PIU' CHE SANTA PAZIENZA... AVREI BISOGNO DI SANTO DOMINGO (1 Viewer)

Val

Torniamo alla LIRA
Questi sono giorni di verità.

Gli accadimenti della settimana restituiscono una fotografia fedele della condizione dell’Italia.

Una certezza s’impone prepotentemente: gli italiani sono di gran lunga migliori della classe politica che li governa.

Proprio nelle ultime ore la differenza qualitativa si è resa plasticamente manifesta.

Mentre alla Camera dei deputati, tempio laico della democrazia, un parlamentare del Movimento Cinque Stelle,
tale Riccardo Ricciardi, intervenendo nel dibattito parlamentare seguìto all’informativa urgente del presidente del Consiglio sulla Fase 2
del contrasto all’epidemia da Coronavirus, ha attaccato il modello sanitario della Lombardia definendolo “fallimentare”
in ragione dell’elevato numero di vittime registrato, negli stessi momenti il Dipartimento del Tesoro del ministero dell’Economia e Finanze,
ha annunciato il record di emissione dei Btp Italia.

Due volti opposti di patria alle prese con lo stesso problema.

Da un lato, un modesto politicante che per grattare un minimo aggio elettorale a favore della sua parte politica
e del suo capo di Governo non si fa scrupolo di tirare in ballo i morti di una regione martire della pandemia;

dall’altro, una stupenda risposta dei concittadini risparmiatori che hanno investito sul nuovo titolo del debito sovrano
emesso allo scopo di finanziare il rilancio dell’economia nazionale nella fase post-pandemica.

L’emissione è durata pochi giorni, dal 18 al 21 maggio.

Nella prima fase riservata agli investitori retail (i risparmiatori privati) stati conclusi 383.966 contratti per un controvalore pari a 13.997,606 milioni di euro.

Nella seconda fase, dedicata agli investitori istituzionali, sono state definite 746 proposte di adesione “per un controvalore emesso pari a 8.300.000 milioni di euro,
a fronte di un totale richiesto pari a 19.546,876 milioni di euro (coefficiente di riparto pari a circa il 42,5 per cento)” (fonte: Mef – Dipartimento del Tesoro).

La raccolta ha superato i 22 miliardi di euro.

È stato come se, a sessant’anni di distanza dalla volta in cui John Fitzgerald Kennedy,
presidente degli Stati Uniti d’America, pronunciò la celebre esortazione:

“Non chiederti cosa può fare il tuo Paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo Paese”,

un primo manipolo di italiani abbia trovato la voglia, il coraggio e l’entusiasmo di rispondere: “Io ci sono”.

Gli analisti finanziari, che non sono teneri di cuore, hanno attribuito la scelta di comprare italiano anche sul mercato dei titoli di Stato
al fatto che il rendimento dei Btp Italia quinquennali fosse particolarmente appetibile.

Il tasso di interesse fissato in chiusura è al 1,40 per cento annuo, leggermente superiore al rendimento del Btp quinquennale ordinario,
trattato sui mercati secondari all’1,241 per cento.

A noi piace credere che non sia stato quello zero-virgola di differenza a convincere i risparmiatori a dare una mano al Paese.

Verosimilmente, l’idea che servissero denari freschi per attivare la ripresa non ha trovato insensibili i cittadini in grado di muovere i propri risparmi.

Lo abbiamo detto in tempi non sospetti che rimettere nelle mani degli italiani una parte consistente del debito pubblico
sarebbe stata la strada giusta per riacquistare peso e credibilità nel mondo e verso noi stessi.

Nel recente passato non è stato così, gli italiani si sono allontanati dagli investimenti nei titoli di Stato nazionali.

Il debito pubblico in mano ai risparmiatori italiani è passato dal 57 per cento del 1988 al 6 per cento del 2018 (fonte: Database Bankitalia).

D’accordo la globalizzazione e il mercato unico ma quella gigantesca sproporzione accentuatasi nell’ultimo decennio
è una delle cause dell’ostilità che i Paesi “fratelli” dell’Unione europea manifestano verso le richieste del Governo italiano
di ricevere aiuti finanziari a fondo perduto per affrontare l’emergenza.

Benché sia nota la nostra avversione all’arroganza ingiustificabile degli Stati del cosiddetto “Fronte del Nord”,
per onestà intellettuale tocca ammettere che le obiezioni sollevate non siano del tutto infondate.

Il ragionamento è semplice e crudo: se neppure i suoi cittadini credono nell’Italia perché dovremmo crederci noi?

Ma dopo questo insperato boom di acquisti anche gli altri Paesi dovranno cominciare a ricredersi.

Non saremo i giapponesi ma abbiamo ricominciato a scommettere su noi stessi.

Auspichiamo che il Governo continui a promuovere altre emissioni, studiando nuovi incentivi all’acquisto.

