Ratatouille (1 Viewer)

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Il populismo per la scienza della comunicazione[modifica | modifica wikitesto]

Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo, 1901
I movimenti e i leader populisti adottano due strategie mediatiche : "In primo luogo tendono a promettere politiche e provvedimenti di ogni genere con il chiaro intento di rassicurare i soggetti che si sentono esposti ai rischi derivanti dai cambiamenti socio-economici che potrebbero provocare una “deprivazione” rispetto alla condizione attuale o una frustrazione delle aspettative future"[18]. L’ overpromising consegue risultati soprattutto in ordine a questa seconda preoccupazione ed è la risorsa più importante a disposizione degli outsider populisti[19], ma a essa ricorrono anche i tradizionali attori politici[20].

Al contempo, i movimenti populisti mobilitano contro le élite economiche e soprattutto politiche che sono perciò additate come responsabili delle difficoltà economiche e della marginalizzazione politica del popolo stesso. La principale argomentazione da essi utilizzata è semplice, ma efficace perché immediata: se le cose vanno male è perché i rappresentanti non fanno gli interessi del popolo[21]. Inoltre le argomentazioni populiste si basano molto sulla cosiddetta politica della post-verità.
 

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Il neologismo post-verità, derivante dall'inglese post-truth, indica quella condizione secondo cui, in una discussione relativa a un fatto o una notizia, la verità viene considerata una questione di secondaria importanza.

Nella post verità la notizia viene percepita e accettata come vera dal pubblico sulla base di emozioni e sensazioni, senza alcuna analisi effettiva sulla sua veridicità o meno dei fatti reali. In una discussione caratterizzata da "post-verità", i fatti oggettivi, chiaramente accertati, sono meno influenti nel formare l'opinione pubblica rispetto ad appelli a emozioni e convinzioni personali.

Il termine, già comparso in precedenza, ha conosciuto una notevole ribalta nelle discussioni relative a politologia e comunicazione politica a seguito di alcuni importanti eventi politici avvenuti nel 2016 (tra cui il referendum sulla permanenza del Regno Unito nell'Unione europea e le elezioni presidenziali negli Stati Uniti d'America del 2016), al punto che l'Oxford English Dictionary ha deciso di eleggere post-truth come "parola dell'anno del 2016".[1]


Il saggista americano Colin Crouch, nel suo libro Post-democrazia, usò tale termine per delineare un modello di politica, dove «le elezioni di fatto esistono e possono cambiare i governi», ma dove «il dibattito elettorale pubblico è uno spettacolo strettamente controllato, gestito da squadre rivali di professionisti esperti nelle tecniche di persuasione, che scelgono solo una piccola gamma di temi, da affrontare durante i dibattiti». Crouch attribuiva al «modello di industria pubblicitaria», applicato alle comunicazioni politiche, la causa della crisi di fiducia e le accuse di disonestà che pochi anni dopo altre persone associarono con le politiche post-verità.


articolo intitolato Vivere ai tempi della post-verità[11]ː «Dovete sapere che i fact-checker del Washington Post valutano il grado di verità delle affermazioni assegnando Pinocchi. Un Pinocchio corrisponde a una quasi-verità, due Pinocchi sono una verità con omissioni o esagerazioni, tre Pinocchi sono una quasi falsità, o una verità espressa in maniera molto fuorviante, quattro Pinocchi sono una bufala totale. Infine, un Pinocchio capovolto corrisponde al ritrattare un’affermazione precedente facendo finta di niente, e un segno di spunta (o Geppetto) corrisponde alla pura verità. Bene: nel corso della sua campagna elettorale Trump batte ogni record collezionando ben 59 affermazioni da quattro Pinocchi
 

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Durante le campagne referendarie sulla permanenza del Regno Unito nell'Unione Europea, ad esempio, i sostenitori del Leave affermavano insistentemente che l'appartenenza all'Unione costasse al paese 350 milioni di sterline a settimana, iniziando, verso le fasi finali della campagna, ad usare il dato come un reale ammontare netto di denaro inviato direttamente all'UE.

Il leader dell'UKIP Nigel Farage iniziò ad usare il dato, affermando che tali fondi sarebbero stati più proficuamente impiegati nel mantenimento del sistema sanitario nazionale (National Health Service). Questo dato, che ignorava tutti gli altri punti a favore o contrari alla rimanenza, fu dichiarato come «potenzialmente fuorviante» dalla Istituto Nazionale di Statistica, e come «irragionevole» dall'Istituto per gli Studi Fiscali, oltre ad essere respinto dalle verifiche dei fatti, effettuate da importanti emittenti giornalistiche, come BBC News, News Channel 4 e Full Fact.

Tuttavia, i sostenitori del Leave continuarono ad usare il dato come elemento centrale della loro campagna, fino al giorno del referendum, dopo il quale hanno minimizzato la promessa come un «esempio», sottolineando prima che era stata sempre e solo suggerita come un possibile uso alternativo dei fondi netti inviati verso l'UE, affermando poi che la promessa di investire i fondi nell'NHS non era mai stata fatta.[19] A seguito di ciò, la parlamentare Tory e sostenitrice del LeaveSarah Wollaston, che lasciò il gruppo in segno di protesta durante la campagna, criticò il tutto come una «politica post-verità».

Micheal Deacon, giornalista del The Daily Telegraph, ha riassunto il messaggio centrale delle politiche post-fattuali con la fraseː «I fatti sono negativi. I fatti sono pessimisti. I fatti sono antipatriottici». Inoltre, ha aggiunto che le politiche post-verità non hanno bisogno di usare la faziosità o strumenti di negative campaigning, dato che chi usa le politiche post-verità può invece spingere per presentare una «campagna positiva», grazie alla quale le confutazioni fattuali possono essere liquidate come diffamazioni e come allarmismo, e l'opposizione può essere definita faziosa.
 

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