Reati in calo,INGIUSTIZIA in forte aumento (1 Viewer)

tontolina

Forumer storico
Sparò a ladro entrato in negozio
condanna a 37 mesi



Commerciante sparò al ladro che era entrato nel suo negozio, condannato in primo grado a tre anni ed un mese di reclusione. Hanno deciso così i giudici di Modena nel processo che vedeva al banco degli imputati Giuliano Barbieri, negoziante di Formigine che la notte del 7 novembre del 2009 sparò a uno dei malviventi intenzionato a svaligiare il suo negozio di abbigliamento; il ladro restò gravemente ferito perché centrato da due colpi sparati dalla pistola regolarmente detenuta dal negoziante. La procura aveva contestato all'uomo di non aver agito per legittima difesa, chiedendo la condanna a quattro anni per tentato omicidio. Condanna che c'è stata, per quel reato, ma a tre anni e un mese. La difesa ha già annunciato il ricorso alla corte d'Appello. In sede civile sarà anche da stabilire il risarcimento dei danni nei confronti del ladro.

Sparò a ladro entrato in negozio condanna a 37 mesi


in Italia è inutile lavorare dove si fatica e si guadagna poco
è meglio rubare perchè si è più garantiti dalla "giustizia"
 

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L’afferra al collo e stringe le mani alla gola: dal ragazzo vuole 10 € per la droga. Fermato marocchino

Ha afferrato il primo ragazzo per il collo, poi il secondo per la gola: deciso a farsi dare almeno 10 euro con cui comprarsi la dose giornaliera dai due fratelli presi di mira. È successo a Modena, dove un 25enne marocchino, conosciuto alle forze dell’ordine in quanto pluri-pregiudicato, e non nuovo a imprese criminali di questo genere [che però non è in galera ma è libero di ripetere i crimini sempre più efferati], ha aggredito brutalmente due fratelli per estorcere loro il denaro da spendere in cocaina. E pensare che il giovane nordafricano è uno degli stranieri accolti e regolari sul nostro territorio…

Modena, afferra per il collo e per la gola due fratelli a passeggio
Un’aggressione che poteva finire pure peggio, considerando lo svolgimento e la nutritissima antologia di precedenti analoghi: Ieri, comunque, in quel di Modena, due fratelli stavano tranquillamente camminando lungo via Taglio quando il marocchino, bottiglia in mano e atteggiamento decisamente sopra le righe, si è avvicinato ai due intimando loro di consegnarli 10 euro in modo tale che potesse andare a comprarsi la dose giornaliera di cocaina. Poi, per essere più convincente, ha preso il collo uno dei due che a fatica hanno cercato di dimostrare all’uomo – addirittura mostrando il portafogli vuoto – di non avere denaro con loro. A quel punto, deluso e in cerca di nuove prede da minacciare, malmenare e derubare, l’extracomunitario ha mollato la prese e si è allontanato, non prima di aver sottratto a una delle sue due vittime il berretto che indossava.

Voleva estorcergli il denaro necessario per comprarsi la droga
Finalmente padroni di andarsene, i due fratelli si sono rapidamente diretti alla prima volante di polizia intercettata in strada, e agli agenti hanno denunciato quanto appena accaduto ai loro danni. Le forze dell’ordine, a quel punto, si sono messi sulle tracce del marocchino che, una volta individuato e arrestato, ha ammesso quanto appena fatto: ora è accusato di tentata estorsione, reato di cui – peraltro – il 25enne nordafricano si è reso autore già infinite altre volte; anche per questo ora dovrà attendere in cella il giudizio del tribunale di Modena [che di certo lo libererà subito con una pacca sulle spalle].
 

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Abbiamo giudici razzisti contro gli italiani e gli innocenti
sono a favore degli stranieri e dei delinquenti


Il paradosso di INgiustizia:
all'italiano ucciso 21mila euro,
ai ladri rom feriti 135mila

Ai ladri feriti da Ermes Mattielli sei volte l'indennizzo garantito alla famiglia di David, ucciso da un clandestino

Giuseppe De Lorenzo - Mar, 12/03/2019 - 18:48

Bisognerà fare la tara. Sono diverse le situazioni, gli anni, le circostanze. Eppure mettere a confronto le due vicende fa emergere tutti i paradossi/ingiustizie italiani. Due casi: Ermes Mattielli da una parte, David Raggi dall'altra.

