L’articolo 41 bis è una disposizione dell’ordinamento penitenziario italiano
introdotta in una prima versione dalla Legge n. 354 del 26 luglio 1975
per contrastare il fenomeno delle brigate rosse.
Quella legge consentiva allo Stato, in presenza di gravi motivazioni di ordine e sicurezza pubblica,
di sospendere, in tutto o in parte, l’applicazione delle normali regole di trattamento previste dalla disciplina carceraria ordinaria.
Erano provvedimenti adottati dal Consiglio dei ministri, caso per caso, a seconda dello scopo da raggiungere e destinati a particolari detenuti.
Una esperienza durata sostanzialmente fino al 1981, dopo che il generale Dalla Chiesa era riuscito con successo a sconfiggere definitivamente la piaga brigatista.
Una norma che tuttavia funzionò solo contro le Br visto che detenuti del calibro di Raffaele Cutolo – tanto per citare un esempio –
hanno fatto in carcere tutto quello che volevano
(Cutolo fu trasferito all’Asinara solo nella seconda metà del 1982 su intervento diretto dell’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini).
Successivamente, con la lotta alla mafia, il 41 bis fu modificato dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663, la cosiddetta legge Gozzini.
Voluta da Giovanni Falcone,
la norma stringeva ulteriormente le maglie introducendo un particolare “sistema di sorveglianza particolare”
mirato per lo più ad impedire contatti in carcere tra detenuti pericolosi accusati del medesimo reato
(in quel caso associazione a delinquere di stampo mafioso) e tra questi e l’esterno.
Il Grand Hotel dell’Ucciardone
– come veniva chiamato il carcere di Palermo tra gli Anni Settanta e Ottanta –
divenne così un bunker in cui tenere efficacemente a bada i mafiosi più pericolosi.
La norma fu successivamente inasprita dopo la morte di Falcone,
con il decreto antimafia Martelli-Scotti
(decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356).
Il decreto prevedeva che
“quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, anche a richiesta del Ministro dell’interno,
il Ministro di grazia e giustizia ha altresì la facoltà di sospendere, in tutto o in parte,
nei confronti dei detenuti per taluno dei delitti di cui al comma 1 dell’articolo 4- bis,
l’applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge
che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza”.
Tra questi delitti, anche l’eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza.
La norma del 1992 aveva tuttavia carattere temporaneo (massimo tre anni, salvo proroghe).
Fu la maggioranza di centrodestra (governo Berlusconi II) ad abrogare il carattere della temporaneità con la legge 23 dicembre 2002, n. 279.
Attualmente è in vigore l’ultima riforma, quella approvata nel 2009 (governo Berlusconi IV)
che ne ha modificato di nuovo i limiti temporali:
il provvedimento, a carattere nuovamente temporaneo, può durare quattro anni e le proroghe due anni ciascuna (Legge n. 94/2009).
Ha torto dunque Roberto Scarpinato, ex pm di Palermo e adesso deputato del M5s,
a dire che il 41 bis è una conquista ottenuta sul sangue dei giudici al cospetto di un Parlamento riottoso.
Come si è visto il 41 bis fu introdotto non dopo la morte di Falcone,
quando ne fu certamente intensificata la portata applicativa sulla spinta della strage di Capaci,
bensì durante la stagione del terrorismo rosso (1975)
e successivamente intensificato dal Parlamento proprio su richiesta di Falcone
durante il maxiprocesso a Cosa nostra (1986).
Semmai Scarpinato dovrebbe dire con chiarezza due cose:
1. fu la magistratura ad impedire a Falcone di essere nominato a capo dell’ufficio istruzione di Palermo
dopo il pensionamento di Antonino Caponnetto (al quale il Csm preferì Antonino Meli per ragioni di anzianità e non di merito);
2. fu la politica (nella persona dell’allora ministro della Giustizia del Psi Claudio Martelli)
a consentire a Falcone di dirigere gli Affari Penali al Ministero della Giustizia,
e non certo la magistratura che si scagliò con forza contro Martelli.
Da questo excursus è rinvenibile un elemento inconfutabile:
l’eccezionalità del 41 bis, e dunque la sua temporaneità, per i casi più gravi,
sicuramente nei confronti dei membri di tutte le associazioni a delinquere di stampo mafioso e/o terroristico.
Nel caso Cospito siamo di fronte ad un criminale politico che deve scontare trenta anni e forse l’ergastolo.