tontolina
Forumer storico
Usa. Russia. Cina. Rublo. Si inizia a capire cosa sia successo
http://www.investireoggi.it/forum/4155411-post84.html
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Russia-Cina: accordo di scambi commerciali senza il Dollaro (1 Viewer)
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tontolina
Forumer storico
Rublo ed Eurasian Economic Union.
L’Eurasian Economic Union è un progetto più economico che politico, il quale tenderebbe a costituire una ampia zona di libero scambio di merci e servizi tra i paesi della ex Unione Sovietica.
Al momento sono membri la Federazione Russa, Bielorussia, Kazakistan, essendo Kirghizistan e Tagikistan paesi osservatori. Punto cruciale resterebbe l’UKraina per le note vicende politiche e militari.
Questa unione doganale potrebbe anche, in un futuro, integrarsi ad ovest verso l’Unione Europea ed ad est con la Cina e l’India. Sono in corso colloqui con Vietnam, Brasile ed altri paesi non eurasiatici, dando così una connotazione globale al progetto.
Tuttavia i progetti devono essere realizzati, ....
Rublo ed Eurasian Economic Union. - SENZANUBI
tontolina
Forumer storico
Germania in Fermento. Sta cambiando rotta.
Tutti presi dal rinnovamento epocale avvenuto in Grecia, la scomparsa dei partiti tradizionali e l’emergere di movimenti non etichettabili secondo le vecchie procedure mentali, si corre il rischio di contare i centesimi invece che i biglietti da cinquecento euro. Ma quei biglietti hanno un valore del tutto differente.
Da tempo è in corso in Germania un processo di mutazione del quale si percepisce chiaramente la presenza anche se rimane difficile al momento prevedere dove e come possa parare.
Per meglio comprendere ciò di cui si parlerà, ci si ricordi che i tedeschi non sono dotati di un super-io, bensì di un super-noi: è una frase ad effetto che però sembrerebbe render bene l’idea.
La rivoluzione di ottobre fu iniziata da 170 persone coese e decise. Dopo, nacque l’Unione Sovietica.
La risposta sembrerebbe essere semplice.
I tedeschi hanno finito di pagare tutti i debiti contratti per riunirsi con l’ex Ddr. Hanno rimesso il bilancio statale sotto controllo. Sono consci di aver fatto grandi cose.
Adesso si stanno interrogando sul ruolo che dovranno avere in futuro nella geopolitica mondiale.
Hanno dovuto subire l’Occidente perché non ne avevano potuto fare a meno e non sembrerebbero più nutrire quei furor teutonici che li aveva animati nel secolo scorso.
Con i partner europei si stanno trovando molto, ma molto male. Guardano con crescente sospetto i Piigs che non sanno né vogliono imporsi un minimo di autodisciplina per riformare le proprie strutture e li considerano funzionalmente morti. Tra poco tempo infatti non saranno nemmeno più un possibile mercato: ridotti ad una disperante miseria. Li reputano irredimibili.
Da sempre i tedeschi hanno guardato all’est, e questo potrebbe essere il momento propizio.
Anche perché Putin sta compiendo una gigantesca opera di restaurazione dei valori religiosi, culturali, sociali e politici tipici del retaggio russo. La stessa ed identica cosa che si proporrebbe di fare Pegida e che risponde ad un naturale desiderio della persona umana: rifarsi alle proprie radici.
Il tedesco è molto più vicino mentalmente ed operativamente al russo di quanto non lo sia con i francesi o gli europei del sud.
Non ci si stupisca quindi se la Germania, da sola oppure trascinandosi dietro i cascami dell’Unione Europea, si avvii verso l’est. Dapprima una zona di libero scambio, che tanto metterebbe il link con India e Cina, poi… Poi si vedrà.
Putin il Grande. Strane coincidenze. Anche la EU se accorge, attonita.
Rublo ed Eurasian Economic Union.
Usa. Russia. Cina. Rublo. Si inizia a capire cosa sia successo.
Putin il Grande. Glazyev. La visione strategica sino-russa.
Rapporto Geab. 2015. La fine dell’Occidente come lo conosciamo.
Pegida. Potrebbe essere il colpo mortale agli egemoni in Europa.
Russia. EU. Germania. Strategia per la Zona di Libero Scambio.
Germania. Merkel: ma dove vorrebbe condurci la Bundeskanzlerin?
Tutti presi dal rinnovamento epocale avvenuto in Grecia, la scomparsa dei partiti tradizionali e l’emergere di movimenti non etichettabili secondo le vecchie procedure mentali, si corre il rischio di contare i centesimi invece che i biglietti da cinquecento euro. Ma quei biglietti hanno un valore del tutto differente.
Da tempo è in corso in Germania un processo di mutazione del quale si percepisce chiaramente la presenza anche se rimane difficile al momento prevedere dove e come possa parare.
Per meglio comprendere ciò di cui si parlerà, ci si ricordi che i tedeschi non sono dotati di un super-io, bensì di un super-noi: è una frase ad effetto che però sembrerebbe render bene l’idea.
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«An opinion poll has found that one in eight Germans would join a march against “Islamization” if one were held in their hometown».
«It also found that 29 percent of people thought the marches by the group PEGIDA … were justified because of the degree of influence that Islam was having on life in Germany».
«Support for the marchers was particularly strong among supporters of the euroskeptic party Alternative for Germany (AfD), which recently has increasingly campaigned on an anti-immigration platform».
Queste percentuali sono davvero molto alte per la Germania, almeno come essa vorrebbe presentarsi al mondo: però ci sono.«It also found that 29 percent of people thought the marches by the group PEGIDA … were justified because of the degree of influence that Islam was having on life in Germany».
«Support for the marchers was particularly strong among supporters of the euroskeptic party Alternative for Germany (AfD), which recently has increasingly campaigned on an anti-immigration platform».
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Ad Erfurt, capitale della Turingia, è stata tenuta una manifestazione di poche migliaia di persone, la prima, contro la “americanizzazione” dell’Europa.«We will no longer watch on as German and European politicians pull the wool over our eyes. … We cannot continue to support our governments, under NATO dictates, as they pursue and further nothing other than US interests: With our money, our soldiers, and our weapons.”».
«less than half of Germans consider the United States a “reliable partner.”»
«Just over one third of the population said they would support their government if it followed US policy with regard to Ukraine».
Quattro gatti messi in croce?«less than half of Germans consider the United States a “reliable partner.”»
«Just over one third of the population said they would support their government if it followed US policy with regard to Ukraine».
La rivoluzione di ottobre fu iniziata da 170 persone coese e decise. Dopo, nacque l’Unione Sovietica.
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Al World Economic Forum in Davos la Bundeskanzlerin Frau Merkel ha ripreso una proposta fatta già nel lontano 2011 dal Presidente Putin:«Angela Merkel has reportedly offered Russia negotiations on a free trade agreement with the EU in exchange for a peace deal in Ukraine.
The German chancellor made the offer at the World Economic Forum in Davos, where she spoke of a free trade area “from Lisbon to Vladivostok”»
«The next step is to discuss a free trade zone».
The German chancellor made the offer at the World Economic Forum in Davos, where she spoke of a free trade area “from Lisbon to Vladivostok”»
«The next step is to discuss a free trade zone».
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Cosa sta succedendo in Germania?La risposta sembrerebbe essere semplice.
I tedeschi hanno finito di pagare tutti i debiti contratti per riunirsi con l’ex Ddr. Hanno rimesso il bilancio statale sotto controllo. Sono consci di aver fatto grandi cose.
Adesso si stanno interrogando sul ruolo che dovranno avere in futuro nella geopolitica mondiale.
Hanno dovuto subire l’Occidente perché non ne avevano potuto fare a meno e non sembrerebbero più nutrire quei furor teutonici che li aveva animati nel secolo scorso.
Con i partner europei si stanno trovando molto, ma molto male. Guardano con crescente sospetto i Piigs che non sanno né vogliono imporsi un minimo di autodisciplina per riformare le proprie strutture e li considerano funzionalmente morti. Tra poco tempo infatti non saranno nemmeno più un possibile mercato: ridotti ad una disperante miseria. Li reputano irredimibili.