Il paradosso di Stato: all'italiano ucciso 21mila euro, ai ladri rom feriti 135mila

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In apparenza sono due sconosciuti che non hanno nulla da condividere, se non la sfortuna di finire sulle prime pagine dei giornali.
Ermes Mattielli, anziano robivecchi di Arsiero, sparò a due ladri rom che erano entrati nella sua azienda.
David, invece, è stato ammazzato senza un perché in strada da un clandestino che non sarebbe dovuto essere lì.

Il paradosso sta nel seguito delle due vicende.
Il robivecchi veneto, dopo anni di calvario giudiziario, venne condannato a cinque anni e quattro mesi per duplice tentato omicidio dei malviventi rom. Per il giudice non ci fu legittima difesa. Ermes Mattielli finì col dover risarcire anche i banditi con 135mila euro di provvisionale. Lui, la vittima di un furto, costretto a versare i risparmi di una vita a chi voleva togliergli tutto. Per il timore che gli pignorassero la casa, alla fine Ermes morì di crepacuore. I suoi beni, dopo la rinuncia dei parenti, sono finiti allo Stato che avrebbe dovuto provvedere a risarcire i nomadi secondo la legge. Togliendo così da morto a Mattielli quello che non erano riusciti a rubargli in vita.
Centotrentacinquemila euro non sono pochi. Soprattutto per un robivecchi. Peraltro i due rom sono vivi e vegeti: dopo le ferite riportate, uno dei due è pure tornato a delinquere. Bene. Tenete a mente tutti questi dettagli e volate con la mente a Terni.

Nello stesso anno in cui Mattielli veniva condannato al carcere, nella cittadina umbra Amine Aassoul, 30 anni marocchino e clandestino, era libero di girare in strada, incrociare David Rossi e sgozzarlo senza motivo. L'assassino è stato condannato a 30 anni: la giustizia - almeno stavolta - ha fatto il suo corso. Solo che i genitori del giovane 27enne avrebbero voluto un risarcimento per quell'omicidio ingiusto.
Lo chiesero allo Stato, domandando 2 milioni di euro da devolvere in beneficenza. L'Italia negò l'indennizzo, perché David era troppo "ricco", visto che guadagnava circa 13mila euro all'anno e il redditto massimo per accedere al fondo è di 11mila. La famiglia decise allora di portare in Tribunale il ministero dell'Interno e quello della Giustizia: l'assassino era già stato espulso dall'Italia, aveva da scontare diversi anni di carcere e "non doveva essere lì". Dopo il rimpatrio era tornato su un barcone, aveva chiesto asilo, gli era stato negato e lui aveva pure fatto ricorso contro il diniego. In attesa del verdetto del giudice, ha tolto la vita a David.
Dopo quattro anni, il Tribunale civile di Roma ha decretato che Aassoul era "convivente con la madre" cittadina italiana e quindi non poteva essere espulso. Lo Stato insomma non ha colpe per l'omicidio. I Raggi dovranno accontentarsi di un risarcimento minimo, appena 21mila euro. Da dividere in tre (mamma, papà e fratello).

I soldi non fanno la felicità, certo. E non possono neppure far risorgere i morti. Ma l'indennizzo per l'assassinio di David avrebbero aiutato qualcuno, magari la ricerca. Solo che per lo Stato, a quanto pare, due ladri rom feriti mentre svaligiavano un'azienda meritano più denari di un giovane italiano sgozzato con un collo di bottiglia.

Sarà la legge, per carità. I giudici avranno applicato le norme. Ma allora c'è qualcosa che non funziona nel codice. Inutile girarci attorno. Di casi simili a quello di Ermes infatti se ne contano a bizzeffe.
Qualche esempio?
Ha dovuto sottostare all'ingiustizia di Stato Enrico Balducci, benzinaio di Bari, cui hanno posto sotto sequestro 170mila euro a fronte di un milione richiesto dalla famiglia del rapinatore. S
ulla stessa barca anche Franco Birolo, tabaccaio padovano, condannato in primo grado a ridare 325mila euro ai parenti di un bandito moldavo (sentenza rivista in Appello, ma non ancora definitiva).
Poi ci sono Mirco Basconi, Mauro Pelella, Marco Dogvan, Antonio Monella. E chissà quanti altri, in attesa della riforma della legittima difesa.

