Solo politica (3 lettori)

Val

Torniamo alla LIRA
Nessuna parodia

Quella che segue è quindi una lista, purtroppo non completa, per via da un lato delle dimensioni
– vi assicuro molto importanti del documento, in perfetto stile togliattiano -,
dall’altro perché molti dei termini sono specificamente legati alla lingua inglese
e al gergo statunitense in modo così complesso da spiegare,
che renderebbe davvero difficile comprendere il ragionamento mentale
che sta dietro alla volontà di cancellare il termine stesso.


Niente di ciò che leggerete è una parodia,
anche se mi rendo conto che vi potrebbe sembrare mi sia inventato qualcosa per prendere in giro i woke.

Non è così: ho preso le parole/frasi bandite, le rispettive alternative suggerite dal sito di Stanford
com’era l’ultimo giorno in cui è stato accessibile al pubblico, e ho tradotto il tutto fedelmente.

Ci ritroveremo alla fine, per tirare un minimo le fila e fare qualche riflessione insieme,
dato che credo che di spunti ve ne siano,
soprattutto per quanto riguarda le tecniche adottate dai propositori
(potete inviare i vostri suggerimenti di parole dannose alle bravissime persone dell’EHLI a questo indirizzo e-mail: [email protected]).


Sezione 1. Abilismo

Il linguaggio abilista è un linguaggio offensivo nei confronti delle persone con disabilità e/o che svaluta le persone con disabilità.


  • tossicodipendente“, usare invece: “persona con un disturbo da uso di sostanze”.
  • Contesto: l’uso di un linguaggio incentrato sulla persona aiuta a non definire le persone in base a una sola delle loro caratteristiche.

  • studio in cieco” e invece usare: “studio mascherato”.
  • Contesto: perpetua involontariamente l’idea che la disabilità sia in qualche modo anormale o negativa, favorendo una cultura abilista.

  • storpio“, usare invece: “disabile, persona con disabilità”.
  • Contesto: linguaggio abilista che banalizza le esperienze delle persone con disabilità.
Sezione 2 e 3. Linguaggio colonialista

Il colonialismo è la politica o la pratica di acquisire il controllo politico totale o parziale di un altro Paese,
occuparlo con coloni e sfruttarlo economicamente. È meglio evitare i termini che derivano dal colonialismo.


La cultural appropriation è il prendere parti di un’altra cultura e farne uso nel nostro quotidiano.

Il linguaggio che fa appropriazione culturale utilizza in modo improprio termini
che hanno un significato per una particolare cultura, in un modo che spesso manca di rispetto o di apprezzamento.


  • seppellire l’ascia di guerra” e invece usare: “chiedere la pace, chiedere una tregua”.
  • Contesto: l’uso di questo termine è un’appropriazione culturale di una tradizione secolare di alcune popolazioni indigene del Nord America, che seppellivano gli strumenti di guerra come simbolo di pace.

  • capo“, invece usare: “il nome della persona”.
  • Contesto: chiamare una persona non indigena “capo” banalizza sia i capi ereditari che quelli eletti nelle comunità indigene.

  • guru“, invece usare: “esperto, esperto in materia di, maestro, leader, insegnante, guida”.
  • Contesto: nelle tradizioni buddista e induista, questa parola è un segno di rispetto. L’uso disinvolto ne annulla il valore originario.

  • sul piede di guerra“, invece usare: “pronto all’offensiva”.
  • Contesto: appropriazione culturale di un termine che indicava il percorso seguito dalle popolazioni indigene in direzione di una battaglia con un nemico.

  • Pocahontas“, invece si usa: “il nome della persona cui ci si rivolge”.
  • Contesto: si tratta di un insulto e non dovrebbe essere usato per rivolgersi a una donna indigena, a meno che non sia il suo vero nome.
 

Val

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Sezione 4. Linguaggio “Gender-Based

Il linguaggio basato sul genere comprende una serie di parole e frasi
che non sono utili e, in molti casi, risultano escludenti.