Forse non si riuscirà a coprire l’intero fabbisogno finanziario richiesto per dare un impulso concreto alla ripresa
ma è comunque un’efficace polizza d’assicurazione contro la speculazione finanziaria eccitata dall’extra deficit
che il Governo italiano sta creando per appagare il fabbisogno di liquidità.

Anche perché restiamo profondamente scettici all’idea che i denari che ci occorrono possano piovere dal cielo,
magari da un elicottero che si sia levato in volo da Bruxelles.

Tuttavia, non si può dimenticare il rovescio della medaglia, che è quella classe politica indegna di guidarci nella tempesta.

Non si tratta del singolo deputato che, in cerca del suo quarto d’ora di celebrità, l’ha sparata grossa chiamando in causa i morti.

Vi è il comportamento disgustoso di un Matteo Renzi che ha svenduto il sedicente patrimonio ideale del suo partito
per uno strapuntino di sottopotere graziosamente promessogli dal premier
in cambio della rinuncia a silurare il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede,
altrimenti indifendibile per la sua inadeguata gestione della giustizia.

È una storia vecchia come il mondo: quando c’è da fare cassa, come l’illibatezza delle educande,
la prima cosa che vola via è la difesa dei valori non negoziabili.

L’orgoglio garantista dei renziani è durato il tempo della chiacchierata che Maria Elena Boschi,
la reginetta del ballo alla festa di “Italia Viva”, ha scambiato con il premier Conte.


Un minuto dopo, i vessilliferi dello Stato di Diritto si sono convertiti a fare gli ascari dei giustizialisti.

In fondo, come slogan suona bene: poltrone in cambio di giustizia.

Se lo ricorderanno gli italiani, nelle urne.

Sono ancora tempi di tenebra, ma toccherà ricercare la luce.

Da questa immane tragedia, che ci è capitato nostro malgrado di vivere,
sta nascendo la consapevolezza di dover costruire un mondo nuovo.

Non bisogna essere ipocriti: non è detto che cambiando saremo necessariamente migliori.

Per molti aspetti potremmo scoprirci peggiori di come eravamo prima che arrivasse la peste del Coronavirus.

Poi, però, ci si guarda intorno; si butta un’occhiata su questa classe politica
e non si riesce a sfuggire alla domanda: ma dove pensano di portarci questi inutili inetti?
 

Val

Torniamo alla LIRA
Ed ecco una delle soluzioni, per un problema che non esiste.......
Sotto sotto c'è il magna-magna.
Nuove assunzioni, quando un professore "lavora" max. 18 ore alla settimana.
Un isulto a chi lavora veramente.


Metà classe segue la lezione in aula e metà a casa.

O anche: mini-lezioni da 45 minuti, prevedendo quindi lo stesso organico ma con una diversa organizzazione del lavoro.

Sono alcune delle ipotesi a cui sta lavorando la task force istituita al ministero dell’Istruzione e presieduta dal professor Patrizio Bianchi.

“Sono solo ipotesi di lavoro – fa notare il presidente dell’Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli –
tuttavia posso dire che fare lezioni di 45 minuti non è un problema, l’autonomia scolastica già lo prevede,
è possibile modulare diversamente l’orario se si ritiene preferibile fare lezioni di 45 invece che di 60 minuti,
e questo potrebbe avere un senso soprattutto se c’è metà classe in aula e metà a casa”,

visto che, come è noto, la lezione on-line è più faticosa.

Per Giannelli, comunque “a settembre è presumibile che si tornerà tutti a scuola anche se non è detto ci si rimanga senza interruzioni”,
a causa dell’andamento del Covid-19.

L’ipotesi della mini didattica con lezioni di 45 minuti consentirebbe dunque di dividere una classe in due gruppi che si alternerebbero in presenza,
ognuno farebbe un tot ore di lezione in aula e le altre potrebbero essere fatte di materiale e lavori a distanza, oppure,
mentre un gruppo fa una lezione, un altro ne fa un’altra in locali diversi (laboratori, aule magne, palestre ecc).

“Potrebbe essere una soluzione organizzativa – ragiona Pino Turi, leader della Uil Scuola – recuperando quelle ore diversamente.
Bisogna avere fiducia nelle scuole e dare poche regole ma non si può pensare di farlo in una stanza del ministero,
bisogna attivare la flessibilità che l’autonomia consente. Le scuole sono in grado di farlo”.

Questo schema, attuabile soprattutto per i ragazzi più grandi, non verrebbe invece preso in considerazione per i bambini delle elementari.

Qui la task force dovrebbe prevedere incrementi di organici, come chiedono anche i sindacati.

La Cisl scuola guidata da Maddalena Gissi nel proprio studio “Ri cominciare
ha calcolato che servirebbe un incremento dell’organico di scuola dell’infanzia, primaria e Ata fino al 10 per cento.

Si tratterebbe di un organico aggiuntivo, da assumere a tempo indeterminato per l’anno scolastico 2020/21.

