SE CONTINUA A PIOVERE, DOVRO' SPRUZZARMI LO SVITOL AL POSTO DEL PROFUMO (1 Viewer)

DANY1969

Forumer storico
:cry::cry:
Buona settimana a tutti :)
Continuo con le foto di repertorio dell'Alaska :)

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Val

Torniamo alla LIRA
Mentre in Italia si sparla di manette agli evasori, all’estero giocano a creare i paradisi fiscali ed a mantenerli segreti.

Come riportato dal Guardian 12 paesi, fra cui l’Irlanda, il Lussemburgo e malta hanno votato contro una norma
che avrebbe imposto alle multinazionali di rivelare dove dichiarano i propri utili nella UE e quanto questi utili vengono colà tassati.

Una norma che era stata proposta dal Consiglio dei Ministri dell’Unione e che invece ha avuto il voto contrario di:

  • Lussemburgo,
  • Malta,
  • Ciprus,
  • Lettonia,
  • Slovenia,
  • Estonia,
  • Austria,
  • Repubblica Ceca,
  • Ungheria,
  • Croatia,
  • Irlanda
Quindi i Paesi che avrebbero voluto quella norma, Francia Italia e Spagna in testa
(la Germania si è astenuta, per non scoprire quanto evadano le sue società…)
se ne faranno una ragione, il tutto alla faccia delle norme di bilancio, della correttezza sociale e fiscale
e della fratellanza europea. Anche la OSCE si era pronunciata a favore di questa norma, ma non è bastato a convincere i paradisi fiscali.

L’Irlanda, dove si paga dal 6,25% al 11%, si è fortemente opposta soprattutto dopo che il consigliere dell’IFAC,
l’ente irlandese di consulenza fiscale, ha fatto notare che senza questa attrattiva
si sarebbe persa la domiciliazione di multinazionali come APPLE, DELL, MICROSOFT, GOOGLE e FACEBOOK.

Il bello che, mentre in Italia il motto di Conte è quello di mandare il galera gli evasori che non dichiarano centomila euro,
si permette tranquillamente ad evasori per centinaia di milioni di farla franca.

Questa è l’Italia di Conte e l’Europa di Von Der Leyen.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Dopo due Bank Run nell’arco di 15 giorni la Cina si prepara ad quello che è il più grande fallimento di una società, partecipata dallo stato, negli ultimi 20 anni.

Tewoo group è una conglomerata controllata dallo stato cinese, con un’attività diffusa in una serie di settori industriali molto ampi e diversificati,
dalla logistica, alle infrastrutture alle auto, al minerario ai porti.

Non parliamo di una media realtà locale, ma della 132ima società mondiale secondo la classifica Fortune 500, più grande di China Telecommunications e di Citic group.

Questa società ha offerto ai propri creditori un grande piano di ristrutturazione del debito
con forti perdite per i creditori ed un concambio obbligazionario che prevede la sostituzione
con obbligazioni a scadenza più lunga e minori ritorni.


Un piano di ristrutturazione finanziaria profondo e doloroso, che indica come ormai lo Stato non voglia più coprire le perdite delle proprie società in eterno.

Eppure qui parliamo di una società con 66 miliardi di dollari di ricavi ed un magro utile da 129 milioni annui e 17 mila dipendenti.

L’indicazione è importante: ci sarà un vero e proprio default sui titoli soprattutto di quello in dollari da 300 milioni scadente il 16 dicembre.
Gli investitori hanno poco tempo per decidere se accettare una perdita secca del 64% o un piano di rientro a lungo termine in quello che è un vero e proprio default.


Ormai appare chiaro che anche le società di stato cinesi non sono esenti non tanto dai problemi, quelli di Tewoo erano noti addirittura da aprile,
con i primi default limitati sui pagamenti la scorsa estate. In primavera la società aveva dovuto vendere alcune delle proprie scorte di rame
ad un prezzo al di sotto di quello di mercato per poter raccogliere dei fondi finanziari.