Da sempre i tedeschi hanno guardato all’est, e questo potrebbe essere il momento propizio.
Anche perché Putin sta compiendo una gigantesca opera di restaurazione dei valori religiosi, culturali, sociali e politici tipici del retaggio russo. La stessa ed identica cosa che si proporrebbe di fare Pegida e che risponde ad un naturale desiderio della persona umana: rifarsi alle proprie radici.
Il tedesco è molto più vicino mentalmente ed operativamente al russo di quanto non lo sia con i francesi o gli europei del sud.
Non ci si stupisca quindi se la Germania, da sola oppure trascinandosi dietro i cascami dell’Unione Europea, si avvii verso l’est. Dapprima una zona di libero scambio, che tanto metterebbe il link con India e Cina, poi… Poi si vedrà.
Putin il Grande. Strane coincidenze. Anche la EU se accorge, attonita.
Rublo ed Eurasian Economic Union.
Usa. Russia. Cina. Rublo. Si inizia a capire cosa sia successo.
Putin il Grande. Glazyev. La visione strategica sino-russa.
Rapporto Geab. 2015. La fine dell’Occidente come lo conosciamo.
Pegida. Potrebbe essere il colpo mortale agli egemoni in Europa.
Russia. EU. Germania. Strategia per la Zona di Libero Scambio.
Germania. Merkel: ma dove vorrebbe condurci la Bundeskanzlerin?
→ DW. 2015-01-26. Pegida indicates ‘rift’ in German society.
A group of German political scientists says the anti-Islamization movement launched in October shows how Germany is divided on mass immigration. In response, they want a national commission to promote ‘diversity.’
As the eastern German city of Dresden prepared for yet another installment of protests by an anti-Islamization group on Monday, a group of pro-immigration political scientists gathered in the rainswept capital to voice their concern about what they see as a “serious phenomenon.”
The group, Patriotic Europeans Against the Islamization of the West, or PEGIDA, represents an “ever-deepening rift in Germany’s society” between those who welcome migrants and those who demonize them, said Werner Schiffauer, an ethnologist at Viadrina University in Frankfurt (Oder) who heads the Council for Migration (RfM), a network of 79 researchers.
Since the PEGIDA rallies were launched in October, the movement has been holding weekly rallies in Dresden, attracting 17,500 people at the last march on December 22. Smaller marches have also taken place in other German cities, often attracting counter-demonstrations. Protests are also planned in Berlin on Monday.
PEGIDA’s manifesto, published in December, affirms the right to asylum for war refugees and those facing political persecution. It calls for “resistance against a misogynistic, violent political ideology but not against integrated Muslims living here,” and demands a “zero-tolerance policy against criminal asylum-seekers and migrants.”
Widespread prejudice.
The political scientists believe PEGIDA is symptomatic of widely held misconceptions about immigration that many Germans hold, Bielefeld University sociologist Andreas Zick said. Around 40 percent of Germans were convinced that those claiming asylum were lying about having suffered persecution at home, he said.
More than half of Germans polled in a recent survey were against the construction of mosque in their neighborhood, social scientist Naika Foroutan from the Humboldt University in Berlin said, while 40 percent believed that only those who had German parents could be considered truly German.
The researchers agreed they faced a “difficult task” in addressing beliefs like these. “There are no quick fixes,” Schiffauer said, adding that people who have little or no contact with foreigners and migrants generally tend to hold more extremist views.
‘Too little communication’.
Schiffauer and his colleagues are calling for a national commission made up of political scientists, members of civil society and politics that would draw up a national guideline to “embrace diversity” and influence school curricula. The researchers said similar guidelines resulted in “positive change” in Canada and the US.
Others agree that communication is key. Gerd Landsberg from the German Association of Towns and Municipalities told journalists in Berlin on Monday that the main way to counter PEGIDA was through an improved communications strategy.
So far, he said, German officials had focused too little on explaining why refugees had come to Germany from war-torn countries like Syria. “If you make it clear that these refugees barely escaped death, no one will have any objections.”
In many cases, mayors were only given a few days’ warning about asylum-seekers being transferred to their communities. “In that case they don’t have enough time to properly communicate with the local people.”
He suggested that a centralized communications office could be located within the German interior ministry.
Many Germans agree with PEGIDA.
A recent opinion poll found that one in eight Germans would join an anti-Islamization march if it were organized in their home town. The poll, published last Thursday by Forsa for Germany’s Stern magazine, also found 29 percent of those interviewed believed that Islam was having such a strong influence on life in Germany that the marches were justified.
But in her strongly worded New Year address, German Chancellor Angela Merkel urged Germans to turn their backs on PEGIDA, labeling its members “racists full of hatred.” Rather, she said, Germany must welcome people fleeing conflict and war.
Some of the members of her coalition partner, the Bavarian Christian Social Union (CSU), may have fewer qualms about PEGIDA. “I am concerned that parts of the CSU may shift to the extreme right, according to the principle there should be no party to our right,” Schiffauer said. That, he said, “would be fatal.”
A group of German political scientists says the anti-Islamization movement launched in October shows how Germany is divided on mass immigration. In response, they want a national commission to promote ‘diversity.’
As the eastern German city of Dresden prepared for yet another installment of protests by an anti-Islamization group on Monday, a group of pro-immigration political scientists gathered in the rainswept capital to voice their concern about what they see as a “serious phenomenon.”
The group, Patriotic Europeans Against the Islamization of the West, or PEGIDA, represents an “ever-deepening rift in Germany’s society” between those who welcome migrants and those who demonize them, said Werner Schiffauer, an ethnologist at Viadrina University in Frankfurt (Oder) who heads the Council for Migration (RfM), a network of 79 researchers.
Since the PEGIDA rallies were launched in October, the movement has been holding weekly rallies in Dresden, attracting 17,500 people at the last march on December 22. Smaller marches have also taken place in other German cities, often attracting counter-demonstrations. Protests are also planned in Berlin on Monday.
PEGIDA’s manifesto, published in December, affirms the right to asylum for war refugees and those facing political persecution. It calls for “resistance against a misogynistic, violent political ideology but not against integrated Muslims living here,” and demands a “zero-tolerance policy against criminal asylum-seekers and migrants.”
Widespread prejudice.
The political scientists believe PEGIDA is symptomatic of widely held misconceptions about immigration that many Germans hold, Bielefeld University sociologist Andreas Zick said. Around 40 percent of Germans were convinced that those claiming asylum were lying about having suffered persecution at home, he said.
More than half of Germans polled in a recent survey were against the construction of mosque in their neighborhood, social scientist Naika Foroutan from the Humboldt University in Berlin said, while 40 percent believed that only those who had German parents could be considered truly German.
The researchers agreed they faced a “difficult task” in addressing beliefs like these. “There are no quick fixes,” Schiffauer said, adding that people who have little or no contact with foreigners and migrants generally tend to hold more extremist views.
‘Too little communication’.
Schiffauer and his colleagues are calling for a national commission made up of political scientists, members of civil society and politics that would draw up a national guideline to “embrace diversity” and influence school curricula. The researchers said similar guidelines resulted in “positive change” in Canada and the US.
Others agree that communication is key. Gerd Landsberg from the German Association of Towns and Municipalities told journalists in Berlin on Monday that the main way to counter PEGIDA was through an improved communications strategy.
So far, he said, German officials had focused too little on explaining why refugees had come to Germany from war-torn countries like Syria. “If you make it clear that these refugees barely escaped death, no one will have any objections.”
In many cases, mayors were only given a few days’ warning about asylum-seekers being transferred to their communities. “In that case they don’t have enough time to properly communicate with the local people.”
He suggested that a centralized communications office could be located within the German interior ministry.
Many Germans agree with PEGIDA.
A recent opinion poll found that one in eight Germans would join an anti-Islamization march if it were organized in their home town. The poll, published last Thursday by Forsa for Germany’s Stern magazine, also found 29 percent of those interviewed believed that Islam was having such a strong influence on life in Germany that the marches were justified.
