SE CONTINUA A PIOVERE, DOVRO' SPRUZZARMI LO SVITOL AL POSTO DEL PROFUMO (1 Viewer)

Val

Torniamo alla LIRA
Dodici senatori australiani hanno firmato una mozione di denuncia delle infiltrazioni del Partito Comunista cinese
all’interno della politica australiana, con un movimento tentacolare che abbraccia e stritola i due principali partiti,
quello Liberale e quello Laburista, utilizzando gli strumenti del finanziamento lecito, illecito e della corruzione.

Diciamo subito che la mozione, che avrebbe dovuto raccogliere 23 voti per essere accolta,
è stata respinta con un voto non casualmente bipartisan dei Laburisti e dei liberali,
ma questo non significa che la sua denuncia della democrazia australiana come “Sitting duck”, bersaglio fermo, delle mire dei comunisti cinesi.

Nel mirino vi sono sia le mosse corruttivi diverse con finanziamenti ai partiti,
sia il tentativo di infiltrare uomini vicini al governo cinese nel parlamento di Canberra,
sia pressioni sull’economia e su vari settori della società australiana.

Quest’anno l’ICAC, anticorruzione australiana, ha indagato una donazione di 100 mila AUD, cifra notevole per la politica downunder,
a favore del Partito Laburista del New South Wales, lo stato di cui fa parte Sydney.

Nel Victoria, a Melbourne, Bo “Nick” Zhao, un imprenditore di successo nel settore delle auto di lusso di origine cinese,
è stato trovato morto dopo aver dichiarato pubblicamente che autorità cinesi gli avevano offerto
cifre dell’ordine delle decine di milioni di dollari per correre come candidato al parlamento.

Nel frattempo il Partito Comunista Cinese sta investendo potentemente nelle università australiane,
tanto che il governo è dovuto intervenire per tutelare la libertà di parola negli istituti, che incassano 32 miliardi di dollari australiani all’anno.

Nello stesso tempo l’export australiano verso la Cina è diventato superiore a quello verso Usa e Giappone sommati.
I laburisti ed i Liberali, i due tradizionali partiti di governo australiani, hanno spinto per uno sviluppo economico squilibrato
che ha creato una forte dipendenza del paese dalla Cina comunista.

L’Australia, con i sui 26 milioni di abitanti, è un nano politico e militare nei confronti di Pechino.

Se la politica nazionale non se ne renderà conto si metterà in balia del Partito Comunista Cinese.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Dopo lo “sconfinamento” della Cina all’interno del Parlamento italiano,
con le dichiarazioni a dir poco inopportune dell’Ambasciatore cinese in Italia,
vale la pena sottoporre ai nostri lettori alcuni spunti.

Tra i quali, ad esempio, l’ultima Relazione dei servizi segreti presentata al Parlamento.

L’intelligence dedica spazio al “dinamismo di Cina e Russia”
E proprio nei confronti di Pechino, nel documento si legge:

“La vocazione di attori globali di Mosca e Pechino si è sviluppata nel corso del 2018 con sistematica coerenza.
La Cina ha ribadito la crescente capacità di incidere profondamente sulla ridefinizione degli equilibri mondiali:
non esistono, di fatto, aree del pianeta, ivi compreso l’Artico, dove la sua influenza non si sia consolidata o non risulti in rapido incremento.
Il progetto Made in China 2025 e la BRI sono i principali strumenti cui Pechino affida la propria affermazione
nelle molteplici dimensioni in cui si articola oggi il potere moderno.
Il primo è chiamato a fare del Paese la manifattura tecnologicamente più avanzata al mondo,
mentre la seconda dovrà garantire il collegamento del territorio cinese non soltanto con i Paesi posti
lungo le rotte commerciali euro-asiatiche, ma con l’intero sistema economico mondiale.
Disegni di lungo periodo e di portata assolutamente epocale rispetto ai quali anche il Comparto intelligence nazionale
– nel solco delle indicazioni del Governo – è chiamato a fare la sua parte, sostenendo,
in un quadro di salvaguardia dei nostri interessi e della nostra sicurezza, l’inter- locuzione italiana con Pechino,
in un ambito che dischiude diversificate prospettive alla nostra economia ed impone, al contempo, un’accorta tutela dei nostri asset strategici.
È un fatto, peraltro, che l’ascesa di Pechino venga seguita da Governi, apparati informativi, think tank e commentatori
anche in relazione alle profonde modifiche che essa ha già prodotto nella comune Weltanschauung,
premiando dinamiche decisionali, rigidamente “verticali” e nel segno di un forte intervento pubblico,
che si sono proposte sempre più alla stregua di un “contro-modello” di governance, sul piano interno,
nel settore economico e sul versante delle relazioni internazionali.
In questa cornice si inseriscono le tensioni con gli Stati Uniti, emerse con evidenza nel 2018,
su temi che hanno fatto riferimento non solo all’ambito commerciale, ma anche al dominio tecnologico
(e quindi alla sfera della sicurezza nazionale), delineando i contorni di un confronto strategico suscettibile
di declinarsi anche in una dimensione geopolitica, con riguardo alla cosiddetta area indo-pacifica”.