Ad alcune persone può non dispiacere che il termine o i termini vengano applicati a loro
o addirittura preferiscono che vengano usati.

Tuttavia, è sempre preferibile chiedere a una persona come vuole che le ci si rivolga, prima di fare supposizioni”.



  • deputato/deputata” | invece usare: “deputatə, legislatorə”.
  • Contesto: raggruppa un gruppo di persone usando un linguaggio binario di genere, che non include tuttə.

Nota segue una lista di professioni (es. dottore/dottoressa > dottorə, professore/professoressa > professorə, tutti con la motivazione precedente).


  • signore e signori“, invece usare: “tuttə”.
  • Contesto: raggruppa un gruppo di persone in gruppi binari di genere, che non includono tuttə.

  • lui“, “lei” invece di usare: “nome della persona o “loro”.
  • Contesto: a meno che non si sappia che la persona a cui ci si rivolge usa “lui” o “lei” come pronome di elezione, è meglio usare “loro” o chiedere alla persona quale pronome usa.

  • transessuale (a meno che non sia usato a livello medico)”. | utilizzare invece: “persona transgender, trans o non conforme al genere”.
  • Contesto: questo termine è stato storicamente usato come un insulto contro le persone Lgbtq+.
  • Tuttavia, alcuni membri della comunità si identificano e si autodescrivono con questo termine.
Sezione 4. Linguaggio impreciso

  • ispanico“, invece usare: “Latinx, usare il paese di origine”.
  • Contesto: sebbene sia ampiamente utilizzato per descrivere persone provenienti da paesi di lingua spagnola al di fuori della Spagna,
  • le sue radici risalgono alla colonizzazione spagnola dei Paesi del Sud America.
  • Invece di riferirsi a qualcuno come ispanico a causa del suo nome o del suo aspetto, chiedetegli innanzitutto come si identifica.

  • persone di colore (usato genericamente)”, invece usare: “BIPOC (Black, Indigenous, and People of Color)”.
  • Contesto: se si parla di un gruppo specifico, nominarlo.

  • vittima“, invece utilizzare: “persona che ha vissuto…, persona che è stata colpita da….”
  • Contesto: l’uso di un linguaggio incentrato sulla persona aiuta a non definire le persone in base a una sola delle loro esperienze.
  • Se la persona si identifica con il termine, allora usatelo.
Sezione 5. Razzismo istituzionalizzato

Il razzismo istituzionalizzato è un razzismo incorporato nelle leggi e nelle norme di una società o di un’organizzazione.
Può essere visto nei processi, negli atteggiamenti e nei comportamenti attraverso espressioni che denotano pregiudizio, ignoranza, scarsa considerazione e stereotipi razzisti.



  • pecora nera (riferito a una persona)”, invece usare: “reietto”.
  • Contesto: assegna una connotazione negativa al colore nero, razzializzando il termine.

  • carta bianca”, invece usare: “ Totale discrezionalità nell’operare”.
  • Contesto: parlare di carta bianca in questo senso porta ad associare mentalmente il colore bianco ad un qualcosa di migliore, veicolando così concetti potenzialmente razzisti.

  • ghetto“, invece usare: “usa il nome del quartiere”.
  • Contesto: il termine indica qualsiasi quartiere non bianco socialmente segregato.

  • padroneggiare“, invece usare: “diventare abile in”.
  • Contesto: storicamente, i padroni schiavizzavano le persone, non le consideravano umane
  • e non permettevano loro di esprimere il libero arbitrio, quindi questo termine dovrebbe essere generalmente evitato.

 

Val

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Sezione 6. Linguaggio person-first

L’uso di un linguaggio incentrato sulla persona aiuta tutti a non definire gli altri in base a una singola caratteristica o esperienza,
se la persona in questione non desidera essere definita in quel modo.
Ad alcune persone può non dispiacere che il termine o i termini vengano applicati a loro o addirittura preferiscono che vengano usati.
È sempre preferibile chiedere a una persona come vuole essere definita, invece di fare supposizioni.



