Quando la Germania dà lezioni di truffa. E batte di gran lunga l’Italia (1 Viewer)

tontolina

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Il cartello tedesco - Der Spiegel: "Vent'anni di accordi sottobanco"


l'etica tedesca è davvero corrotta
 

kiappo

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I crucchi erano, sono e saranno sempre dei " boches "...io la penso come Andreotti, testa fine, che diceva: "amo talmente la Germania, che mi piace vederne DUE " . Ho avuto a che fare con Tedeschi, sia per lavoro che per diletto ( vicini di ombrellone...) e trovo che siano MOLTO PIU' MALEDUCATI E PREPOTENTI di noi Italiani, e non solo...personalmente cerco di boicottarli in tutto, e di non comprare nulla di tedesco..tiè!! Manco la birra!!
 

tontolina

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Dieselgate Porsche, Bild: “La Motorizzazione sapeva da un anno delle irregolarità”

Dieselgate Porsche, Bild: “La Motorizzazione sapeva da un anno delle irregolarità”
Il ministro dei Trasporti, Dobrindt, al centro delle critiche per la connivenza con le case automobilistiche
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Pubblicato il 31/07/2017
Ultima modifica il 31/07/2017 alle ore 13:34
mattia eccheli

I costruttori manipolavano le emissioni, le autorità “massaggiavano” i rapporti sulle irregolarità: un quadro inquietante che fa a pugni l’immagine di integrità del paese. In Germania, il ministro federale dei trasporti Alexander Dobrindt aveva provato giusto ieri a richiamare le case alle loro responsabilità dalle colonne dell’edizione domenicale della Bild.

I costruttori erano stati invitati a “riguadagnare la fiducia e correggere gli errori”. Adesso, almeno dal punto di vista mediatico, Dobrindt rischia di venire “lapidato”. Perché oggi la stessa Bild ha rivelato che l’Ufficio federale dei trasporti, la KBA, che dipende dal suo ministero, avrebbe saputo da un anno delle irregolarità del sistema di abbattimento dei gas di scarico adottati da Porsche.

Che i rapporti tra la KBA e le case fossero buoni era noto da tempo e già in passato erano state rilanciate contestazioni circa una rimodulazione “a richiesta” delle relazioni tecniche. In questo caso, la Bild ha citato le due versioni del rapporto relativo alla Macan (e non alla Cayenne per la quale è stato disposto un richiamo di 21.500 unità). Nella prima, la funzione che disinnesca il meccanismo di abbattimento dei gas di scarico della Macan “secondo la norma è da vedere come un sistema di spegnimento”. Dopo uno scambio di pareri con Porsche, il documento è stato ammorbidito e lo stesso dispositivo, sempre sulla base delle norme, “può essere visto come una modifica della condotta in termini di emissioni del sistema di abbattimento dei gas di scarico”.



Porsche, in una nota dei giorni scorsi, aveva fatto sapere che le “irregolarità nel software di controllo del motore” erano state “rilevate nel corso delle verifiche interne condotte sulle proprie vetture” e i relativi dati erano stati “prontamente trasmessi” alla KBA.

Anche per motivi elettorali, Dobrindt è stato risucchiato nel vortice mediatico. Oliver Krischer, esponente dei Verdi (Grüne), lo ha accusato di essere stato a conoscenza dei fatti già nella primavera del 2017. “Allora il caso era stato coperto – ha dichiarato – mentre adesso il ministro fa di Porsche il capro espiatorio per evitare di venire collegato al cartello delle emissioni”.

La tempesta che si sta abbattendo cui costruttori tedeschi è violenta. Dopo il dieselgate (partito con Volkswagen nel 2015, e che ora sembra coinvolgere sempre più pesantemente anche Daimler ), la sospetta “cupola dell’auto” rischia di minare la credibilità del comparto. Anche finanziaria, visto che in Nord America è già scattata la corsa alla class action. Lo studio canadese Toronto Strossberg Sasso Sutts ha avanzato risarcimenti pari a 750 milioni di euro nei confronti di Volkswagen, Bmw, Dailmer, Audi e Porsche, mentre negli Stati Uniti si sarebbe attivato lo studio legale Robins Kaplan. Ancora non è chiaro se anche le autorità americane apriranno un’inchiesta sul possibile cartello tedesco dell’auto.



