SOGNO UN MONDO SENZA ODIO E PREGIUDIZI, UN POSTO DOVE TUTTI SI AMANO E SI RISPETTANO. E TU? - (1 Viewer)

Val

Torniamo alla LIRA
In 3 giorni gli infettati sono aumentati del 50%

I deceduti .....pure.

E questi sono dati "ufficiali cinesi", ma saranno quelli veri ?

Per fortuna che è tutto sotto controllo..................
 

Val

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Austerity, siamo ancora in tempo per uscire dagli schemi imposti dal sistema?

C’è un modo per cambiare le cose o di ribellarsi senza per forza finire in pasto a leaders senza scrupoli, che ci portino a spasso e con la sola ambizione della carriera politica?

Viviamo accerchiati da meccanismi, atti a soggiogare e a indirizzare l’opinione di massa, che vengono utilizzati da tempo immemore.
Uno di questi è senz’altro la creazione a tavolino di correnti di pensiero e di azione contrapposti che producono il perpetuo scontrarsi di tifoserie opposte.
E ciò avviene indipendentemente dall’argomento in voga.

Qual è, se esiste, il modo per uscrire da questo loop?

Per quanto assurdo ciò accade con qualsiasi argomento che per un effimero istante fa discutere tutti come se fosse l’unica cosa di cui parlare.
E pazienza se si tratta di una news periferica.
Di tutt’altro peso è invece l’importanza di quel ventaglio di argomenti che influenzano le nostre vite.
E invece oggi più che mai pare non esserci differenza tra i dati della disoccupazione giovanile e la tutina indossata da un trapper sul palcoscenico di Sanremo.

Uno di questi argomenti che hanno impatti reali sulle nostre esistenze, è la cosiddetta austerity, ovverosia,
il ricettacolo di tagli trasversali che sta attraversando la spesa pubblica italiana e non solo.

L’austerity influenza il reale apprendimento dei ragazzi a scuola, la mobilità dei pendolari, l’accessibilità alle cure dei malati, la sicurezza di ponti, strade e ferrovie.
L’austerity, come ho più volte modo di ribadire, assieme a migliaia di altre voci, si è dimostrata decisiva nell’affossare definitivamente la nostra economia.

La subiamo quotidianamente, ne paghiamo le conseguenze ad ogni bolletta, su ogni prestazione sanitaria,
ad ogni dichiarazione fiscale, l’impatto dell’economia sull’ambiente, eppure di austerity non si parla più.


Sarà forse perché la maggior parte di noi ci si è abituato.
O forse abbiamo assorbito inconsciamente l’ossimoro dell'austerity espansiva.

Secondo questa teoria, smentita da studi scientifico-statistico-economici e dalla semplice osservazione della realtà,
il taglio della spesa pubblica dovrebbe favorire la riduzione del debito pubblico e la ripresa dell’economia, quindi del PIL.


Così su due piedi non ci sembra una contraddizione in termini e come potrebbe?
Detto così, come se fosse un fatto naturale, è come quando ci danno i risultati della serie A o ci annunciano le previsioni del tempo.
Sono fatti assodati e ineluttabili, c’è bisogno che esprimiamo un’opinione?
No, è così e basta!

La balla dell’austerity espansiva ci viene venduta mostrandoci dati reali sì, ma senza mostrarci da dove vengono e cosa li abbia prodotti.

Ciò che riusciamo ad osservare meno bene è il nostro atteggiamento di cittadini nell’abboccare a tesi farlocche
anche quando cozzano con la realtà facilmente osservabile all’interno del nostro portafoglio.

L’esempio che ho scelto, ovvero il tema dell’austerity, è assolutamente casuale, ma credo possa dimostrare efficacemente
come il sistema si prenda gioco di noi, o meglio, di come noi ci facciamo prendere gioco dal sistema.

Per questo esempio ho scelto due approcci leggermente diversi alla stessa notizia da parte dello stesso giornale.
La scelta stavolta non è casuale.
Serve a dimostrare come attraverso il sapiente uso della semantica sui social si possa confezionare una bufala tanto colossale quanto credibile.

Austerity-Portogallo.jpg

Il Portogallo va bene per merito dell’austerity?

I due titoli sono complemetari nel tentativo di creare la percezione che esista una buona austerity.
L’articolo di Euronews completa il lavoro sostenendo che l’esempio del Portogallo è virtuoso ed andrebbe preso da esempio dall’Italia.

