Ricercatore iraniano " messo a morte per non aver voluto spiare l'occidente per l'Iran " (1 Viewer)

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In un documento la ricostruzione del ricercatore che lavorava a Novara, condannato alla pena capitale a Teheran

di MICHELE CATANZARO
24 ottobre 2017

LA MIA unica colpa è stata rifiutare di usare la fiducia dei miei colleghi e delle università europee per spiare per i servizi segreti iraniani". Così spiega la sua condanna a morte Ahmadreza Djalali, ricercatori iraniano detenuto a Teheran da 18 mesi, dopo aver vissuto e lavorato in Italia per tre anni. È questa la versione contenuta in un documento attribuito al ricercatore e spedito ad alcuni dei suoi colleghi da una fonte a lui vicina (che preferisce mantenere l'anonimato), a cui Repubblica.it ha avuto accesso in esclusiva.

Djalali (46 anni) è un esperto in medicina delle catastrofi. I progetti di ricerca che aveva realizzato all'Università del Piemonte Orientale (Novara) fra il 2012 e il 2015 riguardavano temi come la risposta degli ospedali ad attacchi terroristici CBRN (chimici, biologici, radiologici o nucleari). A Novembre 2015, Djalali si era trasferito in Svezia per lavorare al Karolinska Institutet, il centro che assegna i premi Nobel per la medicina, ma manteneva la collaborazione accademica con l'Italia. Il 25 aprile 2016, durante un viaggio in Iran, Djalali è stato arrestato e accusato di "collaborazione con un governo ostile".

Sabato scorso, la sentenza: pena di morte per aver ottenuto denaro, lavoro e progetti di ricerca, a cambio di trasferire informazione sensibile iraniana ad Israele. Ma la via crucis di Djalali sarebbe cominciata molto prima dell'arresto, secondo il documento. "Durante un viaggio in Iran nel 2014, due persone dell'esercito e dei servizi segreti mi chiesero di identificare e raccogliere dati ed informazioni: di fare spionaggio nei paesi europei, riguardo alle loro infrastrutture critiche, capacità anti-terroristiche, piani operativi sensibili[...] La mia risposta fu NO", afferma il documento.

Djalali, il documento esclusivo dello scienziato: "Messo a morte per non aver voluto spiare l'occidente per l'Iran"
 

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di F. Q. | 24 ottobre 2017

Accusato di essere una spia e, per questo, condannato a morte. Ahmadreza Djalali, medico iraniano con un passato da ricercatore in Italia, all’università del Piemonte orientale di Novara, è stato accusato dal suo Paese di aver collaborato con governi considerati nemici: nella sentenza si parla di “contatti con Israele”. Il ministro degli Esteri Angelino Alfano ha detto che vedrà l’ambasciatore italiano in Iran nei prossimi giorni per “sensibilizzare gli iraniani su questo caso fino all’ultimo”. Un terzo dei senatori di tutti i gruppi ha firmato un appello per il responsabile della Farnesina: “Salviamo il ricercatore condannato a morte per non aver voluto spiare l’Europa”.

Djalali, 45 anni, marito e padre di due figli, si trova da un anno e mezzo rinchiuso nel carcere di Evin, a Teheran. Il 25 aprile 2016 il ricercatore, residente in Svezia con la famiglia, era tornato in patria su invito delle università di Teheran e Shiraz per un convegno di medicina. Appena messo piede in territorio iraniano, però, era stato ammanettato e portato in carcere senza alcuna accusa formale. Come si legge nel report di Amnesty International, che ha lanciato una campagna per la sua scarcerazione, nei dieci giorni successivi all’arresto la famiglia di Djalali non ha saputo nulla di lui. A gennaio, di fronte alla XV Corte rivoluzionaria della Repubblica islamica dell’Iran, un giudice gli ha comunicato l’accusa di spionaggio e la possibile condanna a morte. Solo dopo sette mesi dall’arresto gli è stato concesso di incontrare il suo avvocato. La notizia della sentenza, emessa il 21 ottobre e confermata dalla moglie del ricercatore, ...

