PsicoTerapia di gruppo per cambiare. (1 Viewer)

  • Creatore Discussione terapia.intensiva
  • Data di Inizio

terapia.intensiva

Guest
Iniziamo con questo :-o:)


Ci sono uomini che entrano nella vita delle donne e le distruggono. Non importa quanto esse siano forti e quanto intenso sia il loro amore, né che impegnino tutte se stesse nella relazione: quando l’altro mette in gioco meccanismi psicologici incentrati sul controllo e sulla svalutazione non ci sono strategie per salvarsi diverse dalla fuga.

Questi uomini trascinano le loro vittime in una guerriglia psicologica che a volte dura anni e che causa la progressiva demolizione dell’autostima e della capacità di comprendere ciò che sta accadendo al di là del codice malato della relazione. Sono donne rudere, donne relitto, donne sfiancate e terrorizzate dalle continue esplosioni egoistiche del partner, dalle sue sparizioni mimetiche e dai suoi assalti che sembrano non seguire uno schema mentre perseguono una precisa strategia bellica.
I terroristi emotivi non sanno quello che fanno perché governati da movimenti interiori per lo più inconsci, tuttavia agiscono attraverso copioni psicologici relativamente invarianti.
Controllo e svalutazione. Controllo e svalutazione sono i circuiti che armano uomini affettivamente immaturi, incapaci di investire sulla coppia ma decisi a vivere comunque qualcosa che somigli all’amore spinti dall’impulso sessuale o dal conformismo sociale. Il controllo consiste nel mantenere al di sotto di una soglia minima il coinvolgimento emotivo nei confronti della partner e, allo stesso tempo, tenerla in scacco, sentimentalmente bloccata nella relazione. L’obiettivo è quello di imprimerle un marchio di proprietà narcisisticamente gratificante, un sigillo che le impedisca di intraprendere altre relazioni. La svalutazione è il guinzaglio comunicativo che questi uomini stringono stretto al collo della partner: subdolamente la criticano, la accusano, la maltrattano, la condannano al loro silenzio più cinico o all’insulto più sfrontato e irrispettoso inducendola così a dipendere dalla loro approvazione e a maturare la convinzione di essere indesiderabile.
La donna diventa in un vero e proprio “ostaggio di guerra” per cui l’unica forma di sollievo è data dalla sospensione, di solito breve, delle torture. Una telefonata un po’ gentile, un sms neutrale o il minimo gesto “umano” da parte del terrorista diventano le “prove” che c’è amore in fondo, e che si può sperare di ricostruire nonostante la desolazione.
Amori low-cost. Il terrorista emotivo si garantisce a costo bassissimo l’adorazione dell’ostaggio. Ottiene dedizione e fedeltà con i pochi centesimi di un messaggino, con una parola o una carezza appena affettuosa e, soprattutto, gode della percezione del potere.
Le donne sotto assedio, vivono sentimenti opposti: la totale insicurezza e l’incubo del tradimento. Immaginano che il partner trami alle loro spalle, cerchi altre storie e sono terrificate dalla possibilità dell’abbandono. Le condotte gelide e anaffettive del terrorista intervallate da ambigui messaggi d’amore e di tregua, fanno sì che la partner si senta un mero oggetto di possesso, come tale intercambiabile con altre. In realtà, scelto il bersaglio da devastare, il guerrigliero gli rimane fedele e di rado intraprende battaglie su più campi. A proprio modo è vittima del suo schema distruttivo ed è in qualche misura consapevole che trovata una donna che si presta al massacro convenga tenersela finché il gioco regge, perché trovarne un’altra altrettanto partecipe risulterebbe costoso e impegnativo.
Congelare la relazione. Una relazione affettiva si evolve fisiologicamente verso un aumento dell’impegno tra i partner e la costruzione congiunta di spazi di coppia progressivamente più ampi e più solidi che prevedono la condivisione di valori, progetti, amici, tempo e via dicendo. Un rapporto all’inizio, in genere, si caratterizza per il basso livello di coinvolgimento personale e l’elevato grado di libertà dei partner. Nelle fasi iniziali i sentimenti reciproci, per quanto intensi, non autorizzano ancora a proiettarsi in un futuro insieme, ma garantiscono indubbi vantaggi sessuali uniti alla sensazione di “poter avere una amore”.

