Presente e futuro dell'arte. Facciamo il punto. (1 Viewer)

baleng

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I falsi e le riproduzioni

[QUOTE="Account, post: 1045955042, member: 43258"...]le nuove tecnologie producono macchine sempre piu' capaci di imitare il mondo visiìbile così perfettamente da vanificare ogni vrtuosismo pittorico umano.... [/QUOTE]
Benvenuto. In effetti si torna semre qui. Alla perdita dell'unicita' dell'opera. Che, a ben vedere, e' problema assai simile a quello dei falsi.
Per dire, anni fa un noto gallerista sostitui' a scopo truffaldino una tela di Morandi con una sua accurata riproduzione. Se non sbaglio passarono anni prima che, per pura casualita', la truffa venisse scoerta.
Similmente, l'ineffabile Linea d'ombra di Gold-in, negli anni 2000 sostitui' con riproduzioni assai discutibili alcuni originali che non avevano potuto giungere in tempo alla mostra, in quel di Treviso,, ''dimenticandosi'' di avvisare il pubblico all'entrata. In questo caso si volle ritenere che la differenza non fosse cosi' significativa. Come dice il proverbio, pecunia non olet (= la pecora non da' olio :fiu:).

Diciamo che, non essendo piu' scontata la necessita' di una certa manualita', il giudizio sull'opera si trova privo di una delle sue basi, esattamente come nel caso del falso. E sappiamo che la percentuale di falsi in giro per musei e gallerie e' mo-struo-sa (prof Kiappus docet). Poi, per sculture o fotografie, il concetto di falso e' un controsenso, e pure le opere grafiche si aggrappano al firmatonumerato per giustificare un valore economico quale che sia, pur prevedendo la loro creazione una certa manualita', almeno nei casi migliori.

Non si tratta di un problema nuovo, come sappiamo. Il mondo antico trafficava anche in falsi, e cosi' pure il Rinascimento ecc. La differenza con le oggi disponibilissime riproduzioni sta sostanzialmente nella qualita' dei materiali (un manifesto scolora, un calco in gesso e' meno solido di un bronzo). E comunque, ormai esistono tecniche di riproduzione di alta qualita'. Il problema, tuttavia, diviene rilevante solo riguardo i suoi aspetti economici, cioe' allorche' le cifre in gioco (e con esse il prestigio, e l'aspetto feticistico) superino di molto i costi necessari per ottenere le copie.

Tutto questo giro per ritornare al problema che mi piace sollevare: perche' certe strade si sono inaridite e altre hanno avuto un imprevedibile successo. Infatti, l'uso del ready-made e' in diretta relazione con la perdita della centralita' dell'artista come demiurgo. A quel punto da creatore diventa commentatore, e li' iniziano i ''guai''.
 
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baleng

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L'artista da demiurgo a semplice assemblatore. ''Saper fare" tutto non e' mai stato necessario.

Dicevo che facendo uso di prodotti gia' esistenti e combinandoli in una ''opera d'arte'' il creatore non plasma, non parte da elementi minimi, ''atomici'', ma si limita ad assemblare, eventualmente operando su come sara' visto il prodotto. Esempi: l'orinatoio di Duchamp, i collages o i decollages, l'uso di apporti fotografici nell'opera d'arte, il ferro da stiro chiodato di Man Ray ecc. C'e' una differenza tra i due tipi di prodotti? Si' che c'e', come direbbe Giustino.
Ma come! gli affrescatori medievali facevano uso di sagome di cartone per semplificare il lavoro, e poi, lo stesso Canaletto, con la sua ''camera oscura'', e chissa' quanti altri si sono fatti aiutare da strumenti meccanici, espedienti vari, come la quadrettatura, o la stessa imitazione di modelli creati da altri. E allora? E allora questo dimostra che quanto noi tendiamo a credere condizione moderna, cioe' il fatto che per essere artista non occorre piu' saper disegnare ad eccelsi livelli, oppure che la casualita' possa avere un ruolo nell'arte, tutto questo esisteva gia' dai tempi dei tempi, visto che dalle statuine di Tanagra (Le figurine Tanagra erano un tipo di stampo in terracotta greca di figurine prodotte dalla fine del IV secolo a.C., principalmente nella città boeota di Tanagra, che ha dato il nome a tutta la classe) agli incisori di riproduzione, quasi mai fu indispensabilmente richiesta la geniale abilita' di un singolo nel modellare la materia, almeno sino a Giotto.
(Specifico l'accenno alla casualita': nella versione moderna abbiamo il dripping, o l'uso calcolato di pennellesse dall'esito non pienamente controllabile; nell'arte del passato abbiamo, almeno nel Medioevo, una forte carenza di progettualita' per cui il disegno poteva partire in un certo modo per poi venire corretto. Ma gli stessi pentimenti dei pittori che seguirono possono essere considerati come un operare in fieri, dove non tutto puo' essere chiaro sin dall'inizio, e il risultato provvisorio influenza le successive modifiche. Diciamo che non si tratta di una casualita' in contemporanea con l'azione, come nel dripping, bensi' diluita nel tempo: pero' non sono due condizioni cosi' differenti.)

