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MARINE LE PEN A TUTTO CAMPO SULL'EUROPA, LA FRANCIA, LA UE, LA LEGA DI SALVINI, E SOPRATTUTTO LA FINE DELL'EURO.

sabato 25 ottobre 2014
PARIGI - In una rara intervista - rara per la stampa italiana, s'intende - Marine Le Pen analizza la drammatica situazione europea, il disastro in Francia di un governo incapace con un presidente della Repubblica detestato dalla quasi totalità dei cittadini, l'alleanza con la Lega di Salvini, la fine dell'euro e della Ue.
"Stiamo assistendo a una ricomposizione della politica - esordisce Marine Le Pen - : destra e sinistra non esistono più, la vera differenza è tra mondialisti da una parte e difensori della sovranità nazionale dall'altra. Monsieur Renzi rappresenta una visione europeista, post nazionale, è dalla parte dei mondialisti. Se vuole cambiare nome al Pd gli suggerisco di chiamarlo: Partito della post nazione. Il partito della nazione lo faccio io. E quel che so è che ci sarà sempre la parola ”national”: siamo noi gli ultimi difensori della nazione francesi. Nel 2015 dovremo confrontarci su molte questioni, incluso il nome del partito. Il Front National è diventato qualcosa di più grande, è andato ben oltre le sue origini".
"Con Matteo Salvini - continua - il rapporto è eccellente. La Lega ha davanti a sé un grande avvenire" E sulla Russia, precisa: "L'Europa ha approvato le sanzioni perché è nelle mani degli americani. Solo chi è indipendente capisce quanto sia strategico creare un rapporto con la Russia"
Per Matteo Renzi, usa parole dure, Marine Le Pen:"L'alleanza tra Hollande e Renzi è l'alleanza degli incapaci. Finora non ha prodotto risultati. Io non li considero dei dirigenti politici ma dei prefetti, come i prefetti applicano la politica decisa da altri, a Bruxelles. E non credo - nemmeno - che i 300 miliardi annunciati da Juncker miglioreranno davvero la situazione. Se li prenderanno le banche e per i milioni di disoccupati europei cambierà poco. Per parlare di fatti: vedo l'approfondirsi dei contrasti tra la Germania e la Bce. Arriverà il momento in cui la Germania minaccerà di andarsene. Che succederà allora? Non avremo più l'Ue perché non avremo più l'euro, uno strumento inefficace, inventato soltanto per favorire la progressiva perdita di sovranità dei vari Stati. Io propongo di preparare l'uscita dall'Ue, indicando alla gente i vantaggi e limitando gli svantaggi che ci saranno. Se aspettiamo inerti che l'Europa esploda sarà un disastro.
Anche su dramma dell'immigrazione extracomunitaria, Marine Le Pen ha le idee chiare, e prende esempio da quello che sta accadendo a Calais (e che il nostro quotidiano ha documentato: scontri, assalti di clandestini ai Tir che partono per la Gran Bretagna). "E’ così tutti i giorni, a Calais. Che fare? Contro l'immigrazione clandestina servono due provvedimenti urgenti. Il primo: sospendere subito i trattati di Schengen. Le frontiere aperte sono state un'esperienza fallimentare, dobbiamo reintrodurre i confini. Secondo: tagliare tutti i vantaggi del Welfare che rendono attraente emigrare in Europa".
E a chi le fa notare che ci sarebbero effetti sull'economia europea, Marine Le Pen risponde: "Ma se le nostre economie non sono mai andate cosi male! Quale aiuto ci è venuto da Schengen? Continuiamo a sentirci dire che l'Europa ha bisogno di immigrati ma se il lavoro non c'è piu perché importare dei disoccupati? Educarli, trovare loro una casa, comporta dei costi che il nostro Welfare non è più in grado di sostenere. Dicono che abbiamo bisogno di 50 milioni clandestini per bilanciare la demografia. In realtà li fanno venire perché servono salari più bassi. Favoriamo una vera politica della natalità e non attacchiamo le famiglie. Aiutiamole ad avere dei bambini francesi".
Anche italiani, signora Le Pen.
Redazione Milano.
I contenuti dell'articolo sono tratti dall'intervista realizzata da Maria Latella per Il Messaggero - che ringraziamo.