But in her strongly worded New Year address, German Chancellor Angela Merkel urged Germans to turn their backs on PEGIDA, labeling its members “racists full of hatred.” Rather, she said, Germany must welcome people fleeing conflict and war.
Some of the members of her coalition partner, the Bavarian Christian Social Union (CSU), may have fewer qualms about PEGIDA. “I am concerned that parts of the CSU may shift to the extreme right, according to the principle there should be no party to our right,” Schiffauer said. That, he said, “would be fatal.”
→ DW. 2015-01-26. Survey finds one in three Germans supports PEGIDA ‘anti-Islamization’ marches.
An opinion poll has found that one in eight Germans would join a march against “Islamization” if one were held in their hometown. A series of rallies in the city of Dresden have drawn growing numbers, with more planned.
The poll of 1,006 people by German newsmagazine Stern found that 13 percent would attend an “anti-Islamization” march if it were held near their home.
The survey, while small, does show a level of support for the weekly rallies being held in the eastern city of Dresden, one of which attracted more than 17,000 people in the days before Christmas.
It also found that 29 percent of people thought the marches by the group PEGIDA, which translates to “Patriotic Europeans against the Islamization of the West,” were justified because of the degree of influence that Islam was having on life in Germany.
Support for the marchers was particularly strong among supporters of the euroskeptic party Alternative for Germany (AfD), which recently has increasingly campaigned on an anti-immigration platform. The poll found that 71 percent of AfD supporters felt the rallies were justified.
About two thirds of Germans asked by the polling group Forsa felt that the threat that “Islamization” posed within Germany was being exaggerated by PEGIDA.
A few marches similar to PEGIDA’s have taken place elsewhere and the group has said it is planning rallies in other German cities. Rallies have already been held in other cities including Düsseldorf, Kassel and Cologne.
Members of Merkel’s conservative bloc have expressed concern that it is losing support to AfD, and said she should address some of the group’s concerns. However, in her televised New Year message, Merkel accused PEGIDA leaders of peddling hatred.
An opinion poll has found that one in eight Germans would join a march against “Islamization” if one were held in their hometown. A series of rallies in the city of Dresden have drawn growing numbers, with more planned.
The poll of 1,006 people by German newsmagazine Stern found that 13 percent would attend an “anti-Islamization” march if it were held near their home.
The survey, while small, does show a level of support for the weekly rallies being held in the eastern city of Dresden, one of which attracted more than 17,000 people in the days before Christmas.
It also found that 29 percent of people thought the marches by the group PEGIDA, which translates to “Patriotic Europeans against the Islamization of the West,” were justified because of the degree of influence that Islam was having on life in Germany.
Support for the marchers was particularly strong among supporters of the euroskeptic party Alternative for Germany (AfD), which recently has increasingly campaigned on an anti-immigration platform. The poll found that 71 percent of AfD supporters felt the rallies were justified.
About two thirds of Germans asked by the polling group Forsa felt that the threat that “Islamization” posed within Germany was being exaggerated by PEGIDA.
A few marches similar to PEGIDA’s have taken place elsewhere and the group has said it is planning rallies in other German cities. Rallies have already been held in other cities including Düsseldorf, Kassel and Cologne.
Members of Merkel’s conservative bloc have expressed concern that it is losing support to AfD, and said she should address some of the group’s concerns. However, in her televised New Year message, Merkel accused PEGIDA leaders of peddling hatred.
→ Telegraph. 2015-01-23. Ukraine crisis: Angela Merkel ‘offers Russia free trade deal for peace’.
The German chancellor reportedly offers an agreement with the European Union at the World Economic Forum in Davos.
Angela Merkel has reportedly offered Russia negotiations on a free trade agreement with the EU in exchange for a peace deal in Ukraine.
The German chancellor made the offer at the World Economic Forum in Davos, where she spoke of a free trade area “from Lisbon to Vladivostok”, according to a report in Süddeutsche Zeitung newspaper.
Mrs Merkel said Germany was “ready” to discuss “possibilities of cooperation in a common trade areas”. But she made it clear talks could not start until Russia abides by the Minsk Agreement, the ceasefire agreed in September, which it has so far failed to honour.
Mrs Merkel’s vice-chancellor, Sigmar Gabriel, who was also in Davos, spelt out the offer more clearly. “The next step is to discuss a free trade zone,” he said. “We should offer Russia a way out.”
Russia’s economy is currently suffering from the effects of heavy EU and US sanctions imposed in response to the Ukraine crisis.
Mrs Merkel said that while the EU sanctions were “inevitable” after Russia’s annexation of Crimea, they could be lifted if Russia met certain conditions, adding: “Unfortunately we’re not there yet.”
But this is the first indication she is prepared to offer Vladimir Putin more than respite from sanctions in return for a peace deal over Ukraine.
The Ukraine crisis was triggered in part by Russian disquiet over the country’s association agreement with the EU, which includes a free trade deal.
Mr Putin has proposed a free trade agreement between Russia and the EU before, and Mrs Merkel’s use of the phrase “from Lisbon to Vladivostok” appeared to be a deliberate echo of comments he made in 2010, when he spoke of creating “a harmonious economic community from Lisbon to Vladivostok”.
The motivations behind Mrs Merkel’s offer may not be wholly altruistic. Germany has extensive trade links with Russia, and German businesses have suffered from the EU sanctions as well as Russian ones.
German exports to Russia fell by 18 per cent in 2014, a drop of more than €6 billion (£4.5billion), the head of an influential business lobby told the Rheinische Post newspaper.
“The decline in exports accelerated last month, so we have to fear an even worse development in 2015, if there’s no political solution to the crisis soon,” Eckhard Cordes, chairman of the Committee on Eastern European Economic Relations, said.
The German chancellor reportedly offers an agreement with the European Union at the World Economic Forum in Davos.
Angela Merkel has reportedly offered Russia negotiations on a free trade agreement with the EU in exchange for a peace deal in Ukraine.
The German chancellor made the offer at the World Economic Forum in Davos, where she spoke of a free trade area “from Lisbon to Vladivostok”, according to a report in Süddeutsche Zeitung newspaper.
Mrs Merkel said Germany was “ready” to discuss “possibilities of cooperation in a common trade areas”. But she made it clear talks could not start until Russia abides by the Minsk Agreement, the ceasefire agreed in September, which it has so far failed to honour.
Mrs Merkel’s vice-chancellor, Sigmar Gabriel, who was also in Davos, spelt out the offer more clearly. “The next step is to discuss a free trade zone,” he said. “We should offer Russia a way out.”
Russia’s economy is currently suffering from the effects of heavy EU and US sanctions imposed in response to the Ukraine crisis.
Mrs Merkel said that while the EU sanctions were “inevitable” after Russia’s annexation of Crimea, they could be lifted if Russia met certain conditions, adding: “Unfortunately we’re not there yet.”
But this is the first indication she is prepared to offer Vladimir Putin more than respite from sanctions in return for a peace deal over Ukraine.
The Ukraine crisis was triggered in part by Russian disquiet over the country’s association agreement with the EU, which includes a free trade deal.
Mr Putin has proposed a free trade agreement between Russia and the EU before, and Mrs Merkel’s use of the phrase “from Lisbon to Vladivostok” appeared to be a deliberate echo of comments he made in 2010, when he spoke of creating “a harmonious economic community from Lisbon to Vladivostok”.
The motivations behind Mrs Merkel’s offer may not be wholly altruistic. Germany has extensive trade links with Russia, and German businesses have suffered from the EU sanctions as well as Russian ones.
German exports to Russia fell by 18 per cent in 2014, a drop of more than €6 billion (£4.5billion), the head of an influential business lobby told the Rheinische Post newspaper.
“The decline in exports accelerated last month, so we have to fear an even worse development in 2015, if there’s no political solution to the crisis soon,” Eckhard Cordes, chairman of the Committee on Eastern European Economic Relations, said.