Tornando ai costituenti elementari dell'opera, si passa dal sottilissimo pigmento, combinabile in modi infiniti, alla tessera del mosaico, elemento molto piu' grossolano ma pur sempre combinabile, al pezzo di carta del collage, cui al massimo puo' venir data una forma ritagliandolo, sino all'uso di oggetti cosi' come sono, assemblando i quali l'artista rinuncia, dicevo, al suo ruolo di modellatore, di demiurgo, per prendere quello, molto piu' semplificato, del combinatore, cioe' di colui che accostando A con B in modi diversi ne commenta l'esistenza senza prendersene la responsabilita'.
Spero di poter presto riprendere il punto.
 
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Account

Nuovo forumer
Grazie! Stupendo passeggiare con voi! Proseguo ma prima apro un pio di parentesi. Anche a me Picasso non emoziona, non desidero spostare l'attenzione, rispondo solo al mio intimo desiderio di rivelare una mia carenza. Devo, per onestà e trasparenza, anche ammettere di essere attempato e di avere in me qualche stanchezza che acende a volte repulsioni poco democratiche e ci resto male fra me e me. Non garantisco di riuscire a controllare, nella mia personalissima analisi, il disgusto che alcuni autori mi causano e fin da ora vi chiedo di essere un po' tolleranti, solo un po'. Poi...affascinato da quanto ho trovato qui, purtroppo senza aver letto altro in Investireoggi, consapevole quindi di rischiare ripetizioni, proseguo con cautela. Però sono qui perché "Presente e futuro dell'arte. Facciamo il punto" condensa in se uno dei miei maggiori interessi. Ultima parentesi: solo per una comodità visiva, mentre scrivo utilizzo un crattere con corpo massimo che poi, prima di lanciare la risposta riduco, a volte sono distratto e se non dovesse accadere scusatemi.

Con "le nuove tecnologie producono macchine sempre piu' capaci di imitare il mondo visiìbile così perfettamente da vanificare ogni vrtuosismo pittorico umano" vorrei solo evidenziare come questa condizione ha creato e continua a creare una libertà esecutiva difficile da gestire. Quasi improvvisamente è scomparso l'espediente per tenere sotto controllo le "deformazioni" prospettiche e lo strumento tecnico ha superato l'uomo intento ad imitare la reltà. Conoscendo un po' di anatomia, mi sono preso la briga di sovrapporre il famoso autoritratto di Leonardo alla Sacra Sindone di Torino e con grande mia sorpresa ho visto combaciare tanti particolari. Ma, un conto è farsi aiutare da strumenti tecnici, un conto è mettere nelle mani di tutti strumenti capaci di superare ogni tentarivo umano di riprodurre graficamente la realtà. So che non servirebbero ulteriori spiegazioni, ma proviamo ad immaginare cosa accadrebbe se improvvisamente oggi il nostro smartphon fosse capace di materializzare sulla tavola un magistrale piatto di stracotto al barolo o di anatra all'arancia al costo di pochi euro...quanti chefs cadrebbero in una profonda crisi? Non ditemi che già qualcosa è possibile acquistando dei cibi surgelati perché è tutta un'altra faccenda.

Sul mio tavolo dei reperti noto che da una certa data in poi qualcosa di stravolgente è accaduto e cerco di trovarne le cause perché il passaggio dal romanticismo al dadaismo con tutto ciò che ne consegue è a dir poco sbalorditivo! E tutto in un arco di tempo piuttosto breve.