Probabilmente il dato su cui Euronews tenta di fare leva è il seguente:

Portogallo-1.jpg


Il dato viene rappresentato in questa tabella con una serie di performance di bilancio positive.
Significa che il Portogallo dal 2016 al 2019 ha un bilancio positivo e quindi che non ha dovuto sforare il patto di stabilità con il famigerato deficit.
In altre parole il Portogallo ha dovuto spendere meno denaro pubblico, limitando la spesa e gli investimenti.
Per questo ha un bilancio positivo; perché ha risparmiato molto.
La media per questi anni è un “ragguardevole” +1,57% sul PIL!

Ciò che Euronews e supponiamo anche molti altri, scordano di mostrarci, è il fatidico lato sinistro del grafico, cioè la parte che riguarda il periodo precedente, questo:

Portogallo-2.jpg

Bilanco del Portogallo dal 2008 al 2019.

Stiamo parlando degli anni della crisi, che vanno dal 2008 al 2015,
in cui il Portogallo ha accumulato un deficit medio del -6,78% sul PIL, per ben otto anni di fila, con picchi del -9,8% e del -11,2%!
E ci siamo limitati soltanto all’ultimo periodo, post boom della crisi.

Ne deriva che secondo Euronews la ricetta va ricercata nei tagli prodotti dal 2016 al 2019 e non nella spesa pazza del decennio precedente.

E già che ci siamo, visto che si parla sempre più spesso anche dell’Irlanda come nuovo faro da seguire,
agevoliamo la panoramica sullo stesso periodo; così ci prendiamo avanti con il lavoro:

Portogallo-3.jpg

Deficit di Irlanda e Portogallo.

Stando alla vulgata mainstream, il pareggio di bilancio o addirittura il surplus di bilancio, insomma sarebbe più che sostenibile.
Anzi, persino salutare.
Infatti il PIL di questi ultimi anni di Irlanda e Portogallo ce lo starebbero dimostrando, giusto?

È così che vogliono farci credere che i tagli servano a rilanciare l’economia.
Se c’è una cosa che, nonostante il genere umano abbia scavalcato la linea del ventesimo secolo, non accenniamo ad abbandonare, è la creduloneria.

Sembra assurdo come, nonostante i progressi della scienza e della tecnica, la massa continui a preferire accodarsi ad un leader o al guru di turno,
piuttosto che conoscere almeno le basi del mondo che la circonda, se non già sé stessa né individualmente, né collettivamente.

Se invece imparassimo a maneggiare le informazioni – che ci sono –
o disponessimo di un modo semplice per memorizzare la fotografia della realtà, potremmo finalmente rispondere:

“OK, ma se un esempio vitruoso deve essere seguito, allora che venga fatto fino in fondo.
Va bene l’austerity, ma prima ci date dieci anni di investimenti fuori misura!”


Riesci ad immaginare cosa potrebbe fare l’Italia se le venisse concesso di fare deficit medio del -8,65% per 10 anni di fila, come l’Irlanda o del -6,78% come il Portogallo?

Cosa potrebbero ribattere giornalisti, politici e “guru” della tuttologia?
 

Val

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Oramai il vittimismo impera: prima l'invidia, poi l'odio.
Chi ti nega la precedenza agli incroci ti odia,
chi protesta con i privilegi medioevali dei nostri burocrati, li invidia.
Invece il difetto più diffuso tra gli italiani è l'ipocrisia, di cui i pidioti sono il prototipo umano più sfacciato ed ostentato.
Ma gli ipocriti, tolleranti con le proprie, non sopportano le malefatte altrui.
Il vero Sanremo è morto da tempo , la canzone italiana non esiste più , i cantanti fanno schifo e per fare audience devono ricorrere ai settantenni..........
Caro Fiorello adesso sai cosa si prova al posto di Salvini...

È da poco passata l'una del mattino di giovedì 6 febbraio ed è ancora in corso la seconda serata del festival di Sanremo,
quando Tiziano Ferro sale sul palco dell'Ariston per la sua esibizione.

Il cantante di Latina aveva già cantato qualche ora prima con Massimo Ranieri, interpretando con lui una bellissima versione di Perdere l'amore.
Mancava ancora il medley dei suoi successi, un momento molto atteso dai fan di Tiziano Ferro.

