SOLITAMENTE SEGUO UNO SCHEMA: (1 Viewer)

Val

Torniamo alla LIRA
Non è certo quello che vuole il governo ........


È in arrivo un fondo sovrano italiano?

Questo forse è ancora presto per dirlo, ma pare che in Parlamento si stiano muovendo i primi passi in questa direzione.

Lo scorso mese il presidente della Commissione di vigilanza su Cassa Depositi e Prestiti, Sestino Giacomoni (Fi)
è riuscito a far approvare un emendamento al Dl Rilancio che apre le porte ad un fondo sovrano nazionale.

Andiamo con ordine.

Partiamo dalle definizioni.

Un fondo sovrano è solitamente di proprietà di uno Stato, ed è composto da varie tipologie di strumenti finanziari (obbligazioni, azioni, beni patrimoniali).
È un lusso che poche nazioni possono permettersi.

Ad esempio i Paesi che dispongono di forti riserve valutarie accumulate grazie a disponibilità di petrolio
(Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Kuwait) o risorse energetiche, materie prime (Norvegia, anche ricca di petrolio).

Ora pare che anche l’Italia cerchi il suo posto al sole.

Ed è normale che qualcuno abbia tirato fuori quest’argomento:

quando il mercato fallisce tutti cominciano ad auspicare un intervento pubblico per uscire dalla crisi.

Tornando al sopracitato emendamento, il senatore forzista ha compreso che il petrolio degli italiani è il risparmio.

L’obiettivo è semplice: unire la liquidità della Cassa Depositi e Prestiti con i risparmi dei cittadini.

Insomma, si tratta di invogliare chi parcheggia per anni i propri soldi sul conto corrente ad investire per sostenere l’economia reale.

E se il correntista dovesse mostrarsi scettico magari lo si può invogliare con interessanti agevolazioni fiscali.

Questo bel gruzzolo, come precisato dal presidente della commissione vigilanza,

“sarà gestito dalla Cdp Prestiti S.p.A. assicurando il massimo coinvolgimento anche delle società di gestione del risparmio italiane
per evitare ogni possibile effetto di spiazzamento del settore private capital”.

Ovviamente questa iniziativa non piace proprio a tutti.

Per alcuni osservatori l’Italia è una nazione priva di materie prime e uno strumento come questo possono permetterselo solo gli arabi o meglio i norvegesi.

Ma siamo sicuri che le cose siano così?

Il fondo norvegese è stato creato nel 1996 e, sotto la gestione della locale banca centrale (Norges Bank),
è diventato il principale veicolo di investimento sovrano al mondo.

Nel 2019 esso ha messo a segno un nuovo record storico portando a casa un utile da quasi 180 miliardi di dollari
e vantando il 70,8% della propria esposizione sull’azionario.

C’è da dire che la pandemia si è fatta sentire anche a Oslo: gli scandinavi hanno perso circa 125 miliardi da gennaio a fine marzo.

Detto questo, i norvegesi negli anni hanno creato una formidabile arma da guerra investendo i cospicui introiti frutto dello sfruttamento delle materie prime.


Oggi, dunque, si sta riscoprendo l’importanza dell’intervento pubblico in un’economia di mercato.

Certo stupisce che chi si beffava dei nostri panettoni di stato oggi rimpiange l’Iri e sogna un fondo sovrano in mano al Tesoro.

Ma qualcosa rischia di compromettere questo progetto.

A detta di molti, infatti, è impossibile cambiare rotta a causa della nostra adesione ai trattati su cui si fonda l’Ue: gli aiuti di stato sono vietati.

È palese che si tratta di una scusa.

I francesi e i tedeschi non si fanno scrupoli a finanziare le loro imprese in difficoltà.

Facciamo solo due esempi che riguardano i nostri vicini d’Oltralpe.

Il primo riguarda l’Agence des participations de l’État.

Nel 2004 Parigi creava questa agenzia per finanziare i grandi gruppi in crisi violando scientemente e giustamente le regole castranti dell’Ue sugli aiuti di stato.

Ed è notizia di questi giorni che l’Eliseo vuole consentire alla Caisse des Dépôts et Consignations (istituto finanziario pubblico)
di riacquistare locali commerciali situati nei centri delle città e a rischio chiusura.

Questi sarebbero poi affittati ai commercianti con tariffe più basse e convenienti.

Lo scopo è impedire il fallimento di piccoli commercianti ed evitare così lo svuotamento dei centri urbani.

Della KFW tedesca si è già detto.

E l’Italia? Noi chiediamo aiuto.

Si chiami Mes o Recovery fund siamo sempre con il cappello in mano
.

Chi sostiene che siamo costretti a farlo a causa dell’elevato debito pubblico si sbaglia.

L’Italia al netto delle sue inefficienze può contare sui risparmi degli Italiani.