→ DW. 2015-01-25. Anti-Americanism hits Germany’s streets
Over 1,000 people gathered this Saturday in Erfurt, the capital of the eastern state of Thuringia, to protest against the “Americanization” of Europe, amid a groundswell of xenophobia in eastern Germany and ongoing social movements in cities around the country directed against what’s been called an “Islamization of the occident.”
The Erfurt police told DW that the situation in front of the central train station on Saturday was “outright aggressive,” as protesters held posters and chanted anti-American slogans abreast with some 600 counterdemonstrators who attempted to break police lines.
One of the main messages one could hear chanted by the mob was, “Ami! Go HOME,” which translates roughly as, “Americans! Go HOME.” A series of speakers attempted to deliver addresses to the crowd, but their speeches were drowned out by whistling from counterdemonstrators.
Journalists on the ground in Erfurt confirmed to DW that the mood was characterized by an aggressive anti-Americanism, coupled with violence between demonstrators and counterdemonstrators. A brawl nearly broke out at one juncture as counterdemonstrators, mostly young members of the left-wing anti-fascist Antifa group, attempted to block the anti-American protesters.
The Erfurt police told DW that nobody was arrested during the demonstrations, but that three people had been injured. Six criminal complaints were filed on Saturday for assault.
Conspiracy theorists and hooligans.
The anti-Americanism group is an apparent offshoot from the PEGIDA movement that has been holding weekly demonstrations for three months now. Its self-proclaimed founder, Frenchman Stephane Simon, explained the reasons behind the group’s formation in a YouTube video posted this week.
“We will no longer watch on as German and European politicians pull the wool over our eyes,” said Simon in a video lecture during which he wrote his main theses on a whiteboard behind him. “We cannot continue to support our governments, under NATO dictates, as they pursue and further nothing other than US interests: With our money, our soldiers, and our weapons.”
The group has two names, both acronyms in nomenclatural imitation of the PEGIDA movement. Simon said he and his followers were tired of the concentration on Islamization, referring to this as a mere symptom of the more fundamental influences robbing Germany of its autonomy. PEGADA, namely, the Patriotic Europeans Against the Americanization of the Occident is more fitting. The second name, ENDGAME, or “Engaged Democrats Against the Americanization of Europe,” serves to clear up ongoing qualms with the cumbersome concepts of “patriotism” and the “occident,” endemic to the first name. What’s clear, however, is the new focus on the United States as a motivating factor for social protest.
A number of posts on the group’s facebook page purport the explicitly bellicose nature of US administrations past and present. One warns against Washington’s involvement in Ukraine as a “push for a Third World War at the expense of Germany and Western Europe in the hopes of engendering a US economic boom,” publishing a video that claims to prove that Washington is pushing for a global war to rejuvenate its “dying economy.”
Also on the PEGADA Facebook site one can see a number of posts expressing the support of the right-wing, anti-Islamist hooligan group HoGeSa (Hooligans against Salafists). The violent group has distanced itself from the widespread anti-Islamization PEGIDA movement in favor of anti-Americanism, because it also accuses the United States of having played a role in the formation of the “Islamic State” (IS).
Dwindling allegiance?
It is perhaps a statement from the Erfurt police that best summarizes the situation both on Saturday and in general, when one considers the ever-diversifying protest culture that has developed in Germany over the past months.
“We couldn’t tell who was protesting for or who was protesting against,” said Dominique Schuh, Erfurt station spokesman.
From the perspective of wider German society, however, the motivation for Saturday’s demonstration doesn’t come out of nowhere. Ever since the revelations of NSA surveillance on Washington’s European partners emerged last summer, coupled with Germany’s coerced cooperation with sanctions against Russia for its Ukraine policy, anti-Americanism hasn’t gone unnoticed in Germany.
The latest study conducted by the forsa polling company suggests that less than half of Germans consider the United States a “reliable partner.” Just over one third of the population said they would support their government if it followed US policy with regard to Ukraine and – by extension – Russia.
“Our sense is that the German people continue to believe the Ukraine crisis – and Germany’s role in it – serves US interests, and not their own,” said Manfred Gülner, of the forsa Institute.
Over 1,000 people gathered this Saturday in Erfurt, the capital of the eastern state of Thuringia, to protest against the “Americanization” of Europe, amid a groundswell of xenophobia in eastern Germany and ongoing social movements in cities around the country directed against what’s been called an “Islamization of the occident.”
The Erfurt police told DW that the situation in front of the central train station on Saturday was “outright aggressive,” as protesters held posters and chanted anti-American slogans abreast with some 600 counterdemonstrators who attempted to break police lines.
One of the main messages one could hear chanted by the mob was, “Ami! Go HOME,” which translates roughly as, “Americans! Go HOME.” A series of speakers attempted to deliver addresses to the crowd, but their speeches were drowned out by whistling from counterdemonstrators.
Journalists on the ground in Erfurt confirmed to DW that the mood was characterized by an aggressive anti-Americanism, coupled with violence between demonstrators and counterdemonstrators. A brawl nearly broke out at one juncture as counterdemonstrators, mostly young members of the left-wing anti-fascist Antifa group, attempted to block the anti-American protesters.
The Erfurt police told DW that nobody was arrested during the demonstrations, but that three people had been injured. Six criminal complaints were filed on Saturday for assault.
Conspiracy theorists and hooligans.
The anti-Americanism group is an apparent offshoot from the PEGIDA movement that has been holding weekly demonstrations for three months now. Its self-proclaimed founder, Frenchman Stephane Simon, explained the reasons behind the group’s formation in a YouTube video posted this week.
“We will no longer watch on as German and European politicians pull the wool over our eyes,” said Simon in a video lecture during which he wrote his main theses on a whiteboard behind him. “We cannot continue to support our governments, under NATO dictates, as they pursue and further nothing other than US interests: With our money, our soldiers, and our weapons.”
The group has two names, both acronyms in nomenclatural imitation of the PEGIDA movement. Simon said he and his followers were tired of the concentration on Islamization, referring to this as a mere symptom of the more fundamental influences robbing Germany of its autonomy. PEGADA, namely, the Patriotic Europeans Against the Americanization of the Occident is more fitting. The second name, ENDGAME, or “Engaged Democrats Against the Americanization of Europe,” serves to clear up ongoing qualms with the cumbersome concepts of “patriotism” and the “occident,” endemic to the first name. What’s clear, however, is the new focus on the United States as a motivating factor for social protest.
A number of posts on the group’s facebook page purport the explicitly bellicose nature of US administrations past and present. One warns against Washington’s involvement in Ukraine as a “push for a Third World War at the expense of Germany and Western Europe in the hopes of engendering a US economic boom,” publishing a video that claims to prove that Washington is pushing for a global war to rejuvenate its “dying economy.”
Also on the PEGADA Facebook site one can see a number of posts expressing the support of the right-wing, anti-Islamist hooligan group HoGeSa (Hooligans against Salafists). The violent group has distanced itself from the widespread anti-Islamization PEGIDA movement in favor of anti-Americanism, because it also accuses the United States of having played a role in the formation of the “Islamic State” (IS).
Dwindling allegiance?
It is perhaps a statement from the Erfurt police that best summarizes the situation both on Saturday and in general, when one considers the ever-diversifying protest culture that has developed in Germany over the past months.
“We couldn’t tell who was protesting for or who was protesting against,” said Dominique Schuh, Erfurt station spokesman.
From the perspective of wider German society, however, the motivation for Saturday’s demonstration doesn’t come out of nowhere. Ever since the revelations of NSA surveillance on Washington’s European partners emerged last summer, coupled with Germany’s coerced cooperation with sanctions against Russia for its Ukraine policy, anti-Americanism hasn’t gone unnoticed in Germany.
The latest study conducted by the forsa polling company suggests that less than half of Germans consider the United States a “reliable partner.” Just over one third of the population said they would support their government if it followed US policy with regard to Ukraine and – by extension – Russia.
“Our sense is that the German people continue to believe the Ukraine crisis – and Germany’s role in it – serves US interests, and not their own,” said Manfred Gülner, of the forsa Institute.
tontolina
Forumer storico
Un’altra notizia passata inosservata dai media occidentali: nel Nicaragua la Cina si farà carico della costruzione del canale alternativo a Panama. E i Russi si occuperanno della sicurezza.
