PIU' CHE SANTA PAZIENZA... AVREI BISOGNO DI SANTO DOMINGO (1 Viewer)

Val

Torniamo alla LIRA
Seconda parte –

La sperimentazione iniziata a Mantova dal dottor Giuseppe De Donno,
in collaborazione con il Policlinico San Matteo di Pavia abbia dato subito ottimi risultati
che sono diventati la base di un protocollo ormai mondiale per l’uso del plasma immune nella cura del Covid-19.

Abbiamo visto, anche, come questo successo italiano abbia scatenato le gelosie e le ire degli “scienziati” televisivi e ministeriali
(quelli, per intenderci che non ne hanno mai beccata una).


Il dottor Di Donno, inoltre, ha lanciato l’idea di creare delle “banche” del plasma immune.

Idea che viene ripresa dalla Regione Lombardia e da quella del Veneto, con l’Azienda ospedaliera universitaria di Padova,
che ha iniziato anch’essa, con successo, l’uso di tale plasma.

Avere banche del plasma consentirebbe di essere pronti a rispondere a un eventuale nuovo focalaio del virus.

Una questione veramente seria, che non ottiene, però, reazioni positive. Anzi.

Iniziano le losche manovre

Il 4 maggio, intervistato in tv, Giovanni Rezza, direttore del dipartimento malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità
afferma che «lo studio (del plasma immune ndr) sta dando apparentemente risultati promettenti»,
però «attendiamo con ansia e speranza prove scientifiche di efficacia».

“Apparentemente”?

“Prove scientifiche”?

Quali, visto che ormai in tutto il mondo questo procedimento è stato imitato e adottato ed esistono già pubblicazioni a riguardo?


Di terapia «molto interessante e importante» parla subdolamente il dottor Walter Ricciardi,
consigliere del ministro Speranza (quello che si spacciava come delegato OMS…) che, infatti, aggiunge:

«Consente di traferire gli anticorpi naturali da un soggetto a un altro. È una cosa molto difficile, costosa e complessa.
Se questi anticorpi naturali funzionano, la sfida è produrli artificialmente. È comunque un approccio su cui si sta lavorando anche in Italia».

Cosa ci sia di difficile, costoso e complesso, davvero non si capisce,
visto che il costo è solo quello della trasfusione e del normale trattamento del plasma
(circa 80 euro per ogni sacca di plasma).

Ma la frase decisiva è quella della “produzione artificiale”, perché Ricciardi, come tanti altri suoi colleghi,
è al servizio della lobby farmaceutica non della scienza e, tantomeno, della salute pubblica.


Altri dubbi vengono avanzati in Emilia-Romagna (!) dal professor Pasquale Viale,
direttore dell’Unità operativa di Malattie infettive del Policlinico Sant’Orsola di Bologna, per il quale

«i dati ancora scarsi non consentono di trarre conclusioni definitive»

e dal Commissario per l’emergenza Sergio Venturi:

«Abbiamo bisogno di più certezze»
che rincara la dose affermando che
«è un tormentone dei social, lo so, ma vi consiglio di verificare le notizie, non vi fidate delle catene di Sant’Antonio».


Si muovono le Regioni “rosse”

Il 5 maggio l’ospedale di Pisa informa di aver iniziato la sperimentazione con 2 (due) infusioni di sangue su altrettanti pazienti
ma, come spiega una nota di agenzia, uno solo rientra nel protocollo della ricerca, mentre l’altro ne ha beneficiato “per uso compassionevole”.

Il professor Francesco Menichetti si appella alla complessità di selezionare i donatori,
affermando – al contrario di quanto sostenuto a Mantova, Pavia e Padova – che
«solo il 15-20 per cento dei potenziali donatori risultano idonei per la terapia».

La sperimentazione di Pisa era stata annunciata il 14 aprile dal presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi,
con l’Azienda ospedaliero universitaria pisana come centro coordinatore e promotore a livello regionale
con l’adesione all’Accordo Planet (Plasmaderivazione network) anche di Marche, Campania e Lazio (è un caso che siano tutte a guida Pd?).

In una nota era stato specificato che «se la sperimentazione darà i risultati sperati,
si potrà eventualmente pensare alla produzione industriale di plasma o di gamma-globuline iperimmuni».

Avete letto bene “produzione industriale”…


Il 6 maggio finalmente parla il viceministro alla Salute, Pierpaolo Sileri, con una nota del Ministero che afferma che

«non è ancora un trattamento consolidato, perché non sono ancora disponibili evidenze scientifiche robuste»

ma, parallelamente, si pensa già alla messa a punto di un possibile farmaco basato sul plasma e prodotto su scala industriale.