Loro, costretti a versare cifre consistenti per aver reagito ai banditi.
E la vita di David, invece, valutata meno di quella "di un cane".
 

tontolina

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Le ingiustizie dei giudici
Il peggior nemico della giustizia, troppo spesso, è chi al contrario dovrebbe far rispettare la legge. Un cortocircuito tutto italiano che riempie quotidianamente le pagine dei giornali e che rimette al centro l’esigenza di una riforma drastica dell’intero sistema giudiziario. Non basterebbe, infatti, spazzar via le depenalizzazioni volute da Matteo Renzi per risolvere un problema che è ormai mastodontico e che ha nomi e cognomi, ovvero quelli di magistrati che firmano sentenze assurde.



Come è possibile, per esempio, che un pusher tunisino, beccato con chili di hashish, marijuana, coca ed ecstasy, sia stato subito liberato dopo aver dichiarato che spacciava “per necessità” avendo “perso il lavoro” e non sapendo come sbarcare il lunario?
O come è possibile che la Corte di Appello di Ancona non abbia riconosciuto lo stupro di una ragazzaperché questa “sembra un maschio”?
O come è possibile che ad un assassino sia stata scontata la pena perché, a detta del magistrato, avrebbe “agito come reazione al comportamento” della vittima?
Ognuno di questi giudici si difenderà garantendo di aver interpretato al meglio la legge.
Ma chi ci difende da certe normative assurde o dal buonismo di certe toghe? Troppo spesso, infatti, le vittime rischiano di pagare (o di morire) due volte.

È nei gangli della burocrazia e nei faldoni dei codici che malviventi, delinquenti e balordi trovano un appiglio per farla franca.
Proprio come quegli immigrati che avevano richiesto l’asilo in Italia per i motivi più disparati e che nel frattempo facevano parte di un “pericoloso gruppo criminale” che spacciava eroina e cocaina ai ragazzini nei parchi di Pordenone.
Come sempre le forze dell’ordine hanno fatto un ottimo lavoro e li hanno assicurati alla giustizia. Ma la giustizia farà la sua parte? Speriamo di sì, ma i dati forniti dal Viminale ci dicono che in media due arrestati su tre tornano subito in strada a spacciare.
Lo stesso vale con i ladri. Qualche settimana fa un giudice del Lazio aveva lasciato a piede libero, senza neanche l’obbligo di firma, due balordi che avevano svaligiato un appartamento. Uno dei due aveva persino precedenti ma, visto che non aveva rubato per sette anni, il magistrato non aveva tenuto conto della reiterazione del reato. “Mi chiedo che ci stiamo a fare in mezzo alla strada, a correre, al freddo, ad ammazzarci, a rischiare la pelle…”, si era sfogato un poliziotto parlando col Giornale.

Sempre più spesso, gli agenti non procedono nemmeno più con l’arresto quando sanno che a Palazzo di Giustizia il delinquente troverà una toga pronto a rimetterlo in libertà. “Vediamo malviventi, spesso clandestini, lasciati liberi dopo che con tanto sacrificio li abbiamo presi – fanno sapere dal Sap – spesso passano anni per i processi e in tribunale non si presenta nessuno, perché questa gente sparisce”.
Quando, poi, si arriva a sentenza, troppo spesso si hanno sorprese che lasciano l’amaro in bocca e l’ira addosso.
Come la decisione di risarcire con appena 21mila euro la famiglia di David Raggi, il giovane sgozzato a Terni da Amine Aassoul, marocchino senza permesso di soggiorno e con una fedina penale da far spavento.
Briciole che sono un pugno nello stomaco, soprattutto se confrontati con i 135mila euro che l’anziano Ermes Mattielli è stato condannato a risarcire ai due ladri rom a cui aveva sparato quando gli erano entrati in azienda per derubarlo. Per i giudici non fu legittima difesa ma tentato omicidio.
Fortunatamente, nelle prossime settimane, la riforma della legittima difesa sarà legge e chi si difende dai balordi non dovrà più sopportare ingiusti calvari giudiziari. È auspicabile, però, che vengano varate nuove normative anche per difenderci da certe toghe buoniste che stanno sempre dalla parte dei criminali umiliando così le vere vittime.