La Tewoo è la società più importante della regione del Tanjin e la sua crisi non è altro che il riflettersi della crisi di un’intera regione, come indica l’andamento della crescita del PIL regionale.





Tewoo può essere il primo caso di grande conglomerata di stato cinese a ristrutturare il proprio debito.

Una situazione pericolosa sia per la finanza cinese, sia per quella internazionale.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Il settore degli exchange cripto in subbuglio.

L’exchange cinese Idax (sito Idax.pro) in un comunicato ufficiale ha annunciato di aver chiuso gli hard wallet
dove sono conservati i token non in scambio immediato, dopo la scomparsa del CEO di cui non si anno notizie da alcuni giorni.

Spieghiamo con più calma: gli exchange non detengono su “Hot storage”, cioè account accessibili online, la gran parte dei token depositati dai clienti,
ma solo quelli il cui scambio avviene in continuo. Il resto viene conservato nei “Cold storage”, delle casseforti
sotto forma di memorie completamente staccate dalla rete, almeno normalmente.

Il problema è che nel caso di QuadrigaCX, il noto exchange canadese fallito, il CEO è scomparso, presumibilmente morto,
e dopo si è scoperto che qualcuno, presumibilmente lui, aveva provveduto a svuotare i cold storage, praticamente aveva svaligiato le proprie casseforti.

Dopo che dal 24 novembre vi erano state delle voci preoccupanti sull’exchange e vi era stata una corsa alla cassa ad incassare.

Ora, dopo la scomparsa del CEO sono stati bloccati gli hard wallet, ma potrebbe essere troppo tardi:
infatti sono ormai 8 giorni che vi era una “Congestione nei prelievi” dall’account ed il fatto che il blocco sia successivo può voler dire che ormai i fondi non ci sono più.

Questo è un fatto molto grave per un exchange che afferma di aggirarsi sui 750 milioni di scambi giornalieri
(ma c’è da veder quanto sia wash trading) per il quale quindi possiamo immaginarsi dei depositi molto consistenti.

Per questo motivo è necessario scegliere sempre con grande attenzione i partner , se si vuole fare trading.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Vi invitiamo a seguire i quattro brevi video che @carlo_bis ha postato estrapolando l’intervento dell’ex ministro Tremonti da Lucia Annunziata.

Il suo racconto è interessante perché ne spiega la vera genesi storica di strumento di garanzia per gli stati in un momento, il 2008,
in cui solo l’Italia era stata in grado di prevedere una crisi altrimenti imprevista non solo dagli altri partner europei,
ma perfino dai trattati nati in un ambiente di crescita perenne.

L’idea iniziale era quella di un vero fondo anticiclico, appoggiato agli eurobond, per l’effettuazione di politiche anticicliche.

Purtroppo l’evoluzione è stata invece quella di un “Ergastolo economico” per l’Italia.

Sono state infatti le successive richieste dei paesi nordici, accompagnate dalla pessima contrattazione del duo Conte-Tria,
a portare il trattato da strumento di salvataggio ad ancora economica.

Buon ascolto

Ho raccolto la parte della puntata di #mezzorainpiu in cui Giulio Tremonti parla del #MES, tagliando via tutte le parti in cui parla Tria…
(9 minuti)
Parte 1/4 pic.twitter.com/RKtZXxSL3T
 

Val

Torniamo alla LIRA
Nella vicenda del Mes alcuni punti stanno emergendo con chiarezza esemplare,
specie dopo l’audizione di Roberto Gualtieri alla Commissione parlamentare.

1.
il Governo, prima di “impegnare” il Paese con gli altri partner europei, avrebbe dovuto,
a mente dell’articolo 5 comma 2 della legge 234 del 2012, tener conto degli “atti di indirizzo adottati dalle Camere”.

Nel remoto, e improbabile, caso in cui ciò non fosse stato possibile, il Governo avrebbe dovuto “riferire tempestivamente alle Camere,
fornendo le appropriate motivazioni della posizione assunta”. Nel nostro caso, non è stata fatta né l’una né l’altra cosa.

All’università “di legge”, si direbbe che è stata violata una legge.