Ecco il punto: l’obiettivo del ministero (e del Pd) è l’ennesimo farmaco prodotti dalle multinazionali farmaceutiche, quasi tutte straniere…

La folle indicazione di Pisa

Con questo paradigma, il 10 maggio il Ministero della Salute decide di avviare ufficialmente una sperimentazione nazionale.

Secondo voi a chi si rivolge come “Principal Investigator”?

A Pavia, capofila del protocollo? No.

A Mantova dove c’è il dottor De Donno? No.

A Padova, che ha già anche creato una banca del plasma? No.

Incredibilmente, il centro prescelto, è Pisa…

Con orgoglio, la renziana Regione Toscana rende noto che lo studio “Tsunami”
sulla plasmaterapia diventa capofila della sperimentazione nazionale per la cura del Covid-19.

Ed ecco il passo successivo.

Su indicazione del Ministero della Salute, l’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) e l’Iss (Istituto superiore di sanità)
hanno deciso di proporre la sperimentazione della plasmaterapia con siero iperimmune da donatori convalescenti da Covid-19 sul territorio nazionale.


Lo studio toscano “Tsunami” (acronimo di TranSfUsion of coNvaleScent plAsma for the treatment of severe pneuMonIa due to SARS.CoV2),
che già aveva raccolto l’adesione delle Regioni Lazio, Campania, Marche ed Umbria, oltreché della Sanità Militare,
è stato scelto quale modello metodologico di riferimento per il nuovo studio.

Certo scegliere come modello metodologico lo studio Tsunami che in 21 giorni
è riuscito a trattare solo 1 (uno) paziente nella sua ricerca, è davvero incredibile.


Evidente che il criterio adottato non è scientifico,
perché sia Pavia che Mantova che Padova sono ben più avanti sulla strada della sperimentazione.

Non sfugge, invece, il senso politico della scelta di un consorzio di Regioni filo-governative e prone agli interessi delle farmaceutiche.

Perché, chiaramente, l’obiettivo è un altro, e in ballo c’è la questione del “farmaco plasmaderivato” (come indicato nello studio toscano).


Intanto registriamo sempre il silenzio del ministro Speranza.

Anche la trasmissione “Le iene” (unico media nazionale attento al problema)
ha provato inutilmente a interpellare il ministro, tramite il portavoce.

Se non risponde vuol dire che è un argomento troppo scomodo e che non ha la coscienza pulita.
(2 – Continua)
 

Val

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Gli affari della famiglia Marcucci

Dietro le manovre del Ministero e dell’Agenzia del Farmaco per spostare in Toscana
la sperimentazione del protocollo sul plasma immune, si nasconde un gigantesco business
messo rapidamente in piedi dalla Kedrion Biopharma azienda di famiglia dell’attuale capogruppo dei senatori Pd


È davvero strano l’assordante silenzio del ministro Roberto Speranza
dinanzi alle manovre del suo Ministero (d’intesa con l’Agenzia del farmaco)
per assegnare la sperimentazione nazionale sulla cura con il “plasma immune”.

Come abbiamo visto la capofila naturale di questa sperimentazione doveva essere Pavia o Mantova
che sin da marzo hanno ideato e stanno sperimentando con successo tale cura.

Più di 80 i casi trattati fino a oggi con successi.

Anche Padova non avrebbe sfigurato con 11 casi trattati.

Tutti centri già attivi nella cura diretta dei malati di Covid-19, tramite trasfusioni di plasma prelevato a pazienti guariti, quindi ricco di anticorpi.

A sorpresa, invece, il 12 maggio a loro viene preferita Pisa che, fino al 5 maggio scorso, aveva trattato solo 1 paziente (avete letto bene: uno).

Scelta inspiegabile anche perché con Pisa capofila il coordinatore è il professor Francesco Menichetti
che, di fatto, ne sa meno degli altri che sperimentano da più tempo e con risultati di una certa importanza.

Perché la Toscana?

La scelta di Pisa, rispetto agli altri centri in Lombardia e Veneto,
si capisce rileggendo le dichiarazioni rilasciate il 14 aprile direttamente dal presidente della Regione Toscana,
il renziano Enrico Rossi, lanciando “l’Accordo Planet” (Plasmaderivazione network) cui aderiscono
anche Marche, Campania e Lazio (Regioni a guida Pd):

«se la sperimentazione darà i risultati sperati, si potrà eventualmente pensare alla produzione industriale di plasma o di gamma-globuline iperimmuni».

