SE CONTINUA A PIOVERE, DOVRO' SPRUZZARMI LO SVITOL AL POSTO DEL PROFUMO (1 Viewer)

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Torniamo alla LIRA
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La banca luganese BSI ha effettivamente violato la legge a più riprese, nell'ambito delle sue attività con il fondo sovrano della Malaysia 1MDB,
ma la confisca del presunto utile illecito di 95 milioni di franchi operato dalla Finma non è corretto, perché non si capisce come sia stato stimato.

Lo ha stabilito il Tribunale amministrativo federale (TAF). A meno di ricorsi, il caso torna quindi alla Finma.

Tra il 2011 e il 2015 BSI ha ripetutamente trasgredito alle normative sul riciclaggio di denaro
e a quelle sulle banche nell'ambito del caso di corruzione concernente 1MDB, scrive il TAF in un comunicato diffuso ieri sera.
Vi sono state anche gravi violazioni di disposizioni di vigilanza, sia nei confronti della filiale di Singapore, sia attraverso operazioni proprie.

Il 23 maggio 2016 l'Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari (Finma) aveva disposto quindi la confisca dell'utile
indebitamente realizzato in queste attività, valutato a 95 milioni di franchi. BSI ha interposto ricorso.

Il TAF conferma le gravi violazioni delle norme di vigilanza da parte dell'istituto, ritenendo tuttavia "incomprensibile"
la stima che porta alla somma in questione. Secondo i giudici il calcolo non è stato effettuato in modo corretto.

Fra le altre cose, la corte ricorda che una confisca può corrispondere solo all'utile effettivamente realizzato in grave violazione di disposizioni legali.
La Finma però motiva in parte i 95 milioni con la rinuncia da parte sua a un'altra confisca,
in relazione a un caso di corruzione coinvolgente la clientela brasiliana dell'ex Banca della Svizzera italiana.

Secondo il TAF, non è chiaro il motivo per cui l'autorità federale abbia effettuato una sorta di compensazione tra due vicende invece di procedere a calcoli precisi.

Il TAF ha così parzialmente accolto un ricorso di BSI e ha rinviato la decisione impugnata alla Finma.
Contro la sentenza è comunque ancora aperta la strada del ricorso al Tribunale federale di Losanna.

Come noto la BSI - sciolta per ordine della Finma - è stata rilevata nel 2016 dal gruppo bancario zurighese EFG.
Quest'ultimo in una nota odierna fa sapere che la decisione del TAF non ha influsso sul risultato finanziario della società.
 

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Non male come idea. Si dovrebbe fare un calcolo anche da noi.

L’iniziativa sulla microtassa sulle transazioni commerciali digitali è, secondo il Forum Alternativo, «un’occasione imperdibile da cogliere».

Per il movimento politico di sinistra le ricadute di una tale decisione sarebbero «enormi» e positive:

«Andando a tassare la gigantesca massa di soldi oggi non soggetta ad alcuna imposizione, la popolazione svizzera avrebbe enormi benefici.
Non solo sparirebbe la tassa meno sociale esistente, l’Iva, ma la collettività potrebbe avere a disposizione ogni anno fondi ingenti
per finanziare concrete politiche urgenti ambientali o sociali d’interesse comune».

A beneficiare della fine dell'imposta sul valore aggiunto sarebbero anche le piccole e medie imprese.
«L’artigiano ad esempio, oltre che finanziario per l’acquisto o la vendita del suo prodotto, avrebbe un fastidio burocratico in meno legato all’Iva».

Cento miliardi per la collettività - Una stima prudenziale valuta a 100mila miliardi di franchi le transazioni digitali annuali in Svizzera.
Per transazioni digitali s’intendono tutti quei pagamenti effettuati via internet.

Introducendo una micro tassa dell’0.1% sui pagamenti digitali e prendendo per buona la cifra prudenziale,
ogni anno la collettività incasserebbe 100 miliardi di franchi.

«L’iniziativa - ricorda il Forum Alternativo - prevede che col ricavato della microtassa,
si abolirebbe l’Iva (23 miliardi l’anno),
le imposte federali dirette (22 miliardi)
e la tassa di bollo (2 miliardi).

La cinquantina di miliardi restanti sarebbero destinati a risolvere le priorità collettive.
Se approvata, l’iniziativa ridistribuirebbe l’enorme ricchezza in circolazione che oggi sfugge all’imposizione».

L'industria finanziaria nel mirino - Gran parte del ricavato dei 100 miliardi della microtassa, continua il movimento,
«arriverebbe dall’industria finanziaria, che d’industria non ha nulla, essendo pura speculazione.
Sapevate che le grandi banche o hedge found giocano al casinò borsistico enormi capitali speculando sull’acquisto
e la vendita di milioni di azioni in transizioni digitali che durano microsecondi?
Operazioni in cui la velocità è tutto e possibili solo grazie a supercomputer in grado di svolgere operazioni in microsecondi,
dove i grandi speculatori si portano a casa profitti creati dal nulla, da soldi su soldi».

