PER QUEST'ANNO LASCIATE PERDERE LA PROVA COSTUME... VI VEDO PIU' PRONTI PER LA PROVA DEL CUOCO (1 Viewer)

Val

Torniamo alla LIRA
Google e Apple unite nell’usare la tecnologia Bluetooth per tracciare gi nostri contatti... con la scusa del coronavirus


Google e Apple ci (ri)provano.

Sotto le (mentite?) spoglie di un’azione positiva e socialmente utile, come quella della battaglia contro COVID-19,
lanciano un progetto globale per tracciare i contagiati dalla terribile malattia.

Ma “sarà vera gloria”? Sarà cioè, quella che si prepara, un’iniziativa realmente positiva e, per capirci subito, a prova di privacy?

Oppure si configurerà come l’ennesimo tracking dei nostri dati e informazioni personali
– ben oltre quel che sarebbe necessario per la battaglia contro il Coronavirus –
che finirà per rendere monitorabile ogni nostro spostamento, ogni cosa che riguardi la nostra sfera più personale?

E, comunque, si rivelerà realmente efficace per lo scopo che si propone?

Andiamo, però, con ordine cercando di capire anzitutto di che cosa stiamo parlando.

La notizia è questa:

Google e Apple hanno deciso di unirsi per tracciare i contagi.
A maggio, secondo quanto riporta il comunicato congiunto, Big G e l’azienda di Cupertino
metteranno a disposizione degli sviluppatori gli strumenti (Api) per progettare App
per le istituzioni e gli utenti nel mondo che consentiranno il dialogo e “l’interoperabilità tra i dispositivi Android e iOS”.

«Per aiutare i funzionari della sanità pubblica a rallentare la diffusione di COVID-19», ha dichiarato in un tweet Sundar Pichai,
«Google & Apple stanno lavorando ad un approccio di tracciamento dei contatti progettato
con controlli e protezioni efficaci per la privacy degli utenti. Io e Tim Cook ci siamo impegnati a lavorare insieme su questi sforzi».

La piattaforma di tracciamento consentirebbe agli utenti di condividere i dati
tramite trasmissioni Bluetooth Low Energy (BLE) e App approvate da organizzazioni sanitarie.

Il nuovo sistema, presentato in una serie di documenti e white paper, utilizzerà le comunicazioni Bluetooth a corto raggio
per stabilire una rete “volontaria” di tracciamento dei contatti, mantenendo ampi dati sui telefoni che sono vicini l’uno all’altro.

Le App ufficiali delle autorità sanitarie pubbliche avranno accesso a questi dati e gli utenti che le scaricano
possono segnalare se è stato loro diagnosticato il COVID-19.

Il sistema avviserà anche le persone che le scaricano se erano in stretto contatto con una persona infetta.

Apple e Google introdurranno un paio di API iOS e Android già a metà maggio
e si assicureranno che le App di queste autorità sanitarie possano implementarle.

Durante questa fase, gli utenti dovranno comunque scaricare un’App per partecipare al tracciamento dei contatti, che potrebbe limitare l’adozione.

Nei mesi successivi al completamento dell’API, però, le aziende lavoreranno sulla creazione di funzionalità di tracciamento
nel sistema operativo sottostante, come opzione immediatamente disponibile per tutti con un telefono iOS o Android.

Il tracking dei contatti – che implica capire con chi una persona infetta è stata in contatto e cercare di impedire loro di infettare gli altri –
parrebbe una delle soluzioni più promettenti per contenere COVID-19, ma l’utilizzo della tecnologia di sorveglianza digitale
per farlo ha sollevato enormi problemi di privacy e domande sull’efficacia.

L’American Civil Liberties Union ha sollevato preoccupazioni in merito al tracciamento degli utenti con i dati del telefono,
sostenendo che qualsiasi sistema dovrebbe avere una portata limitata ed evitare di compromettere la privacy dell’utente.

Diciamo invero che, a differenza di altri metodi, come, per esempio, l’utilizzo dei dati GPS,
questo piano Bluetooth almeno non traccia la posizione fisica delle persone.