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Acqua radioattiva diventa purissima: è la macchina Wow di Adriano Marin
Redazione | 17-10-2014 Categoria: Economia



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commercialmente e perfezionato genialmente la scoperta della fusione fredda. Questa scoperta fu bloccata perchè avrebbe reso indipendente ogni famiglia in ogni luogo terreno. Lo stesso vale e per le batterie al sodio inventate anche queste da un padovano una quindicina di anni fa e testate sempre al CNR di Padova per poi scomparire nel nulla. Anche in questo caso la scoperta era troppo rivoluzionaria ed avrebbe liberato i popoli permettendo la conservazione e stoccaggio dell'energia in ogni parte del mondo a costi risibili e ad impatto ambientale nullo. Queste scoperte italiane avrebbero reso libero il pianeta; decisamente troppo per il sistema bestia imperande sposato al pedo impero degli Angli.


Acqua radioattiva diventa purissima: è la macchina Wow di Adriano Marin

Pubblicato il 17 ottobre 2014 12:43 | Ultimo aggiornamento: 17 ottobre 2014 12:43

di Redazione Blitz

Acqua radioattiva diventa purissima: è la macchina Wow di Adriano Marin


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SALUGGIA (VERCELLI) – Una macchina che rende purissima e potabile anche l’acqua radioattiva, tanto da poter essere usata per bonificare aree come quella giapponese di Fukushima. L’ha inventata Adriano Marin, ingegnere elettronico di 51 anni di Padova.
Una scoperta che, ammette lo stesso ingegnere candidamente, è stata più frutto del caso che della ricerca. Marin stava sì tentando di mettere a punto una macchina per purificare l’acqua, nel garage di casa, ma non pensava di arrivare a tanto.
Nel 2005, racconta Luigi Corvi sul Corriere della Sera, Marin stava armeggiando con la sua “pentolaccia”, una sorta di scaldabagno circondato da tubi d’acciaio che avrebbe dovuto rendere potabile l’acqua nei Paesi del cosiddetto Terzo Mondo.
All’improvviso, manovrando qualcosa, dalla macchina (che tecnicamente è un separatore di molecole) iniziò ad uscire acqua purissima. Da lì gli esperimenti passarono in laboratorio, e per mettere alla prova la macchina venne aggiunta acqua con prodotti chimici, virus, batteri, metalli pesanti, idrocarburi, radioisotopi. Ma l’acqua che ne usciva restava purissima, senza bisogno di filtri e con una bassissima produzione di scorie.
Ci sono voluti due anni per capire il principio chimico che porta a questi risultati, ma adesso la macchina “Wow” (Wonderful Water, acqua meravigliosa), dopo essere stata perfezionata e testata dai laboratori Arpav di Padova, dal Cnr, dall’Università di Pavia e dal Laboratorio per l’energia nucleare applicata, ottenendo tutte le attestazioni necessarie, è un brevetto mondiale.
L’ultima fase di sperimentazione è in corso proprio a Saluggia, nell’area in cui si trova il supersorvegliato deposito di scorie nucleari Avogadro.
Wow è stato costruito in versione più grande e dal 23 settembre sta trasformando in acqua purissima 45 mila litri di liquidi radioattivi conservati in due cisterne. Quando, il 5 dicembre, avrà completato il suo lavoro, di tutto quel liquido contaminato resteranno solo dieci litri di concentrato insoluto.
Wow è in cerca di partner, possibilmente italiani, per mettere il prodotto sul mercato. Ma non è una ricerca facile, visto che si scontra con tutti gli interessi legati allo smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi.
Intanto Marin è stato chiamato a Tokyo per illustrare il funzionamento di Wow.
“In laboratorio, ha spiegato l’ingegnere al Corriere della Sera, è stata simulata una contaminazione 6 mila volte più grande di quella dell’acqua usata per raffreddare i reattori dopo l’incidente di Fukushima e il risultato è stato anche qui strabiliante, con un abbattimento della concentrazione di cesio nei liquidi trattati di 7.500 volte. Con Wow il volume dei fanghi prodotti dal trattamento delle acque radioattive di Fukushima potrebbe essere ridotto a quello di una lavatrice”.
E certo le possibili applicazioni di Wow non finiscono qui.


