Solo politica (6 lettori)

Val

Torniamo alla LIRA
E anche nei grandi centri l’appuntamento con le urne sembra non essere tra le priorità dei cittadini.

Alle sette di ieri è andato a votare il 27,24% dei milanesi.

In Lombardia solo Bergamo, Brescia e Lecco hanno mancato di poco il 30%
mentre il risultato più basso si è registrato a Mantova, con il 23,39%.


Ancora più basso il dato della città di Roma, dove ai seggi si è recato appena un elettore su cinque (20,04%).
Un dato spinto verso l’alto da pochi quartieri.
È il Municipio II a superare la media cittadina, appena sotto il 24%,
mentre i Municipi VIII, VII e I (quello del centro) riescono a superare il 21%.
Record negativo nel VI, l’area di Tor Bella Monaca con appena il 16,34% dei votanti.

Meglio è andata nelle province.
A Latina l’affluenza è stata del 23,15%
mentre a Frosinone si è registrato il dato più alto della regione, con il 25,78%,
e a Viterbo il 25,56%.

Appena sotto il 25% il risultato di Rieti
mentre l’intera area metropolitana (compresa la Capitale) ha superato di poco il 21%.


C’è tempo fino alle 15 di oggi per risalire la china ma le percentuali di dieci anni fa, ben oltre il 70%, paiono quasi inarrivabili.
 

ilbiondo16

Forumer storico

Ieri e oggi si vota per le elezioni regionali nel Lazio e in Lombardia. Dopo il pesante calo di affluenza alle urne in occasione delle politiche del 25 settembre, ora si registra un’astensione record e senza precedenti che sancisce il definitivo strappo tra i cittadini e la politica.

Dati e analisi

I dati relativi a 1.790 dei 1.882 comuni al voto per le regionali di Lombardia e Lazio indicano un'affluenza alle ore 23 del 30,96% (era stata del 72,95% alle precedenti omologhe). Lo rende noto il sito del Viminale. In questi numeri non c’è soltanto la crisi della democrazia, ma c’è molto di più. La gente non va più a votare perché mai come oggi la politica è così lontana dalle istanze del corpo elettorale. I cittadini non votano poiché coscienti che il loro voto non ha più lo stesso valore di prima. Allo stesso tempo siamo davanti ad una clamorosa bocciatura di tutta la classe politica, una classe politica che non rappresenta più in alcun modo i cittadini. E con il crollo della classe politica vi è il crollo dei partiti politici, che senza l’appoggio degli elettori, e più in generale dei votanti, sa di essere ormai al capolinea. I continui ed inutili appelli al voto da parte dei leader di partito vengono rigettati. Questa politica, questi partiti, sono ormai un morto che cammina. Perché la stragrande maggioranza del popolo ha capito che questa politica non può in alcun modo fare gli interessi popolari, perché non vuole e perché così è stato deciso.

Finale

È morta la seconda repubblica, e i partiti (indipendentemente dal fatto che il voto non richiede quorum affinché le elezioni siano valide), non possono più nascondere il fallimento totale che avvolge e travolge tutto il sistema democratico disegnato dai padri costituenti, che mai e poi mai potevano immaginare che un giorno a votare sarebbe andata una minima parte degli aventi diritto.

Davide Zedda
 

Val

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Se lo dice lui ......

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snapo

the greater the truth, the greater the libel

Val

Torniamo alla LIRA
In Lombardia e nel Lazio sono in atto due test elettorali importanti (le Regionali)
soprattutto per il Partito Democratico, scivolato al terzo posto tra le forze politiche del Paese.

Questo evento sembra collegato con il titolo del quotidiano La Repubblica del 10 febbraio: “Ue, giorno nero di Meloni”.

Si può dire tutto di tutti, come nel Carnevale della Roma antica.

Però ci vuole rispetto per la realtà, sennò si corre il rischio – come in un Festival di Sanremo universale –
di ricadere in ciò che Isaac Asimov definiva come


la falsa nozione che democrazia significhi la mia ignoranza vale quanto la tua conoscenza”.