Fondamentalmente raccoglierebbe i segnali dei telefoni vicini a intervalli di 5 minuti e memorizzerebbe le connessioni tra loro in un database.

Se una persona risulta positiva al Coronavirus, potrebbe dire all’app che è stata infettata
e potrebbe così informare altre persone i cui telefoni sono passati a distanza ravvicinata nei giorni precedenti.

Inoltre, il sistema promette di eseguire una serie di passaggi per impedire che le persone vengano identificate, anche dopo aver condiviso i propri dati.

Mentre l’App invia regolarmente informazioni tramite Bluetooth, trasmette una chiave anonima
anziché un’identità statica e tali chiavi si alternano ogni 15 minuti per preservare la privacy.

Anche quando una persona condivide il fatto di essere stata infettata, l’App condividerà le chiavi solo del periodo specifico in cui erano vicine.

Le potenziali criticità, però, si vedono da subito.

Nelle aree affollate, questo sistema potrebbe segnalare le persone nelle stanze adiacenti
che non condividono effettivamente lo spazio con l’utente, facendo preoccupare inutilmente.

Inoltre, non specifica quanto tempo qualcuno è stato esposto: lavorare accanto a una persona infetta per tutto il giorno è una cosa,
incrociarla per strada è un’altra. Ovviamente è anche meno efficace nelle aree con connettività inferiore.

E la privacy?

«La traccia dei contatti può aiutare a rallentare la diffusione di COVID-19 e può essere eseguita senza compromettere la privacy degli utenti»,
ha twittato Tim Cook. «Stiamo lavorando con Sundar Pichai e Google per aiutare i funzionari sanitari
a sfruttare la tecnologia Bluetooth in modo da rispettare anche la trasparenza e il consenso».

Tuttavia, queste rassicurazioni non bastano. Perché?
 

Val

Torniamo alla LIRA
Cosa succede se sei esposto?
Se le persone condividono i propri dati come descritto, il telefono controllerà l’elenco una volta al giorno
e cercherà le corrispondenze chiave, quindi avviserà se ne trova uno.

L’avviso di esempio di Google è piuttosto semplice: recita semplicement
e “Sei stato recentemente esposto a qualcuno che è risultato positivo per COVID-19” e offre un collegamento con ulteriori informazioni.

Tali informazioni saranno fornite da qualsiasi autorità sanitaria che offra l’App
e non sappiamo che cosa potrebbe includere, anche se almeno spiegherà probabilmente i sintomi di COVID-19 e le linee guida di auto-quarantena.

Cosa succede se sei infetto?
Se il test risulta positivo per COVID-19, il sistema dovrebbe caricare gli ultimi 14 giorni di “chiavi” anonime su un server.
I telefoni di altre persone scaricheranno automaticamente gli elenchi di chiavi e se hanno una chiave corrispondente nella loro cronologia,
riceveranno una notifica di esposizione.

L’App dovrà assicurarsi che le persone siano davvero infette, altrimenti un troll potrebbe causare il caos dichiarando falsamente di avere COVID-19.

Non si sa esattamente come questo potrebbe funzionare.

I test COVID-19 sono attualmente gestiti da professionisti e registrati con le autorità sanitarie
quindi, forse, Apple e Google potrebbero risolvere in questo modo per convalidare i test.

Ma si tratta di un grosso problema e ci sarà bisogno di una risposta soddisfacente.

In ogni caso, la condivisione delle chiavi dovrebbe essere volontaria.

Ciò sembra significare, in realtà, che si deve approvare un caricamento, non solo concedere il consenso generale quando si installa l’App,
ma anche questo è ancora tutto da capire.

La prima fase
Apple e Google stanno lanciando il programma in due fasi, a partire da un’interfaccia di programmazione dell’applicazione (API) a metà maggio.
Questa API assicurerà che le app iOS e Android possano tracciare gli utenti indipendentemente dal sistema operativo in uso.
Ma sarà limitato alle App ufficiali rilasciate dalle autorità sanitarie pubbliche sull’App Store di iOS e su Google Play Store.
Durante questa prima fase, ci sarà bisogno di una di queste App per partecipare al programma.