Il terrorista emotivo agisce in modo da congelare la relazione in un perenne stadio iniziale, azzerando ogni eventuale progresso mediante il conflitto. Ci sono coppie che si inseguono per anni, rimanendo cristallizzate al punto zero del rapporto: quello della conoscenza iniziale, delle prime cene a due e di qualche focoso scambio sessuale.
“Sei inadeguata e pazza”. Non appena il terrorista del cuore intercetta dall’altra parte aspettative di relazione più mature, riceve la richiesta di condividere più tempo o ascolta l’ingenua esigenza di frequentare amicizie in comune, intraprende la sua crudele rappresaglia. Demolisce tutto, rade al suolo quanto sembrava accennare alla costruzione di un rapporto più maturo e lo fa mettendo in discussione la validità della partner non solo come compagna, ma come persona. Così facendo, raggiunge due obiettivi: la costringe alla dipendenza dal proprio giudizio e la illude che, se cambiasse, le cose andrebbero per il verso giusto.
Classicamente, dopo una fase di disperazione, la vittima ritorna a dare quanto e più di prima spinta dalla triste utopia che il proprio miglioramento produrrà amore. E invece, genererà soltanto nuovi e più efferati assedi.





Il terrorista emotivo è una figura affascinante perché si ammanta di mistero. Esperto nel dire e non dire, nel fare e nel negarlo, utilizza l’efficace copertura di creatura fragile, esiliata dal Paradiso. Il terrorista emotivo vive nel ruolo di Angelo Perduto, nello status instabile di profugo del sesso e così si presenta. Lascia che la vittima fraintenda per bene i suoi messaggi poveri e ambigui, così da ottenere amori appassionati e pirotecnici per poi dire: “Hai fatto tutto da sola”. Il dramma è che il terrorista si muove in totale buona fede, come un collezionista di farfalle. Una volta appuntato sino in fondo l’ago, chiude la teca e sbalordisce se la preda pretende di volare. Così osserva con precisione entomologica i movimenti dell’amante di turno. Manda un sms: controlla lo stato vitale dell’insetto. Telefona: verifica il possesso. Fa l’amore: perfeziona la cattura.

Narcisismo e immaturità affettiva. Dire “Ti amo” per il terrorista emotivo è come piazzare un ordigno a orologeria. Come narcisista, si dilania nel conflitto dato dall’amare l’altro e sembra dirsi: “Se amo te, tolgo qualcosa a me”. Questo spiega perché per il terrorista emotivo l’amore sia un tozzo di pane in tempi di fame : “Se ne do a te, me ne privo. E non ho alcuna intenzione di farlo.” Come un bambino mai cresciuto, il terrorista è famelico, bulimico di controllo, d’attenzione , d’amore e ne vuole fruire a comando. Ogni richiesta affettiva esterna diventa perciò intollerabile, un inaccettabile affronto al primato assoluto del bambino che amministra in modo dispotico il seno materno. Non a caso, l’immaturità affettiva è il principale fattore in gioco nelle dipendenze amorose, un fattore correlato a rigidità cognitiva, depressione mascherata e conformismo sociale. Il terrorista emotivo vive le sue relazioni come una guerra simulata tra soldatini di plastica, ignorando la natura umana delle sue pedine.
