Per cortesia ripristinate il 3d di mototopo (4 lettori)

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Scrive Newman: «Ci deve essere una Primavera cattolica, in cui i cattolici stessi chiedano la fine di una “dittatura dell’età media” e l’inizio di un po’ di democrazia e di rispetto per la parità di genere». E Podesta: «Abbiamo creato “Cattolici in Alleanza per il Bene Comune” per organizzare per un momento come questo, ma non ha ancora la leadership per farlo. Come la maggior parte dei movimenti di “primavera”, penso che questo dovrà avvenire dal basso verso l’alto». Lo scambio di email hacketrato ora da Wikileaks, aggiunge Dezzani, si inserisce perfettamente nel contesto degli ambienti anglosassoni liberal, «gli stessi dove si discute da anni della necessità di un Concilio Vaticano III che apra a omosessuali, aborto e contraccezione». Il mondo ha bisogno di un nuovo Concilio Vaticano, scrive nel 2010 un membro del “Center for American Progress”, che parla apertamente di una “primavera cattolica” «che ponga fine alla dittatura medioevale della Chiesa, sulla falsariga della “primavera araba” che ha appena sconquassato il Medio Oriente».


Di lì a poche settimane, continua Dezzani, «parte infatti la manovra a tenaglia che nell’arco di una decina di mesi porterà alla clamorose dimissioni di Benedetto XVI: è il cosiddetto “Vatileaks”, una furiosa campagna mediatica che attaccando su più fronti (Ior, abusi sessuali, lotte di palazzo, la controversa gestione della Segreteria di Stato da parte del cardinale Bertone) infligge il colpo di grazia al già traballante pontificato del conservatore Ratzinger, dipinto come “troppo debole per guidare la Chiesa”». L’intero scandalo, insiste Dezzani, poggia sulla fuga di notizie, «un’attività che dalla notte dei tempi è svolta dai servizi segreti». Notizie «trafugate» sono quelle che consentono a Nuzzi di confezionare il secondo bestseller, il libro-terremoto che esce nel maggio 2012: “Sua Santità. Le carte segrete di Benedetto XVI”, poi tradotto in inglese dalla Casaleggio Associati con l’emblematico titolo “Ratzinger was afraid: The secret documents, the money and the scandals that overwhelmed the pope”.


Chi è la fonte di Nuzzi, il cosiddetto “corvo”? «Come nel più banale dei racconti gialli, è il maggiordomo, quel Paolo Gabriele che funge da capro espiatorio per una macchinazione ben più complessa», sostiene Dezzani. Notizie “trafugate” sarebbero anche quelle che compaiono sul “Fatto Quotidiano”, utili a dimostrare che lo Ior, gestito da Ettore Gotti Tedeschi, per il giornale di Travaglio «non ha alcuna intenzione di attuare gli impegni assunti in sede europea per aderire agli standard del Comitato per la valutazione di misure contro il riciclaggio di capitali», né di «permettere alle autorità antiriciclaggio vaticane e italiane di guardare cosa è accaduto nei conti dello Ior prima dell’aprile 2011». Gotti Tedeschi, ricorda Dezzani, verrà brutalmente licenziato dallo Ior il 25 maggio, lo stesso giorno dell’arresto del maggiordomo Gabriele, «così da alimentare il sospetto che i “corvi” siano ovunque, anche ai vertici dello Ior, Gotti Tedeschi compreso».


Notizie “trafugate”, infine, sarebbero anche gli stralci pubblicati da Concita De Gregorio su “La Repubblica” e da Ignazio Ingrao su “Panorama” nel febbraio 2013, «estrapolati da un presunto dossier segreto e concernenti una fantomatica “lobby omosessuale in Vaticano”: sarebbe la gravità di questo documento, secondo le ricostruzione della stampa, ad aver convinto Ratzinger alle dimissioni». Si arriva così all’11 febbraio 2013: durante un concistoro per la canonizzazione di alcuni santi, Benedetto XVI, visibilmente affaticato, comunica in latino la clamorosa rinuncia al Soglio Pontificio. «Fu costretto alle dimissioni sotto ricatto? Era effettivamente spaventato?». Ratzinger smentisce nel modo più netto. Di recente ha ribadito che «non si è trattato di una ritirata sotto la pressione degli eventi o di una fuga per l’incapacità di farvi fronte». E ha aggiunto: «Nessuno ha cercato di ricattarmi».


L’11 febbraio 2013, Ratzinger aveva affermato di «non essere più sicuro delle sue forze nell’esercizio del ministero petrino». Lo si può capire: era «fiaccato da tre anni di attacchi mediatici, piegato dallo scandalo “Vatileaks”». Così, l’anziano teologo – 86 anni – ha scelto le dimissioni. Tutto calcolato? «Le disgrazie del “conservatore” Ratzinger ed il massiccio cannoneggiamento che ha indebolito i settori della Chiesa a lui fedeli, spianano così la strada ad un Papa modernista, che attui quella “Primavera cattolica” tanto agognata dall’establishment angloamericano», scrive Dezzani. «Il Conclave del marzo 2013 (durante cui, secondo il giornalista Antonio Socci, si verificano gravi irregolarità che avrebbero potuto e dovuto invalidarne l’esito), sceglie così come vescovo di Roma l’argentino Jorge Mario Bergoglio: primo gesuita a varcare il soglio pontificio, dai trascorsi un po’ ambigui ai tempi della dittatura argentina». Duro il giudizio di Dezzani: «La ricattabilità è un tratto saliente dei burattini atlantici, da Angela Merkel a Matteo Renzi». Inoltre, il nuovo vescovo di Roma «è salutato con gioia dalla massoneria argentina, da quella italiana e dalla potente loggia ebraica del B’nai B’rith, che presenzia al suo insediamento».