Lo studio poi immagina il posizionamento “a scacchiera” dei banchi in aula, un banco/un alunno,
turnazioni mattina-pomeriggio, ingressi scaglionati e modalità per l’intensificazione della pulizia degli ambienti.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Poveri dementi imperano.

Sarebbero tempi difficili oggi per Cyrano de Bergerac e per il suo “apostrofo rosa, messo tra le parole t’amo”, questi giorni della fine della quarantena.

È notizia di pochi giorni fa, apparsa sul quotidiano la Repubblica,
dei due giovani sorpresi a scambiarsi un bacio in strada e perciò multati dopo esser stati denunciati alla procura per non aver osservato i divieti.

Ovviamente, ligio al dovere nel sentirsi investito del compito di sceriffo e tutore della legge in pectore,
a denunciarli sarebbe stato un vicino che, dal proprio appartamento,
li aveva notati nell’atto delittuoso e pertanto si era subito prodigato dell’informare la polizia
affinché simili atteggiamenti pericolosissimi per la salute pubblica non si ripetessero
.

Fortunatamente sono stati aboliti i roghi e le pubbliche esecuzioni capitali, altrimenti i due fidanzati non si sarebbero salvati.

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Anche Jacques Prévert adesso avrebbe avuto a che ridire, inorridito, per questo gesto criminale che contrasta con i suoi versi

I ragazzi che si amano

I ragazzi che si amano si baciano in piedi

Contro le porte della notte

E i passanti che passano li segnano a dito

Ma i ragazzi che si amano

Non ci sono per nessuno

Ed è soltanto la loro ombra

Che trema nel buio

Suscitando la rabbia dei passanti

La loro rabbia il loro disprezzo i loro risolini

la loro invidia

I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno

Loro sono altrove ben più lontano della notte

Ben più in alto del sole

Nell’abbagliante splendore del loro primo amore

E allora non ci resteranno che i dipinti, l’unico non luogo dell’anima, dove ancora ci si potrà baciare eternamente senza incorrere in sanzioni.

Questo è il “nuovo mondo” che vorrebbero per noi, ognuno a distanza di sicurezza dall’altro, senza più abbracci, né carezze.

Lasciamo che tutto sia virtuale, che l’esistenza della carne, della passione e degli affetti venga relegata al ciberspazio gelido della rete.

A questo tipo di società e di mondo gestito da algoritmi io mi ribello.

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Che il bacio dipinto da Gustav Klimt, bizantineggiante e aureo sia il modello al quale ispirarci,
siano con esso i vessilli delle labbra e dell’abbraccio voluttuoso, i baci ritratti da Francesco Hayez
ma anche quelli meno noti di Italo Nunes Vais, Ancora un bacio, un olio su tela del 1885 circa, oggi alla,
Galleria d’Arte Moderna Paolo e Adele Giannoni a Novara, o ancora Pigmalione e Galatea di Jean-Léon Gérôme,
dipinto nel 1890 adesso esposto al Metropolitan Museum of Arts di New York. Baci immortali e non perseguibili per legge,
né allora né oggi, restano quello di René Magritte, Gli Amanti, del 1928, MoMA, New York
o l’omonimo acquerello di Dante Gabriel Rossetti con il Romeo e Giulietta al balcone dipinto da Julius Kronberg.

Concludiamo il breve excursus sugli amanti appassionati con Il Bacio, la scultura opera di Auguste Rodin,
consapevoli che l’elenco durerebbe ancora per molte pagine, ricordando al tristo delatore piemontese i versi di Gaio Valerio Catullo,
che evidentemente a lui e ad altri come lui, indicano soltanto la mestizia delle loro anime

Viviamo, mia Lesbia, e amiamo

e ogni mormorio perfido dei vecchi

valga per noi la più vile moneta.

Il giorno può morire e poi risorgere,

ma quando muore il nostro breve giorno,

una notte infinita dormiremo.

Tu dammi mille baci, e quindi cento,

poi dammene altri mille, e quindi cento,

quindi mille continui, e quindi cento.

E quando poi saranno mille e mille

nasconderemo il loro vero numero,

che non getti il malocchio l’invidioso

per un numero di baci così alto.
 

Val

Torniamo alla LIRA
L’ipocrisia, si sa, è un male antico della politica.

Alle nostre latitudini i cittadini sono, da una pratica ultra-decennale, assuefatti alla separazione consapevole delle parole dalle azioni.

Anzi, più l’incoerenza tra fatti e parole si amplifica, più gli italiani tendono ad invaghirsi del cialtrone di turno
(salvo gettarlo nella polvere quando il Suo, in realtà il Loro, bluff si fa manifesto).

Ma in questa triste ora si sta andando oltre.

L’ipocrisia è talmente manifesta, oserei dire macchiettistica, che non si fa neppure lo sforzo di evocare i valori che dovrebbero guidare le scelte.

Una questione di Potere (ad avventurarsi negli scenari degli ipotizzati rimpasti di Governo verrebbe da dire di bassa, bassissima, cucina del potere)
nella quale il riferimento alla Giustizia è mero espediente retorico.