Di Nuke The Whales , il 2 febbraio 2015 3 Comment
Mentre i giornaloni sono impegnati in notizie importantissime, come la taglia delle mutande del Presidente Mattarella o il gusto del gelato che piace adesso al nostro Magnifico premier, nel mondo succede di tutto.
Il Nicaragua ha cominciato la costruzione di un canale per l’attraversamento dell’istmo centroamericano, in concorrenza con quello panamense, saldamente in mano agli USA.
Ovviamente gli USA si sono arresi senza combattere, nel senso che prima hanno finanziato e sostenuto una “rivoluzione arancione”, senza successo, poi hanno messo in piedi una ridicola campagna mediatica, dicendo che i “lavori nella zona” porteranno ad un disastro ecologico .
In dicembre è stato firmato un accordo e i cinesi si faranno carico dei 55 miliardi di dollari necessari.
In Nicaragua si sono ricordati degli americani, che in passato hanno fatto il tiro al bersaglio con navi e installazioni petrolifere, avvenimenti che sono stati condannati dal tribunale internazionale.
Per non parlare del “limpidissimo” affare dei Contras, armi fornite dagli USA agli Hezbollah libanesi in cambio denaro utilizzato per finanziare gli squadroni della morte Nicaraguensi.
Gli ammerregani purtroppo si sono sempre rifiutati di pagare i relativi indennizzi.
Pochi giorni fa è stato trovato un nuovo accordo, navi militari russe potranno stazionare al largo del Nicaragua e rifornirsi nei porti, e i bombardieri di Mosca potranno pattugliare le acque territoriali del paese.
Non ci saranno basi fisse, ma solo “centri di rifornimento” della flotta e degli aerei a lungo raggio russi, mezzi che nella zona svolgeranno la “lotta al narcotraffico”.
Sono notizie che dovrebbero essere degne di nota, ma invece….
da Liberticida di Nuke The Whales
Di Nuke The Whales , il 2 febbraio 2015 3 Comment
Mentre i giornaloni sono impegnati in notizie importantissime, come la taglia delle mutande del Presidente Mattarella o il gusto del gelato che piace adesso al nostro Magnifico premier, nel mondo succede di tutto.
Ovviamente gli USA si sono arresi senza combattere, nel senso che prima hanno finanziato e sostenuto una “rivoluzione arancione”, senza successo, poi hanno messo in piedi una ridicola campagna mediatica, dicendo che i “lavori nella zona” porteranno ad un disastro ecologico .
In dicembre è stato firmato un accordo e i cinesi si faranno carico dei 55 miliardi di dollari necessari.
In Nicaragua si sono ricordati degli americani, che in passato hanno fatto il tiro al bersaglio con navi e installazioni petrolifere, avvenimenti che sono stati condannati dal tribunale internazionale.
Per non parlare del “limpidissimo” affare dei Contras, armi fornite dagli USA agli Hezbollah libanesi in cambio denaro utilizzato per finanziare gli squadroni della morte Nicaraguensi.
Gli ammerregani purtroppo si sono sempre rifiutati di pagare i relativi indennizzi.
Pochi giorni fa è stato trovato un nuovo accordo, navi militari russe potranno stazionare al largo del Nicaragua e rifornirsi nei porti, e i bombardieri di Mosca potranno pattugliare le acque territoriali del paese.
Non ci saranno basi fisse, ma solo “centri di rifornimento” della flotta e degli aerei a lungo raggio russi, mezzi che nella zona svolgeranno la “lotta al narcotraffico”.
Sono notizie che dovrebbero essere degne di nota, ma invece….
da Liberticida di Nuke The Whales
tontolina
Forumer storico
In data 24 Gennaio 2015,Bloomberg ha diffuso la seguente dichiarazione, resa da Gholamali Kamyab, vicecapo della Banca Centrale dell' Iran: «Negli scambi commerciali con i paesi stranieri, l'Iran utilizza diverse valute tra le quali lo Yuan cinese, l'Euro, la Lira Turca, il Rublo russo, il Won Sud Coreano. L' Iran si appresta a sottoscrivere presto currency swap contracts con alcuni stati», senza tuttavia indicare quali.
Già nel Giugno 2014, la Banca Centrale locale dichiarò di aver quasi eliminato i Dollari Statunitensi dalle Forex Reserves, rimpiazzandoli -in un primo momento- con la valuta degli Emirati Arabi Uniti, vale a dire il Dirham.
Ma dove nasce il processo di de-dollarizzazione -oramai completato- dell'economia Iraniana?
Come noi tutti sappiamo, gli USA hanno imposto -nel corso degli ultimi 30 anni- diverse sanzioni all'Iran, inasprite a partire dal momento in cui il paese Medio Orientale decise di arricchire il proprio uranio. In questa guerra fatta di spie e virus informatici, non poteva mancare l'uso di un'arma finanziaria; arma finanziaria impiegata dagli USA, proprio il 5 Febbraio 2012, allorquando le Autorità locali informarono gli operatori che, qualora una banca avesse intrattenuto rapporti con la Banca Centrale dell'Iran, sarebbe stata bannata dal sistema di regolamentazione dei pagamenti in dollari americani. Detta sanzione causò un immediata
TRA GLI SQUALI DI WALL STREET: VI RACCONTO IL COMPLETAMENTO DELLA DE-DOLLARIZZAZIONE DELL'IRAN
Nel Marzo 2012, gli USA presero delle contromisure, chiedendo alla -ed ottenendo dalla- SWIFT, l'esclusione dell' Iran, che a quel punto era totalmente isolata e non in grado -neanche tramite la sua banca centrale- di ricevere ed eseguire pagamenti da e verso l'estero.
cosicché dal Marzo 2012 l'Iran raggiunse un accordo con i principali partners commerciali -Cina, India, Russia - al fine di sviluppare nuovi sistemi di pagamento non contemplanti il dollaro e/o non transitanti dallo SWIFT.
Cosa ci dice questo caso? Ci dice che in un primo momento, gli USA -grazie all' embargo finanziario imposto all'Iran- riuscirono a danneggiare fortemente l'economia locale; tuttavia in un secondo momento, stante l'importanza dell'Iran quale paese esportatore di petrolio, i paesi asiatici e quelli BRICS cominciarono a vedere -per la prima volta dal 1944- una via alternativa all'egemonia internazionale del dollaro quale mezzo di pagamento, tanto è vero che proprio nel Marzo 2012, i Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, tennero un summit nel corso del quale pianificarono, per l'immediato, la creazione di un sistema di pagamenti multilaterale tra le economie emergenti e per il futuro la creazione di una valuta alternativa al dollaro USA.
Già nel Giugno 2014, la Banca Centrale locale dichiarò di aver quasi eliminato i Dollari Statunitensi dalle Forex Reserves, rimpiazzandoli -in un primo momento- con la valuta degli Emirati Arabi Uniti, vale a dire il Dirham.
Ma dove nasce il processo di de-dollarizzazione -oramai completato- dell'economia Iraniana?
Come noi tutti sappiamo, gli USA hanno imposto -nel corso degli ultimi 30 anni- diverse sanzioni all'Iran, inasprite a partire dal momento in cui il paese Medio Orientale decise di arricchire il proprio uranio. In questa guerra fatta di spie e virus informatici, non poteva mancare l'uso di un'arma finanziaria; arma finanziaria impiegata dagli USA, proprio il 5 Febbraio 2012, allorquando le Autorità locali informarono gli operatori che, qualora una banca avesse intrattenuto rapporti con la Banca Centrale dell'Iran, sarebbe stata bannata dal sistema di regolamentazione dei pagamenti in dollari americani. Detta sanzione causò un immediata
TRA GLI SQUALI DI WALL STREET: VI RACCONTO IL COMPLETAMENTO DELLA DE-DOLLARIZZAZIONE DELL'IRAN
Nel Marzo 2012, gli USA presero delle contromisure, chiedendo alla -ed ottenendo dalla- SWIFT, l'esclusione dell' Iran, che a quel punto era totalmente isolata e non in grado -neanche tramite la sua banca centrale- di ricevere ed eseguire pagamenti da e verso l'estero.
cosicché dal Marzo 2012 l'Iran raggiunse un accordo con i principali partners commerciali -Cina, India, Russia - al fine di sviluppare nuovi sistemi di pagamento non contemplanti il dollaro e/o non transitanti dallo SWIFT.