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DEUTSCHE BANK STRESS TEST: MIRACOLO A BERLINO!


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Scritto il 27 ottobre 2014 alle 14:00 da icebergfinanza

Come volevasi dimostrare, lasciando da parte la deflazione, in Germania, Francia ed Inghilterra, le banche con la maggiore esposizione in termini assoluti ai paesi periferici, hanno praticamente passato quasi tutte gli stress test del Paese delle Meraviglie.
Ovviamente su 25 ben 9 sono italiane e qui mi fermo per solidarietà a tutti gli azionisti del Monte dei Fessi di Siena che per l’ennesima volta saranno costretti a mettere mano al portafoglio per sostenere una banca distrutta dalla politica e dall’avidità di quattro esaltati, ovviamente senza che nessuno se ne accorgesse in sede di vigilanza!
Ma torniamo a noi!
Dalla valutazione delle attività di bilancio (Aqr, asset quality review), e dagli stress test, condotti assieme all’autorità europea Eba, sulla base dei dati di bilancio al 31 dicembre 2013, è emerso che a livello europeo sono le 25 banche bocciate, con una carenza di capitale di 25 miliardi. Come si legge in una nota, «12 di queste 25 banche hanno già coperto questo “shortfall” con aumenti di capitale per un totale di 15 miliardi nel 2014».Bce, bocciate 25 banche in Europa
Bene alcuni giorni fa su Bloomberg
Testing Europe’s Stress Tests – Bloomberg View

Shortfall ovvero carenza di capitale, ma quale sarebbe questa carenza di capitale secondo Bloomberg…


Quindi tutti vedono ciò che la BCE non vede.
Research by economists at Switzerland’s Center for Risk Management at Lausanne offers an indication. By simulating the way the market value of banks’ equity tends to behave in times of stress, they estimate how much capital banks would need to raise in a severe crisis.
The answer, as of Oct. 17, for just 37 of the roughly 130 banks included in the ECB’s exercise: 487 billion euros ($616 billion). Deutsche Bank, three big French banks and ING Groep NV of the Netherlands are among those with the largest estimated shortfalls.
Ovviamente è pieno di banche italiane!
Ieri mi sono commosso, per la prima volta in quattro anni non mi sono sentito più solo…
Il paradosso delle banche tedesche: hanno più derivati che crediti…


Basta quindi avere come nel caso di Deutsche solo 47 miliardi di capitale per superare i requisiti di forza patrimoniale. Con un rapporto tra capitale e attivo totale di solo il 3% Deutsche appare una banca più che solida. Ma solo perché oltre 1.200 miliardi di attività di bilancio sono di fatto escluse dal computo per determinare quanto capitale occorre per superare i test della Bce. Il quadro di Deutsche Bank è esemplificativo dell’intero sistema bancario tedesco.
L’altro big la Commerzbank, ha attivo a rischio per poco più di 200 miliardi, ma ha un bilancio doppio pari a 561 miliardi. E anche qui con solo 20 miliardi di capitale, la seconda banca tedesca appare più solida di banche del Sud Europa. Come se azioni, bond, derivati siano esenti dal rischio di perdite e quindi di erosione di capitale.
Una delle Landesbank considerate più in bilico dagli analisti prima degli stress test, la Hsh Nordbank ha capitale per soli 3,8 miliardi che bastano a farle superare il test, perché parametrati su un attivo a rischio (Rwa) di 38 miliardi. Peccato che l’intero bilancio della banca sia di ben 110 miliardi.
Di fatto ciò che rende più solide le banche germaniche è la loro bassa esposizione al credito, non certo l’abbondanza di capitale che anzi è tenuto ai livelli minimi indispensabili. Quel che lascia perplessi è che le attività di trading finanziario siano di fatto considerate meno pericolose. Finché i mercati salgono nessun problema per i bilanci di banche come le tedesche imbottite di Bund, azioni, titoli strutturati.
Ma i mercati non possono salire sempre. Siamo poi così sicuri che banche più propense alla speculazione finanziaria che al credito all’economia reale non siano anch’esse una minaccia sistemica?
Qui la sintesi di una giornata di ordinaria follia da Paese delle meraviglie, la deflazione non esiste e il bilancio di Deutsche Bank e Commerznbank sono solo fantasmi creati dall’immaginazione.
Per il resto ci penseremo noi insieme a Machiavelli a fare luce in mezzo al sistema bancario ombra europeo.
Buona fortuna, ne
 
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esempio attuale?