Lo stesso Bergoglio è un libero muratore? «Più di un elemento di carattere dottrinario, dal diniego che “Dio sia cattolico” all’ossessivo accento sull’ecumenismo, fanno supporre di sì», sostiene Dezzani. «Ma è soprattutto l’amministrazione democratica di Barack Obama e quella cricca di banchieri liberal ed anglofoni che la sostengono, a rallegrarsi per il nuovo papa». Bergoglio è il pontefice che «attua nel limite del possibile quella “Primavera Cattolica” tanto agognata (matrimoni omosessuali, aborto e contraccezione)». E’ il Papa che «sposa la causa ambientalista», che «fornisce una base ideologica all’immigrazione indiscriminata», che «sdogana Lutero e la riforma protestante». Ancora: è il pontefice che «sostanzialmente tace sulla pulizia etnica in Medio Oriente ai danni dei cristiani per mano di quell’Isis, dietro cui si nascondono quegli stessi poteri (Usa, Gb e Israele) che lo hanno introdotto dentro le Mura Leonine». È anche il primo Papa ad avere l’onore di parlare al Congresso degli Stati Uniti durante la visita del settembre 2015, prodigandosi per «sedare i malumori nel mondo cattolico americano contro la riforma sanitaria Obamacare».


L’ultimo clamoroso intervento di Bergoglio a favore dell’establishment atlantico, continua Dezzani, risale al febbraio 2016, quando il pontefice etichettò come “non cristiana” la politica anti-immigrazione di Donald Trump. Un «incauto intervento», che per Dezzani rivela «il desiderio di sdebitarsi con quel mondo cui il pontefice argentino deve tutto», ma c’era anche «la volontà di mettere al riparo la sua opera di “modernizzazione” della Chiesa». La vittoria di Hillary Clinton, cioè della candidata di George Soros e dell’oligarchia euro-atlantica, «era infatti la conditio sine qua non perché la “Primavera Cattolica” di Bergoglio potesse continuare». Al contrario, «la sua sconfitta ha smantellato quel contesto geopolitico su cui Bergoglio ha edificato la traballante riforma progressista della Chiesa», sostiene sempre Dezzani. «Come François Hollande, come Angela Merkel e come Matteo Renzi, Jorge Mario Bergoglio, benché vescovo di Roma, oggi non è altro che il residuato di un’epoca archiviata». Dezzani lo considera «un figurante senza più copione, fermo sul palco, ammutolito ed estraniato, in attesa che cali il sipario».


«Ultimo sussulto», da parte di Bergoglio, per «blindare la sua opera», il conferimento a tutti i sacerdoti della facoltà di assolvere dal peccato dell’aborto. A ciò si aggiunge «una terza infornata di cardinali (più di un terzo del collegio cardinalizio è ora formato da prelati a lui fedeli), così da imprimere un connotato “liberal” anche al futuro della Chiesa di Roma». Ma, per Dezzani, «è ormai troppo tardi», perché «la ribellione dentro la Chiesa alla sua “Primavera Cattolica” è iniziata». Quattro cardinali hanno di recente sollevato gravi contestazioni al documento “Amoris Laetitiae”, con cui Bergoglio ha chiuso i lavori del Sinodo sulla Famiglia, «contestazioni cui il pontefice non ha ancora risposto».

E soprattutto: «Alla Casa Bianca non c’è più nessuno a proteggerlo. Anzi, c’è un presidente in pectore che, forte del voto della maggioranza dei cattolici americani, ne gradirebbe forse le dimissioni sulla falsariga di Benedetto XVI». Un’analisi buia, estrema e sconcertante. In premessa, Dezzani la definisce “verosimile”. Poi però la sottoscrive senza più incertezze: per Bergoglio, dice, «la fine si avvicina».

fonte Dezzani: Bergoglio scelto dal superclan Usa oggi perdente | LIBRE
 

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diritto.






























lunedì 1 maggio 2017
IL PRIMO MAGGIO DELL'ITAL-TACCHINO [/paste:font]

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1 maggio: i sindacati commemorano le vittime di Portella della Ginestra
Camusso: "I sindacati sono ancora necessari"
1. La "festa del lavoro", anche in ragione delle vicende storiche che, in varie parti del mondo, gli hanno dato vita, è una locuzione abbastanza chiara che non si dovrebbe prestare ad equivoci. Quantomeno, storicamente, rinvia al potere organizzato dei lavoratori di ottenere un orario di lavoro dignitoso (le 8 ore), sottraendolo alle pure leggi del mercato.
Ma, - come abbiamo visto avvenire praticamente su tutti i concetti e i temi della democrazia pluriclasse instauratasi a seguito dell'esito della seconda guerra mondiale e della consapevole ricognizione dei suoi processi causali (si veda il fondamentale intervento di Ruini, in Costituente, proprio in replica a Einaudi) da parte dei vari legislatori del tempo, una festa del lavoro, oggi, appare ideologicamente "obsoleta".
Ed lo è certamente, obsoleta, se si pensa che, certamente dentro l'eurozona, e in tutta l'UE (ma non solo), si parla, in modo assolutamente consolidato, di "mercato del lavoro", e di connesse esigenze "sociali" funzionali ai "bisogni del mercato": sicché la flexicurity viene fatta passare come una forma di attenzione al "sociale", considerandosi le prevalenti esigenze del mercato, imposte dalla globalizzazione istituzionalizzata, come un fenomeno inevitabile e essenzialmente equiparato agli...eventi meterologici. Un fenomeno col quale dobbiamo convivere, per sempre, perché tale è lo stato di "natura".