Forse non è possibile prescindere da un'analisi psicologica per sapere cosa accade oggi e verso quale domani stiamo andando.
 

cassettone

In stand by
La faccio telegrafica perchè il discorso sarebbe lunghissimo

Una volta l'artista rappresentava la realtà, ci voleva una buona manualità e perfetta visone d'insieme.

Con l'avvento della fotografia queste peculiarità hanno perso via via d'importanza, attraverso le varie correnti pittoriche ed artisti capofila si è arrivati ad oggi.

Prima l'artista in voga raffigurava, ora invece l'artista in voga deve esprimere un concetto mettendo insieme vari elementi psicologici e materiali.

Io do una definizione SPOT al momento attuale ............................................................................ PERIODO DELL'ASSEMBLAGGIO.
 

Cris70

... a prescindere
Concordo con la sintesi di @cassettone.

ASSEMBLAGGIO (di idee e oggetti) + POSTPRODUZIONE (con i mezzi più disparati) mi pare siano due caratteristiche che stanno connotando molta produzione artistica del nostro tempo. Dove questo porterà non è dato sapere, ma di certo questo mix qualcosa ha già prodotto. Semmai è molto difficile leggerne la valenza.

Faccio un esempio così ritorniamo ad avere un metro di giudizio.

Nella mia ultima scorribanda a Rotterdam mi sono imbattuto nell'artista inglese Patrick Waterhouse il cui lavoro consiste nell'inserire suoi interventi pittorici su supporti fotografici e nel caso specifico su foto di aborigeni australiani.
Ogni sua opera è piacevole alla vista e connotata da un significato, qualunque esso sia.
Fin qui tutto bene, peccato che mi ricordi tanto, troppo, il lavoro di Shirin Neshat.

La domanda nasce dunque spontanea: devo accumunare i due artisti solo per la tecnica e scindere la valenza del messaggio di ognuno dando peso a quello che più si avvicina alle mie corde? Oppure continuare a pensare che la Neshat è il maestro e Waterhouse un epigono seppur bravo?

Cosa cambia vi starete chiedendo.
A parer mio cambia molto, perché se sdoganiamo che la tecnica realizzativa non è più il valore primario di un'opera e invece privilegiamo il messaggio universale della stessa, allora i due artisti che ho citato sono sullo stesso piano ed il valore per me collezionista maggiormente appassionato di tematiche antropologiche rispetto alla condizione delle donne islamiche non deve coincidere con il prezzo (i due artisti hanno rapporto 1:10) e quindi con lo status definito dal mondo dell'arte che osanna la Neshat e invece poco (mica tanto) conosce Waterhouse.

Tutto questo lungo discorso, e l'esempio specifico, per riflettere sul fatto che la nostra analisi sul presente e futuro dell'arte non riesce a prescindere dal passato, ma soprattutto deve fare i conti con quello che il sistema sdogana.
L'alternativa penso sia quella di andare in un eremo.
 

baleng

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So che non servirebbero ulteriori spiegazioni, ma proviamo ad immaginare cosa accadrebbe se improvvisamente oggi il nostro smartphon fosse capace di materializzare sulla tavola un magistrale piatto di stracotto al barolo o di anatra all'arancia al costo di pochi euro...quanti chefs cadrebbero in una profonda crisi?
Una breve chiosa al tuo ragionamento/esempio. Oggi possiamo dire che la cucina concreta, tradizionale, di chef, o persino del mekkedonalde, sta alle pillole di integratori vari, vitamine, omega3 ecc. come l'arte del passato, anche recente (e pure parte della presente) sta all'arte concettuale, ready-made e simili.
Si potrebbe osservare che nei due casi cio' che si perde e' l'agire dei sensi, cui si sostituisce una sintesi ''di laboratorio'' che pero' non parla ai sensi da fuori, ma da dentro. Con quali effetti artistici non saprei dire.
Vabbe', OK, lo saprei e mi taccio. :d:
 