Il punto è che parliamo di un titolo sbagliato ed esagerato sotto il profilo istituzionale, politico e geopolitico.

Si tratta del vizio delle sinistre italiane di gulaghizzare e mostrificare i governi dove non partecipano.


Un caso esemplare, visto che il 10 febbraio
è il Giorno del Ricordo delle foibe e della pulizia etnica degli italiani dell’Istria e Dalmazia,
è quello del cosiddetto Treno della vergogna.

Al di là dei crimini commessi da parte dei partigiani di Tito,

non furono meno vergognose le azioni compiute in Italia da parte di cittadini “politicizzati”

nei confronti dei circa 300mila profughi scacciati dalla Jugoslavia.



Quando gli esuli arrivarono nel Belpaese su battelli e treni,

trovarono insulti e sputi organizzati da appartenenti al Partito Comunista italiano,

legati più a Mosca che a sentimenti di solidarietà.


Nel 16 febbraio del 1947 partirono da Pola diversi battelli, pescherecci e navi di fortuna
carichi di un “boat people” rimasto senza niente, nemmeno del cibo per il viaggio.

Arrivati al porto di Ancona, trovarono reparti dell’esercito e dei carabinieri,

accorsi per “proteggerli da connazionali, militanti di sinistra”.


“La sera successiva partirono stipati in un treno merci, sistemati tra la paglia all’interno dei vagoni, alla volta di Bologna,
dove la Pontificia Opera di Assistenza e la Croce Rossa avevano preparato dei pasti caldi, soprattutto per bambini e anziani.


Il treno giunse a Bologna solo a mezzogiorno del giorno seguente, martedì 18 febbraio 1947.


Qui, dai microfoni di certi ferrovieri sindacalisti Cgil e iscritti al Pci, fu diramato l’avviso
“se i profughi si fermano per mangiare, lo sciopero bloccherà la stazione”.


Il treno venne preso a sassate da giovani che sventolavano la bandiera rossa con falce e martello,

altri lanciarono pomodori e sputarono sui connazionali,

mentre taluni buttarono addirittura il latte, destinato ai bambini in grave stato di disidratazione, sulle rotaie,

dopo aver buttato le vettovaglie nella spazzatura”.


A quel punto, il treno fu fatto ripartire per Parma, dove queste famiglie poterono bere e mangiare,
prima di arrivare nella destinazione finale di La Spezia.


Il quotidiano comunista L’Unità già nel novembre del 1946 aveva scagliato la prima pietra con queste parole:

“Ancora si parla di “profughi”: altre le persone, altri i termini del dramma.

Non riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre grandi città.

Non sotto la spinta del nemico incalzante, ma impauriti dall’alito di libertà che precedeva

o coincideva con l’avanzata degli eserciti liberatori”,


Eserciti “liberatori” che erano quelli di Tito e di Stalin, tanto per precisare.
 

Val

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Ma torniamo dalle parti dell’Eliseo e della contesa tra Italia e Francia.

Per fortuna Marta Dassù, che di questioni internazionali se ne intende, scrive sempre su Repubblica,
mettendo i puntini sulle “i”, ovvero dando giustamente un colpo al presidente francese e un altro a Giorgia Meloni.

La polemica poteva essere più sfumata, soprattutto se – scrive Dassù – la premier italiana
avesse ricordato la locuzione di Jean Cocteau sulla cifra caratteriale degli ex Galli e Celti:

I francesi sono degli italiani di cattivo umore”.

Poi, giustamente, ricorda le donchisciottesche disavventure franco-tedesche nel tentativo – più che fallito –
di pacificare
, con trattative alpinistiche e funamboliche, Russia e Ucraina con il quartetto Francia-Germania-Russia-Ucraina,
il cui solo risultato fu che la Russia ottenne la Crimea gratis, com’era capitato al nefasto Adolf Hitler nel 1938 a Monaco,
mentre la Germania gettò alle ortiche ogni speranza di essere un attore internazionale munito di senso, consegnandosi mani, piedi, testa e posteriori al gas russo.