Oggi più che mai è necessario utilizzare la Cassa Depositi e prestiti come fondo sovrano
per promuovere una nuova politica economica ed industriale.

Se, però, il progetto dovesse arenarsi i responsabili dovremo cercarli a Roma e non a Bruxelles.

Se l’Ue ci tratta come degli scolari indisciplinati, la colpa è nostra che ci facciamo bacchettare.

Non serve a nulla piagnucolare o scappare: solo smettendola di fare gli sciuscià saremo rispettati da tutti.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Buffoni. In altri tempi sarebbe già "scomparso". Una mina vagante per tutta l'area.


Josep Borrell, il responsabile della barcollante diplomazia europea, lunedì 6 luglio
ha avuto un incontro ad Ankara con il ministro turco degli Affari Esteri, Mevlüt Cavusoglu.

Il vertice ha avuto lo scopo di verificare le disponibilità al dialogo ed i margini di ragionevolezza
del Presidente della Turchia Recep Tayyip Erdoğan riguardo soprattutto alla “questione” libica
ed in previsione dell’incontro di oggi 13 luglio tra i ministri degli Esteri dei ventisette paesi dell’Unione europea.

Nella riunione di oggi si valuteranno, i limiti di Ankara al dialogo non escludendo l’ipotesi di adozione di nuove sanzioni.


La riunione e la successiva conferenza stampa congiunta di lunedì 6, hanno mostrato opportunistica cordialità,
ma lungi da ripensamenti turchi, il ministro Cavusoglu non ha risparmiato pubblicamente di esporre le sue lamentele,
e quella che era iniziata con una richiesta europea al ragionamento si è trasformata in una accusa turca circa le promesse non mantenute dall’Europa.


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La questione principale esposta dal Ministro turco è stata quella relativa alla migrazione;

Cavusoglu ha nuovamente accusato l’Europa di non aver rispettato le sue promesse.

Nella sua dichiarazione, una sorta di arringa, ha affermato che:

“Aspettarsi tutto dalla Turchia mentre l’Unione europea non adempie ai propri obblighi non risolve il problema ma lo aggrava.
Ecco perché è necessario attuare le assicurazioni fornite alla Turchia”, aggiungendo:

“La revisione dell’accordo di unione doganale è importante.
La liberalizzazione dei visti è una promessa dell’Ue, che piaccia o no, deve essere applicata”.

Affermazioni piuttosto superbe che sembra appartengano più ad uno Stato primo attore della geopolitica mondiale,
che ad una offuscata nazione che tenta di fare “la protagonista”,
ma che ha imboccato da tempo la strada dell’involuzione sociale e politica e che ignora la quasi totalità dei trattati sottoscritti.



Vista la “posizione” turca in riferimento alle geostrategie adottate in buona parte dei territori dell’ex Impero ottomano,
questo tentativo di dialogo europeo sembra una manovra di conversazione con chi non vuol sentire,
in quanto sono così complesse le tematiche e le pretese della Turchia verso l’Europa
che immaginare un punto di convergenza in una fase di divergenza geopolitica è verosimilmente impossibile.


Tuttavia la Turchia ha una serie di vantaggi a suo favore nei confronti degli europei:

circa 3,6 milioni di rifugiati siriani sono accampati sul suo territorio,
ad essi vanno aggiunti centinaia di migliaia di migranti provenienti dall’area asiatica
e centro nord africana diretti sulla rotta balcanica, con destinazione Europa, via Grecia.

Per questa disponibilità ad ospitarli, sancita anche nel discutibile programma Ipa (Strumento per Adesione),
la Turchia ha incassato dal 2002, previsione fine 2020, circa 4,5 miliardi di euro.

Ankara, che ha verso Atene risentimenti storico-patologici,

ha da febbraio spinto ed incoraggiato migliaia di migranti ad attraversare il confine con la Grecia,
destabilizzando un Paese europeo a cui l’Europa ha già dato la sua dose di incertezza e precarietà.

Inoltre il capo della diplomazia turca ha anche deplorato la cacciata della Turchia dalle liste europee dei cosiddetti paesi “sicuri”
alla luce della pandemia di coronavirus, che rischia di minare la stagione turistica già abbastanza compromessa dall’atteggiamento anti-laicista espresso dalla politica di Erdogan.


Se la Turchia ha dalla parte sua la “leva” della migrazione come arma di ricatto,
va anche detto che la dormiente Europa sta permettendo la condivisione dello sfruttamento degli idrocarburi nel Mediterraneo orientale.


Ankara da tempo ha avviato perforazioni in aree che l’UE ritiene facciano parte della zona economica marittima esclusiva di Cipro,
che come sappiamo fu occupata, per una parte, dalla Turchia a partire dal 1963, questione ancora aperta.

