Più che la Telecom, sembra il Pd
Nell'azienda telefonica più grande del Paese regna il caos. E nella guerra tra Elliott e Vivendi sullo scorporo della Rete, il governo si muove goffamente e in maniera contraddittoria.
A
Largo del Nazareno, dove la confusione regna sovrana e siamo a un passo dal tutti contro tutti, possono esultare. C’è qualcuno che è messo peggio di loro, ed è un qualcuno non di poco conto, visto che si tratta della più grande
azienda telefonica del Paese.
Telecom (dovremmo chiamarla
Tim, ma siamo affezionati al vecchio nome) è appena uscita da un ribaltone che l’ha scossa dalle fondamenta, e che ha portato la minoranza a impadronirsi dell’azienda e a
nominare un nuovo amministratore delegato.
Neanche il tempo di prendere possesso delle scrivanie, di settare i computer, ed ecco che si profila un altro cambio.
Il socio di maggioranza relativa, Vivendi, vuole riprendersi il controllo dell’azienda mandando a casa il nuovo numero uno
Luigi Gubitosi nonché il presidente
Fulvo Conti, reo secondo i francesi di aver fatto da regista occulto al golpe che ha portato il
fondo americano e trumpiano Elliott a prendere il potere. Per questo sta premendo per la convocazione di una nuova
assemblea, che i neo padroni cercano di procrastinare il più possibile. Ma con un
azionista al 24%, tale è la quota dei transalpini, è difficile per chi sta al 9%, ovvero gli americani, fare più di tanto resistenza. Certo, si può lavorare di avvocati, carte bollate e cavilli, ma è giusto una tattica prendere tempo. Ma in attesa di cosa?
ELLIOTT PER LO SCORPORO DELLA RETE, VIVENDI SI OPPONE
E qui entra in gioco il convitato di pietra, ovvero il
governo, che in questa vicenda è altrettanto responsabile se non di più dei due contendenti. Uno dirà che una compagine dove ognuno fa ormai quel che gli pare invadendo il terreno dell’altro è ben difficile possa avere una idea condivisa. Invece, e qui scatta il paradosso, l’idea ce l’hanno, perché sui destini di Telecom i due partner la pensano più o meno esattamente allo stesso modo.
Vogliono scorporare l’infrastruttura dalla società, la rete dalla fornitura dei servizi, creando un’azienda a controllo pubblico che possa servire a condizioni paritarie tutti gli operatori. Sul punto, che non è di poco conto, Vivendi fin qui si è opposta. Depauperare il gruppo della distribuzione significherebbe un ridimensionamento che ne mette a repentaglio il futuro. Elliott invece si era sin dall’inizio mostrato ben felice di esaudire i desiderata dell’esecutivo, presente nella compagine attraverso la
Cdp. Che infatti, nel braccio di ferro con i francesi, ne ha appoggiato le mosse.
LA MARCIA INDIETRO DEL GOVERNO CON IL FONDO AMERICANO
Tutto risolto dunque? Nemmeno per sogno. Avendo fatto i conti senza l’oste, quel
Vincent Bolloré, nome arcinoto nelle cronache finanziarie del Paese, che di Vivendi è il patron, ora il governo teme di essere clamorosamente sconfessato da una nuova conta assembleare. E che fa? In una parola non elegantissima ma efficace, paraculeggia. E dice che non è più così sicura delle reali intenzioni di Elliott, che trattandosi di un
fondo speculativo (toh, ma guarda) certo di investimento strategico non si può parlare, e che quindi l’obiettivo di fondo degli americani sia far spezzatino di Telecom per venderla lucrosamente a singoli pezzi
. Domanda vergognosamente ingenua: ma non poteva pensarci prima? Risultato: l’incazzatura dei francesi prefigura che la vita degli attuali assetti duri come quella di una falena.
Elliott comincia a pensare a una possibile via di fuga, anche perché se
Palazzo Chigi non gradisce ti viene a mancare un alleato fondamentale. Palazzo Chigi, che si trova sempre attraverso Cdp ad avere i piedi in due scarpe (sì, perché l’altro capolavoro renziano fu quello di far entrare
Enel nella partita della
fibra per fare un dispetto a Bolloré), rischia di far da spettatore impotente di una guerra destinata a depauperare ulteriormente uno degli
asset industriali più importanti del Paese.
Fin qui lo stato dell’arte,
il seguito alle prossime appassionanti puntate. Che, vista la piega presa dagli eventi, non tarderanno a venire.