Questo non lo scrivo io, bensì Marta Dassù, purtroppo relegata a pagina 28 del giornale fondato da Eugenio Scalfari.

Urge, prosegue l’editorialista, “raffreddare” le tensioni con la Francia, per non danneggiare tutta l’Europa
(più di quanto hanno fatto, aggiungerei, i Gianni e Pinotto Emmanuel Macron-Olaf Scholz?).


CI SARÀ UN PERCHÉ SUL NERVOSISMO FRANCESE?


A questo punto, mi sia consentito di fare della dietrologia su tutto l’operato recente del “sovranista” presidente francese nei confronti dell’Italia.

Forse a pensare male si fa peccato, ma a volte ci si azzecca… come disse Giulio Andreotti.

Parliamo, per esempio, della lunga fase di shopping di aziende italiane da parte del sistema economico francese dai tempi di Nicolas Sarkozy
e dopo l’invasione della Libia di Muammar Gheddafi – sempre guidata dai francesi – sulla quale protestarono Silvio Berlusconi & Co.
mentre le sinistre non lanciarono grida pacifiste come fanno di solito, quando di mezzo ci sono i “guerrafondai” americani e israeliani
(sul razzismo inciso nella cultura delle masse di sinistra ci sarebbe molto da scrivere).

In quegli anni, l’Italia proseguì sulla scena internazionale il Grande Sonno cominciato negli anni Novanta.(i piddioti erano al governo)


Giorgia Meloni ha accentuato il risveglio.

Non comportandosi da sovranista, ha infranto il Sancta Sanctorum europeo su più fronti:
immigrazione, certamente, ma soprattutto sulla questione energetica e sul commercio.

I blitz economici in Egitto, Algeria e Libia hanno spiazzato gli interessi francesi nei feudi tradizionali.

Eni ha ripreso in mano la chiave del gas.

L’Italia
rischiadi diventare il canale da dove arriverà per l’Europa gas non più targato dal Cremlino.


Sarà questa una delle cause del nervosismo sovranista del Governo francese?
 

Val

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LA MOSSA DEL CAVALLO: ITALIA E REGNO UNITO SIGLANO LE NOZZE ECONOMICHE

Ma c’è di più.

Oltre al risveglio geopolitico italiano nel Nord Africa (inclusi i Paesi della Costa d’Avorio e dell’Egitto) e nei Balcani,
c’è un’altra notizia in contraddizione con il titolastro de La Repubblica.

Infatti, “nel giorno in cui Italia, Francia e Germania si beccavano su Volodymyr Zelensky”,
e la presidenza del Consiglio italiana si trovava a Bruxelles,
nel Belpaese giungono due esponenti chiave del Governo inglese guidato da Rishi Sunak
(meno folcloristico e più efficace dei suoi predecessori):

il ministro della Difesa, Ben Wallace

e quello degli Esteri, James Cleverly.

I due dialogano concretamente con i corrispettivi Guido Crosetto e Antonio Tajani.


Invece di fare le nozze con i fichi secchi delle chiacchiere,

i quattro politici discutono di mettere insieme il know how nel settore Difesa,

dal nuovo caccia Tempest al nostro big player Leonardo.



C’è da ricordare che in precedenza era arrivata in Italia anche il ministro del Commercio, Kemi Badenoch,
la quale ha siglato con i ministri Adolfo Urso e Tajani un memorandum per la collaborazione economica tra i due Paesi.


L’Italia è il primo Paese europeo a siglare un accordo economico con il Regno Unito dopo la Brexit.


Se due indizi fanno una prova,

appare più chiaro il clima di baruffa delle “Cancellerie europee”

dopo queste iniziative internazionali del Governo italiano.


Ecco perché trovo che il titolo “Ue, il giorno nero per Meloni” abbia un referente non a Bruxelles, ma sulle elezioni di Lazio e Lombardia.

Quando si uscirà da questa guerra di logoramento mediatico, il Pd diventerà un partito libero e moderno.


E la stampa italiana (non solo “di sinistra”) farà meno letteratura fiction

e aderirà un po’ di più alla realtà, in stile Bbc e non in stile Pravda.
 

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