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tontolina

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Il passato 'bruno' del secondo dopoguerra tedesco.
Le elezioni in Germania hanno scosso i tedeschi. Il partito di destra AfD racimola una buona percentuale. Ma sono davvero i primi 'nazisti' nel Bundestag tedesco?
Nella puntata del 17 ottobre, i miei cabarettisti preferiti della 'Die Anstalt' max Uthoff e Claus Von Wagner assieme al loro co-autore Dietrich Krauß fanno revue della politica tedesca del dopoguerra.
Anche se sotto il controllo (o forse proprio per quello?) delle forze vincitrici inglesi, francesi e soprattutto americane, nella Germania denazificata prendono posto nella politica delle persone..diciamo poco raccomandabili. Sicuramente fu cosí anche in Italia..
Buona visione!
PS: questo video ha una qualitá video un po cosí. Mi dispiace, non ho trovato di meglio!

 

tontolina

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Mario Seminerio 22 gennaio 2018 Economia & Mercato, Esteri, Unione Europea
Le Sparkassen tedesche e la pistola fumante che non lo era

Le Sparkassen tedesche e la pistola fumante che non lo era

Nei giorni scorsi la Banca centrale europea ha pubblicato un bollettino di ricerca in cui si fornisce evidenza di un comportamento politico, indirettamente riconducibile allo spoils system, da parte delle banche di risparmio tedesche nell’investimento in bond sub-sovrani, cioè quelli dei Laender. Interessante evidenza del fatto che i tedeschi sono umani, dopo tutto, ma che da noi ha suscitato reazioni lievemente sopra le righe.

La nota di ricerca, a firma dell’economista Alexander Popov, afferma che le banche locali tedesche, controllate dagli enti locali, tendono ad incrementare gli investimenti in titoli emessi dal proprio Land quando, in conseguenza di un’elezione, i governi del Land e della contea (traduzione inglese del termine tedesco Kreis) cambiano colore politico. Tale condotta, secondo gli studi di Popov, non è coerente né con esigenze regolatorie né con la tendenza a comprare titoli privi di rischio quando una banca è in condizioni di pre-dissesto, né a pressione politica esplicita.

La tesi è che, in caso di cambio di colore politico di un Land e di una contea/distretto, le banche usano acquisti di bond sub-sovrani, cioè regionali, per mantenere aperti i canali di comunicazione con i nuovi “padroni” politici, cioè attuano una sorta di lobbying.


Per inquadrare i termini della questione: la Germania è una federazione, consistente di 16 stati federali e 438 contee/distretti. In questi livelli di governo si svolgono elezioni ogni 4-6 anni ma non in modo sincronizzato, per cui tendono a verificarsi disallineamenti nella composizione delle coalizioni al potere, tra land e contea.

Oltre a ciò, serve sapere che circa un terzo del sistema bancario tedesco, in termini di attivi, è pubblico, formato da casse di risparmio locali (Sparkassen) e istituzioni creditizie regionali (Landesbanken), che operano a livello di stato regionale ed a volte su più stati. Questo assetto proprietario fa sì che un sindaco o un amministratore di contea sieda nel consiglio di vigilanza di queste istituzioni creditizie, e quindi il legame tra credito e politica sia diretto ed istituzionalmente esplicitato.

Poiché le elezioni a livello di Land e di contea, come detto, non sono sincronizzate, spesso vi sono situazioni di “disallineamento” politico, in cui cioè differenti coalizioni di partiti comandano a differenti livelli di governo regionale e locale. Il quadro va completato considerando che i titoli di debito statale, cioè dei Land, sono emessi mediante collocamento privato, cioè con prezzi e rendimenti non immediatamente conoscibili. La premessa di Popov è che questi private placement possano rappresentare un momento di favore delle banche alla politica, mediante sottoscrizione a rendimenti inferiori a quelli del mercato secondario.

Esaminando il comportamento di 455 banche pubbliche locali nel periodo 2005-2013, in cui vi sono state 32 elezioni statali e circa 600 di contea, Popov ha scoperto che il “disallineamento politico” è positivamente e significativamente correlato alla propensione delle banche pubbliche locali a detenere debito emesso dal proprio Land. Un’elezione che rompa la connessione di una banca locale al colore politico del governo statale, determina un aumento medio del debito statale detenuto dalla banca del 42% rispetto a banche il cui colore politico è allineato a quello statale.