2. Una redifinizione "nuovista" e modernamente €uropea del 1° maggio, quindi naturalmente-naturalista (laddove appunto la ri-scoperta di leggi naturali sarebbe un segno di progresso in quanto caratterizzata dalla scientificità più rigorosa), basata su questa nuova versione del "sociale" - e Dio sa quanto questo vocabolo sia considerato tatticamente importante da Hayek (qui, primo paragrafo), Einaudi (qui, pp. 8-11), Roepke (qui, p.6) e via dicendo- dovrebbe farlo ridenominare "festa del mercato del lavoro".
E se il mercato si applica al lavoro, a questo si deve naturalisticamente applicare la mera legge della domanda e dell'offerta considerandolo una merce che va acquisita come "fattore della produzione" e, dunque, riducendone il costo in ogni modo possibile e prioritariamente considerato conveniente sul lato dell'offerta.
Considerandosi dunque la prevalenza incondizionata del vincolo sovranazionale, specie in tema di lavoro (dato che per la nostra Corte costituzionale, cfr; qui, p.3, ciò che incide sui "rapporti economici" non ha influenza sui rapporti politici e sociali!), oggi, una €uropeisticamente legittima festa del lavoro, diviene la festa della "competitività" e del supply side.
Senza alcuno spazio per quello che Einaudi - e, insieme con lui, i liberisti fautori del gold standard (qui, pp. 6-9) come soluzione alla crisi seguita alla prima guerra mondiale-, denominava come protezionismo operaio (guerrafondaio di per sè, naturalisticamente parlando).

3. Nel far ciò, Einaudi, (nel 1910!) rendeva esplicitamente conto dell'auspicata connessione tra immigrazione, condizioni di libero mercato del lavoro e, naturalmente, stabilità monetaria (i partiti socialisti ed i sindacati operai dei paesi che chiamansi più evoluti e il cui proletariato si è presa l’abitudine di indicar col nome di cosciente, invocano ogni giorno…l’istituzione di alte barriere contro la concorrenza non più delle merci, bensì degli uomini che potrebbero produrre le merci a basso costo).
E questa connessione trova una straordinaria omogeneità nell'interpretazione del medesimo fenomeno, solo visto dall'angolazione opposta, compiuta da Marchais nel 1981: solo che a quest'ultimo, travolto dall'accusa di "razzismo", secondo un nuovo e curioso concetto, nel frattempo invalso nella neo-lingua della restaurazione ordoliberista, non riuscì di farsi ricordare. Almeno tra coloro che si richiamavano, e si richiamano, alle istanze socialiste e desinistra.

4. Sul punto ci riportiamo ancora alla spiegazione complessiva del fenomeno fatta da Galbraith, (ovviamente anch'essa tacciabile di essere "obsoleta"):
"Il monetarismo...l'effetto di restrizione indotto dagli alti tassi (reali) di interesse sulle spese per beni di consumo e sugli investimenti...aveva funzionato, com'era evidente, producendo una grave crisi economica, un rimedio non meno doloroso del male.
Il "successo" di questa politica negli USA fu il risultato anche di una circostanza affine e poco prevista dagli economisti:...l'eccezionale vulnerabilità della moderna società industriale ad una combinazione di politica monetaria restrittiva, degli alti tassi di interesse, e dei risultanti tassi di scambio avversi (ndr: cioè una moneta troppo forte..cosa che ci riporta gli attuali giorni dell'euro).
Che la disoccupazione - indotta dalla politica monearista e da alti tassi di interesse- diminuisse il potere di contrattazione dei sindacati non era affatto sorprendente.
L'economia ortodossa accettava che la disoccupazione avesse l'effetto di condurre a diminuzioni di salari; era in tal modo che si conseguiva la piena occupazione neo-classica. Il sindacato era una forza che si opponeva a questo assestamento; se la disoccupazione era abbastanza grave, il sindacato doveva cedere
".
...
"Risultò però imprevisto l'effetto sulle imprese. Nelle industrie dell'acciaio, dell'automobile, della macchine utensili, delle attività estrattive, nelle linee aeree ...l'effetto complessivo di quella politica, compresa la concorrenza straniera, condusse ad una riduzione delle vendite, determinò un'estesa inattività degli impianti e minacciò il fallimento e la cessazione delle attività.
In questa situazione i sindacati furono costretti non solo a dimenticarsi degli aumenti salariali ma anche a contrattare su riduzioni dei salari stessi e delle forme di assistenza.
Pur potendo ignorare in qualche misura le sfortune dei lavoratori disoccupati - la maggioranza era ancora occupata e aveva ancora una voce in capitolo decisiva-, non potevano i sindacati ignorare la minaccia della disoccupazione per tutti i lavoratori, minaccia che si sarebbe potuta concretizzare se uno stabilimento o un'intera industria avessero dovuto chiudere.
E quella divenne una prospettiva verosimile all'inizio del 1980 in un certo numero di industrie pesanti americane.
In precedenza non ci si era resi conto che un'azione forte del sindacato richiedeva una posizione forte dell'imprenditore. L'indebolimento della posizione di quest'ultimo determinava un grave indebolimento anche del sindacato
...".