Ahmadreza Djalali, per medico iraniano condannato a morte per spionaggio l'appello dei senatori: "Salviamolo" - Il Fatto Quotidiano
 

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il 25/10/2017
Ultima modifica il 26/10/2017 alle ore 19:09
BARBARA COTTAVOZ
NOVARA
«É una bugia, mio marito non è mai stato un agente del Mossad»: Vida Mehrannia, la moglie del ricercatore Ahmad Djalali, il ricercatore iraniano collaboratore dell’Università di Novara, contesta con decisione l’accusa mossa dal tribunale di Teheran contro di lui. Sabato l’avvocato difensore è stato convocato per la lettura della sentenza e ieri il procuratore della capitale, Abbas Jafari-Dowlatabadiha, ha annunciato ai media iraniani (poi ripresi da Bbc e Reuters) la condanna a morte di una spia di Israele: non ha fatto il nome ma il riferimento al ricercatore dell’Università novarese è apparso evidente agli attivisti di Amnesty che da mesi seguono la vicenda.


Sola in Svezia con i due figli

«Durante il processo hanno cercato di dimostrare che mio marito collaborava con Israele ma non è vero niente, sono falsità. Mio marito non ha mai collaborato con i servizi segreti» dice Vida Mehrannia che vive a Stoccolma da sola con i due figli Amitis, di 14 anni, e Ariou di 5. Il più piccolo non sa nulla di quanto sta succedendo al padre e chiede sempre di lui: la mamma gli racconta che deve lavorare in Iran e non può tornare a casa da loro. Amitis, invece, fin dall’inizio ha seguito con coraggio la vicenda che ha travolto la sua famiglia. Nei mesi scorsi i due figli di Djalali avevano lanciato anche un appello a papa Francesco. «Aiutaci a riportare a casa il nostro papà» avevano chiesto al pontefice. Nel periodo vissuto a Novara, tra il 2012 e il 2016, la ragazzina aveva frequentato la scuola e parla molto bene l’italiano.

In questi giorni è emerso un documento che è stato attribuito a Ahmad Djalali: il ricercatore lo avrebbe scritto ad agosto. Nel testo, fatto circolare in forma anonima, si fa riferimento a due contatti dei servizi segreti iraniani con il medico durante i suoi viaggi a Teheran: gli agenti gli avrebbero chiesto di collaborare e lui avrebbe risposto di «no» sottolineando di essere «uno scienziato, non una spia». Vida ritiene che possa essere stato scritto realmente da suo marito: «Credo che il documento sia suo anche se non ho visto l’originale ma solo la trascrizione».
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La moglie del ricercatore condannato a Teheran: “Ahmad è uno scienziato, non una spia del Mossad”
 

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LEFT REDAZIONE 24 OTTOBRE

La Repubblica iraniana lo vuole morto. Rimangono solo 20 giorni per liberarlo. Salvate Ahmad, salvate la scienza. Salvate chi salva gli altri: un medico, un luminare, un simbolo. Della ricerca contro l’oscurantismo, della solidarietà contro la spietata legge di Stato. Né giusta, né laica.

Ahmadreza Djalali è chiuso dentro una cella della prigione di Evin a Teheran, dove è stato arrestato ad aprile 2016, quando si era recato in patria su invito dell’università per un convegno medico. Appena messo piede nel suo Paese d’origine, è stato ammanettato e accusato di spionaggio. Il medico 45enne è ora condannato alla pena capitale. Lui, che ha dedicato tutta la sua vita a migliorare l’esistenza degli altri, specializzandosi in “medicina dei disastri”, per salvare quanti nascono, vivono e muoiono sotto le bombe e le macerie, nei teatri d’emergenza, nei luoghi del mondo in guerra.
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https://left.it/2017/10/24/salviamo...llo-per-il-medico-condannato-a-morte-in-iran/

Per la campagna di solidarietà in Italia leggi anche qui
https://left.it/2017/02/09/salvate-...sce-la-mobilitazione-ma-dalliran-il-silenzio/
 

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Pubblicato il 12/12/2017
Ultima modifica il 12/12/2017 alle ore 16:52
BARBARA COTTAVOZ
NOVARA

É stata confermata in Appello la condanna a morte per Ahmadreza Djalali, il medico iraniano di 46 anni detenuto dall’aprile del 2016 con l’accusa di spionaggio a favore di Israele. Lo annuncia una nota di Amnesty International di Londra: «Gli avvocati di Ahmadreza Djalali hanno appreso sabato 9 dicembre che la Sezione 1 della Corte Suprema (di Teheran ndr) aveva preso in considerazione e ha confermato la sua condanna a morte in modo sommario senza concedere loro l’opportunità di presentare le loro osservazioni difensive».