Enrico Mattei: singolarità o esempio attuale?
di Antonino Galloni - 28/10/2014
Fonte: Conflitti e strategie

In calce la relazione tenuta da Antonino Galloni in un convegno organizzato il 18/19 ottobre dall’Istituto Schiller a Francoforte







Al momento dell’entrata in vigore della Costituzione del 1948, quindi a distanza di qualche anno dalla fine del secondo conflitto mondiale, la produzione industriale ed agricola dell’Italia non raggiungeva i livelli di dieci anni prima. Problema cruciale riguardava le fonti energetiche dopo che il fascismo aveva contenuto il problema con un sistema idroelettrico d’avanguardia, ma che mostrava – strategicamente parlando – notevoli limitazioni. D’altra parte, la fase del petrolio era iniziata da prima della guerra e, anzi, i Paesi non produttori di idrocarburi l’avevano persa anche per questo (come molti studiosi di quel conflitto hanno dimostrato); era anche iniziata la sfida atomica che, dopo esser risultata anch’essa determinante ai fini bellici, cominciava a promettere un’utilizzazione industriale e civile di grande interesse: non fu un caso, infatti, se gli accordi di Bretton Woods del 1944 precedettero la conferenza di Yalta (un anno prima di Hiroshima e Nagasaki, infatti, si sapeva già con certezza chi avrebbe vinto, possedendo, appunto, l’arma atomica).
Il fascismo, peraltro, aveva affrontato e, per certi versi, risolto i problemi della crisi finanziaria ed economica degli anni Trenta con un intervento pubblico d’avanguardia che spaziava dal credito (la legge di separazione bancaria – in USA fu la Glass Steagall – del 1936), alle infrastrutture (ponti, strade, ferrovie), alle industrie (l’IRI ed altre partecipate, gestite con logiche prettamente economiche, ma di proprietà dello Stato), all’agricoltura (le bonifiche e non solo), alla produzione di elettricità, come si è già accennato. Lo stesso fascismo aveva costituito l’AGIP, ma con scarse fortune e l’ex partigiano Mattei (a cui, peraltro, si rinfacciava anche una pregressa tessera del Littorio) fu incaricato, dopo il 1945, di liquidarla; incarico che svolse malissimo – secondo i politici di sinistra del tempo (che vedevano nell’AGIP un comico carrozzone autarchico e quelli di destra quando si accorsero dell’impostazione antiamericana del marchigiano – perché Mattei prima traccheggiò, poi delineò una strategia di allargamento della missione dell’Ente, infine riuscì ad impedire che il Parlamento italiano varasse una legge che consentiva agli USA di detenere una sorta di monopolio in materia.
Figuriamoci, dunque, l’entusiasmo che poté suscitare la scoperta di idrocarburi nella pianura padana e dintorni e la possibilità di rivisitare una piccola partecipata pubblica per farne, già sul finire degli anni ’40, qualcosa che potesse aiutare l’Italia ad uscire da una millenaria insufficienza energetica.
Mattei, dunque, si mise a capo di ciò, incontrando non poche resistenze, vinte grazie ai suoi appoggi politici, in parte democristiani, ma anche di altri partiti di sinistra (sfruttando l’aspetto antimperialistico della sua intrapresa), lui che poteva vantare un trascorso da partigiano di tutto rispetto.
Ma il progetto di Mattei fu ben più articolato ed ambizioso: partendo dall’occasione di un fatto che, tutto sommato, sarebbe stato marginale (il ben poco petrolio e gas della pianura padana e del mare adriatico) e, grazie ad uno spregiudicato utilizzo degli appoggi politici e delle influenti amicizie internazionali (soprattutto Unione Sovietica e Paesi Arabi), riuscì ad assicurare all’Italia un flusso di gas e di idrocarburi senza il quale nessun miracolo economico sarebbe stato possibile; Enrico Mattei cominciò con accordi in sordina presso lo Scià di Persia (dopo il fatale errore USA di eliminare l’intraprendente Mossadeq), ma è noto nel mondo per i rivoluzionari accordi con i Paesi Arabi (apprezzati dai Russi che vi vedevano una maggiore giustizia sociale e, soprattutto, un indebolimento degli interessi e dell’influenza angloamericana nell’area) e che prevedevano un’equa spartizione dei guadagni tra produttori e compratori. Fino a Mattei, infatti, i compratori erano più che altro le compagnie petrolifere occidentali – sinistramente note come le “7 sorelle” – che pagavano il greggio una miseria; Mattei offrì il 75% dei profitti in cambio delle licenze di estrazione, consentendo agli Arabi di guadagnare molto di più, di contenere i prezzi degli idrocarburi in Italia, di spiazzare l’agguerrita concorrenza americana, inglese, olandese ed anche francese. In effetti, si può dire – da una parte – che Mattei gettasse con dieci anni di anticipo le basi dell’OPEC e, tuttavia, l’operazione più molesta (secondo gli osservatori filocolonialisti) fu proprio quella in Algeria dove si rifiutò di sottoscrivere un allettante contratto con le 7 Sorelle schierandosi apertamente per il futuro Stato indipendente. In questo modo costrinse le 7 Sorelle o ad appoggiare la Francia andando da sole o a schierarsi con gli indipendentisti!