Inoltre è in atto da alcuni mesi una controversia tra Turchia e Francia, soprattutto, circa un accordo trasversale tra Tripoli ed Ankara
che permette alla Turchia di estrarre gas ed affini in un ampio tratto del Mediterraneo orientale che dalle coste africane arriva alle coste europee,
con il bene placido dei flaccidi controlli internazionali.


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Va ricordato che mercoledì 8 luglio il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres,
durante una videoconferenza del Consiglio di Sicurezza, ha nuovamente denunciato che

“le interferenze straniere hanno raggiunto livelli senza precedenti” in Libia, con

“la consegna di attrezzature sofisticate e con messa a disposizione di numerosi mercenari impiegati negli scontri in atto”,

chiaro riferimento alla Turchia; esprimendo la massima preoccupazione in particolare per il raggruppamento delle forze militari intorno alla strategica e determinante città di Sirte.


Per concludere sulle divergenze tra l’Europa (non solo) e la Turchia ricordo che il 24 novembre 1934,
Mustafà Kemal Atatürk massone e fondatore della neo Repubblica di Turchia (1923),
portò la Basilica di Santa Sofia, diventata moschea dopo il 29 maggio 1453
data della conquista islamica della capitale del cristianesimo orientale Costantinopoli, alla laicità,
decretandone la trasformazione da moschea in museo.

Ottantasei anni dopo, venerdì 10 luglio 2020, il presidente Recep Tayyip Erdogan ha “trainato”
il gioiello cristiano di Costantinopoli alla religione musulmana per la gioia delle sparute frange più radicali del suo elettorato e dei suoi alleati anti laicismo.


Nella frenesia compulsiva e politica di Erdogan, favoreggiatore di un’associazione
che conduce da quindici anni una lotta per il ritorno all’Islam di tutti i luoghi di culto musulmani sconsacrati
durante i primi decenni della Repubblica secolare, il Consiglio di Stato turco ha annunciato venerdì
di aver abrogato il decreto firmato da Atatürk (Stato laico), sulla base del fatto che Hagia (Santa) Sophia,
presa da Mehmet il Conquistatore (1453), non poteva essere utilizzata per scopi diversi da quello assegnatogli dal sultano.


La prima pronuncia di versi coranici in Santa Sofia avverrà il 24 luglio,
una decisione che schiaffeggia la cultura europea, ma anche tutta la cristianità e soprattutto quella Chiesa Ortodossa
ancora presente ad Istanbul che fa riferimento alla Chiesa di Mosca (Terza Roma),
rimarcando le convinzioni che una apertura europea all’interculturalità oltre ad essere utopica e fallimentare è umiliante.
 

Val

Torniamo alla LIRA
D'altra parte di cosa mi devo lamentare ? Dei buffoni di corte ?


Malgrado la morte clinica del Covid-19, oramai certificata anche da alcuni studi autorevoli,
prosegue il catastrofico gioco delle tre carte di un Governo surreale.

Dopo aver a suo tempo sostanzialmente proclamato lo stato d’emergenza sulla base delle confuse notizie provenienti dalla Cina,
imponendo una drammatica sospensione delle libertà costituzionali sull’onda di una crisi ospedaliera, circoscritta ad alcune regioni,
che è durata solo alcune settimane, oggi la coppia Giuseppe Conte/Rocco Casalino intende prorogare fino al 31 dicembre
il medesimo stato d’emergenza con qualche decina di malati in terapia intensiva.

Ciò significa, in estrema sintesi, che il sedicente avvocato del popolo vuole proseguire ad oltranza il suo regime di Pulcinella
che gli conferisce pieni poteri, con l’avallo quasi incondizionato della sua maggioranza, di buona parte dell’informazione nazionale
e di un imbarazzante Comitato tecnico-scientifico che sta da tempo colpevolmente spacciando il contagio da Covid-19 per una malattia mortale.


A tal proposito registriamo un’agghiacciante dichiarazione del dem Nicola Zingaretti,
leader di un partito che in passato avrebbe mobilitato le piazze per molto meno,
ma che oggi ritiene di aver tutto da guadagnare nel mantenere in vita un clima di terrore che sta distruggendo l’economia del Paese.

Scrive infatti su Twitter il presidente della Regione Lazio:

“Il Partito Democratico è pronto a sostenere qualsiasi scelta del Governo utile a contenere la pandemia.
Chi nel mondo non lo ha fatto sta pagando un prezzo drammatico”.



Quindi, secondo questo genio, malgrado l’assenza di alcun elemento di preoccupazione in merito ad un virus
che lui e i suoi sodali al potere hanno trasformato in un flagello peggiore della peste,
dovremmo proseguire per altri lunghi mesi con il fardello di protocolli e di misure di sicurezza di dubbia utilità sul piano sanitario,
ma certamente piuttosto pesante su quello dei costi economici e sociali.

