da
http://www.longshortinvest.com/4576.html
I corsi delle azioni sono il risultato di domanda ed offerta ma spesso ci si dimentica che questo processo é basato sul valore fondamentale che ogni investitore attribuisce alla società di cui tratta le azioni. Ci sono molti modi per determinare il valore di un'azienda ma tutti dipendono dal patrimonio e dagli utili, presenti e futuri.
Questa valutazione, che in tempi normali é già un processo difficile, é diventata ora un'avventura dal risultato incerto. Nessuno sembra in grado di valutare la situazione patrimoniale delle imprese (specialmente nel settore finanziario) o stimare l'impatto della recessione sugli utili. Gli sconvolgimenti dell'ultimo anno hanno reso questo lavoro improbo.
Le stime ufficiali per gli utili 2009 delle più grandi società americane comprese nell'indice S&P500 sono a fine aprile scese a circa 30 USD. Se anche crediamo a questa stima dobbiamo poi scegliere un rapporto prezzo utili (P/E) con il quale capitalizzare questo valore per sapere quanto „vale“ l'indice.
Dobbiamo prendere un P/E di 10, rapporto che nel passato é stato raggiunto al termine di un bear market? O dobbiamo prendere il valore di lungo periodo che corrisponde circa a 15? O dobbiamo partire dal reddito delle obbligazioni del Tesoro USA a 10 anni (2.8%) aggiungendo un premio rischio (diciamo 3%) arrivando quindi ad un P/E di 17.2?
Difficile da dire ma se accettiamo i 30 USD per buoni e li capitalizziamo con un generoso P/E di 16 arriviamo ad un valore corretto per l'S&P500 di 480 punti. I 666 punti di minimo sull'S&P500 raggiunti il 6 di marzo sembrano ancora troppi senza parlare degli 875 toccati ad aprile durante il bear market rally in corso.
Ma forse prendere i valori attuali degli utili delle aziende é sbagliato come consiglia il nostro collega Giuseppe Bertoncello (leggete a questo proposito il suo ottimo post dal titolo
„Rendimenti azionari attesi: come stimarli“). Bisogna quindi, come consigli lui, utilizzare P/E normalizzati e stime decennali degli utili per smussare i picchi inveritieri che non rispecchiano la vera situazione di un'impresa?
Mah, la verità é che non sappiamo con un minimo di sicurezza se gli indici azionari sono attualmente sottovalutati o sopravvalutati poiché i fattori di incertezza sono talmente tanti che raccapezzarsi é impossibile. Non bisogna poi dimenticare che molti investitori agiscono su impulsi psicologici senza fare grandi calcoli di value. Un'azione che cade da 80 CHF a 10 CHF invoglia il compratore (che la ritiene a buon prezzo) e spaventa il venditore (che pensa che a questo livello non conviene più vendere) ed il risultato é che la quotazione del titolo sale. Questo tipo di ragionamenti li sentiamo ogni giorno dagli investitori privati e sono quelli che da situazioni di ipervenduto scatenano i bear market rally.
Detto quindi che valutare ora il mercato é molto difficile, dobbiamo aggiungere che per gestire dei patrimoni dobbiamo avere un'opinione su cui basare le nostre decisioni. Noi pensiamo che il bear market non é terminato. L'S&P500 (e con lui la maggior parte degli indici azionari conosciuti) deve ancora scendere e probabilmente quest'anno vedremo un nuovo minimo sui 600 punti.
Pubblichiamo oggi ancora un contributo di Giuseppe Turani, giornalista di La Repubblica. Egli riprende alcuni dei temi da noi affrontati: i bilanci inveritieri delle banche, l'aspetto emozionale dei movimenti degli indici azionari e non da ultimo la profondità e probabile durata di questa recessione. La sua opinione é che
LA RISCOSSA DELLE BORSE E' ANCORA LONTANA
di Giuseppe Turani (20.04.2009)
«Poveri noi, i matti si sono impossessati del manicomio». Qualcosa del genere si potrebbe dire, oggi, a proposito dell´attuale rally di Borsa: i matti si sono impadroniti del mercato.