Intorno a noi stracci che volano in prima serata tra Guardasigilli e pm d’assalto,
intercettazioni birichine tra magistrati che svelano ciò che tutti sanno sul sistema correntizio e le sue degenerazioni,
tribunali che non lavorano vittime di veti sindacali da surrealismo ultra-corporativo,
Procuratori della Repubblica
arrestati con accuse infamanti.
Miasmi mefitici sempre più intollerabili.

Bonafede resterà ministro, qualcun altro lo diventerà, ma la “mal aria” resterà a renderci impossibile il respiro,
senza neppure un Dante alla cui pietas rivolgere il proprio “ricordati di me che son l’Italia”.

.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Matteo Renzi cambia, ancora una volta, la linea del suo partito personale.

Il leader di Italia Viva vota “no” alla mozione di sfiducia contro il ministro della Giustizia grillino Alfonso Bonafede
e regala nuova vita a Giuseppe Conte e al suo secondo governo.

L’Aula del Senato boccia la “spallata” del centrodestra.

I voti a favore sono stati 131, 160 i contrari, un astenuto.

Bocciata anche la mozione di sfiducia presentata da +Europa: 158 no, 124 sì, 19 astenuti.

Lo spauracchio di elezioni anticipate ha funzionato per sedare gli istinti bellicosi del senatore di Rignano sull’Arno.

Il rischio di affrontare le urne e scomparire è stato considerato un prezzo troppo alto dai fedelissimi dell’ex premier.

“Voteremo contro le mozioni di sfiducia – ha detto Renzi durante la dichiarazione di voto – ma riconosciamo al centrodestra
e ad Emma Bonino di aver posto dei temi veri. La sua mozione non era strumentale.
Ma Bonafede amministri la giustizia, non il giustizialismo e ci avrà al suo fianco”.

Accanto al Guardasigilli ai banchi del governo, ci sono Roberto Speranza, Luigi Di Maio, Dario Franceschini,
Federico D’Incà, Vito Crimi, Riccardo Fraccaro e Teresa Bellanova
.

Sono presenti numerosi senatori.

Bonafede, per respingere la bocciatura personale aveva invitato la maggioranza che sostiene il Conte bis a “fare squadra sulla giustizia”.

Tradotto vuol dire un mini rimpasto di governo per dare più visibilità ad Italia Viva.

“Sulla vicenda Di Matteo – ha detto Bonafede – sono stati sgomberati gli pseudo dubbi”.

Nelle ultime ore è circolata anche la voce di un ritorno al governo della renziana di ferro per antonomasia: Maria Elena Boschi.

Un fatto è certo: l’ex capo del Pd ha voluto tenere fino all’ultimo il governo sull’orlo del precipizio
nonostante l’incontro avvenuto a Palazzo Chigi tra la stessa Boschi e il presidente del Consiglio.

Conte intende concedere a Italia Viva il “riconoscimento politico” chiesto, non per paura di una crisi ma per poter andare avanti fino al 2023.

Sarebbe stata respinta, secondo fonti renziane, la proposta di un posto di sottosegretario alla Giustizia per Lucia Annibali o Gennaro Migliore.

Ma dopo l’incontro con Boschi i fedelissimi di Renzi hanno ribadito di attendere ancora un “segnale” sui temi della giustizia.

M5s
fa scudo al ministro, così come il Pd che però gli chiede un “cambio di passo”.

Sia Vito Crimi che Graziano Delrio, come il ministro Francesco Boccia, dicono che se passerà la sfiducia, si apre la crisi di governo.

Emma Bonino
di +Europa attacca: “Bonafede è il ministro del sospetto, non giova all’Italia”.

E su Twitter l’ex presidente del Pd Matteo Orfini tuona: “No alla sfiducia ma la gestione è pessima”.

La linea del centrodestra è stata dettata, anche stavolta, dal segretario del Carroccio Matteo Salvini.

“La Lega – ha detto – voterà anche la mozione di sfiducia di Più Europa.
Serve un ministro della Giustizia che sia in grado di gestire le carceri, che assicuri che i boss non escano di galera, che ci sia certezza della pena”.

In mattinata, Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, ad Agorà su Rai Tre, ha sottolineato:

“Sulla mozione della Bonino, ci sono degli elementi che non condivido, né utilizzerò i voti di FdI per far alzare la posta a Renzi.
Noi votiamo alla seconda chiama, vediamo prima se l’ha votata Renzi”.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Che delusione ci ha dato Matteo Renzi.

E che figura ci ha fatto fare a tutti quelli che come il sottoscritto avevano creduto al mito del Tony Blair italiano,
magari al netto delle bugie per giustificare l’appoggio a George W. Bush nella guerra a Saddam Hussein.