Costi sempre più proibitivi che prima o poi, andando avanti di questo passo, seppelliranno il sistema sotto una valanga di nuovi debiti,
mettendo in forte rischio la sostenibilità economica e finanziaria del sistema medesimo.



Sebbene appaia assolutamente devastante il messaggio che l’Italia manderebbe all’esterno, con la proroga dello stato d’emergenza,
per chi continua ad usare in senso totalmente strumentale il coronavirus tutto ciò passa in secondo piano.


Per questa gente priva di scrupoli, che ha sparso a piene mani un terrore sempre meno giustificato,
facendo riemergere nei più i peggiori istinti primordiali, il perdurare di una percezione di pericolo di massa
risulta del tutto funzionale ai loro obiettivi, politici e professionali che siano.


E poco importa se oramai da tempo i ricoveri e i decessi col Covid-19 bisogna andarli a cercare col lanternino,
considerando che ogni giorno in Italia muoiono quasi 2mila persone per altre cause.

Essendo riusciti a convincere un popolo in testa alle classifiche dell’analfabetismo funzionale
che oramai nel mondo ci si ammala solo di coronavirus,
costoro pensano solo di capitalizzare al massimo grado la loro riuscita manipolazione di massa.



Le elezioni in sette Regioni si approssimano, e farle svolgere nell’ambito di un buffonesco stato d’emergenza,
pensano i geni che occupano la stanza dei bottoni, non può che aumentare il proprio consenso.

Ma questo è ancora tutto da vedere.

Per quanto possiamo giudicare sprovveduti gli elettori italiani, non credo che si possa pensare di ingannarli a tempo indeterminato,
tenendo artificiosamente in vita una pandemia che, peraltro, nella maggior parte del territorio nazionale non si è quasi vista.

Alla fine, volenti o nolenti, la realtà delle cose il conto lo porterà pure a chi sta facendo del procurato allarme una professione.
 

Val

Torniamo alla LIRA
La Lega apre una sede a Roma.

Se ce lo avessero detto vent’anni fa, durante quelle incontrastate e tranquille estati che vedevano Umberto Bossi,
alle sorgenti del Po, in cui si scagliava contro la Capitale d’Italia e il suo sistema infetto, non ci avremmo creduto.

Che il Carroccio poi, a Roma, decidesse di piazzarsi in quella via delle Botteghe Oscure che ospitò,
per gentile dono di Alvaro Marchini, il Partito Comunista italiano, sarebbe sembrata fantascienza.

Ma Roma, che nel giro di un giorno – il 28 febbraio del 380 d.c. – passò dalla religione pagana a quella cristiana,
è già abituata a ribaltoni di questo tipo.

Certo che questa, anche nei romanzi fantasy, sarebbe stata difficile da prevedere.


È un ciclo che si chiude, nelle vie di questo quadrante storico, che vede nell’isolato accanto il Campidoglio,
storica sede municipale di Roma sin dall’antichità, e in quello accanto ancora Palazzo Venezia,
prima ambasciata austro-ungarica, e poi l’ufficio di Mussolini durante il ventennio.

E ancora: di fronte c’è quella via Caetani, tragicamente scolpita nella memoria della prima Repubblica,
dove il cadavere di Aldo Moro è stato rinvenuto all’interno di una Renault 4 rossa.

Il luogo, nelle feroci ma coltissime menti delle br non era scelto a caso.
Via Caetani si trova proprio a metà tra quegli ottanta metri – ottanta –
che dividevano la sede del Pci di Berlinguer da quelli della Dc di Piazza del Gesù.


E se è vero, come diceva Marx, che la storia si ripete prima come tragedia e poi come farsa,
questo luogo, agli albori della seconda Repubblica, ha infatti visto sparire d’improvviso il bianco e nero delle tragedie delle Brigate Rosse,
dei funerali di Berlinguer (il cui corteo partì proprio da qui) dei lunghi vertici tra Fanfani, Rumor, Zaccagnini e Forlani,
e della luce sempre accesa, notte e giorno, dal balcone di Piazza Venezia (il Duce lavora sempre, credevano i passanti alzando lo sguardo),
di tutto ciò che questi luoghi, racchiusi in pochi metri, hanno rappresentato in cinquant’anni di politica romana.


È così che oggi la Lega, non solo sceglie di aprire una sede nella ex ‘Roma ladrona’, ma proprio nella stessa via,
nel palazzo di fronte, di un luogo simbolo della sinistra che, in verità, era già stato profanato da un supermarket,
in luogo della vecchia redazione di Rinascita, fondata da Togliatti e settimanale ufficiale del Pci.


Ma se è vero, come è vero, che gli operai e i ceti più bassi votano Lega e che il Pd, soprattutto a Roma,
è divenuto il primo partito dell’alta borghesia allora, davvero, il cerchio si è chiuso.