La via della seta artica
Scrivono ancora i nostri 007: “Nel gennaio 2018 il Governo cinese ha reso pubblico il primo White Paper in tema di politica artica.
Il documento muove dalla constatazione che le trasformazioni climatiche ed economiche in corso tendono ormai a conferire all’Artico una rilevanza globale,
finendo per sottrarre de facto l’area allo stretto ambito dei Paesi del Consiglio Artico (Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Stati Uniti e Svezia).
Di conseguenza, le Autorità di Pechino argomentano di poter ormai ambire al ruolo di player negli “affari artici”,
tanto da rivendicare diritti di navigazione, ricerca scientifica e sfruttamento delle risorse ittiche e delle materie prime presenti nella regione
e da candidarsi esplicitamente a concorrere all’azione di governance del quadrante.

Il White Paper presenta vari aspetti di interesse, soprattutto nella parte in cui evidenzia:

  • una diretta correlazione tra le progettualità della Belt and Road Initiative (BRI) e la possibile apertura di un corridoio economico-commerciale
  • tra la Cina e l’Europa attraverso lo spazio artico, destinato a dilatarsi in ragione del previsto assottigliamento dei ghiacci.
  • Pechino reputa altamente probabile un incremento del volume delle rotte polari e si candida a lavorare con i Paesi rivieraschi
  • per un coordinamento delle strategie di sviluppo della regione. Il documento sottolinea come l’outreach di Pechino
  • in materia abbia assunto da tempo un carattere non solo multilaterale, ma anche bilaterale,
  • in virtù delle numerose intese di cooperazione che la Cina è andata stabilendo con gli Stati del Consiglio Artico;
  • il proposito di inquadrare l’insieme delle iniziative avviate in loco in una logica di beneficio economico globale (win-win),
  • volto a favorire la sostenibilità ambientale dell’Artico e a facilitare lo sviluppo della ricerca scientifica a beneficio di tutti.
  • Dopo l’ingresso (maggio 2013) nel Consiglio Artico con lo status di Paese osservatore,
  • il crescente interesse della Cina nei confronti della regione era stato testimoniato dalla moltiplicazione delle missioni di ricerca scientifica nell’area
  • e dal potenziamento della flotta di navi rompighiaccio. La pubblicazione del Paper, tuttavia, rappresenta un salto di qualità in termini di aspirazioni e ambizioni,
  • suggerendo che anche la calotta polare ha ormai acquisito una posizione di rilievo nell’orizzonte strategico di Pechino”.
Evidentemente Pechino si è sentita in qualche modo autorizzata (in virtù di un certo peso economico),
da qualche compagine politica che sta al governo, a redarguire i politici che hanno tenuto una conferenza stampa su Hong Kong in Senato
durante la quale è stato attivato un collegamento Skype con il leader degli studenti pro-democrazia Joshua Wong.
Una scelta, quella dei cinesi, che ha indignato anche la Farnesina che ha replicato spiegando:

“Le dichiarazioni rese dal portavoce dell’Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese a Roma
sono del tutto inaccettabili e totalmente irrispettose della sovranità del Parlamento italiano”.

E il ministero degli Esteri avrebbe espresso all’Ambasciatore cinese
“forte disappunto per quella che è considerata una indebita ingerenza nella dialettica politica e parlamentare italiana”.

Indebita ingerenza, certo!

Ma forse Pechino e la delegazione diplomatica in Italia si sono sentiti autorizzati a “sconfinare” da qualcosa o qualcuno.

Come accadde per Huawei e il golden power: il colosso cinese si lamentò e il nostro governo cambiò direzione? https://ofcs.report/cyber/5g-huawei-si-lamenta-e-il-governo-cambia-direzione-sul-golden-power/
 

Val

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Questo è proprio un pidiota. E non si capisce se è proprio pidiota pidiota o fa finta di essere pidiota.

Gualtieri ha usato parole molto dure nei confronti della Lega e di Claudio Borghi, accusati di essere

"nemici degli interessi dell'Italia, della tutela del risparmio degli italiani. Se si facesse quello che dice Borghi, gli italiani perderebbero molti soldi".

Aggiungendo che

"l'uscita dall'euro" sostenuta da Borghi è "è una ricetta fallimentare che per fortuna non incontra il consenso degli italiani", mentre le critiche al Mes sono soltanto "demagogia".

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"Questa è una riforma tecnocratica che mette in pericolo la stabilità del nostro sistema finanziario e i risparmi degli italiani.
A dispetto di quanto ci raccontano, il ministro Gualtieri non ha portato a casa un grande risultato per l'Italia:
in realtà, sul Mes non ci sarà alcun cambiamento, come ha ricordato anche il presidente dell'Eurogruppo Centeno".
 

Val

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Il caso Mes agita e non poco il governo. Mai come adesso l'esecutivo giallorosso è andato vicino ad una crisi senza via d'uscita.

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Il muro contro muro tra il premier Conte e le anime ribelli della maggioranza e la guerra con l'opposizione
potrebbero minare e non poco la stabilità dell'esecutivo.