  • galeotto, carcerato“, invece usare: “persona che è/è stata incarcerata”.

  • immigrato” e invece usare: “persona immigrata, non cittadina”.

  • prostituta“; utilizzare invece: “persona che si dedica al lavoro sessuale”.

Contesto: l’uso di un linguaggio incentrato sulla persona aiuta a non definire le persone in base a una sola delle loro caratteristiche.


Sezione 7. Linguaggio violento

Il linguaggio violento è spesso usato con disinvoltura e senza cattive intenzioni.

Spesso, però, comporta immagini che possono turbare il destinatario di tale linguaggio.

Raccomandiamo di usare alternative non violente quando possibile.



  • una brutta gatta da pelare”, invece usare: “compito difficile da portare a termine”.
  • Contesto: questa espressione normalizza la violenza contro gli animali.
Sezione 8. Ulteriori considerazioni

Si tratta di termini che non rientrano nelle altre categorie, ma che sono comunque abbastanza importanti da attirare l’attenzione su di loro.



  • afro-americano” e invece usare: “nero”.
  • Contesto: le persone di colore nate negli Stati Uniti possono interpretare il trattino come “alterazione” della loro identità.
  • Come per molti dei termini che stiamo evidenziando, alcune persone preferiscono usare o essere indirizzate con questo termine,
  • quindi è meglio chiedere a una persona quale termine preferisce sia usato quando ci si rivolge a lei.
  • Quando si usa per riferirsi a una persona, la “b” deve essere sempre maiuscola.

  • gitano” invece usare: “romaní (se si riferisce a una persona di origine romaní) o imbrogliare (se si riferisce a qualcuno che è di origine sinti)”.
  • Contesto: questo termine si riallaccia a “zingaro” e perpetra lo stereotipo secondo cui le persone di etnia rom sono dei ladri e/o truffatori.

  • persona normale“; si usa invece: “persona comune, convenzionale”.
  • Contesto: questa frase porta ad “alterare” le persone non bianche e quelle che vivono con disabilità, disturbi mentali o malattie, considerandole non integre o regolari.

  • prostituzione intellettuale”, invece usare: “svilimento”.
  • Contesto: mette inutilmente in relazione scopi corrotti o indegni con il lavoro sessuale.
 

Val

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La tattica woke

Una volta arrivati alla fine di questa lista, non credo ci sia molto da aggiungere, se la si è letta con attenzione.

Tuttavia, ritengo che una cosa importante da sottolineare sia la tattica utilizzata da chi porta avanti tali istanze.

Come possiamo vedere da questo esempio, infatti, si tende a partire da un piccolo nucleo di concetti tutto sommato condivisibili,
dietro ai quali trincerarsi – sempre che questo termine, che ci riporta alla mente conflitti come la Grande Guerra, possa essere ritenuto accettabile.


Cerco di spiegarmi meglio: credo che nessuno possa mettere in dubbio
che una piccola percentuale dei termini sopra inclusi possa essere considerata oggettivamente offensiva,
e infatti non viene solitamente vista come una parte normale di quello che dovrebbe essere un civile modo di relazionarsi.

Non so francamente a chi possa venire in mente che non sia offensivo rivolgersi a una persona nativa americana chiamandola “Pocahontas”, o a un disabile apostrofandolo “storpio”.


E tuttavia, si parte da questi termini come scusa per proscrivere una pletora di parole e di espressioni
che risultano quasi ridicole nelle spiegazioni addotte per giustificarne la messa al bando.


Categorie strumentalizzate

In effetti, una certa ilarità è stata la reazione spontanea di fronte a questa iniziativa, in modo comprensibile,
ma che non ci deve portare ad accantonarla come semplice ridicolaggine di nessun conto.