Terrorismo emotivo e modelli familiari. Il sadico entomologo amoroso spesso è il risultato di questioni pregresse, nodi, conflitti e lutti della famiglia d’origine non ancora risolti. L’ampia casistica comprende figli di genitori “separati in casa” che da anni recitano la pantomima della famiglia da manuale; figli di coppie rigidamente normative, famiglie “bene”, che dalla nascita hanno inondato di aspettative il rampollo spingendolo verso il “nobile” obiettivo di una relazione fiabesca e dunque irrealizzabile; orfani di padri o di madri idealizzati come onnipotenti e perfetti, presi a modello della futura partner destinata a misurarsi con standard irreali. E questi esempi non esauriscono certo le molteplici combinazioni familiari che fungono da matrice e da “mandato” al terrorismo del cuore. Quale che sia la dinamica familiare originaria, il “trauma freudiano” che “spiega” il dolore, l’aridità e la vessazione “amore dopo amore”, ovvero preda dopo preda, ogni terrorista emotivo sembra proiettare sulla vittima il suo teatro psicologico e ne vuole essere il regista dopo che ne è stato, nell’infanzia, in una difficile educazione sentimentale, una pallida semplice comparsa. Esige il primato, aspira al controllo assoluto, e lo esercita spesso attraverso l’aperta squalifica della partner o con l’imposizione del silenzio e dell’indifferenza. E si spreca quando si tratta di far finta, di mentire un amore, di farlo consapevolmente come si allaccia giunzaglio. Il terrorista emotivo sembra trasferire insomma tutte le sue frustrazioni sulla preda, che funziona come accumulatore e traduttore amoroso di sentimenti di rabbia, abbandono, tradimento, angoscia e solitudine.
Donne kamikaze. Tuttavia, senza la partecipazione attiva della partner, il terrorista emotivo non potrebbe compiere il suo copione. Infatti si tiene generalmente alla larga da donne che esprimono da subito e con chiarezza i propri bisogni affettivi e sono in grado di affermarli e di difenderli senza ambiguità, mentre seleziona partner inclini al sacrificio e pronte all’occorrenza a rinunciare ai propri desideri e progetti in favore della missione terroristica.
Si crede erroneamente che gli obiettivi sensibili del guerrigliero amoroso siano donne fragili e scarsamente strutturate, in qualche modo predisposte all’auto-svalutazione. Invece la casistica delle vittime include di frequente donne considerate da tutti equilibrate, forti e determinate. Proprio la persistenza e un grado iniziale d’autostima elevato possono spingere queste donne a fare di tutto con ostinazione maniacale, pur di tenersi quello che considerano l’amore della loro vita.
Donne kamikaze, armate sino ai denti, che si arruolano contro se stesse a fianco al terrorista con l’illusione che questo basterà a risanare la relazione. Si tratta di un processo psicologico apparentemente contradditorio e autolesionista, ma dotato di una propria coerenza interna e di una funzione ecologica: le cosiddette donne forti vivono gli attacchi del partner come una minaccia alla propria identità, minaccia che trovano assurda, inammissibile. “Come può non amarmi? E’ impossibile, con tutto quello che sono e che faccio per lui”. La convinzione di essere all’altezza della guerra e di poterla vincere le spinge a comportamenti apparentemente incomprensibili: diventano ossessive, ipercontrollanti, soggette a esplosioni clamorose di tipo estremo sino anche al tentativi simulati di suicidio. In questi casi, diversamente da quanto avviene quando la vittima del terrorista è fragile, si stabilisce una doppia dipendenza. Il terrorista viene messo in scacco psicologico dalla possibile rappresaglia isterica e suicidaria della kamikaze, a cui rimane legato da profondi sensi di colpa e d’angoscia.
 