Non sappiamo chi stia lavorando con Apple e Google in questo momento o come appariranno le App.
Sembra probabile che saranno interoperabili; in altre parole, un telefono con App A potrebbe scambiare un tasto con App B, purché entrambi utilizzino l’API.

Potremmo ipoteticamente vedere un governo nazionale o un sacco di piccole agenzie locali lanciare le proprie App,
oppure i governi potrebbero approvare qualcosa costruito da un’entità esterna come un’università.

Google e Apple non hanno dato pubblicamente molti dettagli, quindi vedremo nelle prossime settimane.

Indipendentemente dall’aspetto delle App, bisognerà aggiungerle in modo proattivo al telefono
, il che ridurrà sicuramente il numero delle persone che le usano.

La seconda fase
A seguito dell’API, Google e Apple desiderano aggiungere la traccia dei contatti come funzionalità iOS e Android di base.

Il metodo è un po’ vago per ora, ma l’obiettivo è quello di optare per qualcosa come le impostazioni del telefono.
Ciò innescherebbe lo scambio di chiavi digitale senza richiedere un’App di terze parti.
Quindi, se sei esposto al virus, il tuo telefono lo segnalerà in qualche modo e ti inviterà a scaricare un’App per ulteriori informazioni.

Ciò solleva alcune domande.

Non sappiamo molto di quel processo, per esempio: ricevi una vaga notifica pop-up o qualcosa con più dettagli?

Google potrebbe plausibilmente inviare un rapido aggiornamento attraverso il Play Store,
ma avrebbe comunque a che fare con enormi variazioni nella capacità hardware.

Inoltre, non sappiamo se le singole App governative potrebbero richiedere autorizzazioni più invasive come il tracciamento della posizione.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Da quando è esplosa l'epidemia di Coronavirus in Italia, uno dei dati su cui si concentra più l'attenzione
è quello dei tamponi effettuati, perché più la forbice tra casi positivi e tamponi è ampia più si presume
che il monitoraggio sul territorio sia attendibile.

Ma nemmeno questo dato è certo, perché il numero di tamponi non è affatto coincidente col numero delle persone testate.

Secondo un focus pubblicato da YouTrend, se i tamponi coprissero una fetta più larga di popolazione,
il rapporto fra casi e tamponi diminuirebbe drasticamente.

Questo rapporto, peraltro, soffre di una quantità di tamponi assai ridotta
(soprattutto in alcune regioni come Piemonte o Lombardia)
e quasi sempre fatti a soggetti "sintomatici" (cioè coloro che mostrano sintomi da infezione Covid-19).

Per questi motivi, si può ritenere che lo stesso numero di tamponi effettuati non mostri la reale popolazione testata.

Nelle ultime ore tuttavia Umberto Rosini, Technical Project Manager del Dipartimento della Protezione Civile,
ha riconosciuto che anche il dato dei tamponi eseguiti finora in realtà potrebbe trarre in inganno.

Si tratta infatti del totale dei tamponi eseguiti e non del totale delle persone testate.

Il numero di persone testate potrebbe quindi, nel complesso, essere molto inferiore rispetto a quanto finora pensato,
indicando ancora una volta che sono sottoposte al test solo le persone con chiari e gravi sintomi.

Questo perché a molti soggetti vengono fatti più tamponi: una categoria di soggetti che subiscono (almeno)
un doppio tampone sono sicuramente coloro che possono essere definiti "guariti da Covid-19".

Secondo il documento del 28 febbraio 2020, pubblicato dal Consiglio Superiore della Sanità,
nell'ambito dei Quesiti scientifici relativi all'infezione di Coronavirus SARS-CoV-2,

"Il paziente guarito è colui il quale risolve i sintomi da infezione da Covid-19 e che risulta negativo in due test consecutivi,
effettuati a distanza di 24 ore uno dall'altro, per la ricerca di SARS-CoV-2".

