Il primo film choc a Cannes sul massacro nella scuola del Colorado
Un'opera dura e di denuncia contro la vendita delle armi negli Usa
La strage di Columbine
scuote il Festival
La regia è di Michael Moore. Duro attacco
a Charlton Heston, portavoce delle lobby delle armi
dal nostro inviato CLAUDIA MORGOGLIONE
CANNES - Altro che scandali annunciati. Altro che polemiche, montate ad arte, su sequenze di sesso e violenza. Il primo, vero film choc del Festival, il primo, vero pugno nello stomaco dello spettatore arriva da un documentario di due ore girato da uno specialista del genere, l'americano Michael Moore, su uno degli episodi più neri della cronaca statunitense: il massacro alla Columbine School del Colorado, la strage compiuta da due liceali, Eric e Dylan, che fecero fuoco all'impazzata, uccidendo 12 studenti e un insegnante, e ferendo decine di giovanissimi. Prima di togliersi la vita.
Era la mattina del 22 aprile a Littleton, sobborgo della città di Denver. Fu quel giorno e in quel luogo, mentre il presidente Bill Clinton annunciava alla tv l'ennesimo bombardamento sulla Serbia, che i due ragazzi, fondatori della "confraternita degli impermeabili", trasformarono la scuola in un inferno: questo il punto di partenza del film in questione, Bowling for Columbine, presentato in anteprima per i giornalisti ieri sera. Opera accolta da applausi, e proiettata nelle stesse ore in cui, a pochi metri di distanza, il Festival celebrava se stesso, con la cerimonia d'apertura alla presenza di Woody Allen.
Atmosfera molto diversa, dunque, rispetto al documentario di Moore. Che non si limita a rievocare la strage del Colorado (mostrandone anche alcune immagini, riprese da una telecamera interna alla scuola); ma amplia il discorso alle radici, al perché gli Stati Uniti sono il paese occidentale con un tasso di omicidi così alto. La risposta, guardando il film, è chiarissima: la colpa è della vendita libera delle armi. Del fatto che qualsiasi adolescente può procurarsele facilmente, comprando tranquillamente i proiettili nei grandi magazzini.
Una denuncia che il regista porta fino in fondo. Non risparmiando critiche feroci a quell'America "blindata", resa più paranoica dall'11 settembre: un clima che alimenta la paura, fomentata anche dall'allarmismo dei media, e che a sua volta spinge la gente a barricarsi nelle case. E, soprattutto, a comprare armi. Sempre di più, e sempre più potenti.
Ma il tema serio, duro, affrontato senza sconti (da qui la sensazione di pugno nello stomaco che prende lo spettatore), non deve far pensare a un'opera seriosa. Anzi. Il ritmo è serrato, e spesso si ride, magari con amarezza, per aspetti della realtà americana involontariamente comici: ad esempio, il fatto che una banca per invogliare i clienti regala a chi apre un conto un fucile; o il calendario sexy della aderenti a quella milizia del Michigan frequentata da Timothy Mc Veigh, l'autore della strage di Oklahoma city. Ma il vero bersaglio polemico è Charlton Heston, veterano di Hollywood nonché portavoce della lobby dei produttori di armi: lo si vede andare a Denver, per una convention, pochi giorni dopo il massacro alla Columbine. E lo si vede rifiutare la foto di una bimba di sei anni di Flint, Michigan, uccisa a colpi d'arma da un suo coetaneo.
E se Bowling for Columbine indica con chiarezza i responsabili, finisce per assolvere uomini e cose che, all'indomani dell'eccidio, finirono sul banco degli imputati. I film violenti, ad esempio ("i giovani li vedono anche in Canada ma lì non ci sono quasi omicidi", ricorda il regista); i videogiochi picchiaduro ("la maggior parte sono giapponesi, ma lì i delitti sono rari); e perfino la controversa rockstar Marilyn Manson, di cui i due assassini erano fan.
Insomma, un punto di vista fuori dal coro sulla violenza giovanile. Tema che è presente anche in altre opere in cartellone qui a Cannes: ad esempio si parla di giovani omicidi in Murder by numbers di Barbet Schroeder, con Sandra Bullock, in programma venerdì 24 maggio.
da Repubblica