E quanto meno gli operai torneranno a guardare a Botteghe Oscure come il loro punto di riferimento.

Forse Marx, su questo, aveva proprio ragione.
 

Val

Torniamo alla LIRA
In quest’estate di paradossi, di ex comunisti padani che diventano neocomunisti romani,
di Botteghe Oscure che cambiano marciapiede e di alleanze di amici lontani diventati vicini,
quell’amore scoppiato tra Romano Prodi e Silvio Berlusconi ovvero delle due icone di questa seconda Repubblica,
che pare non morire mai, è certamente il paradigma più interessante di una politica italiana risvegliatasi assai confusa dopo tre mesi di lockdown.


Se le elezioni del 1994, le prime con il maggioritario dai tempi di Mussolini,
segnarono definitivamente il sorgere di quella stessa classe politica che ancora governa il Paese.

Circa la nascita della terza Repubblica, pur annunciata più volte, non ne abbiamo avuto ancora notizia.


Prodi e Berlusconi sono stati gli unici leader a vincere le elezioni secondo i parametri moderni delle democrazie occidentali
ed a raccogliere, pur tra mille contestazioni, attorno alla loro leadership milioni di voti per le rispettive coalizioni:
consensi mai più visti, con numeri impossibili da raggiungere oggi per qualsiasi partito.

Per questo entrambi hanno puntato al Quirinale, e chissà, magari ci puntano ancora.


Certo è che questa sinergia attorno al Mes rivela quanto l’Italia stia sostanzialmente scivolando
verso posizioni eurocritiche ben diffuse, non solo nella Lega e nel M5S.

Il tutto mentre le vecchie forze dell’establishment un po’ per cultura, un po’ per appartenenza,
tendono invece a far fronte comune attorno al “partito di Draghi” o al “governo Ursula”,
sostenendo senza mezzi termini la necessità di una adesione da parte dell’Italia.

Ma questa unità di vedute tra l’ex leader del centrodestra e il Pd, la creatura voluta da Prodi dalle ceneri dell’Ulivo, non si esaurisce solo sul fronte economico.

Il sostegno alla Commissione europea della Von der Leyen per esempio, eletta, va ricordato, con i voti decisivi di parte del M5S.

Oppure sul necessario superamento, chiesto dall’Europa e dai paesi “falchi” della famigerata “quota 100”,
un passo indietro rispetto alla legge Fornero che, comunque la si pensi, allineava la legislazione previdenziale
a quella seguita da gran parte dell’Europa comunitaria.

Ed infine la libertà di impresa.

Si è spesso detto che al tempo del tandem Bersani-Letta, il Pd sembrasse molto più liberale
di quanto non fossero alcune forze politiche che del liberismo facevano il loro campione.


E poi, sullo sfondo, un doppio esperimento comunque già testato.

Il primo, un governo di larghe intese, quello Letta, la cui esperienza si esaurì sotto i colpi prima della sentenza di Cassazione
che condannò Berlusconi nel “processo Mediaset” e poi a causa delle mire renziane alla leadership del partito e del governo:

quell’”Enrico stai sereno” è rimasto celebre, forse ancor più dell’annuncio di ritirarsi dalla politica in caso di sconfitta al referendum del 2017.

Ma ancora, l’alchimia che potrebbe guidare questo nuovo patto tra Prodi e Berlusconi risiede su una convenzione costituzionale ormai superata:

la rielezione di un Presidente della Repubblica in carica.

Le condizioni che imposero la rielezione drammatica di Napolitano nel 2013, appoggiata da Bersani, Berlusconi, Monti,
sembrano pressoché le stesse di quelle che si porranno all’indomani della scadenza del mandato di Sergio Mattarella.

Una crisi economica devastante, un quadro politico frammentato, l’assenza di personalità di peso in grado di ricompattare il Parlamento,
il motore di questa Repubblica sempre più in panne.


Se davvero sarà Mattarella il successore di sé stesso, questo sarà un capolavoro proprio a firma di Prodi e Berlusconi

che, magari nominati subito dopo senatori a vita,

potranno così fregiarsi, assieme, di quel titolo di padre della Patria che entrambi hanno bramato ma che le divisioni feroci di quegli anni hanno negato a uno e all’altro.
 

Val

Torniamo alla LIRA
La decisione del Presidente turco Erdogan di riconvertire la Cattedrale di Santa Sofia a moschea
è la parabola della fine del cristianesimo e della vittoria dell’islam.

Erdogan è considerato un “musulmano moderato”, che sta reislamizzando la Turchia,
promuovendo la riesumazione del Califfato ottomano, finanziando la proliferazione delle moschee e la diffusione dell’islam in Europa e nel mondo.