baleng

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L'impoverimento sensoriale

Tornando al problema dell'unicita' dell'opera. Seppure in questo caso siano ovviamente presenti aspetti ''feticistici'', che consistono in ultima analisi nel considerare l'opera come una reliquia, voglio credere che il punto non stia qui. La visione feticistica riguarda il sociale, il mercato, il post-creazione. Basti pensare che la stessa litografia vale economicamente dieci volte di piu' se firmata e numerata, cioe' resa unica, che se priva di tutto cio', come ben sappiamo, pur essendo artisticamente la stessa cosa. Stesso commento per le statue in bronzo, con il comico limite delle 8 copie (ma chi l'ha detto, chi lo decide? dai ...).
In realta' influenza di piu' la cultura artistica un volume con le opere riprodotte del grande artista, piuttosto che le opere originali stesse, magari blindate in collezioni private o musei di difficile accessibilita'. Solo che questa diffusione si realizza con opere abbastanza semplificate rispetto agli originali (e succedeva in passato con le stampe di riproduzione).
Percio' quello che va estendendosi per il mondo non e' l'influsso sensoriale delle opere, bensi' un loro estratto, facsimigliante sin che vuoi, ma privo dell'originario lavorio a livello dei sensi. Certo, molti poi vanno a vedersi gli originali, cosi' come possono andare in sala concerti dopo aver ascoltato un disco, per es., di Chopin: ma l'imprinting avviene fatalmente per i piu' proprio tramite quei deficitari avatar che sono le riproduzioni.
Non c'e' da stupirsi, allora, se anche le creazioni degli ultimi tempi abbiano un gusto di minestrone in bustina, perche' con quelle riproduzioni dialoga la cultura generale, e non con gli originali.
Di fronte a tutto cio' vi sono artisti che hanno tentato una riscoperta dei sensi. Dalle rarefatte percezioni di Griffa, alle tele concrete di Burri, dalle violenze di Fontana alle sensualita' della post-avanguardia, vi furono molte riproposizioni di un'arte che parli al tatto, al gusto, al senso astratto dell'armonia formale. Credo che la maggior parte di queste risposte si limiti a reagire restando al livello del primo gesto, della reazione. Azioni simili compie una Abramovic rispolverando le pratiche anni 60 della riscoperta del corpo sin allora, ma anche dopo allora, negato.
In sintesi: mangi cibi industriali, vivi in ambienti asettici, ti disperdi nel mare delle informazioni/comunicazioni? E io ti schiaffo in faccia il suo contrario, come bastasse denunciare una carenza per fare arte.

Spero di poter continuare comprendendo meglio il possibile rapporto tra unicita' dell'opera e sensorialita'
 
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baleng

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Concordo con la sintesi di @cassettone.


La domanda nasce dunque spontanea: devo accumunare i due artisti solo per la tecnica e scindere la valenza del messaggio di ognuno dando peso a quello che più si avvicina alle mie corde? Oppure continuare a pensare che la Neshat è il maestro e Waterhouse un epigono seppur bravo?

Cosa cambia vi starete chiedendo.
A parer mio cambia molto, perché se sdoganiamo che la tecnica realizzativa non è più il valore primario di un'opera e invece privilegiamo il messaggio universale della stessa, allora i due artisti che ho citato sono sullo stesso piano ed il valore per me collezionista maggiormente appassionato di tematiche antropologiche rispetto alla condizione delle donne islamiche non deve coincidere con il prezzo (i due artisti hanno rapporto 1:10) e quindi con lo status definito dal mondo dell'arte che osanna la Neshat e invece poco (mica tanto) conosce Waterhouse.
Il rapporto maestro/allievo ha molti punti in comune con quello opera autentica/copia. Il problema che poni e' infatti simile. E mancando il peso dell'intervento manuale, l'unico appiglio cui appendersi (e impiccarsi :p ) e' quello della priorita' temporale. Chi ha inventato e chi ha copiato?
Anche la musica e la letteratura conoscono il problema. Vi sono storie, favole ecc. che han preso nuova vita sotto la penna di eccellenti scrittori. In questo caso l'aspetto sensoriale viene sostituito dalla capacita' di guidare al meglio l'attenzione tramite la scelta delle parole e del loro disporsi (toh, somiglia proprio al discorso sull'assemblaggio ...)
Da sempre in musica si sa che il compositore fatalmente si trova a ''rubare'', magari senza neppure aver coscienza da dove abbia raccolto il materiale. Il famoso motivo dell'Inno alla gioia nella Nona di Beethoven proviene da una melodia preesistente, coscientemente ripresa e trasfigurata. Peraltro, se c'e' una tradizione, una cultura, uno sviluppo temporale di un'arte, qualcosa, o molto, l'artista dovra' pur raccogliere da fuori.
Direi che il punto sta nella ricchezza di quanto si vuole proporre al pubblico. Tanto piu' povera sara' la creazione, tanto piu' fragile il suo imporsi di fronte a copie, falsi e mistificazioni.
 

baleng

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Tipo di comunicazione = categoria = modalita' di fruizione > che cosa si cerca e che cosa no
In questo caso l'aspetto sensoriale viene sostituito dalla capacita' di guidare al meglio l'attenzione tramite la scelta delle parole e del loro disporsi (toh, somiglia proprio al discorso sull'assemblaggio ...).