5. Siccome non è mia intenzione fare un trattato e ripetere cose che, come attestano i links finora immessi (e quelli a loro volta contenuti nei posti linkati), abbiamo detto molte volte, vorrei però sottolineare la valenza italiana che assume oggi la festa del lavoro, derubricata, in chiave di supremazia del vincolo €uropeo, a "festa supply side del mercato del lavoro perfettamente flessibile & della competitività" (ovvero "del vincolo esterno").
La questione è presto detta: dal momento in cui la stabilità monetaria, la liberalizzazione dei capitali, della forza lavoro e delle merci, con la perfetta flessibilità del prezzo del lavoro (cioè l'ordine internazionale del mercato pp. 3-4), divengono la cornice politico-istituzionale priva di alternative (l'alternativa della legalità costituzionale è infatti "obsoleta", inefficiente e comunque assoggettabile a illimitata abrogabilità di fatto da parte delle regole €uropee), occorre rammentare che:
"Nulla più della globalizzazione istituzionalizzata indulge a rilevare gli effetti del "vincolo esterno", cioè dell'indebitamento commerciale (e quindi privato) con l'estero dei vari paesi. E a trarne le conseguenze in termini di politiche che si impongono sui singoli Stati nazionali: politiche, a loro volta, riflesso automatico e condizionale delle regole precostituite nei trattati e per l'azione delle istituzioni organizzate che essi prevedono".


6. Altro che festa del lavoro dunque: la "festa supply side del mercato del lavoro perfettamente flessibile&della competitività" è il punto culminante di questa sequenza vincolistica €uroprogrammatica (p.6):
- instaurazione dell'area di libero scambio
- adozione di una moneta unica
- innesco degli squilibri commerciali
- stato di necessità insito nella privazione della moneta nazionale (come tale sovrana e democratica)
- accesso all'unica via di uscita delle riforme strutturali incentrate sulla precarizzazione e flessibilizzazione del lavoro
- loro recepimento sanzionato dalla mancata concessione della liquidità necessaria per far fronte al debito verso i paesi creditori dell'area.
7. Il fatto è che gli italiani, - in modo diffuso, e dunque anche, e inammissibilmente, in una parte consistente della classe lavoratrice-, "sono nel loro complesso fortemente patrimonializzati, rispetto allo standard considerato ammissibile dal paradigma ordoliberista (almeno per un paese "inferiore", in quanto "porco", che non fa mai abbastanza le "riforme").
Sempre rammentanto che il sistema €-ordoliberista delle "riforme" è uno strumento strategico per instaurare il modello socio-economico che piace a Wall Street, per i motivi molto ben indicati da Bazaar in due commenti in successione. Tanto più che, come evidenziava De Grauwe, tale ricchezza è anche meglio distribuita che negli altri grandi Stati dell'eurozona, cioè appartiene a tanti, invece che a pochi (brutti italiani, cattivi, che se la godono senza meritarselo!).
Un difetto non da poco agli occhi degli ordoliberisti tedeschi e loro organi €-satellitari e che, come al tempo delle guerre delle cannoniere, un egemone colonialista, non può tollerare (e, infatti, la Cina, paese più ricco del mondo, sul finire degli anni '30 dell'800, se ne accorse a sue spese)".
Ergo: occorre, con ogni mezzo, porre gli italiani nella condizione di DOVERSI indebitare (preferibilmente verso creditori esteri) e di essere "vincolati" a "realizzare" la loro garanzia patrimoniale, così ghiotta, escogitando una serie di meccanismi collegati per renderli insolventi (cioè incapaci di ripagare il debito con i loro redditi).

Lo schema funziona così: fingendo strumentalmente di voler individuare nel debito pubblico la causa della crisi economica (specifica dell'area euro), si era arrivati, in realtà, a una prima spennatura: in nome degli spread, propinando che il debito pubblico italiano, nel 2011, fosse insostenibile, quando ciò non era vero, come ben sapevano gli stessi ideatori di questo primo attacco.
L'effetto-Monti (che trova però ampi antecedenti nelle manovre a raffica di Tremonti e un seguito nella coerenza dei governi sucessivi, fino ad oggi), ha, ad una prima "lettura", portato alla distruzione della domanda interna per correggere gli squilibri dei conti con l'estero, mentre si è comunque finanziato allegramente il meccanismo dei fondi europei (ESFS e ESM), a effetto cumulativo di indebitamento pubblico italiano pro-domo dei sistemi bancari di Germania e Francia".


8. Mai come su questa "edizione" della "festa supply side del mercato del lavoro perfettamente flessibile & della competitività" incombe un "arifate presto" di dimensioni fiscali magnificate (in senso percettivo-quantitativo e anche "enfatico) e, ove effettivamente realizzato, a carattere "finale".
Ce lo dice chiaramente il DEF, a pag.5, nella sua parte effettivamente rilevante: quella che quantifica la misura del consolidamento fiscale (dichiaratamente orientato più alla nuova spending review che alla maggior imposizione fiscale, limitata, parrebbe, a misure di contrasto dell'evasione e di ampliamento della base imponibile mediante riduzione di detrazioni e deduzioni fiscali...trattasi, in quest'ultimo caso di "illusione finanziaria", ma transeat...).

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9. Un punto di PIL all'anno di consolidamento fiscale per i prossimi due anni, dunque, non ce lo toglie nessuno.
Basta confrontare l'ammontare del crescente avanzo primario che viene garantito (all'€uropa) dal DEF, da attestare in prossimità del 3% del PIL già nel prossimo anno, per salire verso il 4% nei due anni successivi.
Ora questa misura di intervento fiscale, certamente gradito all'€uropa che lo richiede (anche più drasticamente e rapidamente), risulterà inevitabilmente deflazionista e orientata a far aumentare ancora la disoccupazione/sottoccupazione e, di conseguenza, l'insolvenza di famiglie e imprese.