Nel più assoluto rispetto dei musulmani come persone, dobbiamo avere l’onestà intellettuale e il coraggio umano
di mettere fuori legge l’islam come religione dentro casa nostra.

Anche gli italiani e gli europei che legittimamente la pensano diversamente da me, sappiano che siamo tutti sulla stessa barca:
o ci liberiamo tutti dall’islam o saremo tutti sottomessi all’islam

È successo in passato quando i musulmani hanno imposto con la violenza il loro potere sulle popolazioni cristiane nel Mediterraneo.

Succede ora sia nei territori dove i musulmani sono diventati la maggioranza della popolazione
sia in un’Europa scristianizzata dove gli stessi cristiani vendono le chiese ai musulmani per trasformarle in moschee.

Succederà sempre più in futuro ovunque nell’Occidente formalmente civilizzato ma sostanzialmente sottomesso,
vittima del relativismo che ha legittimato l’islam a prescindere dalla sua incompatibilità con le leggi, le regole e i valori di uno Stato di diritto e democratico,
precipitato nel baratro dell’odio di se stesso concependosi come l’incarnazione di tutti i mali del mondo,
razzismo, schiavismo, colonialismo e totalitarismo, da espiare mettendosi in ginocchio e cancellando la propria Storia.
La Cattedrale di Santa Sofia è l’emblema della fragilità del cristianesimo e dell’aggressività dell’islam.
Costruita nel 537 per volere dell’imperatore Giustiniano e della moglie Teodora
che desideravano farne la più grande chiesa del mondo, fu contesa dalle Chiese cristiane.
Gestita prima dalla Chiesa greco-cattolica, poi dalla Chiesa ortodossa che la trasformò in sede del Patriarcato di Costantinopoli,
mentre dal 1204 al 1261 i crociati la trasformarono in una cattedrale cattolica di rito romano.

Il 29 maggio 1453, dopo la presa di Costantinopoli da parte delle truppe islamiche ottomane
e la fine dell’Impero Romano d’Oriente, il Sultano Mehmet II, Maometto II, detto “Al Fatih”, Il Conquistatore”,
trasformò la Cattedrale di Santa Sofia in una moschea con l’aggiunta dei 4 minareti.

Il primo febbraio 1935 per volere di Mustafa Kemal Ataturk, il “Padre della Patria”, fondatore della Repubblica della Turchia su basi laiche,
la Cattedrale di Santa Sofia divenne un museo.

Il 10 luglio 2020 il Presidente Erdogan con un decreto presidenziale ha riconvertito la Cattedrale di Santa Sofia a moschea.

La decisione di Erdogan è arrivata appena un’ora dopo il verdetto con cui il Consiglio di Stato turco
ha annullato il decreto del 24 novembre 1934 di Ataturk che trasformava la Cattedrale di Santa Sofia in un museo.

Erdogan ha detto che questa decisione è un “diritto sovrano” della Turchia ed è già stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale.
Debole la denuncia della Chiesa ortodossa e ancor più tiepide le reazioni dell’Unesco,
che ha inserito la Cattedrale di Santa Sofia tra il patrimonio dell’umanità,
degli Stati Uniti e dell’Unione Europea. Finora non ci sono reazioni della Chiesa cattolica.
Il protagonista della riconversione di un luogo di culto cristiano fortemente rilevante trattandosi di una delle Cattedrali più antiche,
più grandi e più visitate al mondo, è un musulmano considerato moderato.

Erdogan non è considerato un terrorista o un estremista.

La Turchia è formalmente uno Stato laico e democratico, fa parte della Nato, del Consiglio d’Europa e vuole aderire all’Unione Europea.

Eppure Erdogan è l’artefice della reislamizzazione della Turchia, promuove la riesumazione del Califfato islamico turco-ottomano
anche con interventi militari in Siria, Iraq, Somalia, Libia e Qatar, è tra i più accesi finanziatori della proliferazione delle moschee in Europa e altrove nel mondo.

Ed è lo stesso Erdogan che nega l’esistenza di un “islam moderato” sostenendo che “l’islam è l’islam”.

Cari amici, stiamo toccando con mano la decadenza della nostra civiltà.

La causa è la nostra fragilità.

Come già accadde con l’Impero Romano d’Occidente, l’Europa laica e liberale sta collassando
non per la forza degli islamici o dei cinesi, ma per la propria intrinseca debolezza.

Siamo a un passo dalla morte non per omicidio ma per suicidio.
È arrivato il momento di riscattarci per salvaguardare il nostro inalienabile diritto alla vita, alla dignità e alla libertà.
Nel più assoluto rispetto dei musulmani come persone, dobbiamo avere l’onestà intellettuale e il coraggio umano
di mettere fuori legge l’islam come religione dentro casa nostra, all’interno del nostro Stato nazionale,
esercitando la nostra legittima sovranità, per preservare noi stessi e la nostra civiltà laica e liberale.
Non vogliamo fare la guerra ai musulmani o all’islam nel mondo, chi vuole praticare l’islam a casa sua è libero di farlo,
ma abbiamo il diritto e il dovere di difendere la nostra civiltà sia dai terroristi e estremisti islamici, sia dai “musulmani moderati” alla Erdogan.