Il numero di tamponi comunicato, a quanto risulta in più regioni, non indica quindi il numero di persone testate,
ma il numero complessivo di test effettuati.

Insomma, se un paziente è sottoposto a un primo tampone e risulta positivo,
in seguito può essere testato almeno altre 2 volte per verificare che sia negativo.

Per un singolo paziente guarito, quindi, saranno conteggiati tre tamponi effettuati e non uno solo.

È impossibile dedurre dal bollettino il numero delle persone testate,
perché non tutte le regioni forniscono un dato di soggetti guariti seguendo la definizione ufficiale.

Fonti dell'unità di crisi della Regione Piemonte a conoscenza della materia confermano che il totale riportato giornalmente
riguarda il numero di tamponi effettuati e non la quantità di soggetti sottoposti a tampone.

Anche la Lombardia, per affermazione dello stesso assessore regionale Giulio Gallera (per esempio nel bollettino del 21 marzo, minuto 17:21),
ha evidenziato più volte di aver fornito questo numero sommato con quello dei "clinicamente guariti",
cioè i pazienti divenuti asintomatici per risoluzione della sintomatologia clinica presentata.

Un altro esempio. Nel bollettino del 24 marzo, l'Emilia Romagna scrive:
"Al tempo stesso, continuano a salire le guarigioni, che raggiungono quota 558 (135 in più rispetto a ieri),
125 delle quali riguardano persone 'clinicamente guarite', divenute cioè asintomatiche dopo avere presentato manifestazioni cliniche
associate all'infezione; 10 quelle dichiarate guarite a tutti gli effetti perché risultate negative in due test consecutivi".

Situazione diversa per le Marche, dove invece la regione ha chiaramente spiegato di seguire
le indicazioni del Ministero della Salute e del Consiglio Superiore di Sanità.

La regione Abruzzo invece nel suo ultimo bollettino ha specificato che:

"la differenza tra il numero dei test eseguiti e gli esiti, e' legato al fatto che più test vengono effettuati sullo stesso paziente. []
Nel totale viene considerato anche il numero degli esami presi in carico e tuttora in corso".

Si può stimare il numero di persone testate?

Nonostante non esistano dati nazionali su quante siano le persone testate a fronte dei tamponi eseguiti, disponiamo dei dati della Regione Toscana in merito.

Nel bollettino di martedì spiegava che sono stati eseguiti 15.701 tamponi su 14.149 casi.
C'è quindi una differenza di 1552 tamponi, presumibilmente eseguiti su persone già testate in passato. È pari al 9,88% del totale.
La Toscana ieri riportava però solo 51 guariti.
Anche escludendo dal computo il doppio tampone per i guariti (per un totale di 102 test) si hanno 1.450 tamponi in eccesso,
segno che in alcuni casi anche i positivi sono sottoposti a più tamponi.
Una delle spiegazioni è il fatto che mentre si ricerca la negatività a seguito della guarigione clinica
si scopre che in realtà il paziente è ancora infetto. Ad esempio, è ciò che è accaduto a Torino con il cosiddetto "Paziente 1".

Nel complesso, appare quindi impossibile sapere quante persone in Italia siano state sottoposte al test e svolgere una qualsiasi analisi.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Resto della mia idea. Hanno messo in piedi un can can formidabile per altri scopi.
Quali ? Possono essere tanti.......fantapolitica ?

Io so solo che ad oggi abbiamo :

2.250.000 contagiati nel mondo

154.000 morti nel mondo

Il nome che le fu dato era davvero il segno dei temi: era il 1969 e la 'spaziale' si abbattè sull'Italia
un anno e mezzo dopo essere partita da Hong Kong.

Era il 1968 quando il Times di Londra diede per la prima volta l'allarme con la notizia di una grande epidemia nella colonia cinese.

Da lì a breve - ma non troppo come invece è successo per il nuovo coronavirus - si diffuse prima in Asia, poi negli Stati Uniti e infine arrivò in Europa.

