Racconto gastroerotico (1 Viewer)

patatina 77

Creatore di UGC
Marilù stava in piedi nell’angolo dove il muro disegna un sette a terra. Si era spogliata dei vestiti bagnati, buttati sopra lo schienale della sedia di plastica ed aveva tirato fuori dal borsone il cambio, molto più casual dei vestiti da lavoro che però non aveva ancora indossato perchè con un asciugamano si stava asciugando i capelli corvini. Alfred le offriva le spalle mentre stava in piedi al check panel ad ultimare le operazioni di fine manutenzione. A un certo punto il suo occhio fu attratto da un riflesso comparso sul monitor ausiliario che stava sopra il quadro comandi, spento, nero, e lucido e che come uno specchio rifletteva nitidamente l’immagine di lei messa di lato, seminuda con la sola cannottiera a coste dalle larghe spalline che le scendeva fino all’anca. Alfred rimase di stucco, non era sua intenzione spiarla ma non riusciva a fare a meno di distogliere lo sguardo da quel quadro nero che ritraeva il corpo di lei, asciutto e di ginnica bellezza. A terra sul pavimento color terracotta svariate impronte che i suoi piedi umidi e scalzi avevano lasciato. La canottiera bagnata sembrava di due misure più grandi, a onde, e copriva le intimità come il più casto dei baby doll avrebbe mai potuto fare. Alfred si sentì travolto dal peccato, per il sentimento che stava provando per quella donna più giovane di lui. Se ne vergognò profondamente, abbassò lo sguardo e sempre dando le spalle camminò verso le scale annunciando a Marilù che li non c’era più niente da fare e che sarebbe salito a preparare il caffè e lei annui dicendo che lo avrebbe raggiunto subito. Sopra il mobile vicino la scrivania teneva una caffettiera a sifone, un oggetto più da bellezza che da praticità ma che lui usava regolarmente che era entrato a far parte dei suoi rituali anti stress. Riempì l’ampolla d’acqua, versò la polvere di pregiata miscela di caffè nella caffettiera e diede fuoco allo stoppino del bunsen ad olio lampante. Preparò il vassoio con lo zucchero e le due tazze grandi. Ci sarebbe stato bene qualche genere di conforto da accompagnare al caffè ma non aveva niente. Poi di scatto fu illuminato e aprì l’unica traballante vetrinetta che vi era in quello stanzone tirando fuori una tavoletta di cioccolato fondente al peperoncino. Non la teneva li per gli ospiti ne per che lui fosse amante del cacao ma bensì perchè ne aggiungeva poche scaglie alla pastura che preparava per le tinche per attirarle nelle nasse. Non è che avesse avuto chissà quale riscontro sull’aggiunta di quel ingrediente e nessun testo etologo riporta che i ciprinidi siano attratti dal cacao. Era solo una sua fissazione, supponeva che la presenza continua delle particelle di cioccolato nell’acqua creasse nelle tinche una specie di dipendenza, come il tabacco e che queste avrebbero fatto a botte per accapparrarselo a ogni lancio di pastura. Un retroscena destinato a rimanere tale. Prese un piattino, una salvietta e ne adagiò sopra due pezzi spaccati in modo irregolari dalla tavoletta e ponendo il piattino al centro del vassoio. Poco dopo Marilú entrò nell'ufficio, capelli all'indietro lisciati di gel, jeans attillato, camicia in flanella simil boscaiolo del Nebraska indossata semiaperta sopra un dolcevita nero. Ai piedi un paio di polacchini sportivi suola in gomma e con cavigliera innocui i jeans stretti si inoltravano. Alfred le aveva lasciato il posto buono dall'altra parte della scrivania, quello più illuminato e le indicò di accomodarsi nella ampia e confortevole poltrona regia dall'alto schienale. Il caffè era salito, nel vero senso della parola, visto che l'ampolla sottometta ormai vuota e la caraffa sopra magicamente si era riempita. Lui glielo servì come si conviene, nel silenzio totale interrotto solo dal ticchettio dell'acqua piovana che grondava nei pluviali.
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patatina 77

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Marilù teneva la tazza calda tra le mani quando ruppe il silenzio, testa leggermente china.

“Mi dispiace…ecco, per il casino di prima…”

Lui la interruppe con un laconico “Succede”

“Adesso io non so se sei al corrente di quello che pretendono in azienda. Devo fare rapporto. I quasi incidenti come questo vengono chiamati Cold Case. Poi vengono catalogati per analogie e analizzati dalla commissione per valutarne le fallacie operative e per sviluppare e dare vita a nuove procedure, migliori. E’ necessario. Ovviamente mi assumerò io l’intera responsabilità tu dovrai dire che eri solo presente al fatto.”

Lui mentre lei parlava si era alzato e camminava lentamente per l’ufficio. Poi ascoltato il discorso, si fermò di fronte al grande quadro raffigurante una stampa in bianco e nerò di un non ben definito macchinario industriale dei primi del novecento. E con sguardo rivolto all’immagine tirò fuori una sigaretta e l’accese incurante se il fumo potesse dar fastidio.

“Cold Case? Interessante...Si chiamanò così adesso le cazzate? Tutte menti pronte in Sassonia! Quello che tu hai descritto è logico e funzionale e funziona se ci credi. Tu ci credi e questo è giusto e fantastico. Ma gli altri…ti fanno credere di crederci ma così non è. Perdona il gioco di parole”.