Dogtown

Forever Ultras Ghetto
...cavolo tutto questo di prima mattina?!?!:-R:up:


Io do il mio misero contributo: il tutto parte dall'ignoranza, assenza di cultura e quindi di rispetto, tutto il resto che ne consegue, compresi i comportamenti violenti, sia fisici che psichici, sono le tristi, desolanti ed umilianti conseguenze di una civiltà fallo-centrica e maschilista a senso unico.
 

nonmollare

Moderator
Iniziamo con questo :-o:)


Ci sono uomini che entrano nella vita delle donne e le distruggono. Non importa quanto esse siano forti e quanto intenso sia il loro amore, né che impegnino tutte se stesse nella relazione: quando l’altro mette in gioco meccanismi psicologici incentrati sul controllo e sulla svalutazione non ci sono strategie per salvarsi diverse dalla fuga.

Questi uomini trascinano le loro vittime in una guerriglia psicologica che a volte dura anni e che causa la progressiva demolizione dell’autostima e della capacità di comprendere ciò che sta accadendo al di là del codice malato della relazione. Sono donne rudere, donne relitto, donne sfiancate e terrorizzate dalle continue esplosioni egoistiche del partner, dalle sue sparizioni mimetiche e dai suoi assalti che sembrano non seguire uno schema mentre perseguono una precisa strategia bellica.
I terroristi emotivi non sanno quello che fanno perché governati da movimenti interiori per lo più inconsci, tuttavia agiscono attraverso copioni psicologici relativamente invarianti.
Controllo e svalutazione. Controllo e svalutazione sono i circuiti che armano uomini affettivamente immaturi, incapaci di investire sulla coppia ma decisi a vivere comunque qualcosa che somigli all’amore spinti dall’impulso sessuale o dal conformismo sociale. Il controllo consiste nel mantenere al di sotto di una soglia minima il coinvolgimento emotivo nei confronti della partner e, allo stesso tempo, tenerla in scacco, sentimentalmente bloccata nella relazione. L’obiettivo è quello di imprimerle un marchio di proprietà narcisisticamente gratificante, un sigillo che le impedisca di intraprendere altre relazioni. La svalutazione è il guinzaglio comunicativo che questi uomini stringono stretto al collo della partner: subdolamente la criticano, la accusano, la maltrattano, la condannano al loro silenzio più cinico o all’insulto più sfrontato e irrispettoso inducendola così a dipendere dalla loro approvazione e a maturare la convinzione di essere indesiderabile.
La donna diventa in un vero e proprio “ostaggio di guerra” per cui l’unica forma di sollievo è data dalla sospensione, di solito breve, delle torture. Una telefonata un po’ gentile, un sms neutrale o il minimo gesto “umano” da parte del terrorista diventano le “prove” che c’è amore in fondo, e che si può sperare di ricostruire nonostante la desolazione.
Amori low-cost. Il terrorista emotivo si garantisce a costo bassissimo l’adorazione dell’ostaggio. Ottiene dedizione e fedeltà con i pochi centesimi di un messaggino, con una parola o una carezza appena affettuosa e, soprattutto, gode della percezione del potere.
Le donne sotto assedio, vivono sentimenti opposti: la totale insicurezza e l’incubo del tradimento. Immaginano che il partner trami alle loro spalle, cerchi altre storie e sono terrificate dalla possibilità dell’abbandono. Le condotte gelide e anaffettive del terrorista intervallate da ambigui messaggi d’amore e di tregua, fanno sì che la partner si senta un mero oggetto di possesso, come tale intercambiabile con altre. In realtà, scelto il bersaglio da devastare, il guerrigliero gli rimane fedele e di rado intraprende battaglie su più campi. A proprio modo è vittima del suo schema distruttivo ed è in qualche misura consapevole che trovata una donna che si presta al massacro convenga tenersela finché il gioco regge, perché trovarne un’altra altrettanto partecipe risulterebbe costoso e impegnativo.
Congelare la relazione. Una relazione affettiva si evolve fisiologicamente verso un aumento dell’impegno tra i partner e la costruzione congiunta di spazi di coppia progressivamente più ampi e più solidi che prevedono la condivisione di valori, progetti, amici, tempo e via dicendo. Un rapporto all’inizio, in genere, si caratterizza per il basso livello di coinvolgimento personale e l’elevato grado di libertà dei partner. Nelle fasi iniziali i sentimenti reciproci, per quanto intensi, non autorizzano ancora a proiettarsi in un futuro insieme, ma garantiscono indubbi vantaggi sessuali uniti alla sensazione di “poter avere una amore”.

Il terrorista emotivo agisce in modo da congelare la relazione in un perenne stadio iniziale, azzerando ogni eventuale progresso mediante il conflitto. Ci sono coppie che si inseguono per anni, rimanendo cristallizzate al punto zero del rapporto: quello della conoscenza iniziale, delle prime cene a due e di qualche focoso scambio sessuale.
“Sei inadeguata e pazza”. Non appena il terrorista del cuore intercetta dall’altra parte aspettative di relazione più mature, riceve la richiesta di condividere più tempo o ascolta l’ingenua esigenza di frequentare amicizie in comune, intraprende la sua crudele rappresaglia. Demolisce tutto, rade al suolo quanto sembrava accennare alla costruzione di un rapporto più maturo e lo fa mettendo in discussione la validità della partner non solo come compagna, ma come persona. Così facendo, raggiunge due obiettivi: la costringe alla dipendenza dal proprio giudizio e la illude che, se cambiasse, le cose andrebbero per il verso giusto.
Classicamente, dopo una fase di disperazione, la vittima ritorna a dare quanto e più di prima spinta dalla triste utopia che il proprio miglioramento produrrà amore. E invece, genererà soltanto nuovi e più efferati assedi.




Il terrorista emotivo è una figura affascinante perché si ammanta di mistero. Esperto nel dire e non dire, nel fare e nel negarlo, utilizza l’efficace copertura di creatura fragile, esiliata dal Paradiso. Il terrorista emotivo vive nel ruolo di Angelo Perduto, nello status instabile di profugo del sesso e così si presenta. Lascia che la vittima fraintenda per bene i suoi messaggi poveri e ambigui, così da ottenere amori appassionati e pirotecnici per poi dire: “Hai fatto tutto da sola”. Il dramma è che il terrorista si muove in totale buona fede, come un collezionista di farfalle. Una volta appuntato sino in fondo l’ago, chiude la teca e sbalordisce se la preda pretende di volare. Così osserva con precisione entomologica i movimenti dell’amante di turno. Manda un sms: controlla lo stato vitale dell’insetto. Telefona: verifica il possesso. Fa l’amore: perfeziona la cattura.