Anche gli italiani e gli europei che legittimamente la pensano diversamente da me, sappiano che siamo tutti sulla stessa barca:
o ci liberiamo tutti dall’islam o saremo tutti sottomessi all’islam.

E dobbiamo agire subito.

Il tempo non è dalla nostra parte.

Magdi Allam
 

Val

Torniamo alla LIRA
Ferriera, ormai resta solo il nome lungo il viottolo che corre da via Balicco a via Porta.

I lecchesi delle generazioni che hanno vissuto la seconda metà del Novecento
se lo chiedono di fronte al totale cambiamento di una vasta area di città,
nella zona della ex ferriera Caleotto, dove si sono elevate le torri Meridiana,
progettate dal famoso Renzo Piano, mentre nella vicina ex Badoni
(azienda storica della carpenteria meccanica che ha portato Lecco nel mondo),
si sono alzate le costruzioni del Broletto.

Nella primavera 1896 venivano poste le basi per la ferriera del Caleotto, sorta per iniziativa di trafilieri lecchesi
che decisero di avere in proprio un centro di produzione vergella, senza dover ricorrere a mercati e fornitori lontani.

C'erano tutte le famiglie storiche del ferro lecchese, della vallata del Gerenzone ed oltre,
c'era il rag. Valentino Gerosa Crotta, per mezzo secolo vero "padrone della ferriera", direttore ed amministratore instancabile.

E' scomparso nel 1960, a 93 anni di età.

Viene ricordato nel parco Valentino ai Piani Resinelli, sperone boscoso del Coltignone,
donato al Touring dal figlio Antonio Gerosa Crotta.

La ferriera Caleotto è stata la cattedrale del ferro e del lavoro lecchese.


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Si alzava imponente, appena oltre la stazione ferroviaria ed il deposito convogli,
ai quali era collegata da apposito raccordo su binari per quotidiani movimenti di vagoni.

La ferriera raggiunse il suo massimo momento nel dopoguerra '45, con montagne di residuati bellici,
gettati nei forni divoratori, dai quali usciva il serpente di fuoco che al raffreddamento diveniva vergella.

Era uno spettacolo, nelle ore notturne, con il chiarore arancione dei forni lungo la confinante via XI Febbraio,
con il riverbero incandescente dei colori sui muri delle costruzioni vicine.

Un lavoro pericoloso che richiese delle vittime, come l'esplosione del settembre 1946, con due morti e numerosi feriti.
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L'addio alla Ferriera avvenne nel 1990: una cancellazione totale; l'ultimo simbolo a cadere è stato il serbatoio dell'acqua, alto 60 metri.

E' crollato nell'aprile 1991, davanti a telecamere e obiettivi fotografici, con un ciak quasi cinematografico,
presenti tanti cittadini trattenuti a distanza da un robusto cordone di forze dell'ordine.

E' stato praticamente "un attimo", quando il serbatoio si è afflosciato sulle gambe in un nugolo di polvere.

Era caduta anche l'ultima "bandiera" di una storica industria che ha marcato le vicende lecchesi del più intenso Novecento.
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Val

Torniamo alla LIRA
Qualche settimana fa Bill Gates, tipico rappresentante della barbarie culturale americana “aumentata”
e resa cieca dal potere e da livelli di ricchezza indecorosi, ha paragonato la lotta al Covid alla seconda guerra mondiale,
un parallelo demenziale dove il virus diventa Hitler e i vaccini e il controllo sociale informatico fanno la parte delle forze alleate.


E’ evidente che Bill non ha mai aperto un libro di storia in vita sua o se lo ha fatto non ci ha capito molto,
ma non rinuncia a utilizzare in maniera ancora più grottesca del solito la reductio ad hitlerum
che è l’artificio retorico fondamentale del Washington consensus:

tutto ciò che si oppone ai disegni delle élites occidentali diventa il male assoluto.

Tuttavia nello stesso editoriale dove il vaccinatore folle propone questo sconsiderato paragone,
fa un un esame e al tempo stesso un panegirico di tutti gli strumenti informatici e i finanziamenti privati disponibili per il “passaporto Covid”,
ovvero i certificati digitali sanitari destinati a dividere i sani dai “malati”, i puri dagli intoccabili
e questo per ogni virus presente e futuro, esistente o meno, creato o pompato.

Ora è difficile immaginare qualcosa di più vicino allo spirito del nazismo
ed alle tendenze eugenetiche di quel regime che sono diventate anche quelle delle attuali oligarchie del denaro.