Poi aprì la finestra e dopo averla aspirata a lungo creando una brace lunghissima buttò la sigaretta fuori, “nel cimitero” e ritornò a sedere al tavolo.

“Sai cosa? Te la racconto tutta. Non ti sei chiesta come mai sapessi alla perfezione Tango 6? Semplice: Tango 6 l’ho sviluppato io anni fa quando ero al reserch center. In fase di messa in servizio poi ci accorgemmo dei problemi ma fui obbligato a non apportare modifiche perchè altrimenti sarebbe saltata la grossa fornitura di valvole per tutti gli impianti e questo avrebbe leso gli interessi di qualcuno. Insomma avrei dovuto dire che era tutto ok solo per proteggere un giro sporco. Trovai tutto ciò ingiusto oltre che molto pericoloso e feci un esposto al Ministero dell’Industria. Solo che quella lettera non arrivò mai, presumo che i tentacoli della Hydrologic arrivassero fino a là. Da allora mi hanno messo qui, dove non posso dare fastidio a nessuno. E tu adesso vuoi fare un rapporto che se va bene finisce in un cassetto e se va male finisce in mano a quel noto tagliatore di teste che è il Supremissimo?”-Così nei corridoi veniva chiamato il dirigente responsabile del personale, dalla notoria risolutezza-”No non vale la pena che tu corra il rischio di buttare la carriera nel cesso. L’ho già fatto io per te. In fin dei conti l’impianto lo sistemo io in qualche giorno e se spia rossa non si accende il problema non esiste.”

Fra loro ritornò il silenzio. Marilù posò la tazzà si girò verso la finestra e incrociando le gambe posò i piedi sopra un paio di scatoloni che stavano a bordo muro. La poltrona basculante si inclinò da sola indietro e la testa di lei si adagiò allo schienale quasi volgendo al soffitto. Alfred invece aprì l’ultimo cassetto in basso della scrivania, quello più scomodo, quello che si apre di rado che conteneva un’unica cartellina rossa che lui dentro se aveva battezzato come la cartellina della dignità. Conteneva una busta con le dimissioni in bianco e una paio di fogli di carta intestata. Senza farsi vedere estrasse il contenuto, lasciando la cartellina nel cassetto e si mise a scrivere sui fogli con postura ingobbita. Lei fissava la finestra, le grosse gocce che si infrangevano sul vetro e quello spettacolo della natura, riflettendo sul discorso di Alfred, la faceva immedesimare nella pioggia, si sentiva esplosa dentro.

Tutto questo mentre la cam della videosorveglianza trasformava la loro vista dall’alto, in quel momento così ordinario all’occhio comune ma non per i loro animi che lo stavano vivendo, lo trasformava in sterili bit che finivano a migliaia di chilometri di distanza.

Il caffè le aveva lasciato un buon aroma in bocca, dolciastro, ma che Marilù sentiva in contrasto con il suo stato d’animo e aveva necessità di contrastare. Si ricordò del cioccolato. Senza scomporsi alzò il braccio e mosse la mano che trovò subito il piattino dal quale prese il cioccolato, chiuse gli occhi e lo portò alla bocca. In breve la saliva e il cioccolato travolserò le paille. non ebbe la sensazione di qualcosa di liquido ma era come se microcristalli di cacao le eruttassero dalla lingua e si accumulassero in tutto il cavo orale, crescendo come una schiuma e risalendo per il naso e tracimando giù dalla laringe. L’amaro e il piccante erano così intensi che si sentiva strozzare, come se una mano aperta la stesse afferrando con il solo indice e pollice appena sotto la mandibola ma senza stringere, piuttosto sollevando. Gli venne spontaneo portarsi le mani ai lati del collo lungo la giugolare, le braccia strette al busto. Stava diventando tutto così fastidiosamente piacevole. Dall’ipotalamo partì un impulso, l’impulso divenne brivido che scese lungo la schiena, giù giù come una freccia fino al cocige per poi come un flusso dividersi a percorre le terga, passando per l’interno delle cosce come due soffici e invisibili larchi nastri di seta che le sollevavano il bacino. Uno spasmo la portò a un’involontaria contrazione pelvica che le fece stringere le ginocchia l’un l’altra e arricciare le dita di piedi dentro le scarpe più volte di fila. Poi soggiunse un intenso calore al torace come qualcuno le stesse versando una colata di miele caldo sullo sterno. Ormai era travolta dalle circostanze e dalle emozioni, si incassò nella poltrona si abbandonò.

Quattro colpi di “rimshot”, così potenti da non farle distinguere se fossero avvenuti dentro la sua testa o da un batterista che improvvisamente si fosse materializzato in un angolo della stanza e a seguire l’assolo di chitarra elettrica vibrante e il suo pensiero cominciò a correre a cavallo delle note musicali.

“Sono passata solo da amica,

e per tutto questo tempo ero rimasta alla larga

comincio a chiedermi perchè.

Ohh Si! Ora Io vorrei che mi piovesse addosso, giù su di me.

Ohh Si! Ora Io vorrei che mi piovesse addosso, giù su di me.

Hai detto che non hai bisogno di me nella tua vità

Immagino tu abbia ragione

non avrei voluto causarti nessun dolore

ma sembra che l’abbia fatto

Ora, Ora so che vorrei che piovesse, giù su di me

Oh Sii, Ora, vorrei solo che piovesse su di me, che mi piovesse addosso ora….”

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