La conclusione, peraltro assai poco sconvolgente, è che esiste un’influenza della politica sulle banche locali, che dalla politica medesima sono controllate in modo esplicito e istituzionale. Ottimo, e quindi? Quindi ci serve un solo dettaglio: quantificare il fenomeno. I dati li troviamo -ovviamente-nel lavoro di Popov:

«Local savings banks collectively hold around 25 bln euro worth of German State bonds, which is ten times more than their holdings of German federal bonds»

Letto bene? Tutte le casse di risparmio locali, a controllo pubblico, detengono 25 (venticinque) miliardi di debito dei Laender, dieci volte più del possesso di debito federale (Bund).Ictu oculi, La cifra appare (e lo è) una quantità del tutto risibile. Per averne certezza, serve verificare a quanto ammonta l’investimento in bond statali sul totale degli impieghi delle Sparkassen. Lo vediamo sempre dallo studio di Popov: per banche “allineate” siamo tra lo 0,5% e l’1% degli attivi totali, per le “disallineate”, che pare debbano ingraziarsi il nuovo dominus politico regionale, arriviamo sino al 2% a ben 12 trimestri di distanza dall’elezione.

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Ora, anche prendendo per buona la significatività statistica dello studio di Popov e le motivazioni sottostanti, è il quantum che è semplicemente risibile e non determinante di distorsioni rilevanti alla gestione delle banche. Parliamo di 25 miliardi e di 1% degli attivi. Se qualcuno, dopo essersi scandalizzato per questi kattifi teteski che predicano bene e razzolano male, volesse guardare lo stock di titoli pubblici in portafoglio alle nostre banche e la loro incidenza su impieghi e capitale, si accomodi. Potrà verificare, se solo sapesse far di conto, che siamo nella classica modalità trave e pagliuzza, e la trave non è nell’occhio dei tedeschi bensì in una cavità corporea italiana.

L’esercizio di Popov in sé è suggestivo, ed anche rigoroso, nel senso che tenta di identificare e bacchettare la questione delle interferenze politiche nella gestione delle banche. Tema coessenziale alla natura umana, diremmo. E tuttavia, parliamo pur sempre di importi infimi, che sfuggirebbero senza problemi ad eventuali limiti, anche draconiani, posti al possesso di titoli sovrani o sub-sovrani. E se è vero che le Sparkassen sfuggono per ora alla supervisione Bce (e forse questo spiega l’interesse “tematico” di un economista dell’istituto di Francoforte a questo filone di ricerca), resta altrettanto vero che non siamo di fronte ad alcuna pistola fumante, perché l’entità della “distorsione” resta poco più che simbolica.

Ecco perché appare del tutto fuori luogo una titolazione come quella del Sole, nel pezzo che ha riferito dello studio, che peraltro appare una forzatura -parziale- del contenuto.

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Se noi italiani evitassimo di lanciarci in queste crociate e di trasformarci in investigatori dei peccati altrui, sempre alla disperata ricerca di una pistola fumante che quasi sempre (come in questo caso) non esiste, forse risulteremmo complessivamente più credibili.
 

tontolina

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La politica dilaga nelle Casse di risparmio tedesche. Ecco perché Berlino le ha protette dalla Vigilanza unica

In Baviera, il 35% dei membri dei consigli delle banche territoriali è un politico e lo sono tutti i presidenti degli istituti. Un corto circuito che potrebbe emergere alla prossima crisi e spiega molti degli atteggiamenti tedeschi in Europa

di MAURIZIO RICCI
La politica dilaga nelle Casse di risparmio tedesche. Ecco perché Berlino le ha protette dalla Vigilanza unica

21 Luglio 2018CHi ha la memoria lunga si ricorderà di Nerio Nesi o di Roberto Mazzotta, storici capifila di interi reggimenti di politici italiani prestati alle banche o, viceversa, banchieri prolungatisi in politica. Il grande big bang degli anni '90, firmato Amato-Ciampi-Draghi, con la creazione delle Fondazioni e la privatizzazione delle Casse di risparmio fu un evento traumatico, reso probabilmente possibile solo dall'implosione dei partiti storici con Tangentopoli e che, peraltro, si è rivelato insufficiente ad evitare clientelismo, favoritismi, crediti azzardati come si è appena visto, ad esempio, con le banche venete. Ma, almeno, si è evitato che il cerchio si chiudesse con la politica.

Basta alzare lo sguardo, tuttavia, per fare un balzo indietro di vent'anni. Bisogna guardare in Germania e al potente sistema delle Sparkassen, le locali Casse di risparmio. Qui, la commistione fra politici e banche è portata all'estremo, con conseguenze che vanno al di là del mondo del credito e della politica locale e investono la società e la politica nazionale. Di fatto, se non si capiscono le Sparkassen, non si capisce la Germania di oggi.