In quattro anni, un leader politico prigioniero della sua tattica ma assai a digiuno di qualsivoglia strategia,
ha tracciato una parabola discendente dal quasi 41 per cento del voto degli italiani a un 3 per cento scarso.

Della serie: Once upon a time in Pontassieve. Ovvero c’era una volta in Leopolda.

Troppi opportunismi, troppe paraculate, troppi pseudo garantismi di facciata e veri forcaiolismi di sostanza.

Come si possono conciliare – ad esempio – le prediche al pessimo ministro Alfonso Bonafede, etichettato come “manettaro”,
con l’avere a suo tempo proposto all’esterrefatto ex capo dello stato Giorgio Napolitano la figura del pm capo di Catanzaro Nicola Gratteri
come possibile ministro della Giustizia?

E come si può conciliare l’intervento in aula di ieri – con tanto di chiosa finale e gioco di parole “ministro faccia il ministro di Giustizia non dei giustizialisti” –
con la scelta poi di non votare neanche la mozione di Emma Bonino per sfiduciarlo?

Caro Matteo, un Renzi così non serve a niente.

Si avvia a diventare il Clemente Mastella del terzo millennio, ovviamente anche nei numeri del consenso elettorale.

Visto che lei ogni tanto cita anche Marco Pannella si ricordi le sue parole di disprezzo per chi in politica si ostina a credere,
e persino a proclamare, che “il fine giustifica i mezzi”.

Non è vero, se i mezzi sono sordidi anche il fine viene sporcato e prefigurato da essi.

Caro Renzi, infine, a che serve essere l’ago della bilancia se poi si pende sempre dalla parte della poltrona ministeriale?

Se è ancora il politico che in fondo per un certo periodo è stato faccia resuscitare l’Italia.

Che oggi come oggi più che “viva” ci sembra inesorabilmente “morta”. Amen.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Tutti indignati per il salvataggio da parte di Italia Viva del ministro Alfonso Bonafede
che ha fatto uscire centinaia di mafiosi dalle patrie galere senza starci a pensare troppo su
e poi infognatosi nei retroscena dei gradimenti o non gradimenti dei boss.

E fin qui, è umano, è comprensibile.

Quello che invece colpisce ancora, seppur relativamente, ne abbiamo viste ormai di ogni,
chi tenterebbe di fare delle analisi politiche scevre di simpatie e affiliazioni semplicemente analizzando fatti
e, perché no, ipotesi o strategie, è che sia troppo semplicistico liquidare l’appoggio renziano
al secondo governo guidato da Giuseppe Conte come mero calcolo di spartizione di poltrone.

Quale ingenuità non capire che il potere è tutta e solo una questione di poltrone
e che c’è gente che per quelle poltrone si è venduta o svenderebbe anche la madre.

C’è chi ha parlato di ipocrisia, chi di carenza di credibilità, chi ha dato a Matteo Renzi del pagliaccio.

Le cose si cambiano con atti politici, dice qualcuno.

Che Renzi, il Pd, e tutto il resto dell’arco costituzionale con l’appoggio esterno di Silvio Berlusconi stesso
e ovviamente dei suoi fedelissimi vogliano fare fuori quella che è stata chiamata “la piaga grillina”
ovvero il Movimento cinque stelle, dal Parlamento e, possibilmente dalle istituzioni
e dalla pancia di chi li ha votati credendo alla propaganda spicciola e fatta anche piuttosto male, è certo.

Carlo Calenda
che tallona in gradimento, Nicola Zingaretti che discetta di moda e mascherine (non gli sono bastati gli aperitivi),
l’Europa che si muove nell’ombra pronta a mettere persone sue, è resuscitata persino Emma Bonino.

Insomma: lo scacchiere pullula di incertezza e cretinerie, pertanto, la volpe analizza, attende, stana, cerca alleanze,
cerca forse anche poltrone per sé e per i suoi, magari in quale ente, in qualche consiglio di amministrazione di quelli che contano,
non necessariamente si vorrà misurare con le urne al prossimo giro, posto che potrebbe essere anche molto molto lontano.

Prima ci saranno da gestire i miliardi dell’Europa e nessun presidente della Repubblica
è tanto tardo da lasciarli in mano a dei parvenu, o semplicemente a degli inadeguati.

Inadeguati, non a caso è una delle parole venute fuori anche ieri durante l’udienza sulla sfiducia.

Inadeguati che resistono perché anche loro potrebbero sparire o tornare, molti di loro, alla disoccupazione.

Il ministro Bonafede ha detto che siamo in un “momento di ripartenza”,
dimostrando di non capire che anche se resta lì se lo sono sciroppato,
dimostrando di non capire che mezza Italia è morta o morirà di stenti
e non ripartirà con o senza il suo prezioso apporto.

Ecco, quelli come lui, quelli che non capiscono, perché fanno fatica a capire un po’ tutto,
figuriamoci a capire come si tiene per le mutande un presidente del Consiglio,
come si occupa il potere o come si governa una nazione.

