Riapertura bordelli (1 Viewer)

Riapertura Bordelli

  • Si

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  • No

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    72

Claire

ἰοίην

(...) Il sesso nella prostituzione, come nella pornografia, da cui trae trame immaginarie, è un sesso ipercodificato e socialmente sovrascritto, frutto di una necessaria scissione in origine che si trasmette sulla stessa linea di frattura: dal corpo all’immaginario colonizzato. La condizione affinché tale immaginario ipercodificato sia adeguatamente nutrito è che la sex worker si annulli, separi il proprio corpo dalle proprie emozioni, e diventi docile strumento nelle mani altrui.

Questo in che modo ha a che fare con la dignità umana? Il corpo teatralizzato, scisso e inerte della prostituta ha a che fare con la dignità umana o no?

Possiamo perciò affermare che il sex work è un lavoro come un altro e che la dignità umana non è più calpestata rispetto a tanti altri lavori, socialmente più accettabili, nei quali si perde ugualmente dignità e salute?

Qui le posizioni nel dibattito sociale divergono e di molto.

Chi pensa che il sex work e la prostituzione siano un lavoro come un altro, afferma che la sex worker sia la proprietaria del proprio corpo e che quindi ha il diritto di farne ciò che vuole in una società nella quale vendere e comprare qualunque cosa è atto di libera affermazione di sé. Il principio di libertà e di autodeterminazione in tal caso appare come principio assoluto e astorico, e che l’unico problema delle sex workers sia lo stigma morale che la società infligge loro. Si trascura in questa visione ipocritamente libertaria che il corpo di cui la donna si dichiara proprietaria è un corpo sul quale i codici sociali hanno già profondamente scritto ed inciso la loro precisa narrazione. Ed è una storia di dominio e di sfruttamento, una storia dove l’immaginario erotico, anche femminile, è stato totalmente colonizzato e reso consumistico.

Chi pensa che il sex work non sia un lavoro come un altro, crede invece che questa preliminare e necessaria perdita di dignità, scritta nella scissione sopra descritta, seppure socialmente e perfettamente sintonica rispetto al disagio diffuso esistente, non sia mai condizione di una libera scelta, ma che faccia di questo lavoro un lavoro dove la componente alienante è tale da ledere mortalmente in sequenza dignità e salute.
(...)
 

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