10. Dunque, mai come in questo 1° maggio, - ancor più che in quello che seguì l'estate del 2011 (dati i livelli di partenza del reddito e della disoccupazione)-, la prospettiva è quella della realizzazione della garanzia patrimoniale collettiva, e privata, delle famiglie dei lavoratori.
Di questo scenario incombente, dei suoi effetti macroeconomici e occupazionali effettivi, non si parla oggi, 1° maggio 2017. Si parla di tutt'altro.
Chissà perché.
Certamente non ne parlano i sindacati che, pure, oggi più che mai, dovrebbero essere in allarme rosso, cioè letteralmente "non dormirci la notte", per le prospettive che la presenza italiana nell'eurozona (col suo cumulo di obblighi incessanti), proietta sul "mercato del lavoro".
Festeggiamo invece la "competitività" e l'apertura illimitata del mercato del lavoro: non sia mai che si sia protezionisti, confondendo tale non univoco concetto col vincolo esterno, artificialmente imposto in via istituzionale dai trattati €uropei...

Pubblicato da Quarantotto a 15:30 21 commenti: Link a questo post
 

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Abbattiamo la Frode Bancaria e il Signoraggio
· 8 h ·


L’ESSENZA DEL PIANO KALERGI

Nel suo libro «Praktischer Idealismus», Kalergi dichiara che gli abitanti dei futuri “Stati Uniti d’Europa” non saranno i popoli originali del Vecchio continente, bensì una sorta di subumanità resa bestiale dalla mescolanza razziale.

Egli afferma senza mezzi termini che è necessario incrociare i popoli europei con razze asiatiche e di colore, per creare un gregge multietnico senza qualità e facilmente dominabile dall’elite al potere. «L’uomo del ...futuro sarà di sangue misto.

La razza futura eurasiatica-negroide, estremamente simile agli antichi egiziani, sostituirà la molteplicità dei popoli, con una molteplicità di personalità».

Kalergi, Praktischer Idealismus [nbnote] Ecco come Gerd Honsik descrive l’essenza del Piano Kalergi

Kalergi proclama l’abolizione del diritto di autodeterminazione dei popoli e, successivamente, l’eliminazione delle nazioni per mezzo dei movimenti etnici separatisti o l’immigrazione allogena di massa.

Affinchè l’Europa sia dominabile dall‘elite, pretende di trasformare i popoli omogenei in una razza mescolata di bianchi, negri e asiatici. A questi meticci egli attribuisce crudeltà, infedeltà e altre caratteristiche che, secondo lui, devono essere create coscientemente perché sono indispensabili per conseguire la superiorità dell‘elite.

Eliminando per prima la democrazia, ossia il governo del popolo, e poi il popolo medesimo attraverso la mescolanza razziale, la razza bianca deve essere sostituita da una razza meticcia facilmente dominabile.

Abolendo il principio dell’uguaglianza di tutti davanti alla legge e evitando qualunque critica alle minoranze con leggi straordinarie che le proteggano, si riuscirà a reprimere la massa. I politici del suo tempo diedero ascolto a Kalergi, le potenze occidentali si basarono sul suo piano e le banche, la stampa e i servizi segreti americani finanziarono i suoi progetti.

I capi della politica europea sanno bene che è lui l’autore di questa Europa che si dirige a Bruxelles e a Maastricht. Kalergi, sconosciuto all’opinione pubblica, nelle classi di storia e tra i deputati è considerato come il padre di Maastricht e del multiculturalismo.

La novità del suo piano non è che accetta il genocidio come mezzo per raggiungere il potere, ma che pretende creare dei subumani, i quali grazie alle loro caratteristiche negative come l’incapacità e l’instabilità, garantiscano la tolleranza e l’accettazione di quella “razza nobile”.

Altro...


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Soros (2010): la Germania DEVE evitare di uscire dall’euro. Ossia contraddice Renzi ed il PD facendo affondare l’Italia: sono loro i traditori?



Avevo detto…

Ma prima di concludere su SE voglio fare una piccola ed ultima nota postuma, intesa come deroga, condensando in un articolo tutta la verità presentata in questi anni. Ossia voglio porvi una domanda: il PD e Enrico Letta+Matteo Renzi in particolare hanno tradito l’Italia, gli Italiani ed i loro interessi facendo invece gli interessi tedeschi? Nota: Su Monti la domanda non la pongo nemmeno

Si, perchè le parole pronunciate da Geroge Soros in tempi non sospetti, ossia nel 2010 GUARDA CASO prima del golpe contro l’Italia innescato dal rifiuto di Berlusconi di accettare la Troika in Italia (e fece bene! Erano Francia e Germania che dovevano ricevere la Troika per salvare le loro banche ai tempi, non l’Italia), ovvero all’apice della crisi subprime quando le banche di mezza Europa MA NON QUELLE ITALIANE stavano morendo come mosche, indicano senza se e senza ma che è la Germania a guadagnarci dall’EUro. Parola di George Soros.


Ecco la stroncatura di George Soros ad una certa politica economica tedesca, in base a quanto emerso al New York Review of Books (2010). Esiste infatti una corrente di pensiero secondo cui la Germania sarebbe in una situazione migliore se abbandonasse l’euro introducendo nuovamente il Deutsche Mark, come sembra che tanti cittadini tedeschi vorrebbero.