È infatti un perfetto esempio del modus operandi della cultura woke, che,

con la scusa di difendere alcune categorie,

non fa altro che strumentalizzarle per portare avanti campagne potenzialmente liberticide e oppressive.



Ed è proprio per questo che occorre, a mio parere, esercitare una grande attenzione nel relazionarsi a tali iniziative,
premurandosi di non lasciarsi condizionare eccessivamente.


I gruppi promotori, infatti,

non aspettano altro che reazioni sguaiate per poter cavalcare l’onda,

quando, in realtà, nessuna delle critiche da portare a tali operazioni di censura linguistica e culturale sono

– o dovrebbero essere fondate – su un desiderio di offendere senza alcun ritegno.


Determinati a sentirsi offesi


In definitiva, occorrerebbe mantenersi in equilibrio tra due diverse consapevolezze:
quella che non esiste un ipotetico diritto di offendere in modo gratuito e fine a se stesso,
ma neppure quello di non essere mai offesi da nulla e da nessuno per nessun motivo.


A questo proposito, a nulla servirà sforzarsi oltre modo di seguire pedissequamente le stesse istruzioni contenute nel presente indice,
o in qualunque altro dovesse venire redatto, dal momento che chi porta avanti battaglie del genere
non sarà mai soddisfatto dei risultati e si sentirà solo autorizzato a rincarare la dose.



In definitiva, dobbiamo tenere a mente quanto diceva in merito alla questione il compianto Christopher Hitchens:

se le persone sono determinate a sentirsi offese, non c’è nulla che si possa fare.

Troveranno comunque il modo di esserlo, e di rinfacciarlo al prossimo.
 

Val

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STOP


Chiedere di cambiare i vertici della Rai,
far dimettere e sostituire chi ha responsabilità sui programmi,
come stanno facendo in queste ore diversi esponenti politici, è sacrosanto,
ma non per i motivi che vengono quasi sempre addotti.

Non perché, cioè, non sia stata esercitata un’azione di controllo preventivo sui contenuti che ha messo in scena Fedez.

Gli artisti e gli uomini di spettacolo non vanno controllati dai politici o da chicchessia:
essi devono poter esprimersi liberamente e dire tutto quel che pensano con il solo limite del codice penale e, se possibile, della buona educazione.


Cambiare il prima possibile, e senza troppi compromessi e indugi, quei vertici è invece sacrosanto perché essi,

con le loro scelte che non si limitano al caso Fedez,

stanno dimostrando di avallare una visione della cultura iper-politicizzata e monodirezionale

che è propria di una parte minoritaria (per quanto influente) del Paese.



Le forze politiche che della cultura e dello spettacolo hanno una visione opposta sono oggi maggioranza nel Paese
ed hanno diritto, senza che si gridi al Minculpop, a che la loro visione trovi espressione anche al livello del potere mediatico e culturale.

È la democrazia.

Votando in larga maggioranza per il centrodestra,

gli italiani hanno votato anche perché una narrazione diversa da quella predominante trovasse spazio nei media

e perché ci fosse un minimo di pluralismo in più.


Come, d’altronde, dovrebbe essere naturale in un “servizio pubblico”,

che in quanto tale non può essere privatizzato da una visione del mondo unica e totalizzante.


Cambiare al più presto i vertici della Rai non significa censurare nessuno

ma dare spazio a tutti, anche a chi vorrebbe da Sanremo, per esempio,

solo spettacolo e canzonette e non conformistici pipponi moralistico-pedagogici.



Liberare la cultura, renderla autonoma, lo si fa, in ultima istanza, in un’ottica liberale di distinzione fra le sfere delle attività umane, non politicizzandola.

Una distinzione che farebbe bene sia alla cultura e allo spettacolo, i cui prodotti sarebbero valutati unicamente per il loro valore artistico,

sia alla politica, i cui messaggi non sarebbero spettacolarizzati e banalizzati dal contesto in cui vengono lanciati.
 