Cosa ci dice questo caso? Ci dice che in un primo momento, gli USA -grazie all' embargo finanziario imposto all'Iran- riuscirono a danneggiare fortemente l'economia locale; tuttavia in un secondo momento, stante l'importanza dell'Iran quale paese esportatore di petrolio, i paesi asiatici e quelli BRICS cominciarono a vedere -per la prima volta dal 1944- una via alternativa all'egemonia internazionale del dollaro quale mezzo di pagamento, tanto è vero che proprio nel Marzo 2012, i Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, tennero un summit nel corso del quale pianificarono, per l'immediato, la creazione di un sistema di pagamenti multilaterale tra le economie emergenti e per il futuro la creazione di una valuta alternativa al dollaro USA.
tontolina
Forumer storico
Guerre e terrore: guai se l’Europa molla gli Usa per la Cina
Scritto il 15/1/15 • nella Categoria: idee
L’impero anglosassone sta perdendo il controllo del mondo: per questo scatena guerre ovunque, col grande obiettivo di tenere incatenata l’Europa – con l’euro, col Ttip – per impedirne la “fuga” verso lidi più convenienti, come la Russia e la Cina, della cui crescita ormai l’America ha una paura folle. Secondo Federico Dezzani, questa tendenza è emersa in modo esplosivo con la crisi della Lehman Brothers nel settembre 2008: il collasso del sistema finanziario che mette in luce la fragilità dell’economia Usa. Dalla Lehman alla strage di “Charlie Hebdo” a Parigi il passo è più breve di quanto possa apparire. Perché da allora «il mondo sembra impazzito e scivolato in una tale spirale di caos e violenza da dover tornare indietro di decenni per trovarne un precedente». In realtà aveva “parlato chiaro” già l’11 Settembre, da cui le guerre “imperiali” in Iraq e Afghanistan. Il crack di Wall Street, però, ha reso palese quello che poteva ancora essere celato: l’insostenibilità del sistema e la scorciatoia della violenza, anche terroristica, per evitare di fare i conti col resto del mondo.
Da allora, scrive Dezzani su “Come Don Chisciotte”, abbiamo assistito a un terremoto continuo, mai visto prima: la crisi dell’euro, il disastro dello spread, i governi non-eletti e guidati da ex-Goldman Sachs e affiliati al Bilderberg, le primavere arabe, l’intervento Nato in Libia con annessa uccisione di Gheddafi. E poi: i colpi di Stato consecutivi in Egitto, la guerra siriana, la rivolta di Gezi Park in Turchia, il tentato intervento Nato contro Damasco. A seguire: la nascita e proliferazione dell’Isis, le stragi di Boko Haram in Nigeria, il golpe di estrema destra in Ucraina con conseguente annessione russa della Crimea. Senza scordare le trattative segrete per il Ttip, la guerriglia nel Donbass con annesso abbattimento aereo di linea, le sanzioni a Mosca, la storica firma della cooperazione economica russo-cinese, la tentata “rivoluzione colorata” a Hong Kong. Per finire, l’attentato a Parigi contro “Charlie Hebdo” e, purtroppo, «molto altro ancora nei prossimi mesi».
Dezzani propone di ricondurre a un’unica narrazione tutti questi eventi apparentemente scollegati: «Sotto la crosta degli avvenimenti scorrono tre fiumi: l’incapacità dell’economia americana di sostenere l’impero e il conseguente sgretolamento della pax americana, la mancata trasformazione dell’Eurozona in unione fiscale, complice anche l’affievolirsi dell’influenza americana sul Vecchio Continente, che avrebbe consentito la nascita degli Stati Uniti d’Europa, e la vertiginosa crescita della Cina, divenuta già nel 2014 prima economia mondiale». Secondo Dezzani, «le élite anglofone sono consce che per mantenere il primato mondiale che detengono dal 1945, il Vecchio Continente deve essere inglobato nella sfera americana, per formare una massa economica e demografica tale da competere con i giganti euroasiatici: per tale fine era stato concepito l’euro, prodromo dell’unione fiscale e quindi politica dell’Europa nella cornice Ue-Nato».
Il tempo inoltre stringeva, continua Dezzani, perché nel frattempo sia l’Eurasia che l’Africa erano in forte crescita, ponendo le basi non solo per una futura competizione con Washington, ma rappresentando anche potenziali rivali nell’aggregazione con il Vecchio Continente: «Se l’Europa si saldasse all’asse Mosca-Pechino, oppure si formasse un triangolo Europa-Russia-Medioriente, gli Stati Uniti tornerebbero automaticamente al ruolo rivestito fino al 1914», e cioè «periferia del mondo». Qualcosa però non procede come previsto nel processo di unificazione europea: «E la crisi dell’euro, largamente prevedibile come può esserlo quella di un qualsiasi regime a cambi fissi, non partorisce gli Stati Uniti d’Europa nell’arco di tempo 2009-2012». A questo punto, «le élite anglofone cominciano a sudare freddo e si attivano immediatamente per impedire che si apra il recinto, consentendo ai buoi di fuggire dall’Unione Europea».
Per Dezzani, «i padroni del vapore devono quindi bloccare le forze centrifughe dell’Eurozona e immaginare un progetto di inglobamento alternativo dell’Europa, il Ttip». E inoltre, devono «fare terra bruciata attorno al Vecchio Continente, impedendo qualsiasi processo di integrazione alternativo: sponda nord e sponda sud del Mediterraneo, Germania-Russia, Italia-Russia-Libia». Attenzione: «La primavera araba, le rivoluzioni colorate, il caos libico, il conflitto siriano, il terrorismo dell’Isis e la guerra in Ucraina sono quindi strumenti con cui le élite finanziarie anglofone puntellano l’Eurozona in attesa di assimilare il Vecchio Continente nella “Nato economica”, il Ttip». Massima allerta: «Se domani scoppierà una bomba dell’Isis a Roma, una rivoluzione ad Algeri o un ordigno nel municipio di Donetsk, avete una chiave di lettura per inquadrare l’avvenimento in un più ampio sistema».
L’impero anglosassone sta perdendo il controllo del mondo: per questo scatena guerre ovunque, col grande obiettivo di tenere incatenata l’Europa – con l’euro, col Ttip – per impedirne la “fuga” verso lidi più convenienti, come la Russia e la Cina, della cui crescita ormai l’America ha una paura folle.
Secondo Federico Dezzani, questa tendenza è emersa in modo esplosivo con la crisi della Lehman Brothers nel settembre 2008: il collasso del sistema finanziario che mette in luce la fragilità dell’economia Usa.
Dalla Lehman alla strage di “Charlie Hebdo” a Parigi il passo è più breve di quanto possa apparire. Perché da allora «il mondo sembra impazzito e scivolato in una tale spirale di caos e violenza da dover tornare indietro di decenni per trovarne un precedente».
In realtà aveva “parlato chiaro” già l’11 Settembre, da cui le guerre “imperiali” in Iraq e Afghanistan.
Il crack di Wall Street, però, ha reso palese quello che poteva ancora essere celato: l’insostenibilità del sistema e la scorciatoia della violenza, anche terroristica, per evitare di fare i conti col resto del mondo.
Da allora, scrive Dezzani su “Come Don Chisciotte”, abbiamo assistito a un terremoto continuo, mai visto prima:
la crisi dell’euro,
il disastro dello spread,
i governi non-eletti e guidati da ex-Goldman Sachs e affiliati al Bilderberg,
le primavere arabe,
l’intervento Nato in Libia con annessa assassinio di Gheddafi.