Si chiama politica
.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Solo uno sciocco avrebbe potuto immaginare che Matteo Renzi fosse coerente con la parola
perché non basterebbe un papiro per l’elenco delle giravolte, eppure pensate, anche lui è stato premier.

Non c’era dubbio che Alfonso Bonafede sfangasse la sfiducia perché piuttosto di consegnare il paese ad una crisi ed al voto,
il blocco più di sinistra della storia sarebbe capace di tutto, alla faccia della democrazia e della volontà popolare.

Del resto se così non fosse tornando indietro avremmo votato in autunno, come sarebbe stato logico di fare in qualsiasi paese normale,
ma in Italia si sa quando c’è il rischio che il centrodestra vada al governo, escono fuori tutti i pericoli del mondo,
dal fascismo sempreverde, all’uscita dall’Europa, ai mercati.

Basterebbe pensare che, mozione di sfiducia a parte, c’è in corso una operazione suggestione verso la popolazione,
per allungare l’emergenza virus e il ritorno alla normalità, che comporterebbe la fine di ogni scusa per giustificare il rischio di stabilità in caso di crisi.

Insomma più dura la paura, il corso straordinario e più dura il governo, questo è il target della maggioranza più comunista della storia,
il resto conta poco o niente, che volete che sia lo sfascio economico, il dramma produttivo all’orizzonte, davanti alla politica squallore.

Perché sia chiaro di squallore si tratta quando una componente fondamentale della coalizione
lancia ultimatum in cambio di visibilità e di poltrone, visto che se fosse stata veramente una questione di principio
ieri al senato Bonafede sarebbe stato impallinato.

Come altrettanto sa di squallore l’atteggiamento della maggioranza verso una storia, quella tra Bonafede e Nino Di Matteo,
che a parti invertite avrebbe provocato una sollevazione senza precedenti, si sarebbe gridato allo scandalo istituzionale, alla rivolta parlamentare.

Pensate voi se come ha detto la Emma Bonino ci fosse stato anche solo il sospetto di un “chiacchiericcio“
tra un ministro della Giustizia di centrodestra e uno dei magistrati più importanti, su nomine,
incarichi e posizioni tanto delicate, i cattocomunisti e i grillini avrebbero assaltato la Bastiglia.

Eppure ieri al Senato la maggioranza, a partire da Renzi che ancora volta ci ha presentato una giravolta,
ha votato compatta la fiducia come se l’episodio fosse una quisquilia, ordinaria amministrazione,
è la conferma dei due pesi e due misure quando si tratta di loro.

Figuriamoci poi se sull’imparzialità si gioca la vita del governo e il rischio di elezioni che dai sondaggi
porterebbero Matteo Salvini, Giorgia Meloni, Silvio Berlusconi, a vincere e governare, ecco perché è stato uno squallore.

Perché mentre l’Italia si gioca il futuro, milioni di persone rischiano il posto, la bottega, l’indigenza,
nella maggioranza giocano a poker, a bluffare, giocano ai posti da spartire, a trovare la scusa per tirare avanti a dispetto dei santi,
per allungare il brodo del potere che non vogliono mollare.

Ecco perché ci riempiono ogni giorno di paure e di pericoli incombenti, insistono sugli allarmi potenziali,
trattano la pandemia come un elastico purché sia, insomma al posto di dare fiducia, di infondere ottimismo,
di rassicurare e stimolare, fanno di tutto per intimorire e scoraggiare.


A partire dai decreti, qui non si tratta solo della farsa di un provvedimento dato per firmato
e che ci ha messo una settimana per arrivare dal capo dello Stato, si tratta del merito,
di ciò che si è stabilito per rilanciare il Paese da una crisi la cui profondità è sconfinata, non scherziamo.

Non ci si rende conto di quello che succederà di qui alla fine dell’estate, dopo mesi di chiusura del paese intero,
non ci rende conto che le regole per la riapertura porteranno ulteriori guai nei consumi,
negli esercizi, nel fatturato decimato, nei bilanci finali del settore privato.

Non si capisce che di fronte a scelte seppure sacrosante di chiusura, lo stato ha l’obbligo di compensare,
riportare il conto degli operatori danneggiati all’invarianza di bilancio, rimetterli in moto con un dare avere ex ante,
piuttosto che trattarli da elemosinante e spingerli al debito ulteriore.

Parliamoci chiaro, c’è qualcuno che sappia un po’ d’economia che pensi davvero che coi decreti metà dei quali in assistenza,
in parte dedicati ad assunzioni e stabilizzazioni improduttive, a stanziamenti da fruire in maniera cervellotica e sconclusionata, l’Italia sarà rilanciata?

C’è qualcuno che sia convinto che qualche miliardo di Irap stornata, qualche scadenza fiscale trasferita,
qualche incentivo dal nome suggestivo, possa davvero rilanciare la settima economia mondiale dopo una chiusura tanto lunga e generale?