Narcisismo e immaturità affettiva. Dire “Ti amo” per il terrorista emotivo è come piazzare un ordigno a orologeria. Come narcisista, si dilania nel conflitto dato dall’amare l’altro e sembra dirsi: “Se amo te, tolgo qualcosa a me”. Questo spiega perché per il terrorista emotivo l’amore sia un tozzo di pane in tempi di fame : “Se ne do a te, me ne privo. E non ho alcuna intenzione di farlo.” Come un bambino mai cresciuto, il terrorista è famelico, bulimico di controllo, d’attenzione , d’amore e ne vuole fruire a comando. Ogni richiesta affettiva esterna diventa perciò intollerabile, un inaccettabile affronto al primato assoluto del bambino che amministra in modo dispotico il seno materno. Non a caso, l’immaturità affettiva è il principale fattore in gioco nelle dipendenze amorose, un fattore correlato a rigidità cognitiva, depressione mascherata e conformismo sociale. Il terrorista emotivo vive le sue relazioni come una guerra simulata tra soldatini di plastica, ignorando la natura umana delle sue pedine.
Terrorismo emotivo e modelli familiari. Il sadico entomologo amoroso spesso è il risultato di questioni pregresse, nodi, conflitti e lutti della famiglia d’origine non ancora risolti. L’ampia casistica comprende figli di genitori “separati in casa” che da anni recitano la pantomima della famiglia da manuale; figli di coppie rigidamente normative, famiglie “bene”, che dalla nascita hanno inondato di aspettative il rampollo spingendolo verso il “nobile” obiettivo di una relazione fiabesca e dunque irrealizzabile; orfani di padri o di madri idealizzati come onnipotenti e perfetti, presi a modello della futura partner destinata a misurarsi con standard irreali. E questi esempi non esauriscono certo le molteplici combinazioni familiari che fungono da matrice e da “mandato” al terrorismo del cuore. Quale che sia la dinamica familiare originaria, il “trauma freudiano” che “spiega” il dolore, l’aridità e la vessazione “amore dopo amore”, ovvero preda dopo preda, ogni terrorista emotivo sembra proiettare sulla vittima il suo teatro psicologico e ne vuole essere il regista dopo che ne è stato, nell’infanzia, in una difficile educazione sentimentale, una pallida semplice comparsa. Esige il primato, aspira al controllo assoluto, e lo esercita spesso attraverso l’aperta squalifica della partner o con l’imposizione del silenzio e dell’indifferenza. E si spreca quando si tratta di far finta, di mentire un amore, di farlo consapevolmente come si allaccia giunzaglio. Il terrorista emotivo sembra trasferire insomma tutte le sue frustrazioni sulla preda, che funziona come accumulatore e traduttore amoroso di sentimenti di rabbia, abbandono, tradimento, angoscia e solitudine.
Donne kamikaze. Tuttavia, senza la partecipazione attiva della partner, il terrorista emotivo non potrebbe compiere il suo copione. Infatti si tiene generalmente alla larga da donne che esprimono da subito e con chiarezza i propri bisogni affettivi e sono in grado di affermarli e di difenderli senza ambiguità, mentre seleziona partner inclini al sacrificio e pronte all’occorrenza a rinunciare ai propri desideri e progetti in favore della missione terroristica.
Si crede erroneamente che gli obiettivi sensibili del guerrigliero amoroso siano donne fragili e scarsamente strutturate, in qualche modo predisposte all’auto-svalutazione. Invece la casistica delle vittime include di frequente donne considerate da tutti equilibrate, forti e determinate. Proprio la persistenza e un grado iniziale d’autostima elevato possono spingere queste donne a fare di tutto con ostinazione maniacale, pur di tenersi quello che considerano l’amore della loro vita.
Donne kamikaze, armate sino ai denti, che si arruolano contro se stesse a fianco al terrorista con l’illusione che questo basterà a risanare la relazione. Si tratta di un processo psicologico apparentemente contradditorio e autolesionista, ma dotato di una propria coerenza interna e di una funzione ecologica: le cosiddette donne forti vivono gli attacchi del partner come una minaccia alla propria identità, minaccia che trovano assurda, inammissibile. “Come può non amarmi? E’ impossibile, con tutto quello che sono e che faccio per lui”. La convinzione di essere all’altezza della guerra e di poterla vincere le spinge a comportamenti apparentemente incomprensibili: diventano ossessive, ipercontrollanti, soggette a esplosioni clamorose di tipo estremo sino anche al tentativi simulati di suicidio. In questi casi, diversamente da quanto avviene quando la vittima del terrorista è fragile, si stabilisce una doppia dipendenza. Il terrorista viene messo in scacco psicologico dalla possibile rappresaglia isterica e suicidaria della kamikaze, a cui rimane legato da profondi sensi di colpa e d’angoscia.