E poi:
i colpi di Stato consecutivi in Egitto,
la guerra siriana,
la rivolta di Gezi Park in Turchia,
il tentato intervento Nato contro Damasco.
A seguire:
la nascita e proliferazione dell’Isis,
le stragi di Boko Haram in Nigeria,
il golpe di estrema destra in Ucraina con conseguente annessione russa della Crimea.
Senza scordare
le trattative segrete per il Ttip,
la guerriglia nel Donbass con annesso abbattimento aereo di linea,
le sanzioni a Mosca,
la storica firma della cooperazione economica russo-cinese,
la tentata “rivoluzione colorata” a Hong Kong.
Per finire, l’attentato a Parigi contro “Charlie Hebdo” e, purtroppo, «molto altro ancora nei prossimi mesi».
Dezzani propone di ricondurre a un’unica narrazione tutti questi eventi apparentemente scollegati: «Sotto la crosta degli avvenimenti scorrono tre fiumi: l’incapacità dell’economia americana di sostenere l’impero e il conseguente sgretolamento della pax americana, la mancata trasformazione dell’Eurozona in unione fiscale, complice anche l’affievolirsi dell’influenza americana sul Vecchio Continente, che avrebbe consentito la nascita degli Stati Uniti d’Europa, e la vertiginosa crescita della Cina, divenuta già nel 2014 prima economia mondiale».
Secondo Dezzani, «le élite anglofone sono consce che per mantenere il primato mondiale che detengono dal 1945, il Vecchio Continente deve essere inglobato nella sfera americana, per formare una massa economica e demografica tale da competere con i giganti euroasiatici: per tale fine era stato concepito l’euro, prodromo dell’unione fiscale e quindi politica dell’Europa nella cornice Ue-Nato».
Il tempo inoltre stringeva, continua Dezzani, perché nel frattempo sia l’Eurasia che l’Africa erano in forte crescita, ponendo le basi non solo per una futura competizione con Washington, ma rappresentando anche potenziali rivali nell’aggregazione con il Vecchio Continente: «Se l’Europa si saldasse all’asse Mosca-Pechino, oppure si formasse un triangolo Europa-Russia-Medioriente, gli Stati Uniti tornerebbero automaticamente al ruolo rivestito fino al 1914», e cioè «periferia del mondo».
Qualcosa però non procede come previsto nel processo di unificazione europea: «E la crisi dell’euro, largamente prevedibile come può esserlo quella di un qualsiasi regime a cambi fissi, non partorisce gli Stati Uniti d’Europa nell’arco di tempo 2009-2012».
A questo punto, «le élite anglofone cominciano a sudare freddo e si attivano immediatamente per impedire che si apra il recinto, consentendo ai buoi di fuggire dall’Unione Europea».
Per Dezzani, «i padroni del vapore devono quindi bloccare le forze centrifughe dell’Eurozona e immaginare un progetto di inglobamento alternativo dell’Europa, il Ttip».
E inoltre, devono «fare terra bruciata attorno al Vecchio Continente, impedendo qualsiasi processo di integrazione alternativo: sponda nord e sponda sud del Mediterraneo, Germania-Russia, Italia-Russia-Libia».
Attenzione: «La primavera araba, le rivoluzioni colorate, il caos libico, il conflitto siriano, il terrorismo dell’Isis e la guerra in Ucraina sono quindi strumenti con cui le élite finanziarie anglofone puntellano l’Eurozona in attesa di assimilare il Vecchio Continente nella “Nato economica”, il Ttip».
Massima allerta: «Se domani scoppierà una bomba dell’Isis a Roma, una rivoluzione ad Algeri o un ordigno nel municipio di Donetsk, avete una chiave di lettura per inquadrare l’avvenimento in un più ampio sistema».
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Da allora, scrive Dezzani su “Come Don Chisciotte”, abbiamo assistito a un terremoto continuo, mai visto prima: la crisi dell’euro, il disastro dello spread, i governi non-eletti e guidati da ex-Goldman Sachs e affiliati al Bilderberg, le primavere arabe, l’intervento Nato in Libia con annessa uccisione di Gheddafi. E poi: i colpi di Stato consecutivi in Egitto, la guerra siriana, la rivolta di Gezi Park in Turchia, il tentato intervento Nato contro Damasco. A seguire: la nascita e proliferazione dell’Isis, le stragi di Boko Haram in Nigeria, il golpe di estrema destra in Ucraina con conseguente annessione russa della Crimea. Senza scordare le trattative segrete per il Ttip, la guerriglia nel Donbass con annesso abbattimento aereo di linea, le sanzioni a Mosca, la storica firma della cooperazione economica russo-cinese, la tentata “rivoluzione colorata” a Hong Kong. Per finire, l’attentato a Parigi contro “Charlie Hebdo” e, purtroppo, «molto altro ancora nei prossimi mesi».
Dezzani propone di ricondurre a un’unica narrazione tutti questi eventi apparentemente scollegati: «Sotto la crosta degli avvenimenti scorrono tre fiumi: l’incapacità dell’economia americana di sostenere l’impero e il conseguente sgretolamento della pax americana, la mancata trasformazione dell’Eurozona in unione fiscale, complice anche l’affievolirsi dell’influenza americana sul Vecchio Continente, che avrebbe consentito la nascita degli Stati Uniti d’Europa, e la vertiginosa crescita della Cina, divenuta già nel 2014 prima economia mondiale». Secondo Dezzani, «le élite anglofone sono consce che per mantenere il primato mondiale che detengono dal 1945, il Vecchio Continente deve essere inglobato nella sfera americana, per formare una massa economica e demografica tale da competere con i giganti euroasiatici: per tale fine era stato concepito l’euro, prodromo dell’unione fiscale e quindi politica dell’Europa nella cornice Ue-Nato».
Il tempo inoltre stringeva, continua Dezzani, perché nel frattempo sia l’Eurasia che l’Africa erano in forte crescita, ponendo le basi non solo per una futura competizione con Washington, ma rappresentando anche potenziali rivali nell’aggregazione con il Vecchio Continente: «Se l’Europa si saldasse all’asse Mosca-Pechino, oppure si formasse un triangolo Europa-Russia-Medioriente, gli Stati Uniti tornerebbero automaticamente al ruolo rivestito fino al 1914», e cioè «periferia del mondo». Qualcosa però non procede come previsto nel processo di unificazione europea: «E la crisi dell’euro, largamente prevedibile come può esserlo quella di un qualsiasi regime a cambi fissi, non partorisce gli Stati Uniti d’Europa nell’arco di tempo 2009-2012». A questo punto, «le élite anglofone cominciano a sudare freddo e si attivano immediatamente per impedire che si apra il recinto, consentendo ai buoi di fuggire dall’Unione Europea».
Per Dezzani, «i padroni del vapore devono quindi bloccare le forze centrifughe dell’Eurozona e immaginare un progetto di inglobamento alternativo dell’Europa, il Ttip». E inoltre, devono «fare terra bruciata attorno al Vecchio Continente, impedendo qualsiasi processo di integrazione alternativo: sponda nord e sponda sud del Mediterraneo, Germania-Russia, Italia-Russia-Libia». Attenzione: «La primavera araba, le rivoluzioni colorate, il caos libico, il conflitto siriano, il terrorismo dell’Isis e la guerra in Ucraina sono quindi strumenti con cui le élite finanziarie anglofone puntellano l’Eurozona in attesa di assimilare il Vecchio Continente nella “Nato economica”, il Ttip». Massima allerta: «Se domani scoppierà una bomba dell’Isis a Roma, una rivoluzione ad Algeri o un ordigno nel municipio di Donetsk, avete una chiave di lettura per inquadrare l’avvenimento in un più ampio sistema».
L’impero anglosassone sta perdendo il controllo del mondo: per questo scatena guerre ovunque, col grande obiettivo di tenere incatenata l’Europa – con l’euro, col Ttip – per impedirne la “fuga” verso lidi più convenienti, come la Russia e la Cina, della cui crescita ormai l’America ha una paura folle.
