Solo politica (5 lettori)

Val

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Leggo in giro e comprendo...meglio.


Ma nooooo... Una sceneggiata.
Prima della sua esibizione non c'erano le rose sul palco!
Lo fa anche nel video clip della sua canzone(l'isola delle rose)...

L'unico momento "verità" in tale scenetta d'avanspettacolo è quando scivola stramazzando al suolo.

Nessuno è intervenuto.

Era palesemente organizzato.

Il ragazzo a fine esibizione non appariva minimamente alterato né Amadeus sorpreso.

Ennesima messinscena creata appositamente.


Proprio il Festival di S.Scemo!
 

Val

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Il comizietto di Benigni

un anno fa mentre milioni di italiani sani venivano segregati in casa e discriminati,
non sentiva il bisogno di parlarci di libertà.

Strano… dopo 3 anni di violazioni dei diritti costituzionali,
vedere Benigni a Sanremo esaltare le "libertà costituzionali"
davanti a chi ha consentito di violarle,
è la pagina più ipocrita e rivoltante della storia d'Italia.

Le inquadrature da tv nordcoreana per il Presidente.

Il messaggino subliminale antiriforme.


Voltare pagina presto.
 

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Cospito è un bombarolo con vocazione stragista,

non Mikhail Bakunin, padre del pensiero anarchico,

che dall’esilio vissuto tra i tramonti ischitani e le passeggiate capresi

pensava alla rivoluzione sociale su scala mondiale.



Se fosse in nostro potere elevare una nota di censura nei riguardi del sottosegretario Delmastro,
non sarebbe per aver passato le informazioni al suo collega di partito ma per l’esatto contrario:
per non averle immediatamente rese di pubblico dominio.


Saremmo ben lieti se, dagli scranni del Governo,
al posto di imbarazzati farfugliamenti si levasse una totale rivendicazione dell’operato di Giovanni Donzelli,
a dimostrazione che una politica forte non ha bisogno di nascondere la verità ai cittadini.


E molto più gradiremmo vedere umiliato il Partito Democratico

per il patetico tentativo di coprire gli errori compiuti dai suoi esponenti sotto una coltre di stucchevole ipocrisia.



L’auspicio è che la maggioranza non si lasci intimorire dalla demagogia dell’opposizione che chiede,
a ristoro dell’offesa subìta, le teste di Donzelli e di Delmastro metaforicamente servite su un piatto d’argento.

Se, come è scritto, la sovranità appartiene al popolo,

è giusto che il popolo venga tenuto al corrente dai suoi rappresentanti politici

anche di ciò che, dietro le sbarre di un penitenziario, terroristi e mafiosi progettano di fare insieme.


Servirà a tutti noi, smemorati di una società che ha litigato con la memoria, ricordare da che parte stare.
 

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Su questa vicenda sono giorni che assistiamo a un indegno teatrino

nel quale un’opposizione in debito d’ossigeno

cerca disperatamente di mettere il bastone tra le ruote della macchina governativa, ma senza successo.


Nel frattempo, l’esposizione mediatica del caso Cospito

ha stimolato la violenza dei gruppuscoli anarchici

che hanno ripreso a lanciare molotov e a bruciare autovetture.



Ora, la domanda che rivolgiamo agli esponenti della sinistra è:



davvero pensate di incassare un dividendo elettorale insistendo nel volere la crocifissione politica di Donzelli e Delmastro?

Sarebbe questa la pungente azione dell’opposizione in Parlamento?


Se questo è ciò che sperate di ottenere siete sulla luna, cari compagni.

Un’opposizione seria si sarebbe precipitata a ribadire la necessità di fare fronte comune in Parlamento

tra maggioranza e opposizione per respingere ogni attacco allo Stato,

invece di tuffarsi in una polemica da azzeccagarbugli nel bizzarro tentativo

di misurare con il bilancino del farmacista la giusta quantità di riservatezza delle informazioni da renderne illegale la divulgazione.
 

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Questo mi piace....non posso ignorarlo.

Sanremo all’insegna della gerontocrazia più spietata, come usa in tutte le maggiori istituzioni:

i giovani giovani, quelli anagrafici, possono attendere, possono, per il momento, contentarsi di essere lì, che comunque non è poco:

50mila di premio assicurato a prescindere dal piazzamento e la garanzia di serate, tour, passaggi televisivi e radiofonici,

quella che si chiama “visibilità” anche se effimera, anche se la loro vita programmata è di una stagione, massimo due.



Ma che volete?

Kronos si è fatto più famelico e non ha tempo per allevare un carisma,
del resto tutti questi tananai tikitok o rosa chemical ne hanno poco
e, parafrasando il poeta marxista Aldo Nove,
la rivoluzione del loro talento si direbbe passi per il buco del culo.

Roba deperibile.

Ma, vi piaccia o no, siamo dentro al festival e bisogna ballare.
 

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C’è una delle divette, la Elodie allergica a Giorgia Meloni, che annuncia l’obiettivo, speriamo circoscritto al festival:

“Voglio essere puttana dall’inizio alla fine”.

Questione di impegnarsi un po’, senza strafare, si spera.


Una, Egonu,che quanto a supponenza se la batte con Elodie, con parole di borgata, cioè parlandole di “bianchi, neri e poco cotti”.

Sarà difficile che Elodie, guadalupegna del Quartaccio, possa giocarsi la stessa carta del razzismo

sbarcando in riviera con la scorta e uno staff da fare invidia a Cleopatra;

non a Chiara Ferragni che, da super manager del nulla,

ha fatto engelsianamente della quantità la qualità, da cui un codazzo di servi esagerato ma coreografico, dunque strategico.