"È stata la terza pandemia del Ventesimo secolo, dopo l'influenza Spagnola del 1918
e l'influenza Asiatica degli anni '50", dice all'AGI Giovanni Maga, direttore dell'Istituto di Genetica Molecolare del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pavia.

Si calcola che in Italia, nel 1968-1969 abbia causato circa 20 mila decessi e 1 milione in tutto il mondo.
 
Ultima modifica:

Val

Torniamo alla LIRA
Nel ventesimo secolo si sono verificate tre pandemie influenzali: nel 1918, 1957, e 1968,
che sono identificate comunemente in base alla presunta area di origine: Spagnola, Asiatica e Hong Kong.


Si sa che sono state causate da tre sottotipi antigenici differenti del virus dell’influenza A, rispettivamente: H1N1, H2N2, e H3N2.

Sebbene non classificate come pandemie, tre importanti epidemie si verificarono anche nel 1947, nel 1977 e nel 1976.

Le epidemie maggiori non mostrano una periodicità o caratteri prevedibili e differiscono l’una dall’altra.
Esistono prove scientifiche a favore dell’ipotesi che le vere pandemie, con modifiche dell’emagglutinina,
originino da riassortimento genetico con virus dell’influenza A degli animali.



1918: la Spagnola (H1N1)



Si stima che un terzo della popolazione mondiale fu colpito dall’infezione durante la pandemia del 1918–1919.
La malattia fu eccezionalmente severa, con una letalità maggiore del 2,5% e circa 50 milioni di decessi, alcuni ipotizzano fino a 100 milioni.

Negli anni trenta furono isolati virus influenzali dai maiali e dagli uomini che, attraverso studi sieroepidemiologici
furono messi in relazione con il virus della pandemia del 1918.

Si è visto che i discendenti di questo virus circolano ancora oggi nei maiali.

Forse hanno continuato a circolare anche tra gli esseri umani, causando epidemie stagionali fino agli anni ’50,
quando si fece strada il nuovo ceppo pandemico A/H2N2 che diede luogo all’Asiatica del 1957.

I virus imparentati a quello del 1918 non diedero più segnali di sé fino al 1977,
quando il virus del sottotipo H1N1 riemerse negli Stati Uniti causando un’epidemia importante nell’uomo..

Da allora virus simili all’ A/H1N1 continuarono a circolare in modo endemico o epidemico negli uomini e nei maiali,
ma senza avere la stessa patogenicità del virus del 1918.

Dal 1995, a partire da materiale autoptico conservato, furono isolati e sequenziati frammenti di RNA virale del virus della pandemia del 1918,
fino ad arrivare a descrivere la completa sequenza genomica di un virus e quella parziale di altri 4.

Il virus del 1918 è probabilmente l’antenato dei 4 ceppi umani e suini A/H1N1 e A/H3N2, e del virus A/H2N2 estinto.

Questi dati suggeriscono che il virus del 1918 era interamente nuovo per l’umanità e quindi,
non era frutto di un processo di riassortimento a partire da ceppi già circolanti, come successe poi nel 1957 e nel 1968.

Era un virus simile a quelli dell’influenza aviaria, originatosi da un ospite rimasto sconosciuto.

La curva della mortalità per età dell’influenza, che conosciamo per un arco di tempo di circa 150 anni.
ha sempre avuto una forma ad U, con mortalità più elevata tra i molto giovani e gli anziani.
Invece la curva della mortalità del 1918 è stata a W incompleta, simile cioè alla forma ad U,
ma con in più un picco di mortalità nelle età centrali tra gli adulti tra 25 e 44 anni.

I tassi di mortalità per influenza e polmonite tra 15 e 44 anni, ad esempio furono più di 20 volte maggiori
di quelli degli anni precedenti e quasi metà delle morti furono tra i giovani adulti di 20–40 anni, un fenomeno unico nella storia conosciuta.

Il 99% dei decessi furono a carico delle persone con meno di 65 anni, cosa che non si è più ripetuta, né nel 1957 e neppure nel 1968.

I fattori demografici non sono in grado di spiegare questo andamento.