Djalali è un esperto in Medicina dei disastri e dal 2012 fino alla fine del 2015 ha lavorato a Novara, all’Università del Piemonte Orientale con cui collaborava ancora nel momento in cui è stato arrestato, durante un viaggio di lavoro in Iran su invito dell’ateneo di Teheran.
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La mobilitazione di tutto il mondo

Per Djalali si sono mobilitati in tantissimi in tutto il mondo: 75 premi Nobel hanno invocato la sua liberazione e poi le diplomazie di Svezia, Belgio e Italia ( i paesi in cui ha lavorato), Amnesty e altre organizzazione per i diritti umani, ricercatori e scienziati. Ancora oggi i senatori Luigi Manconi ed Elena Ferrara hanno sollecitato il ministero degli Esteri italiano e l’ambasciatore del nostro paese in Iran per verificare la situazione giudiziaria del medico. Domani, mercoledì 13 dicembre, il caso sarà discusso nella riunione mensile dei capi missione dell’Unione Europea per valutare la possibilità di un passo ufficiale dell’Ue nei confronti di Teheran.
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Secondo quanto riportato da Amnesty «dall’inizio di novembre, gli avvocati di Ahmadreza Djalali hanno ripetutamente contattato la Corte Suprema per scoprire in quale sezione era stata assegnata la petizione di ricorso in modo che potessero presentare le loro osservazioni. Gli avvocati di Ahmadreza Djalali hanno detto di essere stati più volte informati dagli impiegati del tribunale che il caso non era ancora stato assegnato a titolo e che avrebbero dovuto aspettare. Di conseguenza, l’improvvisa notizia della decisione della Corte Suprema è stata uno shock. Le autorità iraniane devono immediatamente annullare la condanna a morte di Ahmadreza Djalali e accordargli il diritto di presentare un appello significativo contro la sua condanna dinanzi alla più alta corte».

L’Iran conferma la condanna a morte del medico accusato di spionaggio


Supreme Court Upholds Swedish Resident Ahmadreza Djalali’s Death Sentence

Iran: Swedish-Iranian Scientist Sentenced to Be Hanged For "Spying"

Un professeur de la VUB condamné à la peine capitale en Iran - Les universités flamandes appellent aux actions en soutien au Pr. Djalali
 

big_boom

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se questa non e' una fake news io sono babbo natale

costituzione italiana:

legge penale militare e nell'art. 90
Art. 27 Pubblicazione della sentenza di condanna. Salvo che il giudice disponga altrimenti, le sentenze di condanna alla pena di morte (1) o all'ergastolo, pronunciate dai tribunali militari di guerra per i reati di tradimento, di spionaggio o di diserzione al nemico o in presenza del nemico, sono pubblicate per estratto mediante affissione, oltre che nei luoghi indicati nel codice penale militare di pace, anche nel comune in cui il militare ebbe l'ultima residenza o dimora.

semplicemente l'Iran considera tradimento il non spionaggio
 

alingtonsky

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E allora non ci sarebbe una fake news, ma solo una tua ipotesi sulla motivazione della condanna.

Ma la legge penale militare non si applica a civili quando non c'è una guerra.
 

alingtonsky

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Confermata la condanna a morte per il medico iraniano Ahmadreza Djalali

di Redazione - 14 dicembre 2017 - 13:00
... il medico iraniano che per anni ha lavorato come ricercatore universitario in Piemonte.
...
“La conferma della condanna rappresenta un fatto gravissimo che ci indigna e apre ancora una volta una finestra drammatica sullo stato dei diritti umani in quel paese”, così il presidente del Consiglio regionale e presidente del Comitato Diritti Umani, Mauro Laus.

“Come Consiglio regionale auspichiamo e lavoreremo per una pronta mobilitazione da parte di istituzioni, associazioni e società civile per impedire un tragico epilogo. Il Comitato Diritti Umani metterà in campo tutte le azioni per sensibilizzare l’opinione pubblica”, ha concluso.

La prima sentenza di condanna era stata emessa il 21 ottobre scorso e sabato 9 dicembre i suoi avvocati sono stati informati della nuova decisione. Lo ha reso noto da Londra Amnesty International che accusa il tribunale di Teheran di non aver garantito la difesa durante il processo.
 

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