Le lunghe ore di attesa in camerino devono aver snervato il cantante di Latina che, al termine della sua esibizione,
ha provato a fare una battuta con una frecciatina simpatica ma non troppo velata:

"Ama è l’una, vogliamo fa’ qualcosa domani? Hashtag #Fiorellostattezitto."

Il pubblico a casa è scoppiato in un'ovazione social per Tiziano, che ha riconosciuto l'effettiva durata esagerata della serata.

Giovedì sera. Uguale. "Niente, anche stasera sono stato posizionato in scaletta dopo mezzanotte."

"Non è giusto darmi del permaloso come se mi fossi arrabbiato per nulla, accetto le critiche,
accetto che si dica che non faccio ridere, qualunque cosa, ma Tiziano Ferro ha fatto una cosa che non si fa",
ha sbottato Fiorello, che poi ha spiegato che cosa gli ha dato maggiormente fastidio del comportamento del cantante:

"Dopo che ha lanciato sul palco l'hashtag #fiorellostattezitto, ho ricevuto insulti tremendi per 24 ore.
Tu lanci un hashtag dal palco di Sanremo e sai cosa scateni, come se poi fosse colpa mia se ci sono 50.000 ospiti e si fa tardi la sera.
Noi parliamo tanto di cyberbullismo e non valutiamo le conseguenze? C'è un vigile che si è suicidato in questi giorni per gli attacchi sul web."

"Vatti a leggere i commenti: 'Devi morire perché il nostro Tiziano deve cantare, 'Merda, è lui la star!'
Lui lancia un hashtag, lo immagina che i suoi fan lo seguiranno e mi insulteranno. Ha fatto una cosa grave.
Ha lanciato una campagna d'odio nei miei confronti, questo devi dirlo, non puoi ignorarlo."

Lo showman afferma che non avrebbe voluto cavalcare la polemica ma si è sentito ferito dal comportamento di Tiziano Ferro
: "Forse è sbagliato chiamare i giornalisti, io non la volevo questa polemica, non mi interessa,
ma non posso passare per permaloso per questo, è una cosa troppo seria.
Se non volevi allora dopo ti deve dispiacere, perché scateni violenza, abbiamo responsabilità nei confronti dei nostri figli,
c'è gente debole, che si butta dalla finestra, io sono io, a me non me ne frega niente, però c'è chi non regge.
Tiziano deve capire, deve crescere anche lui. Io sono stato male per gli insulti."
 

Val

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Ecco servito lo scontro – via Twitter – tra Nicola Zingaretti e Giorgia Meloni.
Il segretario del Partito Democratico e la leader di Fratelli d'Italia hanno battibeccato commentando l'uscita di Luciana Lamorgese delle scorse ore.

La titolare del Viminale ha evidenziato quella che sarebbe un'emergenza per colpa dell'intolleranza:
"Sono piuttosto preoccupata dai gesti di odio, poiché indicano un'emergenza e un fallimento".
"Un'emergenza culturale e civile, che mette in discussione le ragioni stesse del nostro stare insieme", ha specificato.

Il punto di vista della Lamorgese non è stato condiviso dal capo politico di FdI, che ha voluto replicare a stretto giro:

"Nessuna emergenza odio in Italia. Tanto meno razzismo. Se c'è un'emergenza odio allora la responsabile del Viminale dovrebbe rivolgersi al Movimento Cinque Stelle
che la sostiene e che fomenta l'odio sociale e politico fin dalla sua nascita. In Italia c'è un'emergenza lavoro, c'è un'emergenza disoccupazione".

Ecco, oggi la Meloni è stata attaccata da Zinga: "In Italia non c'è un problema di odio?
Cara Meloni, vai a dirlo a chi è sopravvissuto ad Auschwitz e ora deve girare con la scorta
o a chi ha paura di esprimere le proprie idee o di essere se stesso. Il silenzio è complicità".

E tanto pronta quanto secca è arrivata la risposta della diretta interessata:

"Governate con odiatori seriali 5 Stelle,
tacete sulle violenze dei centri sociali,
andate a braccetto con le sardine (il cui odio organizzato puoi leggere sui social)
e con chi organizza convegni giustificazionisti sulle foibe
e vorreste dare lezioni? Non ne avete la statura…".