Fu minacciato dai servizi della legione straniera francese e di lì a poco il suo aereo venne sabotato, in Sicilia, da mafiosi amici degli amici d’oltre confine.
La sua morte, avvenuta in modo non molto misterioso nel 1962, fu subito ricondotta a tali circostanze (non meno promettente, peraltro, si rivelò la “pista interna”, riguardante il suo braccio destro Eugenio Cefis che lo stesso Mattei scoprì e denunciò quale collaboratore della CIA); e le prove dell’attentato al suo aereo tramite una bomba al tritolo, collegata all’accensione delle luci o all’attivazione del carrello di atterraggio, furono acclarate dalla magistratura…43 anni dopo!
Ma sarebbe riduttivo ricordare unicamente la sua grande figura per le circostanze sin qui descritte: Mattei fu e fece molto di più.
Non è difficile argomentare che l’ottenimento delle licenze richiedeva, a monte, la capacità di estrarre – in modo competitivo rispetto alle stesse 7 sorelle – il petrolio da giacimenti sempre più profondi; e, a valle, di disporre di impianti di raffinazione adeguati, per non parlare delle problematiche connesse al trasporto ed alla distribuzione.
Tutta la strategia di Mattei era basata sulle concessioni estrattive; ma Mattei volle un’ampia integrazione verticale di tutta la macchina che andava dalla ricerca di giacimenti fino alle pompe di benzina e oltre; così nacquero società di impiantistica ed un’industria petrolchimica che furono tra le migliori del mondo se non le migliori.
Grazie all’aumento delle economie di scala proprie delle industrie italiane – oramai lanciate nel contesto internazionale – Mattei siglò accordi con la Russia, con la Cina e con altri importanti Paesi di quasi tutti i continenti per la costruzione di importanti infrastrutture; ma ciò portava con sé la formazione, la cultura, l’ampliamento degli scambi internazionali.
Alla morte di Mattei e nel ventennio successivo, l’ENI non mancò di crescere per divenire uno dei più grandi, se non il più grande, colosso mondiale (se si considerano le complementarietà con gli altri enti italiani a partecipazione statale, in primis l’IRI) dell’energia, della petrolchimica e delle infrastrutture.
Il successo di Mattei e dell’ENI fu reso possibile da una cultura capitalistica che vedeva nella crescita delle vendite il suo principale riferimento: la massimizzazione del profitto non si riferiva alla sua incidenza sul capitale o investimento, ma alla massima crescita di quest’ultimo a condizioni del mercato, vale a dire di espansione sostenuta dalla domanda (pubblica o privata che fosse). Fiore all’occhiello di questa impostazione fu il salvataggio di un’industria meccanica fiorentina – il Pignone – fortemente caldeggiata dall’allora sindaco di Firenze, Giorgio La Pira (quello un santo), salvataggio che si rivelò un successo industriale, consentendo il lancio di un’azienda leader a livello mondiale nel comparto delle turbine (per la cronaca, l’azienda fu poi svenduta, alla fine degli anni ’90, dai governi con partecipazione comunista – si fa per dire – alla General Electric che provvide a indebolirla ed a farla a pezzi).
Quella di Mattei (considerato un grande peccatore ed un grande corruttore, infatti soleva giustificarsi quando gli si obiettava che destinava fondi neri un po’ a tutti i partiti che questi ultimi venivano utilizzati “come taxi, salgo, li utilizzo, pago, scendo”) e di La Pira (il santo, un vero santo) è una cultura che caratterizza tutta la storia dell’economia dagli accordi di Bretton Woods fino alle svolte reazionarie alla fine degli anni ’70. Queste ultime, infatti, hanno posto ad obiettivo cruciale delle attività produttive la massimizzazione del rendimento dell’investimento o saggio di profitto: un indicatore di natura finanziaria, comune alle obbligazioni (imperanti, con alti tassi di interesse, durante gli anni ’80) ed alle azioni. Dopo la fine degli anni ’70, dunque, l’economia reale viene sacrificata – come è noto – sull’altare della finanza e delle sue irrealizzabili promesse che aprono al baratro degli impegni non sostenibili, dei debiti a go go e della bancarotta generale in un quadro di crescente disoccupazione e desolante regresso sociale.