Di ciò che pensa Gates potremmo anche infischiarcene da un punto di vista puramente intellettuale
vistata l’assoluta povertà dei contenuti e la consapevolezza appannata dal denaro che spinge fatalmente a giocare
con i destini altrui mostrando il volto della filantropia, ma non si può evitare il confronto con la nuova eugenetica che nasce dal controllo di massa.

Essa si fonda su una sorta di dittatura pseudoscientifica, come del resto l’eugenetica del secolo scorso:

non dimentichiamo che il manifesto per la razza dell’estate 1938 – ed era proprio luglio – si chiamava ufficialmente “manifesto degli scienziati per la razza”
a dimostrazione che la libertà della scienza è solo un concetto limite, qualcosa che si conquista ogni giorno,
ma che non è possibile dare per scontato, anzi non lo è quasi mai.

Oggi invece di dividere l’umanità a seconda del colore della pelle o dell’etnia
la si intende dividere in individui che accettano la perdita delle libertà fondamentali, ovvero i nuovi “sani”
e chi invece recalcitra avendo coscienza che questa ingegnerizzazione della società elaborata nei think tank neoliberisti
e negli incubi dei super ricchi spazza via la dignità, il lavoro ed il futuro per enormi masse di persone.


Il tutto si traduce anche in un neo maltusianesimo che del resto è un altro dei punti apertamente portato avanti da Gates.

Come egli concili la diminuzione di popolazione con la campagna vaccinale che dovrebbe avere lo scopo opposto è per ora un mistero,
ma temo che se non si riuscirà ad arginare il neonazismo sanitario di cui Gates è il Führer, lo scopriremo presto.

Chi pensa che la situazione che si è creata con l’assunzione di un virus modestamente patogeno in killer universale sia passeggera,
che si tornerà alla normalità e che i danni inflitti dalle misure di contenimento a seguito di una semplice sindrome influenzale potranno essere riparati,
è davvero un ingenuo:


proprio l’artificialità dell’allarme denuncia che ci sono poteri interessati a trasformare la crisi in stato permanente
e distruggere così ciò rimane della democrazia, sia pure ridotta a democratismo, come aveva previsto nello specifico Marcuse,
ma che tutta la scuola di Francoforte aveva previsto attraverso la pervasività dei media di massa,
che abituano le persone ad una ricezione passiva dei messaggi.


Finito un virus se ne farà un altro e poi un altro ancora, e se non basta verranno aggiunti sempre nuovi pericoli.

Ecco perché non bisogna farla passare liscia ai narratori della peste, perché la peste sono loro.
 

Val

Torniamo alla LIRA
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Grigna, Grignetta, Resegone, Bollettone: perchè le nostre montagne si chiamano così?

E’ davvero tutta la ridere la spiegazione che nei giorni scorsi Giovanni Storti, ha dato.
Una sorta di lezione di toponomastica che gronda di ilarità.

Dalla posizione privilegiata della cima del Monte Bollettone,
dalla quale si può godere di una vista mozzafiato sul lago e sulle vette lecchesi e comasche, Storti ha snocciolato perle di puro divertimento.

E allora si scopre che proprio il Bollettone deve il suo nome al fatto che
“c’era un rifugio molto importante dove l’energia elettrica arrivava e la bolletta costava un casino e hanno detto ‘Eh no, questo è un Bollettone’.
E allora hanno chiamato il monte così.

Infatti più avanti di là c’è il Bolletto perchè lì stranamente, per un errore fiscale, le bollette costavano poco.

E allora lì, quelli dell’altro rifugio, hanno detto ‘Qui è il Bolletto’, per attirare più gente”.

Grigna, Grignetta, Resegone

E che dire delle vette lecchesi per eccellenza?

Il nome della Grigna, secondo il comico “deriva da digrignare e siccome si fa molta fatica a salire sulla Grigna,
si digrigna, allora l’hanno chiamata così. E un po’ anche per la morfologia del territorio”.

La Grignetta dal canto suo deve il “diminutivo” al fatto… che “è un po’ più facile salire”.

Infine il Re.

“Se ci spostiamo a destra, c’è il Resegone. Resegone proprio perchè è fatto come una sega e ‘resega’ in milanese vuol dire segare;
‘te reseghet’ vuol dire ‘stai resegando’. E quindi per la sua forma è stato chiamato Resegone. E non per quello che pensate voi”.



Un video talmente divertente da essere stato condiviso centinaia di volte in rete (anche dal Governatore di Regione Attilio Fontana)
che dimostra, ancora una volta , il grande amore dell’attore per il nostro territorio
che aveva scelto proprio le nostre vette per un altro “corto” in occasione della Giornata dell’Ambiente 2020.
 

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