:ola::ola::ola:
 

Val

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Da Vauro a Lerner,
da Toscani a Rubio,
dai Centri Sociali all'ANPI

l'odio dilaga, sempre e solo a senso unico.

La sinistra ormai non esiste se non insulta ed attacca gli avversari.

I Cinque stelle invece non esistono proprio più ma continuano a voler imporre al Paese le loro follie.

E questa gente pretende pure di dare lezioni di etica.

E la Meloni fa la figura del gigante di fronte ad un gregge di nani.
 

Val

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Sempre a proposito della "democrazia" sbandierata a destra e manca dalla sinistra.
Solo quando interessa loro,però.
Ecco cosa succede qui da noi. Una contromanifestazione per limitare la libertà di fare politica.
Bell'esempio...........

Salvini arriva a Lecco: contromanifestazione delle Sardine.

"Il 27 febbraio in occasione dell’arrivo di S*****i in città ribadiamo tutti insieme: Lecco non si Lega”.

Questo l’invito, appello, annuncio, pubblicato oggi sul gruppo facebook delle Arborelle, ovvero le sardine di Lecco.
Al momento sono pochi i dettagli (sul gruppo si chiarisce che l’evento che sta prendendo forma verrà illustrato in seguito),
come del resto sono scarse le notizie in merito al comizio di Salvini (ora e luogo).
In rete è un continuo tam tam di proposte e adesioni ad una eventuale contromanifestazione che di fatto oggi è stata ufficializzata.
 

Val

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Ma quant’è fresca l’aria che, secondo alcuni soloni, le Sardine avrebbero soffiato su una sinistra asfittica e rinsecchita?

Il mistero non è per niente fitto.

Perché l’aria prodotta dalle Sardine non è assolutamente nuova, ma è quella che da sempre la sinistra tira fuori quando si trova in difficoltà e cerca di reagire per tentare di sopravvivere.

È l’aria della criminalizzazione politica, morale ed umana del nemico del momento bollato come un pericoloso eversore della democrazia.

Questa aria è stata gettata contro De Gasperi, Tambroni, Segni, Leone, Cossiga, Craxi, Berlusconi ed è stata riesumata per colpire oggi il tanto temuto Matteo Salvini.

Non è l’aria ad essere fresca, allora.

Sono i soloni che la considerano tale, a risultare fresconi!

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Val

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Ennesima sceneggiata del Movimento 5 Stelle, chiamato alla protesta di piazza da Luigi Di Maio, un leader politicamente dimezzato che proprio non ci sta a tornare nel grigio anonimato.

In più, mi permetto di aggiungere, nella surreale iniziativa dei grillini, oramai al timone del Paese da quasi due anni,
intravedo una sorta di frustrazione nei confronti di quella dannatissima realtà che proprio non ne vuol sapere
di venire incontro ai desiderata di questi scappati di casa di talento prestati alla politica.

Ed è probabile che il popolo italiano, per quanto agli ultimi posti quanto analfabetismo funzionale,
al fin della licenza interpreti esattamente in questo modo l’iniziativa ispirata dall’ex capo politico dei pentastellati:
un vero e proprio fallo di frustrazione, tanto per usare una metafora calcistica, contro un destino cinico e baro che non ne ha mandata loro neppure una dritta, come si suol dire.

A cominciare dalla catastrofe del famigerato reddito di cittadinanza, il quale non ha prodotto neppure un posto di lavoro ma solo una ulteriore voragine nei conti pubblici.

Per non parlare del caos generato nel settore già molto critico della giustizia, a causa della sciagurata legge che abolisce la prescrizione dopo il primo grado di giudizio,
sostenuta a spada tratta da un impresentabile Alfonso Bonafede.

E poi la lunga sequela di nuovi e vecchi dossier economico-infrastrutturali, con in testa la farsa del ritiro della concessione autostradale ad Atlantia
a cui aggiungere il nodo della Tav, i casi Ilva, Alitalia, Banca Popolare di Bari ed una miriade di crisi aziendali a cui si è fatto fronte con sterili annunci e chiacchiere da bar.

Sul decreto dignità poi, fiore all’occhiello dell’attuale ministro degli Esteri, sorvoliamo per pura carità cristiana,
limitandoci a segnalare che i nodi stanno venendo al pettine, con l’Istat che sta cominciando registrare la moria dei contratti a termine,
a seguito delle “geniali” restrizioni fortemente volute dall’enfant prodige di Pomigliano d’Arco quando si trovava al ministero dello Sviluppo economico.