Ma il punto della questione è anche un altro: capire quali sono le presunte bugie che lo stesso premier Conte ha raccontato.

La tesi sostenuta del presidente del Consiglio è chiara:

"I membri del governo gialloverde sapevano tutto del Mes e degli accordi con l'Ue".

Ma in realtà a più riprese questa versione è stata smentita.

Ma c'è una voce in più (e di peso) da registrare su questo nodo cruciale del Mes:
quella dell'ex ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi.

Intervenendo al convegno "Idee per l'Europa" organizzato da il Tempo, Moavero rivela subito come sono andate le cose
e le sue parole certo non piaceranno al premier Giuseppe Conte:

"In Consiglio dei ministri non ricordo analisi approfondite sul Mes. Di tanto in tanto lo abbiamo menzionato"
anche in presenza degli allora vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini.

In secondo luogo va anche sottolineata la mossa di Tria all'eurosummit di giugno in cui il ministro del Tesoro ha partecipato ai lavori per la bozza del nuovo trattato.

Il tutto a quanto pare, secondo quanto racconta l'ex titolare della Farnesina senza passare da una discussione approfondita e ampia in Cdm.

Insomma a quanto pare l'asse Conte-Tesoro aveva fretta di chiudere la partita seguendo le indicazioni fornite da Bruxelles,
a costo anche di citare solo "di passaggio" il Mes in Consiglio dei Ministri.

Ed è in questo contesto di detto e non detto che può venir meno la credibilità del premier.

Per questo motivo le opposizioni chiedono un intervento del Parlamento sul Mes per allargare il dialogo
e la discussione su un patto comunitario che andrà a cambiare e non poco gli equilibri dei nostri conti pubblici
e anche la nostra sovranità finaziaria ed economica.

Forza Italia, con Mariastella Gelmini, capogruppo alla Camera, chiede un passaggio in Aula:

"Il fatto che il Parlamento debba essere coinvolto in scelte così impegnative non rappresenta un atto di lesa maestà.
Le scelte che l'Italia farà sul Mes sono destinate a pesare. In Aula abbiamo trovato un premier particolarmente contrariato verso le opposizioni"

. Intanto, mentre riprende l'iter per l'approvazione finale del testo (che secondo il presidente dell'Eurogruppo dovrebbe arrivare per marzo),
Conte dovrà fare i conti con un Vietnam nel governo e in Aula che rischia sempre di più di mettere in discussione la sua poltrona.

Anche sul piano internazionale il premier ha perso l'appoggio di Trump e pare essersi rifugiato sotto l'ombrello franco-tedesco in Ue.

Scelte che vanno in una direzione chiara: porre il Paese agli ordini di Bruxelles.
 

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Ma.

Era stato condannato dal Tribunale di Bergamo a 18 mesi di reclusione per vilipendio del presidente della Repubblica e del presidente del Consiglio dei ministri.

«Abbiamo subìto anche il Ppresidente della Repubblica che è venuto a riempirci di Tricolori, sapendo che non piacciono alla gente del Nord.
Mandiamo un saluto al Presidente della Repubblica. Napolitano, Napolitano, nomen omen, non sapevo fosse un terùn»,
 

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Cifre da capogiro e una ipotesi di reato di riciclaggio sono gli ingredienti della vicenda che vede indagate quattro persone,
fermate lo scorso 20 novembre alla dogana di Maslianico dalla Guardia di finanza mentre cercavano di attraversare
il valico per recarsi in Svizzera con un titolo di credito da cento milioni di euro.

Il titolo di credito che risulta essere scaduto lo scorso mese di ottobre (e quindi non è più valido) era stato emesso dal Credit Suisse di Ginevra.
È stato posto sotto sequestro, insieme a un contratto per la vendita di due milioni di “The Billion Coin” (una valuta virtuale) a garanzia del quale vi era appunto il titolo.
 

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Autorizzazione alla caccia dal 15 dicembre .........quando non li trovi più. Ahahahahah

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Settembre. Il presidente cinese Xi Jinping ha inaugurato oggi il nuovo e futuristico aeroporto di Pechino,
tra i più tecnologici e avanzati al mondo, candidato alla leadership mondiale con i 100 milioni di passeggeri a regime entro il 2040.

La cerimonia cade a pochi giorni dai grandi festeggiamenti del primo ottobre per i 70 anni della fondazione della Repubblica popolare cinese:
il Beijing Daxing International Airport, a circa 50 km a sud di piazza Tiananmen, si avvale del design innovativo della stella marina
pensata dall'archistar Zaha Hadid, ed è dotato di 8 piste, di intelligenza artificiale, di robotica e di dimensioni enormi.

Costato 120 miliardi di yuan (17,5 miliardi di dollari) o 400 miliardi includendo ferrovie e strade,
lo scalo a terminal unico è l'ultimo esempio del "sogno cinese" offerto da Xi ai suoi concittadini,
estendendosi sulla superficie di 700.000 metri quadrati, quasi 100 campi di calcio.

Il collegamento alla capitale è assicurato da treni capaci di sfrecciare a 160 km/ora e da una linea metropolitana che consentiranno di raggiungere il centro in 20 minuti.

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