Ecco cosa accadrebbe:

Il Deutschmark salirebbe moltissimo e l’euro crollerebbe. Ciò contribuirebbe effettivamente al processo di adattamento degli altri paesi EU (prima di tutto l’Italia, ndr), ma parimenti la Germania scoprirebbe a sue spese quanto sia doloroso avere una moneta sopravalutata. La sua bilancia commerciale diventerebbe negativa e ci sarebbe una disoccupazione diffusa. Le banche tedesche subirebbero gravi perdite sui cambi e richiederebbero grandi iniezioni di fondi pubblici. Ma per il governo sarebbe comunque una scelta politicamente più accettabilesalvare le banche tedesche rispetto a quanto accaduto in Grecia o Spagna. Ci sarebbero però compensazioni: i pensionati potrebbero andare in pensione in Spagna e vivere come re, aiutando l’immobiliare spagnolo a recuperare.

George Soros (2010)

Viceversa sappiamo ormai che all’Italia conveniva e conviene uscirne per gli stessi motivi indicati da Soros, materializzando così il rischio mortale per il benessere germanico legato alla rottura dell’Euro: infatti in tale caso se da una parte la Germania vedrebbe il suo PIL, la sua esportazione ed il suo benessere crollare dall’altra all’Italia accadrebbe il perfetto contrario.

E su questo non ci sono più dubbi: lo dice Soros nell’articolo citato ossia l’intoccabile della finanza necoclintoniana mondiale oggi a supporto di Berlino, Parigi e del PD italico. Ovvero i simboli del globalismo più spietato a vantaggio dello 0,1% della popolazione, che invece sta diventando povera per causa loro.

Dunque, cartesiano, possiamo dire che il PD (e Renzi) in particolare ha (hanno) fatto l’interesse tedesco non combattendo la deriva depressiva correlata alla permanenza nell’euro dell’Italia. Ripeto, lo dice SOROS!

Italiani, dovete saperlo: il PD vi ha fregati sapendo di fregarvi, il sodale finanziere del Vostro partito democratico – parlo del finanziere ebreo-ungherese – disse che era assolutamente imprescindibile per la Germania mantenere l’euro – a tutti i costi – ed i politici nostrani, PD in testa, invece di fare l’interesse nazionale hanno di fatto contribuito a fare gli interessi stranieri. Della serie, invece di picchiare sul ventre molle tedesco minacciando l’uscita dall’euro per ottenere ad esempio la cancellazione del Fiscal Compact e delle rigidità di Masstricht hanno barattato uno stipendio e delle cariche personali con il crollo del benessere nazionale!



Questo articolo di Business Insider USA lo dimostra più di mille parole! (testata giornalistica germano-americana da non confondere con Business Insider Italia che invece è edita in Italia a cura del Gruppo Espresso legata a filo doppio col PD, soprattutto dopo l’acquisizione del Gruppo Business Insider globale da parte dei tedeschi di Axel Springer, nel 2015). A conseguenza di ciò capiamo ora il vero sognificato delle parole della rassegna stampa del PD del 2012 che riportava come Goldman Sachs votasse PD: plastica dimostrazione, di più, tragico epitaffio.

A proposito: sapete perchè Renzi vuole votare prima della finanziaria di fine anno? Perchè NON ha nessuna intenzione di evitare le tasse agli italiani, lui pensa solo alla sua carriera e sa benissimo che se passa la finanziaria lacrime e sangue che l’EUropa richiede col cavolo che verrà rieletto! VI ABBIAMO AVVERTITI!

In fondo lo scopo di questo pezzo, oltre a mettere la parola fine alla mia attività di autore vistoilcoima da caccia alle streghe/fake news, è soprattutto di ricordare i nomi di chi ha perpetrato il misfatto italico del III. millennio. Prima di tutto Mario Monti, poi Enrico Letta e Matteo Renzi, unitamente alle forze politiche aggregate attorno al PD. E lo dico senza partigianeria alcuna, da oggi smetterò addirittura di votare nelle elezioni politiche italiane visto che non vivo in Italia non ha senso che io partecipi a cotanto scempio. Magari mi limiterò alla scheda annullata, evitando accuratamente la scheda bianca in modo che non venga utilizzata abusivamente nelle more del voto postale a cui devo attenermi.

Dovete conoscere la verità: passato qualche anno dovrete giustificare ai vostri figli il perchè della loro indigenza. Questo vi servirà per provare a chi bisognerà dare la colpa se i vostri figli vivranno da servi. Glielo dovete, o almeno così io ritengo.

MD
 

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Forumer storico
economici.itil mondo visto da un'altra angolazione
Euro crisis maggio 4, 2017 posted by Maurizio Gustinicchi
DIBATTITO TV FRANCESE, MLP: “CMQ VADA DA DOMENICA LA FRANCIA AVRA’ UN PRESIDENTE DONNA, O ME O LA MERKEL”

Gioco, set, partita!


Cosi’ chiude il dibattito televisivo con Macron una Le Pen incalzante; gatto che gioca col topolino intento a difendere la UE al punto da chiedere con forza ulteriori cessioni di sovranita’ :


cessione che auspica chiaramente al fine di salvare l’Euro:



Ci tiene cosi’ tanto da inventarsi fantomatici prezzi da pagare in caso di uscita dall’eurozona:



avete presente quei film in cui un immamorato deve riscattare la prostituta dal suo protettore? Ecco, la Francia, come l’Italia, e’ a questo livello!