prenderò un giorno di ferie per leggere :) :D
ma la mia risposta sarà di poche righe.... perché abborisco le masturbazioni/ seghe mentali :down: che portano direttamente alla nevrosi :sad:

( purtroppo tutte noi donne sappiamo cosa sono le m.m. perché sono tipicamente femminili, l'importante è venirne fuori e poi evitarle a gambe levate)
 
Ultima modifica:

Dogtown

Forever Ultras Ghetto
prenderò un giorno di ferie per leggere :) :D
ma la mia risposta sarà di poche righe.... perché abborisco le masturbazioni/ seghe mentali :down: che portano direttamente alla nevrosi :sad:

( purtroppo tutte noi donne sappiamo cosa sono le m.m. perché sono tipicamente femminili, l'importante è venirne fuori e poi evitarle a gambe levate)


...non l'avrei mai detto sai!?!?!:mumble:
 

terapia.intensiva

Guest
...cavolo tutto questo di prima mattina?!?!:-R:up:


Io do il mio misero contributo: il tutto parte dall'ignoranza, assenza di cultura e quindi di rispetto, tutto il resto che ne consegue, compresi i comportamenti violenti, sia fisici che psichici, sono le tristi, desolanti ed umilianti conseguenze di una civiltà fallo-centrica e maschilista a senso unico.


prenderò un giorno di ferie per leggere :) :D
ma la mia risposta sarà di poche righe.... perché abborisco le masturbazioni/ seghe mentali :down: che portano direttamente alla nevrosi :sad:

( purtroppo tutte noi donne sappiamo cosa sono le m.m. perché sono tipicamente femminili, l'importante è venirne fuori e poi evitarle a gambe levate)


Mi piacciono questi interventi e mi piacciono gli interventi di entrambi :)

Cmq non volevo fare un 3d di terapia di coppia...:)
 