Tag: giustizia, magistratura
 

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Madre uccisa dall'ex, tolto il risarcimento ai figli
Sentenza choc a Messina. Marianna Manduca fu massacrata dall’ex marito, i ragazzi adottati dal cugino

di ANDREA MASSARO
Ultimo aggiornamento il 22 marzo 2019 alle 07:15
Commento Resta orfana pure la pietà - di Gianluigi Schiavon

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Marianna Manduca, la donna siciliana uccisa dall'ex marito
Ancona, 22 marzo 2019 - La vita non è una fiction. E questo Carmelo Calì lo sa bene. «Chi glielo dice adesso ai ragazzi? Chi gli potrà mai dire che lo Stato ci toglierà quei soldi che non ci ripagheranno mai la vita di Marianna...». È stato due giorni a rimuginare, a soffrire in silenzio per sbollire la rabbia. Carmelo lo sa bene. Lui è il cugino di Marianna Manduca, assassinata dall’ex marito nel 2007 a Palagonia, nel Catanese. Una morte annunciata, arrivata dopo ben dodici denunce nei confronti del convivente. Tutte inascoltate. Marianna era madre di tre ragazzi che ora hanno 17, 16 e 14 anni e che stanno tentando di rifarsi una vita a Senigallia, nelle Marche. A loro la Corte d’appello di Messina due giorni fa ha annullato il risarcimento di 259.200 euro che nel giugno del 2017 i giudici di primo grado gli aveva concesso dopo aver riconosciuto la responsabilità civile dei magistrati rimasti inerti nonostante le 12 denunce della donna. A proporre appello era stata l’Avvocatura dello Stato.
Dodici implorazioni, cadute nel vuoto. A Marianna fu tolta la vita. I suoi figli, nel frattempo adottati da Carmelo Calì, hanno perso la mamma e la speranza di una vita migliore.

Che significa questa sentenza? «Che i giudici sono intoccabili – tuona Calì –. Sono così arrabbiato, frustrato, deluso che non trovo neppure le parole. Sa cosa significa questo? Che la magistratura è una casta. Che lo Stato da una parte dà e dall’altra toglie. Questa volta hanno tolto il futuro a tre ragazzi che con quei soldi avrebbero studiato. Avevamo già progettato una vita oltre il presente. Fatta di studi, di lavoro, di impegno». Calì, con i 259mila euro di risarcimento per quei magistrati che furono dichiarati colpevoli e sordi alle grida d’aiuto di una donna poi barbaramente uccisa da quel marito violento, insieme ai ragazzi aveva già posto le basi per il futuro. «Abbiamo acquistato una casa a Senigallia – svela –. Un appartamento per loro, per lasciare qualcosa di tangibile, al di là di un semplice conto in banca. E invece eccoci qui a fare i conti con un’ingiustizia. Un’altra, l’ennesima. Avviene tutto così, tranquillamente, come nulla fosse.
Assistiamo impotenti a ingiustizie eclatanti nei confronti di chi ha subito torti angoscianti. Sentenze che lasciano a bocca aperta, quasi a voler giustificare un delitto, l’uccisione di una donna per mano di un uomo violento. Io nel ridicolo non voglio caderci – continua Carmelo – e non mi arrendo di certo».

Il papà adottivo di Carmelo, Salvatore e Stefano, tre bravi ragazzi che a Senigallia studiano e cercano di scalare una montagna che assomiglia sempre più all’Everest, ha deciso di percorrere qualsiasi strada per avere giustizia. «A parte il ricorso in Cassazione – dice – che presenteremo già lunedì o martedì al massimo, voglio andare dal presidente della Repubblica. Non ci sono alternative: bisogna sensibilizzare tutti, dal primo all’ultimo. Non ci sono vinti e vincitori di fronte a cose del genere, non si può raccontare a tre ragazzi che hanno già sofferto tantissimo che in questo Paese ti tolgono un diritto semplicemente perchè qualcuno non può essere messo in discussione. Io lavoro nel mondo della scuola – è un fiume in piena – e conosco i ragazzi. Hanno bisogno costantemente di certezze. Non si tolgono i sogni così, con una sentenza. Quei soldi non servono per riparare una vita, ma per avere certezza che il diritto esiste, che lo Stato c’è. E invece non è così».
 

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