Le pandemie del 1957-58 e del 1968



1957-58: l’Asiatica (H2N2)

Dopo la pandemia del 1918, l’influenza ritornò al suo andamento abituale
per tutti gli anni trenta, quaranta e cinquanta, fino al 1957, quando si sviluppò la nuova pandemia.

All’epoca il virus era stato isolato nell’uomo nel 1933 e poteva essere studiato in laboratorio.

Tranne le persone con più di 70 anni, la popolazione non aveva difese contro il virus.

Nonostante non esistesse una sorveglianza epidemiologica o di laboratorio, come quelle che abbiamo oggi,
il virus fu studiato nei laboratori di Melbourne, Londra e Washington, dopo il riconoscimento che un’importante epidemia era in corso.

Il New York Times in un articolo descrisse l’epidemia che aveva coinvolto circa 250.000 persone in un breve periodo ad Hong Kong.

Il virus fu rapidamente riconosciuto con i test di fissazione del complemento, mentre lo studio dell’emagglutinina virale
mostrò che si trattava di un virus differente da quelli fino ad allora isolati negli uomini.

Ciò fu confermato anche dalla neuraminidasi.

Il sottotipo del virus dell’Asiatica del 1957 fu più tardi identificato come un virus A/H2N2.

Il virus aveva diversi caratteri immunochimici che differivano marcatamente dagli altri ceppi conosciuti.

Si sapeva che nell’influenza le infezioni batteriche polmonari secondarie o concomitanti erano frequenti,
e ad esse erano dovuti molti dei casi fatali.

A volte però la sovrapposizione batterica non poteva essere dimostrata, per cui si parlava occasionalmente di polmonite abatterica.

Ma, con l’Asiatica del 1957, fu molto diffuso ed evidente il fenomeno di polmoniti primariamente virali.

In contrasto a quanto osservato nel 1918, le morti si verificarono soprattutto nelle persone affette da malattie croniche e meno colpiti furono i soggetti sani.

Il virus dell’Asiatica (H2N2) era destinato ad una breve permanenza tra gli esseri umani
e scomparve dopo soli 11 anni, soppiantato dal sottotipo A/H3N2 Hong Kong.



1968: Influenza Hong Kong (H3N2)

Come nel 1957, la nuova pandemia provenne dal Sud Est Asiatico e anche questa volta fu la stampa
a dare l’allarme con la notizia di una grande epidemia in Hong Kong data dal Times di Londra.

Nel 1968, come nel ’57 le comunicazioni con la Cina continentale erano poco efficienti.

Poiché l’epidemia si trasmise inizialmente in Asia, ci furono importanti differenze con quella precedente:
in Giappone le epidemie furono saltuarie, sparse e di limitate dimensioni fino alla fine del 1968.

Il virus fu poi introdotto nella costa occidentale degli USA con elevati tassi di mortalità,
contrariamente all’esperienza dell’Europa dove l’epidemia, nel 1968–1969, non si associò ad elevati tassi di mortalità.

In Italia l’eccesso di mortalità attribuibile a polmonite ed influenza associato con questa pandemia fu stimato di circa 20.000 decessi.

Poiché il virus Hong Kong differiva dal suo antecedente dell’Asiatica del 1957 per l’antigene emagglutinina,
ma aveva lo stesso antigene neuraminidasi, si pensò che l’impatto variabile nelle diverse regioni
fosse imputabile a differenze nell’immunità acquisita nei confronti dell’antigene neuraminidasi.



Eventi quasi pandemici



1947: Pseudo pandemia (H1N1)

Alla fine del 1946, un’epidemia di influenza si diffuse in estremo oriente, in Giappone e Corea,
tra le truppe americane, e successivamente, nel 1947, ad altre basi militari negli USA
dove fu isolato un ceppo virale che sembrò molto differente dal virus dell’influenza A,
sotto il profilo antigenico, per cui fu chiamato: “Influenza A prime”.

Si ritiene che questa epidemia possa essere considerata una pandemia lieve, perché si diffuse a livello globale, ma causò relativamente pochi morti.