Le 400 Casse di risparmio tedesche - enti pubblici, controllati dai governi locali del territorio in cui si trovano (che però non ne sono giuridicamente responsabili) - rappresentano una fetta cospicua, anche se poco vistosa, del mondo bancario nazionale: il 15 per cento di tutti gli attivi bancari nazionali è raccolto nei loro bilanci. In altre parole, ogni sei euro di prestiti, almeno uno è passato per i loro sportelli. Un autorevole think-tank europeo, Bruegel, ha fatto un censimento dei loro vertici e il quadro che ne viene fuori non ha confronti, nel resto d'Europa, neanche con l'Italia di una volta.

Fra il 16 e il 18 per cento dei membri dei consigli di amministrazione delle Sparkassen sono politici locali. Stiamo parlando dei vertici operativi degli istituti di credito, non come in Italia, eventualmente delle fondazioni che stanno dietro. Soprattutto, sono sindaci o presidenti di provincia fra l'82 e l'84 per cento dei presidenti di quei consigli di amministrazione. E' una media, comunque: in Baviera, ad esempio, il 35 per cento dei consiglieri di amministrazione delle Casse è di estrazione politica e i presidenti sono, nel 100 per cento dei casi, i capi dei governi locali. Dal conto sono esclusi i semplici consiglieri comunali o provinciali e, in particolare, tutti gli ex. Di fatto, insomma, la commistione fra politica e Casse è sottovalutata e il nodo è la rete di rapporti, di relazioni che un ruolo del genere garantisce, soprattutto a livello locale. Il problema, tuttavia, non è la trasparenza e l'affidabilità che possono o meno esistere nella politica del credito delle Sparkassen. Il problema è la tenuta del sistema in caso di crisi. E quello che ci dice del ruolo e dell'atteggiamento tedesco in Europa.

Berlino ha combattuto - e vinto, ancora una volta - una battaglia durissima per sottrarre al controllo della Bce le sue Casse di risparmio. Ci pensa la Bundesbank e, solo indirettamente, in seconda battuta, le istituzioni europee. Nei rapporti e nelle prese di posizione della banca centrale, come dell'Fmi, traspare facilmente la sensazione di disagio verso questa zona "off limits". Oggi, con l'economia tedesca che va a gonfie vele, non ci sono allarmi, ma una crisi potrebbe portare alla superficie situazioni scivolose. Berlino, tuttavia, è stata irremovibile nell'attribuirsi tutti i poteri di controllo su questo delicato ingranaggio credito-politica e assolutamente impermeabile alle critiche di chi fa notare che una situazione analoga in Italia o in Spagna avrebbe già mobilitato una crociata da parte tedesca. Più in profondità, questa sorta di corto circuito fra politica e banche spiega anche l'acuta sensibilità della classe politica in generale ai temi del risparmio e del credito: dai bassi tassi di interesse imposti dalla Bce alla rivolta contro le ipotesi, seppur remote, di un intervento dei sistemi bancari in aiuto ad altre banche europee in difficoltà. Dubbi e paure dei risparmiatori i politici tedeschi li vivono - letteralmente - sulla loro pelle.
 

tontolina

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Maxifrode di 55 miliardi ai danni del fisco europeo
Al via oggi in Germania il processo su una delle più grandi frodi finanziarie della storia ai danni del fisco europeo: 55 miliardi di euro, accumulati dagli anni ’90 ad oggi. E solo per l’Italia la partita vale quattro miliardi di danno erariale

Maxifrode di 55 miliardi ai danni del fisco europeo - ItaliaOggi.it

Al via oggi in Germania il processo su una delle più grandi frodi finanziarie della storia ai danni del fisco europeo: 55 miliardi di euro, accumulati dagli anni '90 ad oggi. E solo per l'Italia la partita vale oltre 4 miliardi di danno erariale. Si tratta del processo sulle controverse operazioni cosiddette «Cum-Ex», ovvero meccanismi di arbitraggio dei dividendi, una prassi di compravendita di azioni strutturata in modo tale da celare l'identità del proprietario effettivo e consentire alle due o più parti coinvolte di chiedere un duplice rimborso indebito dell'imposta sulle plusvalenze, versata una sola volta. Nel corso del processo saranno esposti i ruoli di banche, broker, fondi e investitori. Al centro dell'attenzione due ex banchieri che da tempo collaborano con le autorità. Martin S., 41 anni, e Nicholas D., 38 anni, sono tra l'altro accusati di aver aiutato a orchestrare transazioni fraudolente «Cum-Ex» nell'ultima parte dell'ultimo decennio, coinvolgendo titoli societari e rispettivi dividendi, e consentendo guadagni indebiti per i clienti e perdite fiscali per gli stati per più di 400 milioni di euro. Saranno imputati ma anche testimoni-protagonisti. Le accuse sono state presentate dai pubblici ministeri di Colonia. Il caso sarà gestito da un tribunale nella vicina Bonn, sede di un'autorità fiscale speciale che si occupa delle questioni che coinvolgono anche gli investitori stranieri.