Blog | Nella faccenda del Mes a mio avviso emergono problemi di legalità, logica e democrazia - Il Fatto Quotidiano
 

Val

Torniamo alla LIRA
Se l'è cantata e suonata da solo, d'altra parte è un avvocato, ha fatto una bella arringa, ma non ha detto niente.

Un grande elogio a se stesso sintomo, di un ego smisurato, tutto qui.

Un lamento sulle parole usate nei suoi confronti dall'opposizione.

Ma di entrare nel merito della questione non se ne parla.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Niente di fatto sul Mes.

Rispetto alla riforma sul cosiddetto fondo salva-Stati, la maggioranza decide di non decidere.

Quattro ore di vertice a Palazzo Chigi non hanno risolto le diffidenze reciproche.

Le posizioni di M5s e Pd “sono diverse”, ammette Luigi Di Maio.

Alla fine, Giuseppe Conte affida la decisione definitiva al Parlamento.

L’11 dicembre, dopo le comunicazioni del premier in vista del Consiglio Ue,
la maggioranza sarà chiamata a varare una risoluzione comune.

Ed è lì che il governo rischia la crisi.

A Palazzo Chigi sono intervenuti il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri,
i capi delegazione di Pd, M5s e Leu, Dario Franceschini, Luigi Di Maio e Roberto Speranza,
il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro e il ministro per gli Affari Ue Enzo Amendola.

Presente anche il titolare del Mise, Stefano Patuanelli, visto che nella riunione si parla anche della norma per il prestito ponte a Alitalia.

A chiamarsi fuori è Italia viva.
“Non abbiamo nulla su cui litigare, se la vedessero tra loro. Gli italiani sono stanchi di questi vertici, vogliono risposte”, spiega Matteo Renzi.

E una risposta definitiva, sul Mes, ancora non c’è.

“In vista dell’Eurogruppo del 4 dicembre 2019 il governo affronterà il negoziato riguardante l’Unione economica e monetaria seguendo una logica di “pacchetto”,
spiegano fonti di Palazzo Chigi specificando che, sulla riforma del Mes, “ogni decisione diventerà definitiva solo dopo che il Parlamento si sarà pronunciato”.

Franceschini, nonostante le evidenti spaccature interne alla maggioranza professa ottimismo.
“Bene – sostiene – l’incontro di stasera sul Mes. Nessuna richiesta di rinvio all’Ue ma un mandato che rafforza il ministro Gualtieri a trattare al meglio l’accordo”,
spiega il ministro della Cultura specificando, anche lui, come “ovviamente” sarà il Parlamento a pronunciarsi in modo definitivo.

A tarda notte, da Palazzo Chigi, escono, uno dopo l’altro, Di Maio e Franceschini. Tirando ognuno acqua al proprio mulino.

“Nessuna luce verde è stata data a Gualtieri finché il Parlamento non si esprimerà”, scandisce il titolare della Farnesina
anticipando che l’11 dicembre il M5s presenterà una risoluzione in cui si chiederà a Conte di chiedere il miglioramento,
al Consiglio Ue di dicembre, dell’intero pacchetto di riforme dell’Unione economica e monetaria.

Pacchetto in cui, avverte Di Maio, “c’è tanto da cambiare”.

Dando mandato a Gualtieri di anticipare all’Eurogruppo la trincea italiana.

Dieci giorni, per il leader M5s, per trovare una quadra all’interno dei gruppi sul sì ad una riforma sulla quale, in tanti pentastellati, sono disposti a tutto.
Con un rischio: che la risoluzione sul Mes diventi un doppione di quella che, sulla Tav, anticipò la fine del governo.

“Mi auguro che su questa impostazione emergano le differenze macroscopiche che ci sono tra il M5s e il Pd e quindi si finisca con questo governo”,
sottolinea Gianluigi Paragone. In tanti, nel Movimento, gli rispondono via Facebook.
A testimonianza che, dietro il Mes, la partita che si gioca tra i pentastellati è un’altra: se andare avanti con il governo giallo-rosso.
 

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