Poco importa a Macron che il deficit commerciale del paese sia a livelli pazzeschi….



per lui basta:

– tagliare i salari dei lavoratori per recuperare competitivita’,

– abbassare le pensioni spedendo i cittadini al riposo quando oramai saranno cadaverici;

– licenziare numerosi dipendenti pubblici,

e che disoccupazione e poverta’ stiano facendo regredire la popolazione a livelli sconosciuti nei 50 anni precedenti poco gli interessa:



e



a questo psicopatico interessa solo TRASFORMARE LA FRANCIA DA NAZIONE A SEMPLICE “SPAZIO” in cui far transitare merci poco costose e far lavorare schiavi (disposti ad impieghi con prezzi inferiori a quelli cinesi) al servizio delle corporations e dei mercati finanziari:



Speriamo che il Lógos lavori bene in questi pochi giorni!

Ad maiora.
 

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RIFORME DELL'EUROZONA E "MINIRIFORMA" DELLE REGOLE DI BILANCIO: IL WISHFUL THINKING NELL'ERA DEL NEO-GOLD STANDARD [/paste:font]


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1. Questo post intende istituire qualche connessione tra il materiale che, peraltro relativamente ad argomenti già di per sé collegati, è disseminato in diversi post e commenti (dato che l'apporto di taluni di voi, ormai ben "noti" agli utenti, si rivela quello di un gruppo di ricerca scientifica di ottimo livello).

Non mi occuperò, stavolta, di destra e sinistra - da intendere in senso economico, perché altrimenti si tratta di una perdita di senso a fini cosmetici, convenienti al consolidamento delle oligarchie finanziarie e del grande capitale.
Né mi occuperò di fascismo e capitalismo, secondo una correlazione che, anch'essa, si ha interesse ad offuscare per costruire una para-narrazione pseudo-storica il cui effetto principale (voluto o meno che sia dai vari "autori") è il "negazionismo" proprio di questa chiara correlazione.

2. Mi occuperò, invece, di una problema di comprensione generale di aspetti economico-monetari, e fiscal-finanziari, che si collegano direttamente al problema istituzionale: cioè all'aspetto delle norme e forme organizzative che caratterizzano un certo ordinamento in un processo conformativo a cascata.
In altri termini, esiste un livello costituzionale, formale o de facto, che, secondo un principio gerarchico inerente alle norme giuridiche, conforma l'assetto sociale (più esattamente: predetermina, in modo vincolante, l'indirizzo politico e quindi predetermina in modo consequenziale il contenuto della regolazione attuativa promanante dal potere legislativo). Questo livello costituzionale ad effetto conformativo dell'opera del legislatore, può essere o meno corrispondente a quello "formale" (cioè corrispondente alla Costituzione del 1948 ed alla sua proclamazione della sovranità appartenente al popolo): se non lo fosse, tuttavia, esso opera lo stesso, almeno fino a che non intervenga una presa di posizione, costituzionalmente in realtà dovuta, degli organi di garanzia della legalità costituzionale.

3. In una prospettiva storica, (se e solo se) sufficientemente arricchita da conoscenze di economia e di diritto, il problema generale monetario e politico-fiscale che tratteggeremo, rende in realtà ben più agevole compiere una corretta analisi su "sinistra-destra", in senso economico, e "fascismo-capitalismo", in modo da poter sgombrare il campo da letture storiche che, - basate su ideologie contigenti (e in "nome del nuovo"), più o meno dichiarate, nonché su epifenomeni assunti come significativi, magari anche "statisticamente", ma senza avere un quadro fenomenologico di riferimento-, finiscono per essere scarsamente attendibili per la ricostruzione del tempo passato.

4. Partiamo da un assunto che scontato non è, eppure dovrebbe esserlo.
Per i paesi appartenenti all'unione monetaria €uropea, l'euro funziona come il gold standard.
La conclusione dovrebbe essere scontata perché, non solo ne hanno parlato, anzitutto in Italia, e poi a livello internazionale, economisti accreditati che analizzano l'attuale dinamica del paradigma economico-istituzionale dell'eurozona , ma tale funzionalità (isomorfa) è stata predicata dagli stessi ideatori e propugnatori della moneta unica, e proprio come una funzionalità tendenziale positiva (basti ricordare la sintesi di Ann Pettifor, che ricalca quanto anche esposto in "La Costituzione nella palude" circa la genesi della moneta unica, poi trasposta inalterata nella sua attuale e perdurante configurazione: "Entrambe le proposte – il Rapporto Werner e il Rapporto Delors – replicavano l’architettura finanziaria del gold standard del diciannovesimo secolo") .

5. In termini di effetti pratici, al netto delle differenti soluzioni istituzional-regolatorie rispetto al gold standard, si verifica questo: in assenza di un sistema fiscale di trasferimenti federali, l'eurozona riproduce il medesimo intenzionale assetto, - incentrato sulla priorità assoluta della stabilità della moneta perseguibile solo attraverso l'aggiustamento sui prezzi interni, e principalmente sul livello salariale-, ben descritto da Draghi e mirato a correggere le posizioni di indebitamento estero (tra paesi dell'eurozona stessa), che sono conseguenza delle inevitabili differenze di competitività interne all'area.
A rafforzamento di ciò si può agevolmente rilevare, quanto alla preventiva accettazione di tali asimmetrie, (ideologicamente ordoliberista e dunque "libero mercatista istituzionale") che nei trattati si sono tralasciati, o regolati in modo vago ed elastico, profili come la stretta convergenza delle legislazioni tributarie e del lavoro; per contro, è espresso in modo lapidario il divieto, ritenuto fondamentale, della solidarietà fiscale intra-area.
Dunque, l'assetto normativo dei trattati è obiettivamente mirato a incentivare l'esclusività di tale meccanismo di aggiustamento esattamente come il gold standard.