Si verificò il completo fallimento del vaccino nel proteggere un gran numero di militari americani vaccinati.

Il vaccino conteneva un ceppo H1N1 che era risultato efficace nelle stagioni 1943–1944 e 1944–1945.

Negli anni successivi, quando furono caratterizzati sia il virus del 1943, da cui era stato derivato il vaccino,
che quello del 1947 si osservò che le sequenze di RNA virale erano marcatamente diverse in quanto a composizione.



1977: Epidemia dell’Influenza Russa (H1N1)

Questa epidemia si era diffusa nel maggio 1977 nel nord est della Cina, ma fu denominata “Russa”.

Essa si diffuse rapidamente ma soprattutto o quasi unicamente tra i giovani con meno di 25 anni,
con manifestazioni cliniche lievi, anche se tipicamente influenzali.

Si ritiene che i giovani non fossero stati esposti al virus H1N1, che non aveva più circolato più dal 1957,
quando erano diventati dominanti prima ceppi H2N2 e poi H3N2.

In effetti, la caratterizzazione antigenica e molecolare ha dimostrato che questo virus era molto simile a quelli circolanti negli anni ’50.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Morale di tutto ciò ?

Nessuno attività venne bloccata.

Il mondo continuò a studiare, a lavorare,a vivere, NORMALMENTE.

Ponetevi una domanda. Perchè oggi 154.000 morti stanno creando tutto questo pandemonio ?

Quante attività falliranno ?

Quante persone verranno ridotte in stato di "coma economico" ?

Chi si avvantaggerà di tutto ciò ?
 

Val

Torniamo alla LIRA
In aggiunta, calcolate che la popolazione italiana nel 1968 era di 52.433.000 persone circa.

Oggi siamo a 60.460.000 circa.

Siamo il 15% in più.

Oggi abbiamo in Italia 22.745 morti.

Pertanto quando raggiungeremo i 26.000 morti saremo in linea con l'influenza del '68.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Nel mondo - nel 1968 - c'erano 3.551.000.000 abitanti.

Ed abbiamo avuto 1.000.000 e passa di morti.
C'è chi dice 2, mllioni, perchè potete immaginare come venissero registrati i casi 50 anni fa,
con la Cina ed altri paesi che erano delle cortine invalicabili.

Mentre oggi anche chi muore per un infarto, viene catalogato covid se gli fanno il test post-mortem.

Comunque oggi nel mondo ci sono 7.794.000.000 abitanti.

Siamo il 120% di abitanti in più.

Abbiamo ad oggi 154.350 morti.

Quando avremo raggiunto i 340.000 morti, saremo in linea con quella influenza.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Esiste un limite a ciò che il Potere può fare di noi?

Saremmo tentati di rispondere sì, giusto? Certo che un limite esiste. Anzi, deve esistere.

Dopotutto, siamo eredi dell’uguaglianza e della fraternità e della “libertà” della Rivoluzione Francese.

Ed abbiamo infarcito la nostra Costituzione, del 1948, con una serie impressionante – addirittura avveniristica rispetto all’oggi – di diritti inviolabili

Così, a caso, e senza pretese di completezza:
la libertà di dire,
la libertà di fare,
la libertà di discutere,
la libertà di scrivere,
la libertà di circolare,
la libertà di lavorare,
la libertà di curarsi,
la libertà di dissentire,
la libertà di rifiutare,
la libertà di abitare il mondo,
persino di “concorrere”, secondo le nostre “scelte”, al progresso “spirituale” della società (art. 4).

Forse non è mai stato messo nero su bianco, in tutta la storia umana, un documento così esteso contro le ingerenze del Potere Costituito.

Eppure, ripeto, esiste davvero un limite a quanto il suddetto Potere può fare di noi?

Magari, la risposta giusta è no.

Magari al Potere basta solo premere il pulsante esatto nella tastiera della manipolazione
per fare di noi un giulivo popolo di servi obbedienti
.