“Produzione industriale” questa la parola chiave, invece che raccolta spontanea (e gratuita) e trattamento nei centri trasfusionali.

Un dettaglio non secondario sul quale si innestano gli affari della Kedrion,
società di proprietà della famiglia di Andrea Marcucci, capogruppo del Pd al Senato (ma storico renziano).


Il 27 marzo, infatti, il presidente e amministratore delegato della Kedrion, Paolo Marcucci,
afferma che la sua società è

«in prima linea nella ricerca su plasma e plasma-derivati per avviare possibili terapie per trattare pazienti affetti dal nuovo coronavirus».

L’attività di Kedrion (che ha sede a Castelvecchio Pascoli, Barga, in Toscana…) si dispiegherà, secondo Marcucci:

«valorizzando il nostro patrimonio culturale di ricerca e tecnologia e la rete di collaborazione stabilita nel tempo con primari centri accademici e di ricerca nel mondo».

Il 6 aprile le agenzie di stampa informano che, secondo un piano di intervento dell’industria farmaceutica Kedrion Biopharma
potrebbe arrivare prima del previsto una terapia efficace per il Covid-19.

Tale terapia nascerebbe «dall’utilizzo di “plasma da convalescente” (donato da persone che hanno superato la malattia e quindi ricco di anticorpi anti-virus),
che richiede l’utilizzo di metodiche per l’inattivazione di patogeni, e dalle immunoglobuline estratte dal plasma
di persone guarite ed immuni al virus prodotte a livello industriale».

In pratica la Kedrion si è “impossessata” del protocollo sperimentato a Mantova e Pavia,
in ospedali pubblici (senza costi per i cittadini) dal dottor De Donno per farne un business privato.


Infatti, il Chief Medical della Kedrion, Alessandro Gringeri, afferma:

«La probabilità di efficacia è molto elevata, vicina al 90-95%. Ciò ci ha spinti a concentrare risorse e investimenti per disporre
nell’arco di 3-6 mesi di un concentrato di immunoglobuline iperimmuni con alto contenuto di anticorpi specifici neutralizzanti il Sars-CoV-2,
in grado di contrastare la malattia in casi sintomatici gravi e in futuro di bloccare l’evoluzione della sintomatologia».

Ma come?

Adesso che si avvia una produzione industriale in casa Pd, l’uso del plasma è di “efficacia molto elevata”?

Mentre la somministrazione effettuata in Lombardia e in Veneto era stata criticata dai vari Burioni,
Ricciardi e dal dottor Giovanni Rezza, direttore del dipartimento malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità…

Il business è servito

Il 27 aprile la Kedrion sigla un accordo di collaborazione con l’israeliana Kamada Ltd per lo sviluppo,
la produzione e la distribuzione di un’Immunoglobulina policlonale umana (IgG) plasma-derivata Anti-SARs-COV-2 (COVID-19),
come potenziale trattamento per pazienti con coronavirus.

In base all’accordo, Kedrion fornirà il plasma donato da pazienti che hanno superato la malattia,
raccolto nei suoi centri Kedplasma, e – una volta ottenute le autorizzazioni –
sarà responsabile della commercializzazione del prodotto negli Stati Uniti, in Europa, Australia e Corea del Sud.

Kamada è responsabile dello sviluppo del prodotto, della produzione, della sperimentazione clinica
(con il supporto di Kedrion) e della gestione delle registrazioni.

Kamada si occuperà, inoltre, della distribuzione nei Paesi non di competenza di Kedrion.


I diritti commerciali sul prodotto per la Cina saranno condivisi tra le due aziende.

I giochi sono fatti, signori.

I medici italiani di Mantova e Pavia studiano, sperimentano, testano con coraggio, vengono irrisi,
minacciati e boicottati (ricordate che furono persino mandati i Carabinieri del Nas…).

Poi arriva il Pd tosano e “zac”, tutto si trasforma in oro… ma non per i cittadini, per una azienda di famiglia del loro capogruppo.

Giovedì 14 maggio l’amministratore Paolo Marcucci interviene in audizione davanti alla Commissione Sanità del Senato.