Ovviamente, contrariamente a chi segue la politica nei dettagli, il cittadino medio non è in grado di avere un quadro esauriente dei disastri fin qui realizzati dagli onesti a 5 Stelle.

Egli però riesce perfettamente a percepire in grandi linee il colossale fallimento di una forza politica che aveva creato così tante aspettative,
raccontando la favola eterna del partito degli onesti e capaci per definizione, così miseramente naufragate al cospetto della prova dei fatti.

Il calo verticale dei consensi registrato senza soluzione di continuità dai grillini ne rappresenta la prova inconfutabile.

Per questo motivo nessuna piazza potrà mai risollevare le sorti dei populisti a 5 Stelle.

Questi ultimi campioni nel proporre, dai banchi dell’opposizione, soluzioni semplicistiche, per non dire ridicole, a problemi assai complessi,
ma totalmente somari nel governare la complessità di un Paese il quale, già prima del loro sciagurato arrivo nella stanza dei bottoni, non era certamente ben messo.

In tal senso l’unico merito, se così lo vogliamo definire, che può essere assegnato loro
è quello di aver in qualche modo vaccinato un buon numero di elettori in merito all’ideologia tossica del qualunquismo che si fa Stato.

Soprattutto il qualunquismo arrogante espresso ancora oggi dai principali esponenti di una forza politica praticamente in fase di estinzione.

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Val

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Continua il duello tra Matteo Renzi e i Cinque Stelle sulla cancellazione della riforma grillina della prescrizione.

Se fosse un film sarebbe: “Gioventù bruciata”, il capolavoro hollywoodiano degli anni Cinquanta diretto da Nicholas Ray e interpretato da James Dean.

Precisamente, sarebbe la scena cult del “Chicken run”, la corsa di due automobili lanciate verso il vuoto.
Vince quello dei due conducenti che si scaraventa per ultimo dall’abitacolo prima del precipizio;
quello invece che abbandona per primo è il “pollo” del gioco.
Nel film a uno dei due, Buzz Gunderson interpretato da Corey Allen, resta la manica della giacca impigliata nella maniglia della portiera.
Un imprevisto che gli costa la vita.

Ora, non è che Matteo Renzi sia James Dean redivivo, anche se al culmine del suo delirio di onnipotenza
girava per gli studi televisivi con un giubbotto di pelle in stile “Fonzie” di “Happy days”.

Più a suo agio, invece, potrebbe trovarsi il ministro grillino della Giustizia Alfonso Bonafede nei panni di Buzz Gunderson, il capo della banda degli sfaccendati di “Gioventù bruciata”.
Comunque, la polemica tra i due sulla prescrizione, che ogni giorno si alza di un grado sulla scala Fahrenheit, è un po’ la “corsa del pollo” del film.
Se in “Gioventù bruciata” la deadline è l’orlo del precipizio, nella cronaca politica nostrana è la rottura della maggioranza parlamentare che sostiene il “Conte-bis”.
In teoria, nessuno dei due contendenti dovrebbe desiderare di arrivare fino in fondo alla sfida col rischio di precipitare nel vuoto.
Tuttavia, nella realtà, come nella finzione cinematografica, l’imprevisto è sempre dietro l’angolo.
E un duello “macho” tra due poco di buono finisce in tragedia. Per chi ci lascia le penne e per chi sopravvive.
Restando sul filo narrativo del film, la precarietà della condizione umana di giovani che hanno smarrito la bussola valoriale
non è compensata dal nichilismo autodistruttivo al quale si abbandonano inseguendo un falso senso di liberazione dagli stereotipi sociali.
Al contrario, li porta a “bruciare” l’esistenza in un inferno terreno fatto d’inutilità e di frustrazione.

Posto che la vita non è un film, non vi sembra però che la querelle che tiene impegnata l’attenzione dei media in questi giorni somigli parecchio al film?
Renzi e Bonafede e, dietro di loro, le rispettive tifoserie si sono dati alla prova di forza sulla prescrizione.
L’ex rottamatore si sente sicuro di piegare i grillini, al punto da confidare ieri a Maria Teresa Mieli del “Corriere della Sera”:

“...Sia chiaro, io non ho nessuna intenzione di mettere in crisi il governo, però Bonafede deve mollare.
Non sarà oggi, non sarà domani, ma lui questa battaglia la perderà. Al Senato non ha la maggioranza.
Io su questo sono tranquillo, anche se mi dipingono come uno che urla e minaccia...”