Tanto sfarzo frana miseramente sulla scena, con un monologo di infantile egocentrismo,

letteralmente osceno se vogliamo scomodare Carmelo Bene,

e se c’è da rispondere a una domanda sul marito che scrive canzoni sulle donne al guinzaglio mentre lei pretende di difenderle.



Manichinale e manicomiale in quel delirio onanistico, recitato con pathos contabile, lacrime cinesi comprese.


Mentre assisto, imbarazzato io per lei, quasi sgomento, mi arriva un messaggio:

“La Ferragni è pazza?”.

Parliamo della pazzia alienata e alienante dei dittatori in delirio di onnipotenza.


She Is Crazy, ma è il gioco ipocrita del festival cui non si sottrae il nostro presidente, ubiquo quanto Zelensky:

forse le foto con i Ferragnez al gran premio erano più propedeutiche che innocenti.



Ed eccoci alla funzione di questo Sanremo
che rileva come avanguardia-retroguardia del pensiero unico moralisticamente corretto,
cinghia di trasmissione con l’Unione europea che vuol girare la testa agli europei
come predicano i vari Timmermann, Schwaab e Ursula.

Diciamo un ambasciatore televisivo, spettacolare del progressismo revisionista
che ha definitivamente rinunziato a qualsivoglia velleità canterina, artistica
per abbracciare la causa post occidentalista dell’agenda gender e green.


Di questo si parla, giocoforza, più che delle baggianate selfistiche di apprendisti o vecchie glorie.
 

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Ecco Amadeus, più istituzionale che mai, istituzione egli stesso, anche nel cordoglio tragico,
gran ciambellano dell’effiimero pesante e del patriottismo trash
con l’inno nazionale recitato dal manone, Morandi, per puro servilismo presidenziale.

Verrà Rosa il Chimico, cantante en travesti con sotto il travestimento, temiamo, niente,
ma già i Coma Cose, insulsi già dal nome, e via via il resto di una compagnia poco cantante ma molto fluidificante.

E qui si coglie un metasignficato, una tensione diremmo generazionale:
gli ultrasenatori, i Morandi, Ranieri, Al Bano, Pooh redivivi a stento, perfino Pelù, il più corroso di tutti,
sopportano poco e male la bagarre con quelli che, a buon diritto, considerano degli avventizi, degli animali incomprensibili.

Li tollerano perché questo è loro richiesto, perché a Sanremo bene o male
ci sono venuti sia per quei favori che non si possono rifiutare sia per i calcoli tipici della quarta età artistica.

Ma ci si muovono a disagio e si vede, hanno quella degnazione vagamente offesa anche se si prestano, malvolentieri.


Ma senza creare rogne.


Chi non ha problemi di tenuta fisica, ma di quella mentale ne tradisce fin troppa,
sono i giovani cantanti lampadario le cui movenze e apparenze a forza di adeguarsi ai dettami del genderismo spinto
risultano paradossali e suggeriscono degli strazianti molluschi conciati a festa.

Ma che altro ti puoi inventare dopo i reggicalze del Damiano, già usurati dopo mezzo secolo di citazionismo?


E dopo il ridicolo, c’è il patetico.
 

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Ma tutto questo fa bene agli affari,
in quella ineffabile miscela di capitalismo dirigista che è la Rai:
sfondato il tetto dei 50 milioni di introiti pubblicitari,
a fronte dei 18 di spese complessive,
più 30 di indotto che nessuno sa bene cosa sia
atteso che la pubblicità copre anche le cacche dei cani,
e aspettative di pubblico sui 13 milioni, due in più dell’anno scorso.

Tutto per seguire una gara fittizia tra giovanetti negati e cariatidi.

Il liberismo autoritario funziona: noi vi diamo gli eccessi di cartone, voi non avrete altro dio.


E tutti sono contenti anche se quest’anno Mediaset non si è piegata al gentlemen agreement
e ha schierato la “controprogrammazione attiva”, per dire sfidare il nemico sul suo stesso terreno nella battaglia decisiva.

E c’è da scommettere che, comunque vada, la corazzata de Filippi manterrà parecchi dei suoi aficionados,
tanto più che i suoi format, da Amici a C’è Posta, hanno indiscutibilmente condizionato il festival,
segnandone il gusto, costringendolo ad adeguarsi quanto a stilemi.


Un preciso segnale di Berlusconi a una dirigenza Rai all’epilogo

o un monito per quella, presumibilmente targata Fratelli d’Italia, che verrà?
 

Val

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Comunque anche da queste cose si capisce che Sanremo è un fatto politico prima che legato allo spettacolo.


O, se preferite, che lo spettacolo è in funzione della politica e non l’inverso.


A sancire l’istituzionalità somma, niente meno che il capo dello stato, come alla Scala.



Che altro serve?

Laddove Benigni, in curioso odore di Costituzione,
della quale ha una concezione immatura ma capziosa, reazionaria,
da “guai alle riforme”, serve, come la serva di Totò, a corroborare il qualunquismo giullaresco,
da suddito ilare vuoi verso il potere istituzionale, vuoi verso il potere di Lucio Presta,
uno dei padreterni della televisione pubblica, lo stesso di Amadeus.

Lui e il diretto concorrente Caschetto vengono entrambi dalle ceneri del PCI,

uno renziano l’altro cigiellino, e si disputano quel campo di Agramente dei poteri forti che è Sanremo.
 

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