e neppure a lui fedeli, "ma per sé fuoro" .

Quest’ ultima definizione a me provoca i brividi lungo la schiena: sono coloro che non si mettono in gioco, preservandosi da ogni sorta di errore, intenti a salvaguardare solo sé stessi; sono la crisalide seppellita nel bozzolo ormai cementato dell' egoismo più deleterio.

Ma leggiamoci un pezzo della Divina Commedia, che fuor dai banchi scolastici è ancora più bella!

E io ch'avea d'error la testa cinta,
dissi: "Maestro, che è quel ch'i' odo?
e che gent'è che par nel duol sì vinta?".

Ed elli a me: "Questo misero modo
tegnon l'anime triste di coloro
che visser sanza 'nfamia e sanza lodo.

Mischiate sono a quel cattivo coro
de li angeli che non furon ribelli
né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro.

Caccianli i ciel per non esser men belli,
né lo profondo inferno li riceve,
ch'alcuna gloria i rei avrebber d'elli".
 

@lr

Banned
L’ignavia sottile che ci corrompe

In che modo si può usare un film come metafora, come chiave per affrontare un discorso più generale? Le due opere ieri in concorso, Meek’s Cutoff (La scorciatoia di Meek) di Kelly Reichardt e Di Renjie zhi Tongtian diguo (Detective Di e il mistero della fiamma fantasma) di Tsui Hark, ne offrono esempi estremi e antitetici. Il film americano cancella qualsiasi elemento che possa «distrarre» lo spettatore: per tutto il film seguiamo il viaggio di tre carri di pionieri (siamo nell’Oregon, nel 1845) guidati da uno scout che sembra aver perso la bussola. Pochissime le informazioni da dove vengano, nessuna su dove vogliano andare, solo la fatica di tutti i giorni, una sempre più preoccupante scarsità d’acqua e l’improvvisa apparizione di un pellerossa, ben presto catturato: chi lo vuole uccidere, chi spera li guidi verso l’acqua, chi comunque decide di proteggerlo. La metafora è chiarissima: vista nel suo momento fondante (la conquista del West) l’America ha dentro di sé razzismo e carità, paura e sogno, orgoglio e fragilità. Ma dopo anni di film e saggi su questi temi viene da chiedersi se una metafora così scarna e diretta abbia ancora la forza di dire qualche cosa allo spettatore o non stuzzichi soprattutto le vanità «d’autore» della sua regista. L’hongkonghese (di nascita vietnamita) Tsui segue la strada opposta: il suo film parla del potere in Cina e di cosa sia lecito fare per mantenerlo (lo spunto è la lotta che precedette la consacrazione nel 690 della prima donna a imperatore) ma sceglie di non mettere limiti alla propria fantasia (e a quella dello sceneggiatore Chang Jialu) spingendo il protagonista a confrontarsi con città sotterranee, monaci fantasma, cospiratori inafferrabili, medici stregoni e molto altro ancora. Anche la regia si adegua a questo fuoco d’artificio di trovate, usando al meglio la mobilità della macchina da presa e sfruttando le possibilità del digitale senza farsene schiacciare (così, per una volta, i duelli sono uno spettacolo meraviglioso e non solo un campionario di effetti speciali). E se alla fine pensi che il film parli anche dell’11 settembre e degli «effetti collaterali» delle vendette è perché la favola era talmente ricca e complessa da offrirsi a più di una lettura, senza negare comunque divertimento e piacere.


Il cileno Pablo Larrain, qui con Post mortem, sembra seguire una strada a metà: essenziale nelle immagini e nella storia ma complesso nei significati. Il suo protagonista, funzionario dell’obitorio, sembra interessarsi solo alla ballerina un po’ sfiorita che vive di fronte a casa. E lo fa anche quando l’obitorio si riempie dei cileni uccisi dal colpo di Stato di Pinochet. Niente sembra turbarlo e quello che «seppellisce» alla fine del film non è tanto l’oggetto del suo odio ma soprattutto la sua coscienza di uomo. Così, con una delle scene più angosciose che ricordi, Larrain ci costringe a riflettere sull’ignavia di chi chiude gli occhi di fronte alla realtà (a cominciare dai cileni che accettarono la dittatura) e preferisce cancellare la propria morale piuttosto che scontrarsi con il Male.

Paolo Mereghetti
 

Users who are viewing this thread

Alto