Dopo aver ricordato che l’azienda ha fornito “gratuitamente” la strumentazione e i kit di consumo
per l’inattivazione virale del plasma e accompagna tutte le sperimentazioni in corso sul plasma iperimmune,
informa i senatori che Kedrion metterà a disposizione il proprio stabilimento di Napoli
per raccogliere il plasma donato gratuitamente dagli italiani e trasformarlo,
in «conto lavorazione» in plasma iperimmune industriale utilizzabile nei quattro anni successivi.

Tutto ciò in vista della produzione di gammaglobuline iperimmuni in accordo con l’israeliana Kamada.

A questo punto bisognerre porre alcune domande:

se si deve raccogliere il plasma italiano per trasformarlo in prodotto industriale venduto nel mondo, l’utile non dovrebbe essere ripartito con i donatori?

Gli Ospedali pubblici di Lombardia, Veneto, Liguria e Piemonte che già stanno creando banche del plasma
per fronteggiare possibili ritorni del virus, stanno lavorando senza saperlo
per la Kedrion della famiglia del senatore Pd Marcucci o per guarire gli italiani malati di Covid-19?

E, in tutto ciò, il ministro Speranza continua a tacere.

(3 – Fine)
 

Val

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Il professor Alberto Zangrillo è primario dell’Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione Generale e Cardio-Toraco-Vascolare e Referente Direzionale Aree Cliniche dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. Per l’Università Vita-Salute San Raffaele ricopre i ruoli di Prorettore per le attività cliniche e professore Ordinario di Anestesiologia e Rianimazione.

Il suo percorso formativo inizia all’Università degli Studi di Milano, dove si laurea in Medicina e Chirurgia nel 1983 e si specializza, tre anni dopo, in Anestesia e Rianimazione, per poi proseguire in rilevanti centri europei quali il Queen Charlotte Hospital di Londra, l’Hospital de la Santa Creu Pau do Barcellona, il Cardio-thoracic Centre di Monaco di Montecarlo, l’Hetzer Deutsches Herzzentrum di Berlino e l’Ospedale San Raffaele.

Il professor Alberto Zangrillo è tra i primi dieci medici al mondo (nell’ultimo biennio)
per numero di pubblicazioni in ambito “anesthesia” e “intensive care” (fonte: Scopus),
autore di oltre 800 pubblicazioni, di cui oltre 380 su riviste internazionali indicizzate
(citate più di 9000 volte, Hindex 49) tra cui studi randomizzati su
The New England Journal of Medicine, JAMA, Circulation
e British Medical Journal.

La sua attività autoriale si completa inoltre di 40 titoli (tra monografie e capitoli di libri)
e di incarichi di Editor in chief della rivista Heart Lung and Vessels (indicizzata su pubmed),
di membro dell’Editorial board di Advances in Medicine e quello di revisore di grant per donor internazionali
(tra cui la Swiss National Science Foundation, nel periodo 2009-2015).

Vincitore di diversi bandi di ricerca Finalizzata del Ministero della Salute,
di un bando AIFA Ricerca Indipendente sui farmaci nel 2012 e, nello stesso anno,
di un bando Conto Capitale (nonché di altri bandi e progetti finanziati dalla Regione Lombardia),
spesso in qualità di Principal Investigator partecipa a 45 protocolli di ricerca randomizzati,
approvati dal Comitato Etico dell’Ospedale San Raffaele.

Sempre in ambito di ricerca, tra le tante linee perseguite,
le principali riguardano i supporti avanzati al circolo e alla ventilazione (ECMD, VAD, cuore artificiale),
il trattamento dello scompenso cardiaco acuto, la ventilazione non invasiva (in terapia intensiva e ai piani di degenza),
le terapie anticoagulanti alternative in terapia intensiva, l’ottimizzazione dell’emostasi perioperatoria,
la cardioprotezione da alogenati, la prevenzione della mortalità perioperatoria e il trattamento dell’infarto miocardico acuto perioperatorio,
la prevenzione e il trattamento dell’insufficienza renale acuta perioperatoria e del danno d’organo del paziente critico, la sepsi in terapia intensiva.

Oltre a premi e riconoscimenti in ambito medico e a incarichi istituzionali,
è insignito del titolo di Cavaliere al merito della Repubblica Italiana e di Commendatore
dai Presidenti della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Questo signore ha il "camice bianco" perchè LAVORA in un'unità di crisi.
Ritengo sappia quello che dice.

Il virus è meno letale adesso: lo ha detto Alberto Zangrillo,
direttore dell'unità di anestesia e rianimazione dell'ospedale San Raffaele di Milano
intervenendo in collegamento a Petrolio su Rai Due.