Quanti di voi avrebbero immaginato sessanta milioni di italiani confinati a domicilio, a guardare i telefilm o i cartoni animati, a pena di sanzioni criminali?

E quanti avrebbero immaginato il proliferare di “agenzie” contro l’odio o la menzogna?

O di censure, preventive o successive, verso gli “eretici” rispetto al nuovo “dogma” del totalitarismo medico-scientifico?

Eppure, è accaduto e sta accadendo, con buona pace della Rivoluzione francese e della Resistenza italiana.

Quindi, la scoperta interessante di questi giorni è questa:

le nostre libertà le abbiamo erroneamente date per scontate, ma non lo sono affatto. Basta una parolina magica per mandarle al tappeto.
Nel Novecento, questa password si chiamava “Supremazia Razziale” oppure “Lotta di classe”.

Ora si chiama, per esempio, “Salute”. In nome della “Salute” saremmo probabilmente disposti a farci calpestare come zerbini sull’uscio di casa.
Il che potrebbe anche non essere sbagliato, mi direte.

Se la “Salute” è il sommo valore della Repubblica, alla “Salute” si sacrifichino pure tutti gli altri valori.


D’accordo, ma c’è un limite?

Pensiamo al caso dei greci.

La Grecia per motivi non di “Salute”, ma di “Contabilità Pubblica” è stata letteralmente brutalizzata.

Difficile sostenere che oggi esista ancora qualcosa di assimilabile a uno “Stato indipendente” in Grecia.

Di nuovo, una parola magica (“Equilibrio Finanziario”) ha prodotto la magia.

Con il consenso dei greci, beninteso, come Mario Monti ha avuto modo di constatare soddisfatto in qualche occasione.

E ogniqualvolta ciò accade, i veri padroni, dietro le quinte della storia e della cronaca,
si fregano le mani soddisfatti; perché hanno la risposta che desideravano al quesito di cui in apertura:
non c’è alcun limite a ciò che il Potere può fare di noi.


Ora, sarà pur vero che (in questo preciso momento) i rischi stanno a zero, come sostiene la maggioranza:

c’è davvero una emergenza in atto ed è gestita da un Governo “democratico”.

Ma la domanda diviene: nel caso in cui, in futuro, una qualsiasi “istituzione” riuscisse a pronunciare
la parola d’ordine “giusta” per un motivo “sbagliato”, diciamo pure per imporre uno stato dittatoriale di cose,
quali sarebbero i nostri “contro-limiti”?


In quale modo sapremmo accorgercene e troveremmo la forza per reagire?

Nel Novecento, le vittime dei regimi avevano, se non altro, la opportunità di lottare contro un “male” evidente, con una ben precisa divisa.

Ma quando il male si presenterà sotto le mentite spoglie del “bene”, cosa faremo?
 

Val

Torniamo alla LIRA
Da una parte c'è un problema di evidente violazione di un principio democratico,
dall'altra parte c'è il problema che per avere una democrazia, ci vuole un popolo consapevole ,
mentre oggi ci sono greggi che aspettano capipopoli come grillo, come dipietro, come salvini., come renzi..
che scambiano la Nazione per il campo dei miracoli, pensando che la Nazione è il paese dei balocchi,
con redditi di cittadinanza, che portano ai Monti, ai Colao,ai Gualtieri o agli apprendisti stregoni come Conte. Tant'è.

Ma il vero problema è che il crollo della Fede, o il crollo del mito di Dio, non è stato sostituito da nessun'altra idea .

Non il Confucianesimo, non il darwinismo..ma da semplice solipsismo dove è stata anche abolita l'idea che l'Uomo, come tutte le cose, è mortale.

La non accettazzione della morte come parte essenziale della Vita fa si che si fa morire tutto, giovani, economia,
.....oggi è l'ideologia di salvare il demente senile in una RSA come alto senso di "civiltà",
con tanto di magistratura che vede in ogni morte per malattia, come un omicidio preterintenzionale
......e quindi se una Società ha raggiunto questi livelli, cosa è giusto succeda ?
 

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