Tutto il contrario avveniva ai tempi di Mattei ed anche per un quindicennio a seguire: l’espansione costituiva il fondamento dello sviluppo economico sia per quanto riguardava le imprese capitalistiche, sia per quanto riguardava gli investimenti pubblici. La formula italiana, peraltro, si era rivelata particolarmente efficiente soprattutto a proposito delle imprese – di cui l’ENI, assieme all’IRI, rappresentava il massimo – di proprietà dello Stato, ma gestite con criteri di economicità. In realtà, il tasso di rendimento, dell’ultimo investimento puntava a zero, ma siccome si massimizzavano l’occupazione ed il reddito totale, si minimizzavano le spese di assistenza ai disoccupati: non si dimentichi mai che il fenomeno migratorio degli Italiani all’estero si riduce con la crescita delle industrie a partecipazione statale.
La crescita degli investimenti fisici, a prescindere dal reddito da essi direttamente ed immediatamente generato, costituisce la chiave di volta dello sviluppo economico e sociale; esso, tuttavia, portava alla tendenza a ridursi del saggio del profitto con la duplice conseguenza di emarginare il ruolo della proprietà nell’azienda e nella società e di far crescere le aspettative democratiche della classe media e dei lavoratori.
Contro tale prospettiva, un quindicennio dopo la morte di Mattei, si scatenò la reazione antidemocratica dei ceti possidenti che, in nome del rendimento finanziario della proprietà, dei limiti nello sfruttamento delle risorse del pianeta, del contenimento delle tasse e della spesa pubblica, cominciarono ad ottenere un capovolgimento culturale e di prospettive economiche.
Mattei aveva intuito l’importanza dell’ambiente e del nucleare (non si dimentichi che l’Italia era all’avanguardia in quest’ultimo settore fino all’inizio degli anni ’60 ed aveva raggiunto la prima centrale che non utilizzava uranio arricchito o militare e, si osservava, anche questo aveva dato fastidio a livello internazionale: infatti dagli USA e dalla Francia provenivano veti e limitazioni di sovranità verso il Belpaese.
All’ENI ed all’IRI sapevano – contrariamente alle errate farneticazioni malthusiane del club di Roma e dintorni – che, al crescere dell’innovazione tecnologica, la quantità di agenti inquinanti e di risorse scarse o pregiate per unità di prodotto tendeva a ridursi. Viceversa, la artificiosa limitazione dello sviluppo (e, in seguito, le caratteristiche della globalizzazione non basata su innovazione e qualità, ma solo sul taglio selvaggio dei costi), contenendo l’avanzamento delle tecniche – che è un portato dello sviluppo e della esigenza di ridurre le risorse per unità di prodotto al crescere di esso – determina l’aumento di inquinamento e cattivo utilizzo delle risorse stesse proprio a causa dello scarso avanzamento dell’intensità energetica.
Nessuno può dire cosa avrebbe fatto Mattei in Italia e nel mondo dopo il 1962, ma certamente possiamo ipotizzare che, oggi, la sua massima attenzione sarebbe per i BRICS e che avrebbe appoggiato, in tutti i modi, le forze politiche che avessero aperto un dialogo ed una collaborazione con Russia, Cina e India finalizzato a definire un sistema mondiale idoneo a proseguire un percorso accettabile di civiltà e di benessere generalizzato; comunque, sappiamo che i suoi successori non fecero crescere la diversificazione produttiva dell’ENI neanche durante il ventennio compreso tra la fine violenta del grande imprenditore e l’inizio di una politica economica fortemente penalizzante per la sovranità del Paese.
Le stesse industrie a partecipazione statale – che tutto il mondo ci invidiava – venivano derise da giornalisti ed osservatori di scarso spessore che le additavano ad imprese inutili, in perdita e mera fonte di corruzione. La Storia ci ha spiegato quanto esse siano state fondamentali per l’eccezionale sviluppo del Paese tra la fine degli anni cinquanta ed i ’70; analisi di studiosi seri hanno indicato come le industrie a partecipazione statale facessero investimenti più elevati delle private, sicchè, sommando profitti ed ammortamenti, si ottenevano saggi di redditività lordi non diversi; la corruzione, invece, rappresentava un problema serio, ma la fine del modello a partecipazione statale e degli elevati investimenti pubblici ha provocato, in Italia, la fine dello sviluppo pur senza evidenziare alcuna riduzione, ad oggi, dei fenomeni di corruzione: i quali, evidentemente, devono e possono essere affrontati a prescindere dall’aver condannato alla disoccupazione a vita milioni di giovani Italiani quale conseguenze delle politiche restrittive volute da circa trent’anni per “moralizzare” il Paese (come si è già detto, con risultati ben scarsi nella lotta alla corruzione e, invece, particolarmente rilevanti nella perdita di sovranità, nel crollo degli investimenti, nel ritardo scolastico, scientifico, sanitario, infrastrutturale).