«Demonizzeranno l'iniziativa» - Il Forum Alternativo non si fa illusioni, la strada sarà in salita:
«L’uno per cento della società elvetica che trae vantaggio dalla speculazione finanziaria, farà di tutto per demonizzare l’iniziativa e terrorizzare le persone.
Nulla di nuovo, è una trama già vista molte volte in questo Paese».

Per prepararci a combatterli con argomenti solidi e contribuire alla raccolta di firme dal Ticino ,
il ForumAlternativo insieme ad altre organizzazioni avrà una prima riunione informativa con il comitato direttivo dell’iniziativa, lunedì 9 dicembre.
«Questo sarà solo il primo passo verso la concretizzazione di una riforma fiscale epocale finalizzata al bene collettivo e non di un’infima minoranza» conclude il Forum.
 

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Sempre più morti nel mondo a causa del morbillo: nel 2018 si stimano 142'300 decessi e 9'769'400 casi, contro 124'000 morti e 7'585'900 casi nel 2017.

L'ultimo bilancio arriva dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ed i Centers for desease control (Cdc) statunitensi:
i più colpiti sono i bambini sotto i 5 anni e la minaccia è più forte in Africa e nei Paesi poveri ma la lotta alla malattia resta una «sfida globale»,
con i casi in crescita anche in Usa ed Europa. La copertura vaccinale a livello globale è «inadeguata e insufficiente per prevenire nuovi focolai», avverte l'Oms.

La vaccinazione anti-morbillo, è il monito dell'Oms, non ha ancora raggiunto un livello adeguato:
per proteggere le popolazioni dalla malattia è infatti necessaria una copertura pari al 95% con le due dosi di vaccino in ogni Paese.
E se i Paesi più poveri sono maggiormente colpiti, la lotta al morbillo resta una «sfida globale enorme».

Nel 2018, infatti, i Paesi con la più alta incidenza di morbillo, sono stati Repubblica democratica del Congo,
Liberia, Madagascar, Somalia e Ucraina, che insieme hanno totalizzato circa la metà di tutti i casi di morbillo a livello mondiale.

Ma la situazione è grave anche negli Stati Uniti, dove il numero di casi è in costante aumento, ed in Europa:
proprio 4 Paesi Ue, ovvero Albania, Repubblica Ceca, Grecia e Gran Bretagna,
hanno perso nel 2018 lo status di Paesi morbillo-free per la ricomparsa di focolai per periodi prolungati.
 

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L’allarme era stato lanciato da Francia e Italia, poi è arrivata l’Austria e ora anche la Gran Bretagna.
E si può star tranquilli che non finirà qui.

Nel mirino ci sono i colossi del web che riescono ad eludere le tasse e che,
sfruttando ogni cavillo possibile, riescono a risparmiare miliardi e miliardi di dollari.

Quanto? Secondo Fair Tax Mark, l’organizzazione britannica che certifica la buona condotta fiscale delle aziende,
i “Silicon Six”, come vengono chiamati dalla stampa americana Amazon, Apple, Facebook, Google, Microsoft e Netflix,
hanno eluso tasse per più di cento miliardi di dollari dal 2010 al 2019.

Come ci siano riusciti è oggetto di studio tra detrazioni, incentivi, sconti e altri meccanismi di trasferimento contabile.
Le aziende tendono a spostare i ricavi e la liquidità in paesi con aliquote fiscali più contenute.

La maggior parte delle detrazioni secondo i ricercatori «quasi sicuramente avviene fuori dagli Usa»,
soprattutto in paradisi fiscali come le isole Bermuda ma anche come l’Olanda, l’Irlanda e il Lussemburgo.

Nella top-six di chi riesce a pagare molto meno del dovuto, stando a questo rapporto, al primo posto c’è Amazon,
che ha pagato il 24% di quello che aveva accantonato, solo $ 3,4 miliardi di imposte sul reddito in questo decennio (circa il 12,7%).

Il secondo peggior pagatore di tasse è Facebook, il social network gestito da Mark Zuckenberg .

Terzo, sempre secondo il rapporto, è il motore di ricerca Google, seguito da Netflix, poi da Apple,
che resta «il più grande contribuente del mondo», avendo pagato $ 93,8 miliardi di imposte sul reddito in questo decennio
(anche se con profitti di $ 548,7 miliardi e entrate di $ 1'888 miliardi) .

Infine c’è Microsoft, che tra i sei è quella che ha pagato più tasse in proporzione agli accantonamenti, ovvero un tasso di cash tax pari al 16,8%.

Google e Amazon hanno subito replicato asserendo che non viene considerato il complicato sistema fiscale internazionale attualmente in vigore.

L’aliquota fiscale effettiva globale dal 2010 al 2018 – secondo Amazon – è stata mediamente del 24%,
quindi Amazon non è stata né «dominante» né «non tassata».
Il colosso, inoltre, insiste anche sulle migliaia di posti di lavoro che crea in tutto il mondo.