Alfonso Bonafede replica allo sfidante dandogli della marionetta che si farebbe scrivere i testi sulla giustizia da Matteo Salvini e Silvio Berlusconi.

Per entrambi la questione è divenuta identitaria. Chi molla per primo non perde solo la faccia ma anche la propria ragione d’essere.
Renzi e i suoi si sono intestati la battaglia garantista, anche se nel vissuto quotidiano il garantismo lo praticano a singhiozzo;
i grillini sono cresciuti nel mito giustizialista della galera per tutti i colpevoli di reati e anche per coloro che di quei reati sono soltanto indiziati.

Come giungere a una sintesi? Abissali le differenze perché si possa immaginare una rattoppatura che plachi i bollenti spiriti dei duellanti.
È come nel film, qualcuno dovrà saltare giù per primo dall’auto in corsa dando la vittoria all’altro.

Se la riforma della prescrizione entrata in vigore dal 1 gennaio di quest’anno verrà sospesa
in previsione di essere ridefinita nell’ambito di una più compiuta revisione del processo penale,
come propone la parlamentare di Italia Viva Lucia Annibali, avrà vinto Renzi e Bonafede e i grillini
avranno perso la faccia dovendo ammettere che pur di restare avvinghiati alle poltrone sono costretti dagli alleati
a rimangiarsi tutte le grandiose idee del loro repertorio, come è già accaduto per la Tav Torino-Lione,
per il gasdotto trans-Adriatico a Melendugno (Tap), per l’ex-Ilva di Taranto e per molte altre questioni.

Se, viceversa, i Cinque Stelle tengono il punto e Italia Viva per non assumersi la responsabilità di far cadere il Governo si allinea alla riforma Bonafede,
sia pure nella versione modificata con qualche ritocco di facciata, il gioco corsaro dell’ex rottamatore verrà clamorosamente sbugiardato
e al suo artefice non resterà che andarsi a cercare un posto sconosciuto dove nascondere la faccia perché da quel momento in avanti nessuno lo prenderà più sul serio.

Al momento, niente è deciso se non il giorno-limite del precipizio oltre il quale si spalanca il vuoto.

La data è quella del 24 febbraio quando è previsto il ritorno in Aula a Montecitorio della proposta di Legge del deputato di Forza Italia Enrico Costa,
che prevede la cancellazione della riforma Bonafede sulla prescrizione.

Renzi da tempo ha minacciato gli alleati che, in caso di mancato accordo in seno alla maggioranza, i suoi avrebbero votato la proposta del forzista Costa, insieme all’opposizione.

E i “dem”? Si accodano ai Cinque Stelle, cercando nel frattempo di tirare il premier Giuseppe Conte per la giacchetta
nella speranza che estragga dal cilindro del prestigiatore un compromesso conveniente per entrambi i contendenti.
In fondo, lui è il principale interessato a che non si arrivi sul ciglio del burrone visto che a saltare per prima sarebbe proprio la poltrona di presidente del Consiglio.

Le componenti della destra plurale, per ora, si godono la scena.
Se uno dei due o magari entrambi i duellanti si facessero del male perché dispiacersi?
Se questa particolare “gioventù bruciata” che sta deprimendo il nostro vissuto quotidiano si precipitasse nel vuoto farebbe un favore agli italiani.

Cinici, odiatori? No, pragmatici. Giacché siamo immuni dal morbo del buonismo ipocrita,
siamo liberi di non desiderare lunga vita per questo Governo demo-penta-renziano, politicamente pericoloso,
istituzionalmente raccogliticcio e moralmente abusivo.

A differenza degli estimatori del messaggio culturale contenuto in “Gioventù bruciata”
non siamo tenuti a subire la drammatizzazione di pretestuose contrapposizioni ideali come se fosse
“il grido di una gioventù che ha bisogno di qualcuno che sappia volergli bene”.

Sarà un nostro limite ma a Renzi e a Bonafede, come alle loro rispettive compagnie di giro, proprio non riusciamo a voler bene.
 

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