Ecco dunque un primo punto fermo - e nuovo, direi. Come lo scrittore non crea le parole (tralasciamo per ora la situazione creata da Joyce o Gadda ecc., che invece le creavano :uhm:), cosi' l'artista assemblatore (cosi' pare abbiamo deciso di chiamarlo :accordo: ) accosta elementi preesistenti in vista di una certa comunicazione. Artistica? Perche' no?, visto che lo stesso lo si fa in architettura, scenografia, ecc.
Il problema allora e' il solito: in quale categoria di fruizione si porra' questo modo di operare? Non sara' scorretto mettere nello stesso mazzo un progetto e una realizzazione, fuor di metafora un quadro elaborato manualmente (la seconda) ed un collage di elementi macroscopici (il primo)?
Quando notavo la rapidita' di esecuzione dell'opera contemporanea (non sempre, ovvio), quando scrivevo di Isgro' che cancellava la Cappella Sistina per vendicarsi del non avere il talento di un Michelangelo, accennavo appunto a questo conflitto tra idea realizzata vs idea presentata sostanzialmente come tale.

Ora, proviamo a mettere assieme questo conflitto con il problema della perdita sensoriale nell'arte (e nella vita). E aggiungiamoci pure un terzo punto, e cioe' il gia' nominato problema dell'accorciarsi delle catene logico-espressive, da Hegel al motto pubblicitario, per intenderci (o dalla Sagra della primavera al jingle)
 
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baleng

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Semplificazione porta a imitabilita'
Si tratta ormai di arti diversissime poste sotto lo stesso tetto?

Pare evidente che l'accorciarsi delle catene simboliche nei vari linguaggi appaia chiaro in opere estremamente semplificate, dai grandi quadri bicolori di Burri a quasi tutta la minimal art. , dalle semplificazioni cartoonistiche di Banksy alle boiatine di Koons, che per quanto ingigantite restano elementarissime.
Si tratta di opere che, nella loro semplicita' di esecuzione, risultano falsificabilissime.
Peraltro, volendo un Partenone e' sempre possibile ricostruirlo. E una edizione pirata dei Promessi Sposi in cui venga indicato come autore Baleng e' operazione ancora piu' semplice.
Il problema dell'unicita' riguarda dunque le modalita' di espressione maggiormente dedite a sollecitare la ricchezza sensoriale. Dipinti a olio, pastelli ecc., per esempio. E, di fronte allo sviluppo delle tecniche riproduttive, sara' da chiedersi fino a che punto l'insistere sull'opera originale non appaia anacronistico come chi si aggrappasse alla bella scrittura contro la meccanicita' dei caratteri di stampa.
Solo che non si deve dimenticare quanto si perde in tali semplificazioni. Si perde una ricchezza di sensibilita' frutto di una lunga evoluzione culturale. Il Partenone e' un'opera di architettura, ma le metope inseritevi sono sculture. In quanto tali hanno richiesto un diverso tipo di lavorazione, in funzione del ruolo loro assegnato.

La domanda e': non si saranno magari separate le strade di arti che ancora pretendono di convivere sotto lo stesso tetto? Con quale diritto la sedia/arte concettuale pretende di stare nella stessa ''stanza'' della sedia di Van Gogh? La prima pare la semplice illustrazione di un ragionamento [pseudo]filosofico, di una semplice riflessione intorno ad un concetto. La seconda pretende invece di comunicare solo con i suoi aspetti formali, apprezzati sino alla minima sfumatura: solo secondariamente si potra' giungere ad un ''messaggio''.
Per dire: chi andrebbe al cinema a vedere un film in cui una bandiera sbatte per un'ora e mezza sotto la spinta dei venti in cima ad un grattacielo? Eppure, gli stessi sono capaci di esserne spettatori devoti se lo stesso filmato viene proiettato in qualche Biennale d'arte.
 
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