Quando nel 1919 Charlie Chaplin e alcuni suoi amici fondarono la United Artists per fare in proprio i film a cui tenevano, i capi delle case di produzione commentarono acidi: «Poveri noi, i matti si sono impossessati del manicomio». Qualcosa del genere si potrebbe dire, oggi, a proposito dell´attuale rally di Borsa: i matti si sono impadroniti del mercato.
Per rendersene conto, bastano poche riflessioni. Fra i protagonisti più accesi del rialzo ci sono tutti i vecchi shortisti di ieri. Presi in contropiede (perché pensavano che i listini sprofondassero sottoterra), adesso sono costretti a ricomprare in fretta i titoli che avevano venduto per ricoprirsi: in caso contrario rischiano di saltare per aria (ma forse qualcuno salterà lo stesso). E´ tutta gente, insomma, che sta lì in un equilibrio abbastanza instabile e che quindi, non appena se ne presentasse l´occasione, regolerebbe i conti con questo mercato che li ha traditi, mandandolo a picco nel giro di appena un paio di sedute. Questo rialzo, cioè, è un po´ come quel tale che attraversava il fiume su una barca, ma in compagnia dell´elefante: non è detto che arrivi dall´altra parte.
La seconda categoria di persone (e istituzioni) che si distingue in questo rialzo è quella fatta dai soggetti che, avendo perso tutto quello che potevano perdere nel ribasso precedente, adesso hanno paura di arrivare troppo tardi sul rialzo e quindi si affrettano a comprare qualsiasi cosa.
Il tutto, infine, sta appoggiato su mezze verità e palesi bugie. Queste ultime sono rappresentate dai bilanci delle grandi banche americane (protagoniste, a suo tempo, del crac). Banche che oggi si presentano (miracolosamente) con bilanci in utile e in qualche caso addirittura smaglianti, cosa che ha fatto da carburante all´ottimismo dei mercati (e che ha preso in contropiede gli shortisti). Peccato che quei bilanci così fascinosi siano tutti falsi, dal primo all´ultimo. Frutto non tanto di una buona e rinnovata gestione, ma semplicemente di nuove regole contabili. Regole fatte apposta per consentire ai banchieri di chiudere un occhio sulle loro recenti malefatte.
In realtà, le grandi banche americane non si sono affatto risanate, fa solo comodo dire che è così. E sembra che dentro abbiano ancora tonnellate di roba marcia, di titoli tossici. Inoltre, continua il traffico sui tanto deprecati titoli derivati: insomma, più o meno come «prima» dello scoppio del caos.
Infine, si dice che la Grande Crisi ha ormai i giorni contati. E questa è un´altra mezza bugia. La recessione non durerà ancora dieci anni, questo no. Ma parecchi mesi sì. Per l´Italia, ad esempio, è quasi certo che la produzione industriale continuerà a calare almeno fino a agosto. Dopo, forse, arriveranno piccoli segnali di inversione di rotta, ma niente di clamoroso. La disoccupazione rimarrà alta (e i consumi bassi).
E l´economia italiana, invece, volerà bassa per anni. E questo perché il nostro principale partner in affari (la Germania) crescerà molto poco per un certo numero di anni, grosso modo sotto la linea del 2 per cento.
Insomma, è vero che stiamo uscendo dalla crisi, ma non lo stiamo facendo puliti e lindi come si dovrebbe. Ci trasciniamo dietro un bel po´ dello sporco accumulato negli anni passati e non stiamo correndo verso un nuovo Eldorado, ma verso una stagione che nei primi anni sarà difficile e faticosa, deludente.
E, dietro le quinte, ci sono gli shortisti di ieri, sempre pronti a dare una botta in testa a questo mercato e a sistemare i conti una volta per tutte. C´è chi dice che il momento buono arriverà verso maggio-giugno, e c´è chi sostiene che lo stop è ancora più vicino.
I mercati sono bizzarri e imprevedibili per loro natura, e quindi non resta che stare a vedere. Ma questi non sembrano proprio tempi per una lunga e orgogliosa riscossa dei listini.
Michele Bernasconi, 23 aprile 2009