"Troppi hanno parlato di sofferenza fisica senza averla mai vista"

e

"oggi dopo diverso tempo serve non terrorizzare più le persone perché la carica virale è diminuita come attestano i tamponi".

Proseguendo il suo intervento il Zangrillo ha detto:

"Attestiamo che il virus non è mutato ma che forse sta risentendo dei fattori ambientali e delle temperature".


"Serve - ha detto ancora Zangrillo - obbligare gli over 65 a vaccinarsi anche per la polmonite
oltre che per l'influenza perché potrebbero ripresentarsi altre epidemie".

"Ma dobbiamo essere seri e non continuare a terrorizzare la gente
visto che solo oggi al San Raffaele abbiamo attestato solo 4 positivi al covid19 ma tutti con fattori lievi",

ha continuato "perché la gente che sta male davvero, per altre cause, deve tornare a curarsi in ospedale, onde evitare che possano aggravarsi".
 
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Val

Torniamo alla LIRA
Questo invece - bla bla bla - tanta teoria ma niente pratica.
A mio parere un Quaqquaraquà come tanti altri "scienziati".
Nessun contatto con il mondo del lavoro. Con la realtà.
Vivono di concetti ed algoritmi........pura fantasia.
Ma chi lavora deve portare a casa il pane per la famiglia.
E non le decine di migliaia di euro che si portano a casa loro con ....la teoria.
Sempre e garantiti.

È una polemica a senso unico. Io l’ho ignorata fino all’ultimo, ma quando vengono dette delle bugie a fini politici,
con sprezzo di tutte le sofferenze e dei morti, devo rispondere perché sono indignato.
Si vuole riscrivere la narrativa per accaparrarsi un dividendo politico
“:

Ci sono meno persone infette, c’è l’uso delle mascherine, la cautela di evitare assembramenti in spazi chiusi.
Ma purtroppo queste riaperture sono state fatte senza analisi di rischio. Non siamo in grado di prevedere nulla.
Bisognava cercare di capire esattamente quanti sono i casi reali, facendo emergere tutto il sommerso,
tutte le persone che telefonano perché stanno male a casa. E invece siamo in mano a guanti, mascherine e bel tempo
“.

Non condivido tutta questa esecrazione dei ragazzi che non osservano le disposizioni.
Sono vittime di messaggi assolutamente incoerenti: prima dicono che le mascherine non servono,
poi che devono essere marcate Ce, poi che possono andare anche senza il marchio
e alla fine che van bene anche se te le fai da solo
“.

Per quanto riguarda la riapertura delle frontiere, secondo Crisanti è
una follia. Senza nessun approccio per tracciare, controllare queste persone,
verificare se sono infette rischiamo di mandare all’aria tutto il lavoro fatto finora. Lo trovo veramente irresponsabile
“.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Sta facendo molto discutere un post di Enrico Mentana in cui il giornalista si chiede,
a proposito del famigerato Meccanismo europeo di stabilità (MES),

«perché si dovrebbe rinunciare a un prestito decennale senza condizioni a interesse 0,1% per un valore di 37 miliardi,
nel momento di maggiore necessità di finanziamenti per il nostro paese»?

Insomma, dice Mentana, perché dovremmo prendere a prestito soldi dai mercati, a tassi decisamente più onerosi,
se possiamo prenderli in prestito dal MES a un tasso praticamente pari allo zero, per di più “senza condizionalità”?

Detta così sembrerebbe avere un senso.

In verità, vi sarebbero ottime ragioni per opporsi al MES anche se il prestito fosse così conveniente,
a partire dal fatto che il MES “senza condizionalità” non esiste.

Peccato, però, che la storia del tasso annuo dello 0,1% – così come quella del MES “senza condizionalità” – sia una colossale bufala.


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Lo 0,1%, infatti, è il cosiddetto “tasso marginale”, che però – come si può leggere sul sito del MES – va sommato,
oltre a tutta una serie di altri costi operativi, al “tasso base”, cioè a quello che paga il MES per reperire sui mercati i soldi
che a sua volta ripresterà (con una piccola cresta, ça va sans dire) agli Stati.


Sommando questi vari costi si ottiene il tasso finale effettivo che andranno a pagare gli Stati.

Come riportato sempre sul sito del MES, questo ad oggi ammonta ad una media dello 0,76% – poco meno dell’1% insomma.

Una bella differenza!