Secondo Federico Dezzani, questa tendenza è emersa in modo esplosivo con la crisi della Lehman Brothers nel settembre 2008: il collasso del sistema finanziario che mette in luce la fragilità dell’economia Usa.
Dalla Lehman alla strage di “Charlie Hebdo” a Parigi il passo è più breve di quanto possa apparire. Perché da allora «il mondo sembra impazzito e scivolato in una tale spirale di caos e violenza da dover tornare indietro di decenni per trovarne un precedente».
In realtà aveva “parlato chiaro” già l’11 Settembre, da cui le guerre “imperiali” in Iraq e Afghanistan.
Il crack di Wall Street, però, ha reso palese quello che poteva ancora essere celato: l’insostenibilità del sistema e la scorciatoia della violenza, anche terroristica, per evitare di fare i conti col resto del mondo.
Da allora, scrive Dezzani su “Come Don Chisciotte”, abbiamo assistito a un terremoto continuo, mai visto prima:
la crisi dell’euro,
il disastro dello spread,
i governi non-eletti e guidati da ex-Goldman Sachs e affiliati al Bilderberg,
le primavere arabe,
l’intervento Nato in Libia con annessa assassinio di Gheddafi.
E poi:
i colpi di Stato consecutivi in Egitto,
la guerra siriana,
la rivolta di Gezi Park in Turchia,
il tentato intervento Nato contro Damasco.
A seguire:
la nascita e proliferazione dell’Isis,
le stragi di Boko Haram in Nigeria,
il golpe di estrema destra in Ucraina con conseguente annessione russa della Crimea.
Senza scordare
le trattative segrete per il Ttip,
la guerriglia nel Donbass con annesso abbattimento aereo di linea,
le sanzioni a Mosca,
la storica firma della cooperazione economica russo-cinese,
la tentata “rivoluzione colorata” a Hong Kong.
Per finire, l’attentato a Parigi contro “Charlie Hebdo” e, purtroppo, «molto altro ancora nei prossimi mesi».
Dezzani propone di ricondurre a un’unica narrazione tutti questi eventi apparentemente scollegati: «Sotto la crosta degli avvenimenti scorrono tre fiumi: l’incapacità dell’economia americana di sostenere l’impero e il conseguente sgretolamento della pax americana, la mancata trasformazione dell’Eurozona in unione fiscale, complice anche l’affievolirsi dell’influenza americana sul Vecchio Continente, che avrebbe consentito la nascita degli Stati Uniti d’Europa, e la vertiginosa crescita della Cina, divenuta già nel 2014 prima economia mondiale».
Secondo Dezzani, «le élite anglofone sono consce che per mantenere il primato mondiale che detengono dal 1945, il Vecchio Continente deve essere inglobato nella sfera americana, per formare una massa economica e demografica tale da competere con i giganti euroasiatici: per tale fine era stato concepito l’euro, prodromo dell’unione fiscale e quindi politica dell’Europa nella cornice Ue-Nato».
Il tempo inoltre stringeva, continua Dezzani, perché nel frattempo sia l’Eurasia che l’Africa erano in forte crescita, ponendo le basi non solo per una futura competizione con Washington, ma rappresentando anche potenziali rivali nell’aggregazione con il Vecchio Continente: «Se l’Europa si saldasse all’asse Mosca-Pechino, oppure si formasse un triangolo Europa-Russia-Medioriente, gli Stati Uniti tornerebbero automaticamente al ruolo rivestito fino al 1914», e cioè «periferia del mondo».
Qualcosa però non procede come previsto nel processo di unificazione europea: «E la crisi dell’euro, largamente prevedibile come può esserlo quella di un qualsiasi regime a cambi fissi, non partorisce gli Stati Uniti d’Europa nell’arco di tempo 2009-2012».
A questo punto, «le élite anglofone cominciano a sudare freddo e si attivano immediatamente per impedire che si apra il recinto, consentendo ai buoi di fuggire dall’Unione Europea».
Per Dezzani, «i padroni del vapore devono quindi bloccare le forze centrifughe dell’Eurozona e immaginare un progetto di inglobamento alternativo dell’Europa, il Ttip».
E inoltre, devono «fare terra bruciata attorno al Vecchio Continente, impedendo qualsiasi processo di integrazione alternativo: sponda nord e sponda sud del Mediterraneo, Germania-Russia, Italia-Russia-Libia».
Attenzione: «La primavera araba, le rivoluzioni colorate, il caos libico, il conflitto siriano, il terrorismo dell’Isis e la guerra in Ucraina sono quindi strumenti con cui le élite finanziarie anglofone puntellano l’Eurozona in attesa di assimilare il Vecchio Continente nella “Nato economica”, il Ttip».
Massima allerta: «Se domani scoppierà una bomba dell’Isis a Roma, una rivoluzione ad Algeri o un ordigno nel municipio di Donetsk, avete una chiave di lettura per inquadrare l’avvenimento in un più ampio sistema».
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tontolina
Forumer storico
LE MOSSE SULLO SCACCHIERE ECONOMICOL’Italia sfida gli Usa: entra nella Aiib,
risposta cinese alla Banca Mondiale
Il Financial Times rivela che anche Francia e Germania faranno parte della Asian Infrastructure Investment Bank: nei giorni scorsi si era mossa Londra, irritando gli Usa
di Redazione online
Dopo la Gran Bretagna, il cui passo ha irritato profondamente gli Stati Uniti, anche l’Italia ha accettato di entrare a far parte della Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib).
La Aiib è l’istituto finanziario promosso dalla Cina per costituire — secondo gli Usa — un’alternativa alla Banca Mondiale di Washington e all’Asian Development Bank, sponsorizzata dall’America. È quanto rivela il Financial Times secondo il quale la Aiib, voluta con forza da Pechino e vista come fumo negli occhi dagli Usa, faranno parte anche Germania e Francia.
L’ostruzionismo di Washington
Washington, scrive il Ft, ha fatto di tutto per evitare che nazioni occidentali entrassero nella Aiib. L’istituto, fondato a Pechino lo scorso anno, punta ad attrarre investimenti in infrastrutture in settori come trasporti, energia e telecomunicazioni in tutta l’Asia. Tra i Paesi della regione, ma rimasti finora fuori dalla Aiib, si contano Giappone, Corea del Sud e Australia. A Canberra, però, il premier Tony Abbott ha fatto sapere che a breve farà una scelta finale.
La strategia di Pechino
La Aiib è stata lanciata lo scorso anno dal presidente cinese Xi Jinping, e rappresenta la punta di lancia della strategia di Pechino per accrescere la propria influenza internazionale, in particolare nella partita che la vede opposta a Washington nella definizione delle regole che guideranno il commercio mondiale nei prossimi decenni.
Quando , la scorsa settimana, Londra ha annunciato la propria adesione all’istituto, si è «giustificata» ufficialmente con le imminenti elezioni politiche nel Regno Unito. Agli osservatori è però apparso evidente l’intento britannico di posizionarsi come destinazione principale degli investimenti cinesi. Una mossa alla quale evidentemente le altre tre grandi potenze economiche europee, Italia compresa, non potevano che adeguarsi.
L’Italia sfida gli Usa: entra nella Aiib,risposta cinese alla Banca Mondiale - Corriere.it
tontolina
Forumer storico
Regno Unito, Germania, Francia, Italia ed Australia chiedono di entrare nell’AIIB.
Regno Unito, Germania, Francia, Italia ed Australia chiedono di entrare nell'AIIB. - SENZANUBI
È più di un anno che abbiamo messo sull’avviso i signori Lettori.
Brics’s Development Bank.
Un vero punto di attrito tra Russia e Usa: L’IMF.
IMF, Word Bank, G8. Un impero che si sta sgretolando.
Regno Unito, Germania, Francia, Italia ed Australia chiedono di entrare nell'AIIB. - SENZANUBI
È più di un anno che abbiamo messo sull’avviso i signori Lettori.
Brics’s Development Bank.
Un vero punto di attrito tra Russia e Usa: L’IMF.
IMF, Word Bank, G8. Un impero che si sta sgretolando.
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Oggi è arrivato il melting point.