terapia.intensiva

Guest
Aforismi e metafore per cambiare
Enrico Maria Secci :-o
Come psicoterapeuta ho imparato presto a utilizzare la semplicità degli aforismi e delle metafore per favorire il cambiamento e la risoluzione di situazioni complicate.
Se all’inizio della professione mi avvalevo con una certa titubanza di aneddoti e di frasi celebri sulla scia dei grandi maestri della terapia breve Milton Erickson e Paul Watzlawick, gli oltre dieci anni di esperienza e i centinaia di casi trattati hanno consolidato nel tempo la certezza dell’efficacia terapeutica di massime e racconti nell’aiutare le persone a risolvere in fretta e in modo stabile problemi percepiti come insolubili.
Anche nell’ambito della mia esperienza clinica, l’effetto di aforismi e metafore si è rivelato magico. Le immagini e i contenuti che veicolano giungono direttamente al cuore del problema, si iniettano nel tessuto recettivo dell’inconscio e lavorano da sole, anche quando la persona non ne capisce immediatamente l’attinenza o ne rifiuta il senso. Così, il cambiamento diviene inevitabile: il racconto e la frase infiltrano allo stesso tempo dubbio e consapevolezza nella mente confusa e sofferente, minano schemi e strutture mentali alla base del malessere e ci costringono a considerare punti di vista differenti in modo tale da trovarne uno completamente personale e inedito, che ci libera dalla patologia e ci svela un mondo ricco di alternative più felici rispetto all’unica opzione depressiva, dipendente, ansiosa, ossessiva o paranoide, che è quella che spesso inconsapevolmente subiamo senza accorgerci di averla in qualche modo scelta.
Aforismi e metafore terapeutiche risultano più penetranti di qualunque interpretazione psicoanalitica o spiegazione psicologica, perché parlano lo stesso linguaggio del problema che affligge la persona, il linguaggio emotivo, che poco ha a che fare con la razionalità. Inoltre, percorrono i sentieri originari della consapevolezza, esposta sin dall’infanzia a simboli e immaginativi mentali.
Ogni conflitto o disturbo psicologico si presenta come affronto alla logica ordinaria, il comune pensare. Lo dimostra il fatto che la sofferenza psicologica ci porta a vivere, senza poterli razionalmente inibire, azioni, emozioni e comportamenti che riconosciamo come “irragionevoli” e che, nostro malgrado, possono dominarci sino ad assumere le sembianze di una realtà vera e propria, che diventa “oggettiva” e spaventosa. Una gabbia priva di fughe.
In questo senso, la corrosiva semplicità di una massima, di un frammento o di un verso poetico sono come una lima gettata oltre le grate della prigione. Con costanza e lentezza, lavorano sulle convinzioni limitanti e le spezzano all’improvviso, quasi per incanto. Mille ragionamenti non potrebbero avere, per quanto reiterati, la stessa potenza di un breve e “casuale” racconto proposto al termine di una seduta di psicoterapia spesso erroneamente vissuta dal paziente come un confessionale di teorie, tanto complesse quanto frustranti, sul perché del proprio malessere.
Grazie all’incontro con centinaia di persone e al nostro lavoro congiunto sui problemi che portavano in terapia, ho cominciato a raccogliere aneddoti e metafore, scegliendo quelli che più hanno facilitato e accelerato il cambiamento, a volte in modo sorprendente.
Questo libro nasce dopo oltre dieci anni dal primo rapido appunto di una metafora detta a un paziente che si rivelò davvero terapeutica. Altre frasi e storie si sono accumulate nel tempo e unite con altre che ho incontrato nei romanzi, nei saggi e nelle poesie di autori a me cari e terapeutici per me, che ho condiviso con successo in terapia.
Il libro presenta in ordine sparso frasi suggestive, massime e racconti sul cambiamento che toccano, inevitabilmente, i temi dell’autodeterminazione, dell’autostima e dell’amore che, nella mia esperienza, costituiscono i punti di snodo di problemi e vissuti molto distanti tra loro eppure accomunati da una costante: la tendenza delle persone psicologicamente in stallo a rappresentare se stesse e a muoversi con sofferenza in una realtà rigida e senza via d’uscita.
La casualità con cui queste pagine si susseguono è voluta. Ognuna rappresenta un capitolo a sé, tocca un tema e un problema specifico, occupa uno spazio separato dalle altre e appare sulla pagina bianca come occasione di riflessione, mai mescolata con altre e deliberatamente al di fuori di una qualche coerenza narrativa.
Il solo criterio che ha guidato la composizione del volume è la capacità di suscitare un sorriso, un dubbio, un’emozione nuova in chi legge.
Gli aforismi e le metafore raccolti in questo libro hanno una voce, una voce che non vuole essere semplicemente letta, ma ascoltata, perché potrebbe dire qualcosa di importante e di utile per ritrovare o consolidare il proprio equilibrio, o trovare la spinta per ristabilirlo.
“L’aforisma non coincide mai con la verità, o è mezza verità o una verità e mezzo”, diceva ironicamente Karl Kraus, intellettuale e aforista austriaco. L’uso terapeutico di frasi evocative e di metafore non ha lo scopo di enunciare alcuna verità, ma quello di aiutare ciascuno a trovare la propria, quella più funzionale al proprio equilibrio e alla propria felicità.
Per questo, mi piace pensare che chi sfoglierà queste pagine lo farà a poco a poco, magari aprendo il libro a caso in un giorno un po’ cupo, e che ci trovi una bonaria provocazione, una piccola luce o uno spunto per pensare in modo diverso a un problema e intravedere così soluzioni nuove.
 