Certo, questo tasso, che riguarda i titoli emessi dal MES a partire dal 2012, potrebbe anche scendere (così come potrebbe salire),
giacché dipende dall’andamento del mercato, ma ciò non toglie che chiunque abbia affermato che 0,1% è il tasso finale
applicato agli Stati l’ha sparata grossa.

La verità è che, ad oggi, non sappiamo quale sarà il tasso finale applicato dal MES.

E questo imporrebbe quantomeno una certa cautela.

Soprattutto se consideriamo che i BTP a breve a scadenza (da tre mesi a tre anni) hanno tutti un rendimento più basso
di quello attualmente offerto dal MES: un BTP a tre anni “costa” lo 0,5%, un BTP a un anno lo 0,1%,
mentre i titoli a sei mesi hanno addirittura un rendimento negativo!

Da gennaio a fine aprile, infatti, l’Italia ha piazzato titoli a breve scadenza
per un totale di quasi 70 miliardi ad un tasso di interesse medio annuo negativo: -0,03%!



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Se invece prendiamo i titoli a più lunga durata (5-10 anni, la durata massima di un prestito del MES),
i tassi di interesse risultano un po’ più alti di quelli attualmente offerti dal MES: tra l’1,3 e l’1,6%.

Ma in questo caso, seguendo la logica di Mentana, bisognerebbe innanzitutto chiedere alla BCE
perché abbia permesso ai tassi di salire in un momento di emergenza come questo

– i tassi sui BTP a 10 anni sono letteralmente raddoppiati rispetto al periodo pre-pandemia –,
quando quello che dovrebbe fare una banca centrale in tempo di crisi
– e che infatti hanno fatto e stanno facendo tutte le altre banche centrali – è l’opposto:
far scendere i tassi di interesse per facilitare le necessità di finanziamento dei governi.

Curioso che Mentana e gli altri – che adesso vorrebbero farci credere che indebitarci sul mercato piuttosto che col MES
rappresenterebbe il più colossale sperpero di soldi della storia (parliamo di un costo aggiuntivo, in termini di spesa per interessi, di uno o due miliardi) –
non abbiano avuto nulla da ridire su questo aumento dei tassi, che alla fine ci costerà molto di più
rispetto a quello che potremmo risparmiare col MES, visto che parliamo di cifre infinitamente più grandi dei 36 miliardi del MES.

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Ciò detto, c’è un altro punto da tenere in considerazione:

è vero che (per colpa della paradossale architettura dell’euro) sui BTP paghiamo tassi di interesse un po’ più alti di quelli offerti dal MES.

Ma una parte significativa di quegli interessi andrà ad investitori italiani e dunque rimarrà nel paese,
mentre nel caso del MES verrebbero versati per intero al fondo lussemburghese.


Se prendiamo l’ultima emissione di BTP Italia, infatti, vediamo che dei 23 miliardi raccolti
– due terzi del massimale di un ipotetico ricorso al MES –, la quasi totalità dei 14 miliardi acquistati dagli investitori individuali
e il 51,9% della parte istituzionale sono stati sottoscritti da investitori domestici.

Inoltre, è lecito aspettarsi che una parte dei titoli sottoscritti dagli investitori esteri verrà acquistata della BCE,
che a sua volta rigirerà una parte degli interessi all’Italia.

E comunque, anche se la spesa per interessi dei BTP finisse tutta all’estero,
il gioco varrebbe comunque la candela, visto che sono soldi che possiamo decidere in autonomia come spendere
e che non comportano vincoli di destinazione, condizionalità o sorveglianze.

Ciò detto, in prospettiva l’Italia non ha altra scelta che affidarsi ai BTP:
quest’anno il paese avrà un fabbisogno aggiuntivo di 100-150 miliardi,
per un totale di circa 500-550 miliardi di emissioni di debito.

Ora, lo capisce anche Mentana che coi 36 miliardi del MES non andiamo molto lontano.

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Certo, data l’architettura dell’euro e in particolare l’assenza di una banca centrale che faccia da prestatrice di ultima istanza
e il fatto che l’Italia si indebita in quella che di fatto una valuta “estera”,
anche affidarsi ai mercati per le proprie esigenze di finanziamento presenta dei rischi,
giacché vuol dire rimettersi, in ultima analisi, alla mercé e alla “buona volontà” della BCE,
che, come abbiamo visto in passato, non si fa scrupoli ad usare il proprio potere di emissione monetaria per ricattare interi paesi.

Per questo riteniamo che sia assolutamente fondamentale per l’Italia riappropriarsi della propria sovranità monetaria.