Le cifre della frode. «Cum-Ex» è uno schema di frode fiscale scoperto nel 2017 da una collaborazione tra numerosi organi di informazione europei. Una rete di banche, compratori e rivenditori di titoli azionari e avvocati di spicco avevano sottratto per decenni miliardi agli erari dei paesi europei, e ai loro cittadini. I cinque paesi più colpiti potrebbero aver perso quasi 55 mld di euro ma dato che la truffa risale agli anni '90, la prescrizione ridurrà l'eventuale pagamento del dovuto a una somma nettamente inferiore. La Germania è il paese più colpito, con circa 30 miliardi persi dal tesoro tedesco.
Le perdite stimate per altri paesi comprendono almeno 17 miliardi di euro per la Francia,
4,5 miliardi di euro per l'Italia,
1,7 miliardi di euro per la Danimarca
e 201 milioni di euro per il Belgio.
Le transazioni «Cum-Ex» richiedevano la collaborazione finemente sintonizzata di un intero settore: un compratore tassabile in Germania, così come i venditori allo scoperto che prendevano in prestito le azioni da fondi pensione o di investimento, insieme ai facilitatori del trading presso banche di investimento e broker che, anch'essi, agevolavano le trattative.

Parola alle banche. Tanto per formulare degli identikit finanziari, l'elenco degli istituti di credito tedeschi coinvolti annovera la banca privata M.M. Warburg & Co. e alcune banche regionali, mentre tra i venditori allo scoperto ritornano i nomi di alcune banche d'investimento, tra cui Macquarie Group Ltd., Barclays Plc e Banco Santander Sa. Un ruolo sembra essere stato assunto anche dalla Royal Bank of Scotland Group Plc, Morgan Stanley e Merrill Lynch & Co, almeno secondo quanto riportato da altri testimoni. Inoltre, tra le banche di investimento che hanno prestato azioni, testimoni che hanno collaborato hanno citato Deutsche Bank Ag, State Street Corp. e la svedese Seb Ab. Tra i broker c'erano Tullett Prebon Group Holdings Plc e Icap. E non finisce qui, perché le banche sarebbero state anche tra i fondi degli investitori che hanno effettuato transazioni «Cum-Ex», tra cui Credit Suisse Group Ag e Bank of Ireland Group Plc. In alcuni dei casi selezionati, Deutsche Bank e Merrill Lynch avrebbero agito come broker per i fondi negoziati. Deutsche Bank, Bnp Paribas Sa e Bhf, una società successivamente acquisita da Bank of New York Mellon Corp, erano tra i finanziatori che fungevano da banche di custodia, emettendo importanti certificati fiscali. Varie le difese dei soggetti coinvolti. Warburg ha affermato di non aver mai cercato doppi rimborsi e di non averlo mai fatto determinate transazioni a tale scopo. Santander ha fatto riferimento al suo rapporto interlocutorio affermando che è sotto inchiesta e sta collaborando con le autorità. Seb ha affermato di essere un operatore di mercato nel prestito di titoli, ma non ha informazioni sul prestito a venditori allo scoperto coinvolti in «Cum-Ex».

L'inerzia di chi era chiamato a vigilare. Per anni le autorità fiscali tedesche, e non solo, hanno concesso i rimborsi, nonostante la consapevolezza che il trattamento fiscale dei dividendi poteva comportare il rischio di pagamenti multipli. Mentre ci sono stati diversi tentativi di correggere la pratica, nel 2007 i legislatori tedeschi hanno affermato che i funzionari fiscali dovevano tollerare incidenti occasionali. Le autorità di contrasto, tuttavia, hanno iniziato a indagare alcuni anni dopo, sostenendo che il parlamento si era concentrato sugli effetti collaterali involontari delle transazioni legittime e non sulle attività commerciali avviate deliberatamente per generare rimborsi fiscali. Oggi, i pubblici ministeri sostengono che le persone coinvolte nelle transazioni sapessero di essere implicati in un meccanismo sofisticato che conduceva ad una duplicazione dei rimborsi spettanti ai danni dell'erario. E di fatto, una tale pratica si è conclusa nel 2012 quando la Germania ha di fatto rinnovato il modo in cui riscuote l'imposta sui dividendi e a seguire altri paesi hanno acceso i fari su una tale ipotesi di truffa.
 

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