L’attualità di Mattei richiede, quindi, il ritorno ad un’economia sostenibile in termini sociali, con investimenti pubblici, ricerca, scuola, formazione, infrastrutture adeguate, soddisfacente cura delle persone: obiettivi non conseguibili senza un ritorno alla sovranità monetaria, il ripristino della netta separazione tra banche di credito e finanza speculativa, una pubblica amministrazione che si faccia direttamente carico di collaborare con i cittadini per realizzare gli adempimenti previsti da leggi e regolamenti. Tutto ciò in un contesto di cooperazione tra Stati sovrani che, nello spirito del Trattato di Westfalia, si rispettino, nel comune interesse a crescere e scambiarsi esperienze e capacità. Era questo, infatti, il metodo di Mattei e di tanti altri grandi statisti italiani oggi scomparsi, ma non per questo meno attuali: dialogare tra popoli e culture diverse mettendo a disposizione risorse e capacità con l’unico obiettivo di vedere una crescita economica sostenibile perché adeguata alle esigenze di benessere e di libertà delle popolazioni
 

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VENDITA BUND FA FLOP: LA GERMANIA NON RIESCE A COLLOCARLI SUL MERCATO (BOOM!)

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29 ottobre - BERLINO - La Germania ha venduto 3,264 miliardi di Bund, il titolo decennale, in un'asta tecnicamente scoperta visto che non si e' raggiunto l'obiettivo dei quattro miliardi offerti. Il tasso medio e' all'ennesimo minimo storico 0,87%. Il segnale in arrivo dalla Germania non è rassicurante: se neppure l'economia più forte della zona euro non riesce a raccogliere credito sul mercato dei capitali, significa che l'intera Eurozona non è più appetibile per i capitali mondiali
 

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