Ma, nelle condizioni date, indebitarsi sui mercati è indubbiamente meglio che indebitarsi col MES.

D’altronde se gli altri paesi europei hanno tutti dichiarato di non voler fare uso del MES un motivo ci sarà.

O forse è solo che non leggono Mentana…
 

Val

Torniamo alla LIRA
Il nostro Tempo è il primo della storia in cui gli intellettuali sono più stupidi della folla,
ma non è di questo che vi voglio parlare oggi.

La questione è più profonda e riguarda quanto accaduto negli ultimi tre mesi.

L’ira schiumosa della folla e degli intellettuali salariati contro le nuove figure di “untori”.



Nella Fase1 gli untori erano i runner solitari sulla spiaggia, che ovviamente non creavano danno a nessuno.

Contro di loro uno Stato forte con i deboli che ha sguinzagliato elicotteri e poliziotti all’inseguimento.

I boss mafiosi fuori dal carcere e i runner presi alle spalle con tutte le forze di polizia.

Nella Fase2 gli untori sono invece i ragazzi che, volendosi riappropriare del diritto naturale della libertà,
bevono qualcosa in compagnia o – peccato mortale – si danno qualche bacio in mezzo alla strada.

Da cornice una scalinata di paese piuttosto che un naviglio di città.

Il senso di tutto questo, a mio parere, è che :

c’è sempre un “appestato” che la mediocrità della folla cerca di colpevolizzare e colpire.
Col benestare dell’intellighenzia salariata, evidentemente molto più stupida della folla.


E tra questa folla si sono ben mimetizzati quelli che, popolani o intellettuali,
fino al 21 febbraio erano soliti lavarsi la bocca con le parole “libertà” e “diritti”.

Oggi, abbandonato lo strillo ipocrita della libertà, vestono tutti – indistintamente –
i panni delle popolane di Parigi esultanti al passaggio dei condannati alla ghigliottina.

A sorvegliare sindaci “sceriffi” o presidenti di regione che si sentono Napoleone.


Tornerà la normalità e sarà come lo scioglimento della neve.

Ma invece degli stronzi, resteranno i mediocri
.

I soliti, che ben presto ritorneranno a lavarsi la bocca con le parole “libertà” e “diritti”.

Siano essi “folla” o “intellighenzia”.

Dimenticando che sono stati proprio loro a non difendere – in questi mesi –
ogni nefandezza ed ogni abuso contro la libertà ed i diritti.
 

Val

Torniamo alla LIRA
“La manipolazione consapevole e intelligente delle opinioni e delle abitudini delle masse
svolge un ruolo importante in una società democratica, coloro i quali padroneggiano questo dispositivo sociale
costituiscono un potere invisibile che dirige veramente il Paese.
Noi siamo in gran parte governati da uomini di cui ignoriamo tutto,
ma che sono in grado di plasmare la nostra mentalità, orientare i nostri gusti, suggerirci cosa pensare”.


Queste parole non sono state scritte da un blogger cospirazionista nell’anno di grazia 2020.

Sono state scritte, nel 1928, più o meno un secolo fa, da colui che il magazine “Life”
ha inserito tra i cento americani più influenti del Novecento.

Parliamo di Edward Bernays, nipote di Sigmund Freud, e probabilmente da reputarsi l’inventore delle “pubbliche relazioni” dell’era moderna.

Ovverossia, dell’arte di condizionare e “pascolare”, attraverso mirate e “scientifiche” campagne di stampa,
il sentimento e le intenzioni del grande pubblico.


Insomma, non possiamo dire non essere stati avvertiti per tempo.

Bernays è anche uno dei componenti del Creel Committee (Commettee on Public Information)
istituito nel 1917 – più di un secolo fa – dal Governo U.S.A. per “convincere” gli americani
ad appoggiare l’intervento a stelle e strisce nel primo conflitto mondiale.

Se siete interessati a capire come funziona il “sistema Bernays” non avete che da leggere il suo straordinario libello di circa cento pagine
da cui è tratta la citazione di cui sopra: “Propaganda”.

Questo testo è imprescindibile per comprendere da dove veniamo, dove ci troviamo e dove stiamo andando.

Ed è vieppiù decisivo ove si consideri che – del Creel Committee
faceva parte anche uno dei “fondatori” della ideologia neoliberista da cui nasce l’Unione europea.

Di più: su cui è stato letteralmente “ricalcato” l’ordinamento giuridico dei trattati europei.