Dogtown

Forever Ultras Ghetto
Aforismi e metafore per cambiare
Enrico Maria Secci :-o
Come psicoterapeuta ho imparato presto a utilizzare la semplicità degli aforismi e delle metafore per favorire il cambiamento e la risoluzione di situazioni complicate.
Se all’inizio della professione mi avvalevo con una certa titubanza di aneddoti e di frasi celebri sulla scia dei grandi maestri della terapia breve Milton Erickson e Paul Watzlawick, gli oltre dieci anni di esperienza e i centinaia di casi trattati hanno consolidato nel tempo la certezza dell’efficacia terapeutica di massime e racconti nell’aiutare le persone a risolvere in fretta e in modo stabile problemi percepiti come insolubili.
Anche nell’ambito della mia esperienza clinica, l’effetto di aforismi e metafore si è rivelato magico. Le immagini e i contenuti che veicolano giungono direttamente al cuore del problema, si iniettano nel tessuto recettivo dell’inconscio e lavorano da sole, anche quando la persona non ne capisce immediatamente l’attinenza o ne rifiuta il senso. Così, il cambiamento diviene inevitabile: il racconto e la frase infiltrano allo stesso tempo dubbio e consapevolezza nella mente confusa e sofferente, minano schemi e strutture mentali alla base del malessere e ci costringono a considerare punti di vista differenti in modo tale da trovarne uno completamente personale e inedito, che ci libera dalla patologia e ci svela un mondo ricco di alternative più felici rispetto all’unica opzione depressiva, dipendente, ansiosa, ossessiva o paranoide, che è quella che spesso inconsapevolmente subiamo senza accorgerci di averla in qualche modo scelta.
Aforismi e metafore terapeutiche risultano più penetranti di qualunque interpretazione psicoanalitica o spiegazione psicologica, perché parlano lo stesso linguaggio del problema che affligge la persona, il linguaggio emotivo, che poco ha a che fare con la razionalità. Inoltre, percorrono i sentieri originari della consapevolezza, esposta sin dall’infanzia a simboli e immaginativi mentali.
Ogni conflitto o disturbo psicologico si presenta come affronto alla logica ordinaria, il comune pensare. Lo dimostra il fatto che la sofferenza psicologica ci porta a vivere, senza poterli razionalmente inibire, azioni, emozioni e comportamenti che riconosciamo come “irragionevoli” e che, nostro malgrado, possono dominarci sino ad assumere le sembianze di una realtà vera e propria, che diventa “oggettiva” e spaventosa. Una gabbia priva di fughe.
In questo senso, la corrosiva semplicità di una massima, di un frammento o di un verso poetico sono come una lima gettata oltre le grate della prigione. Con costanza e lentezza, lavorano sulle convinzioni limitanti e le spezzano all’improvviso, quasi per incanto. Mille ragionamenti non potrebbero avere, per quanto reiterati, la stessa potenza di un breve e “casuale” racconto proposto al termine di una seduta di psicoterapia spesso erroneamente vissuta dal paziente come un confessionale di teorie, tanto complesse quanto frustranti, sul perché del proprio malessere.
Grazie all’incontro con centinaia di persone e al nostro lavoro congiunto sui problemi che portavano in terapia, ho cominciato a raccogliere aneddoti e metafore, scegliendo quelli che più hanno facilitato e accelerato il cambiamento, a volte in modo sorprendente.
Questo libro nasce dopo oltre dieci anni dal primo rapido appunto di una metafora detta a un paziente che si rivelò davvero terapeutica. Altre frasi e storie si sono accumulate nel tempo e unite con altre che ho incontrato nei romanzi, nei saggi e nelle poesie di autori a me cari e terapeutici per me, che ho condiviso con successo in terapia.
Il libro presenta in ordine sparso frasi suggestive, massime e racconti sul cambiamento che toccano, inevitabilmente, i temi dell’autodeterminazione, dell’autostima e dell’amore che, nella mia esperienza, costituiscono i punti di snodo di problemi e vissuti molto distanti tra loro eppure accomunati da una costante: la tendenza delle persone psicologicamente in stallo a rappresentare se stesse e a muoversi con sofferenza in una realtà rigida e senza via d’uscita.
La casualità con cui queste pagine si susseguono è voluta. Ognuna rappresenta un capitolo a sé, tocca un tema e un problema specifico, occupa uno spazio separato dalle altre e appare sulla pagina bianca come occasione di riflessione, mai mescolata con altre e deliberatamente al di fuori di una qualche coerenza narrativa.
Il solo criterio che ha guidato la composizione del volume è la capacità di suscitare un sorriso, un dubbio, un’emozione nuova in chi legge.
Gli aforismi e le metafore raccolti in questo libro hanno una voce, una voce che non vuole essere semplicemente letta, ma ascoltata, perché potrebbe dire qualcosa di importante e di utile per ritrovare o consolidare il proprio equilibrio, o trovare la spinta per ristabilirlo.
“L’aforisma non coincide mai con la verità, o è mezza verità o una verità e mezzo”, diceva ironicamente Karl Kraus, intellettuale e aforista austriaco. L’uso terapeutico di frasi evocative e di metafore non ha lo scopo di enunciare alcuna verità, ma quello di aiutare ciascuno a trovare la propria, quella più funzionale al proprio equilibrio e alla propria felicità.
Per questo, mi piace pensare che chi sfoglierà queste pagine lo farà a poco a poco, magari aprendo il libro a caso in un giorno un po’ cupo, e che ci trovi una bonaria provocazione, una piccola luce o uno spunto per pensare in modo diverso a un problema e intravedere così soluzioni nuove.



:vicini::clapclap::mano::yeah::cin::ola::up:
 

terapia.intensiva

Guest
"Spesso sottovalutiamo quanto sia salutare non capire un caz**".
anonimo

:up::up::up:

:)rolleyes: :( )
 

Users who are viewing this thread

Alto