Web Tax: soluzione reale o miccia per una guerra commerciale?

Come risolvere questa situazione? La via d'uscita condivisa da diversi paesi dell'Unione Europea è solo una, e si chiama Web tax.

Dopo l'ipotesi ventilata dalla Francia anche Italia e Austria stanno ventilando la possibilità di applicare un balzello ad hoc per i colossi hi-tech.

È un'idea che però preoccupa le autorità Usa.
In primis Donald Trump che ora minaccia una nuova guerra commerciale con Bruxelles basandosi sul fatto che questa imposta
«discrimina le società statunitensi, è incoerente con i principi prevalenti della politica fiscale internazionale e rappresenta un onere insolitamente gravoso per le società colpite».

Sulla questione, anche Bruxelles ha preso posizione: l'Unione europea
«agirà e reagirà con una sola voce e rimarrà unità, ci stiamo coordinando con le autorità francesi sui prossimi passi»,
ha riferito Daniel Rosario uno dei portavoce della Commissione Ue.

La guerra del web, forse, è appena iniziata.
 

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Ma da noi si accetta il MES, distruttivo del risparmio (non dimentichiamolo mai. Cifra al netto delle tasse che paghiamo) degli Italiani.
 

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L'Agente della Riscossione può indifferentemente notificare la cartella di pagamento in via telematica
allegando al messaggio PEC un documento informatico oppure mediante una
copia per immagini su supporto informatico di documento in originale cartaceo (la c.d. "copia informatica").

Inoltre, nessuna norma di legge impone che la copia su supporto informatico della cartella di pagamento in origine cartacea,
notificata dall'agente della riscossione tramite PEC, venga poi sottoscritta con firma digitale.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, quinta sezione civile, nell'ordinanza n. 30948/2019 (sotto allegata),
respingendo il ricorso di una società che aveva impugnato una cartella di pagamento, relativa ad accise, notificatagli telematicamente all'epoca da Equitalia.

In particolare, la società assumeva l'inesistenza della predetta notifica, in quanto avvenuta a mezzo posta elettronica certificata,
e riguardante una cartella in origine in formato cartaceo che era stata copiata per immagini su supporto informatico.

Una doglianza che la Cassazione ritiene di respingere.
Richiamata la disciplina normativa in materia, gli Ermellini precisano che la notifica della cartella di pagamento può avvenire,
indifferentemente, sia allegando al messaggio PEC un documento informatico, che sia duplicato informatico dell'atto originario (il c.d. "atto nativo digitale"),
sia mediante una copia per immagini su supporto informatico di documento in originale cartaceo (la c.d. "copia informatica").
 

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Noi - contribuenti - quando facciamo qualcosa dobbiamo seguire delle modalità ben precise e vincolanti,
anche quando sono inutili, dispendiose, futili e .......firmare.
Loro, no. Loro possono inviarti una fotocopia - perchè di questo si tratta - così, come viene,
possono anche inviartela sbagliata. Chi li può contraddire ?
 

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Cornuto e mazziato.....ed in pratica - finale di sentenza - se ne lavano le mani.

Con ordinanza n. 30638/2019 (sotto allegata) la Cassazione ribadisce in sede di legittimità
il diritto della ex moglie all'assegno divorzile di 300 euro riconosciutole dalla corte d'Appello.
Per gli Ermellini, al fine di escludere il diritto a questa misura non è decisivo che la donna
sia bilingue e abbia ricevuto offerte di lavoro
, così come sulla questione delle pregresse esperienze lavorative
la corte non può pronunciarsi perché già esaminate dai giudici di merito.

L'ex marito lamentando aveva presentato ricorso lamentando - tra i vari motivi del ricorso -
come la Corte d'Appello abbia erroneamente ritenuto la ex moglie in stato di bisogno.

Stando infatti alle dichiarazioni del marito la donna è perfettamente in grado di trovare un'occupazione in quanto parla il tedesco,
è relativamente giovane e ha già maturato esperienza come impiegata e commessa
.
La Corte non avrebbe inoltre richiesto la documentazione relativa alla sua situazione reddituale,
non avrebbe esaminato i documenti prodotti in atti, trascurando altresì di tenere conto dei cespiti mobiliari ed immobiliari di proprietà della donna
e non prendendo neppure in considerazione gli inadempimenti della stessa agli accordi di separazione.

La Cassazione con ordinanza n. 30638/2019 rigetta il ricorso, ritenendo inammissibile il suddetto motivo di ricorso
in quanto finalizzato a ottenere una ricostruzione fattuale impossibile in sede di legittimità.
Per gli Ermellini "le argomentazioni della corte di merito mirano a pervenire all'accertamento, fattuale e concreto,
circa la sussistenza dei presupposti di fatto dell'assegno divorzile, essendo la sentenza impugnata
fondata su una pluralità di riscontri probatori, onde si tratta di una valutazione delle circostanze diversa ed alternativa
a quella prospettata nel ricorso con conseguente conclusione d'inammissibilità per tali profili".
 

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