Nulla o quasi sui cantieri da sbloccare, sugli investimenti da fare subito, su centinaia di migliaia di ambulanti,
singoli esercenti
, di automatico dalle banche che per erogare continuano a ritardare,
nulla sui tempi e sulle condizioni certe per incassare i bonus, sulla fine di questa via crucis è tutto in forse,
confuso, sparpagliato e rimpallato fra governo e regioni.

Ecco perché è uno squallore che Renzi a cui si deve la nascita di questo governo
e la responsabilità per ciò che non ha fatto o fatto male dall’inizio, si preoccupi di giocare al rialzo,
al trabocchetto da furbetto, anziché di mandarlo a casa per il bene del paese che ne sta pagando care le spese.

Caro Renzi ci rivedremo alla fine dell’estate, quando l’Italia presenterà il conto degli sbagli, degli opportunismi,
dell’incapacità a governare, ad affrontare i problemi veri al netto delle conferenze, dei teatrini, dei due pesi e due misure,
vi presenterà il conto dell’imperdonabile errore di non averci fatto votare.
 

Val

Torniamo alla LIRA
La motivazione con cui Matteo Renzi non ha votato le due sfiducie al ministro della Giustizia
Alfonso Bonafede è double face, cioè dipende da dove le guardi.

Per alcuni è un grande atto politico, ma per altri è roba da far accapponare la pelle.

E in questo dualismo c’è tutto il rischio per la nostra democrazia.

Ha dichiarato il leader di Italia viva: “Questa volta diamo ragione alla senatrice Emma Bonino
e riconosciamo le ragioni del centrodestra, ma non le votiamo la sfiducia, ministro, per un atto politico e perché noi non siamo come voi”.

Renzi vuol dire che nel merito non condivide le azioni del ministro Bonafede, soprattutto sul “tutti a casa” dei boss mafiosi durante il lockdown,
come non condivide l’assetto in generale della giustizia italiana, di cui chiede una riforma radicale.

Tuttavia egli non ha votato la sfiducia per non far cadere il governo Conte, come in passato invece hanno fatto i grillini:

“Se oggi votassimo con il metodo che lei ha usato nei confronti dei membri di altri governi – ha spiegato nel suo intervento al Senato –
lei dovrebbe andare a casa: Alfano, Guidi, Boschi, Lotti, De Vincenti. Ma noi non siamo come voi”.

Una bella lezione di ideologismo, non c’è che dire!

Lo abbiamo già scritto, il partito fondato da Renzi ha il ruolo di fermare l’azione politica e parlamentare a Italia viva.

L’Italia legittima e legittimata secondo la maggioranza sarebbe tutta qui, arriverebbe fino al partito di Renzi.

E il motivo vero per cui si dice che “non può cadere il governo Conte” non è mica il rispetto verso il presidente del Consiglio
o per evitare una crisi al buio, il motivo vero è il disprezzo.

Sì, proprio il disprezzo del Pd camuffato dietro a Conte e ai grillini verso l’altra Italia,
quella che secondo loro non deve e non può votare, quella continuamente scavalcata e aggirata dai loro marchingegni,
che sarebbe l’Italia indegna di milioni di italiani definiti di volta in volta “sciacalli, razzisti, intolleranti, fascisti”,
mentre tanti si agitano a fermare di volta in volta le rovinose campagne “abbraccia un cinese”
o quelle sull’immigrazione clandestina, la corruzione e la cronaca nera.

E che sia così ne è prova il fatto che, nonostante i proclami sull’auspicata condivisione, non c’è alcun ascolto, mentre proseguono dileggio e calunnie.

Infatti, all’indomani a Montecitorio, il tanto collaborativo confronto è finito in rissa tra Lega e Movimento 5 stelle,
quando il capogruppo grillino Davide Crippa ha accusato i leghisti di malgoverno al nord
e di essersi chiusi in Parlamento “forse per una festa di compleanno”.

È finita a botte con tanto di sospensione dei lavori richiesta dal presidente della Camera Roberto Fico.

Precedente assai pericoloso, perché se questo accade nelle aule parlamentari, che cosa può succedere nel Paese avanzando la crisi?

Nulla sarà più come prima, ma cosa vuol fomentare la maggioranza pur di evitare le urne, rivolte e disordini per imporsi ad oltranza?

Attenzione. Anche nel centrodestra occorre prudenza e misura e maggiore costruttività verso l’elettorato,
si governa anche coi tanti comuni e regioni, si governa formando una classe dirigente nuova,
chiamando a raccolta i giovani e i talenti, operando di fatto l’alternativa nell’etica, nei costumi, nella cultura, anziché subire la mentalità avversaria.

Non si incide solo con le poltrone, questa partita si vince coi valori e con l’intelletto,
altrimenti il duo Matteo Salvini-Giorgia Meloni sempre sotto scacco finirà per diventare il nemico ideale.