Val

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Perchè le programmazioni televisive terminano i programmi sempre più tardi ?
Per lo share. Ma "lo share" è pura finzione statistica.


Ma cos'è lo share o che differenza c'è tra questo dato e quello relativo agli spettatori assoluti?


Lo share è la percentuale di persone che vedono un determinato programma

tra tutte quelle che hanno la televisione accesa in quel momento.


Mentre gli ascolti assoluti rappresentano il numero di persone che guardano quel programma.



Un valore, inutile sottolinearlo, decisamente più importante.

E che, al contrario, negli ultimi anni non viene quasi mai evidenziato nelle dichiarazioni pubbliche.


Facciamo un esempio:

un milione di persone che vedono un programma in prima serata ha uno share molto più basso

di un milione di persone che guarda un programma di notte, perché di notte sono molto meno le persone che guardano la tv.
 

Val

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Il fatto che due italiani su tre, tra quelli che sabato sono rimasti in casa e hanno acceso la propria televisione,
abbiano dato fiducia al Festival è un aspetto indubbiamente positivo.

Anche se Mengoni, Ferragni e Morandi entravano nelle case degli Italiani in quello che viene definito il prime time, la fascia oraria di massimo ascolto.

Va detto, in ogni caso, che non stiamo parlando di un record.

Nel 1997 la serata finale toccò il 68,29%, quando a condurre c'erano Mike Bongiorno, Piero Chiambretti e Valeria Marini e vinsero i Jalisse.



Ma andiamo un po’ a controllare i numeri assoluti.

Ad esempio, basta fermarsi allo scorso anno.

La serata finale del 2022 toccò i 13 milioni e 380 mila spettatori
.

E anche la media delle cinque serate fu decisamente più alta rispetto a questa edizione.


In sostanza, se si escludono il 2019 e il 2021, l'ultimo Festival è perfettamente in media con quello degli ultimi nove anni.

E lontano almeno un milione, un milione e mezzo di spettatori dalle kermesse antecedenti al 2013.


No, non è tutto oro ciò che luccica.
 

Val

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La serata finale che ha incoronato Marco Mengoni è stata seguita in media su Rai 1

da 12 milioni 256 mila telespettatori, pari al 66% di share.
 

Val

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Vi ho detto di andare a votare.
di non pensare che "tanto ci vanno gli altri".

A votare ci vanno sicuramente i piddioti. E voi ?


L’affluenza bassa, bassissima, registrata sia nel Lazio che in Lombardia nella prima giornata di elezioni regionali è già un caso politico.

Nella seconda rilevazione ufficiale dai seggi, alle sette di sera,
appena il 22,10% dei cittadini laziali e il 27,17% dei lombardi si è recato alle urne per scegliere il prossimo governatore.


Il 24 febbraio 2013, alle ore 19, per il rinnovo del Consiglio regionale del Lazio aveva votato il 44,37% degli aventi diritto
mentre in Lombardia oltre la metà deli elettori (51,23%) si era presentato ai seggi.


Circa il doppio del risultato di ieri in entrambe le Regioni.
 

Val

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«L’affluenza nel Lazio sta crollando e il prossimo Consiglio regionale rischia di essere delegittimato,
eletto da meno del 50% degli elettori
- commenta Alfonso Pecoraro Scanio, presidente della Fondazione Univerde, che fuori dal seggio ha aggiunto-
Si rischiano risultati stravolti e una forte perdita di credibilità delle istituzioni».


«La politica ha innanzitutto bisogno di ideali e francamente sul piano della proposta, non vediamo una grande offerta.
E poi c’è bisogno di personalità forti, di nomi famosi.
Se queste vengono considerate elezioni di serie B l’elettore, che è intelligente, decide di non partecipare».


«È un male di per sé, anche per le conseguenze che provoca.
Dentro di me ho ben chiaro il concetto che una democrazia è tale se la maggioranza dei cittadini va a votare».
 

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