Si chiama proprio “Colloquio Lippmann” il convegno di Parigi del 1938 in cui furono messe le basi ideologiche
di quella dottrina anti-keynesiana da cui trae linfa vitale il sistema giuridico-economico attuale.


Quello basato sulla de-sovranizzazione degli Stati e sulla esaltazione del Mercato,
della competitività, e della preminenza assoluta degli “agenti economici”,
delle “authority indipendenti” e dei “poteri finanziari” sulle prerogative dello Stato.

Questo per capire come, in qualche modo, “tutto si tenga”.

Ciò che sta accadendo a causa del Covid non è dovuto (solo) a un caotico dispiegarsi di eventi disordinati.

Idem dicasi per tutto quanto è accaduto prima, a far data grosso modo dai primi anni Ottanta e fino ad oggi.

È dovuto (anche e soprattutto) a un’agenda dei lavori meticolosa e a un piano programmatico di lunghissima gittata
di cui Bernays e Lippmann sono stati due dei principali precursori.

Esso si fonda su due pilastri.

Primo:
la sterilizzazione di ogni forma di ingerenza delle masse sulla “governance” dei processi economici (monetari, in primis).

E ciò a beneficio della prepotente preponderanza di un apparato di veri e propri “Stati non statali”:
le corporation transnazionali del business energetico, chimico, militare, farmaceutico e mediatico.

Secondo:
il controllo della stampa e dei media di massa da parte dell’apparato di cui sopra e la fine del concetto stesso di “stampa indipendente”.

Infatti, l’unica informazione indipendente può essere quella “pura”:
nata per informare e basta e non “posseduta” da colossi dell’apparato.

Oggi, i media mainstream sono l’esatto contrario.

Quindi, viviamo letteralmente intossicati – e cioè “formati” più che “informati” – dalla voce del padrone.

Ed è proprio per questo (Bernays e Lippmann insegnano)
che la più parte di noi finisce irrimediabilmente per ascoltare quella voce.

E per votare quel padrone.
 

Val

Torniamo alla LIRA
La prima vittima illustre della crisi Covid-19,è la Hertz,
il noto autonoleggio nato nel 1918 con un po’ di Ford T e diventato un colosso mondiale.

Ora è ufficialmente andata in bancarotta la casa madre,
non seguita da tutte le filiali internazionali grazie ad un complesso schema di partecipazioni,
ma vi assicuro che il fallimento anche solo della sede americana avrà un effetto devastante sul mercato della auto mondiale.

Hertz non poteva, da un certo punto di vista, andare diversamente:
il debito complessivo a libro era di 18,8 miliardi di dollari.

Il grosso era coperto da garanzie sulle auto prese a noleggio, per 14,4 miliardi.

htz-total-debt.jpg



L’azienda si faceva prestare i soldi per comprare le auto e le metteva in garanzia sul prestito stesso.

Però, come ben sanno i commercianti del settore, si tratta di un valore destinato a calare,
per cui l garanzia ormai non era più sufficiente.

Questo, unito allo stop nel fatturato per l’epidemia, ha fatto saltare la società.

Quali sono le conseguenze per il settore auto?

La società stava già progettando di vendere auto per ripagare i debiti,
per la precisione 41 mila del proprio parco macchine di oltre 500 mila,
ma la strategia era stata poi fermata perchè la vendita di così tante auto
in questo momento avrebbe avuto un effetto depressivo sul mercato
e non avrebbe permesso di raggiungere i risultati attesi.

Ora cambia tutto e questo piano di vendita verrà accelerato e senza limiti sui prezzi.

Già le macchine venivano vendute ad un prezzo molto accessibile,come, volendo, potete vedere qui:

auto-sale2.png


I prezzi sono già buoni, immaginate ora se inizia una vendita forzata di 200 – 300 mila auto ,
cosa può fare al mercato dell’usato non solo negli USA, ma in tutto il mondo.

Quindi il mercato auto si trova ad affrontare:

  • nel mercato del nuovo è scomparso il cuscinetto dei noleggi auto e, con la domanda a zero, il mercato è congelato;

  • nel mercato dell’usato Hertz per prima, ma le anche le altre dopo, inondano il mercato di auto usate che deprezzeranno anche quello già attualmente presente.
Ci si avvia ad almeno un anno pesantissimo per il settore auto, in tutte le sue combinazioni,nuovo, usato e perfino elettrico.

Ormai si tratta di una crisi diffusa, di non facile soluzione, che avrà ricadute importantissime sul sistema industriale
 

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