Quanto al Pd io non sarei così sicuro, perché le ragioni della sfiducia mancata
dipendono dal fatto che stanno calpestando i loro stessi presunti principi cedendo a burocrazia,
nominifici, corruzione, fino a concedere alla mafia quello che in altri tempi è stata l’onta della trattativa.

E cedere ai poteri oscuri è assai peggio della destra di Salvini.

Chiederei ai vari Saviano, Fazio e donne sinistre: se lo avesse fatto un governo Berlusconi o di centrodestra?

Indecenza, solo indecenza, l’ennesima.

Come gli immigrati, le Ong, il fisco, la crisi, i colpi dell’Europa, siamo affossati su tutto
nonostante gli italiani si siano comportati con senso di responsabilità e siamo stati di esempio internazionale nel virus con un Paese che vale oro.

Ma il metodo con cui si vuole governare questa magnifica nazione della storia, delle arti, del turismo e della “bellezza”,
come urla giustamente Vittorio Sgarbi, non è quello dell’unità nazionale, più volte invocata dal capo dello Stato,
ma quello che dimostra Marco Travaglio contro Guido Bertolaso, reo solo di aver realizzato
un ospedale specializzato in una manciata di giorni in Fiera di Milano e un altro in Toscana con aiuti privati.

E cosa gli capita?

Denigrato e isolato lui e gli ospedali per dispetto, per il solo fatto di essere ritenuto avversario, lui uomo delle istituzioni.

È questa continua scriteriata spaccatura interna e il reiterato e becero dileggio che ci danneggiano all’estero,
ovunque, spostando indietro l’orologio agli anni Settanta quando “ammazzare un fascista non era reato”.

Per cui non arte e gloria, ma sangue e crimini.

E oggi che ci sono i social c’è chi si azzarda a dispensare maledizioni pubbliche,
chi lancia campagne a morte senza che vi sia una reazione forte delle istituzioni nella fase più fragile della storia dell’uomo.

Questo è il vero rischio dei fantasmi del passato, cari compagni e cari tutti.

E’ questa macchina del fango, che ha mietuto vittime innocenti e danni immani,
che è il regime dello sproloquio e della vendetta da cui uscire tutti.

Con impegno civile e nazionale, con unità e misura verso un’opposizione ancorché legittima sempre ragionata.

Che non è certo l’opposizione “fai da te” di Matteo Renzi.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Momento difficile per il Paese, che ha vissuto con tanta responsabilità il lockdown in una situazione al limite della sospensione della Costituzione.

Il governo Conte II ideato e voluto da Matteo Renzi continua a vivere le stesse contraddizioni
che esprime quasi quotidianamente il suo mentore: un continuo stop and go, annuncio ma non agisco,
affronto l’Ue ma poi mi fermo, chiedo duemila miliardi e poi mi accontento del Mes e via ricordando.

Proprio come il suo ideatore, il “rottamatore” che diventa salva rottamandi, sempre più ambiguo nel suo attaccare il Governo.

Quale il fumus di tanta tattica politica?

Salvare l’indifendibile ministro ci può stare, certo, se poi però, si conferma nei fatti, che l’obiettivo è solo gestire il potere,
che forse è il vero scopo della nascita del governo giallorosso promosso da Renzi, l’imbarazzo sarà totale.

Si, ma quale è l’azione più responsabile in questo momento, salvare il governo, o affondarlo per il bene degli italiani?

E del Centro tanto affollato da sigle, Italia viva, Forza Italia, Azione di Carlo Calenda, quanto, povero di consenso, che rimane?

Di quella tradizione democristiana, equilibrata, lungimirante, responsabile, rassicurante che ha portato l’Italia fuori dalla seconda guerra Mondiale
e l'ha spinta ad essere una potenza economica mondiale che rimane?

Forse Dario Franceschini, sempre più fagocitato dalla sinistra di ex Pci-Pds-Ds presente nel Pd?

Abbiamo tutti pensato che fosse proprio la ricostruzione di quell’area il vero obiettivo di Italia viva,
invece, ci ritroviamo ancora in piedi il governo giallorosso.

Mai un governo tanto debole, fu così tanto forte per paura del voto degli italiani.

Come non pensare che è tutta una farsa pirandelliana, recitata da tanti attori senza né arte né parte,
gente che non ha mai lavorato, che non conosce nulla di cosa è chiamato a decidere,
che non si preoccupano di capire come gli italiani stiano cercando di sbarcare il lunario in questa crisi che morderà sempre più in autunno,
che pensano di votare a settembre per racimolare qualche voto di più prima che la barca affondi
ed arrivi un novello Mario Monti a darci il colpo di grazia.


Si rimane attoniti nell’assistere a questo spettacolo mediocre, ed il pensiero va agli italiani
che ancora attendono sussidi, cassa integrazione e promesse varie.

Ma davvero si pensa che il Paese può uscire in questo modo da questa situazione?

Si crede davvero che gli italiani non l’abbiano capito?

Non resta che attendere quando prima o poi avranno l’occasione di dimostrarlo.
 

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