6. Dubitare della intenzionale coerenza di questo assetto rispetto alla sua finalità di equivalenza (nell'essenza fondamentale) al gold-standard, non ha alcun senso storico-economico e tantomeno giuridico-interpretativo.
In effetti questa intenzionalità ce la confermano:
6.1. Werner (cit. dalla Pettifor, fin dal 1962)
6.2. Carli (che ne fa, nelle sue memorie, una cronistoria riassuntiva a partire dagli anni '60);

6.3. Einaudi, che indica, già dal 1944, gli esatti contorni della moneta unica come avente la stessa funzionalità del gold standard ai fini del sistema privilegiato di "aggiustamento" (in "I problemi economici della federazione europea" ora in in "La guerra e l'unità economica" del 1950). Egli riteneva: "Il vantaggio del sistema [di una moneta unica europea] non sarebbe solo di conteggio e di comodità nei pagamenti e nelle transazioni interstatali. Per quanto altissimo, il vantaggio sarebbe piccolo in confronto di un altro, di pregio di gran lunga superiore, che è l’abolizione della sovranità dei singoli stati in materia monetaria" (pagg. 81-82). Einaudi, poi, specifica inequivocabilmente la sua visione, fino a preconizzare qualcosa di simile ad un QE "mirato" o ad un "whaterver it takes", cioè l'outright monetary transaction del 2012 (pag.85): "...cadono talune riserve le quali sono messe innanzi da un gruppo di teorici, particolarmente inglesi, di cui il più noto e rappresentativo è Lord Keynes, e che qui non è il luogo di discutere particolareggiatamente.
Riassumendo, dicono costoro che ad un singolo stato può convenire in dati momenti, particolarmente di crisi, svalutare l'unità monetaria (cambi esteri variabili) e tenere fermi i prezzi all'interno, piuttosto che tener ferma l’unità monetaria (cambi esteri costanti) e lasciare ribassare i prezzi all'nterno.
Si dice che il primo metodo è più dolce e blando dell’altro, perchè non ribassando i prezzi nominali all’interno non occorre ribassare i salari nominali in moneta. Nulla cambia alla sostanza delle cose, trattandosi solo di differenti metodi di ovviare o di limitare i danni delle crisi. Come bene afferma il Robbins, non occorre che i federalisti prendano posizione in tale delicata e diffìcile materia. Se, come si deve, spetterà all’autorità federale di regolare la materia monetaria, l’autorità medesima potrà, in casi particolarmente gravi, deliberare di fare emissioni particolari di biglietti circolanti o di allargare le aperture di credito da parte della Banca centrale di emissione solo nel paese dove cotal metodo di cura apparisse conveniente e potrà in tal caso stabilire saggi particolari di cambio fra i biglietti la cui circolazione sia ristretta ad un solo stato ed i biglietti aventi circolazione federale. Ma si ricorda la riserva quasi solo per memoria, essendo praticamente certo che in un grande stato federale quel metodo di cura delle crisi apparirà senz’altro sconsigliabile di fronte ad altri più efficaci, e che le crisi medesime saranno meno gravi di quel che siano in un mondo spezzettato ed irto di gelosie internazionali
.”;

6.4. Erhard, economista tedesco, ministro dell'economia dal 1949 al 1963 e poi cancelliere dal 1963 al 1966, il cui pensiero economico è esposto, sempre da Einaudi, nelle "Prediche inutili" del 1959 (pagg. 296 ss.), con questa sintesi della sua visione monetaria:
“La stabilità della moneta non vive da sé. Viga il sistema aureo o quello della moneta regolata, affinché ad esempio il principio del mercato comune europeo duri, occorre (p. 172), come in passato per il regime aureo, non ricchezza o forza, ma solo la modesta nozione che né uno stato né un popolo possono vivere al disopra delle «proprie condizioni".

6.5. Infine, Hayek nel suo notissimo “The Economic Conditions of Interstate Federalism,” (New Commonwealth Quarterly, V, No.2 (September, 1939), ristampato in F. A Hayek, Individualism and Economic Order, Chicago, Chicago Press University, 1948, pp. 255–72):
“E' anche chiaro che gli stati dell'unione non saranno più in grado di perseguire una politica monetaria indipendente. Con una moneta unica, l'autonomia delle banche centrali nazionali sarà ristretta almeno quanto lo era sotto un rigido gold standarde forse anche di più dal momento che, anche sotto il tradizionale gold standard, le fluttuazioni dei cambi tra paesi erano più ampie di quelle fra diverse parti di uno Stato o di quanto sarebbe comunque desiderabile consentire nell'unione.”

7. L'essenza fenomenologica del gold standard, a funzionalità equipollente all'euro quanto alle policies di aggiustamento praticabili senza alternative dagli Stati, viene ben descritta, sul piano storico-politico, da Eichengreen (p.17.1) in
Globalizing Capital (Princeton University Press, New Jersey, 2008, pag. 2):
"Ciò che era critico per il mantenimento di cambi fissi,.., era la protezione dei governi dalla pressione di dover sacrificare la stabilità dei cambi ad altri obiettivi. Vigendo il gold standard ottocentesco, la scaturigine di questa protezione era l'isolamento delle politiche di cambio dalle politiche interne.
La pressione portata sui governi del XX° secolo a subordinare la stabilità della valuta ad altri obiettivi non costituì una caratteristica del mondo ottocentesco.
A causa della limitazione del suffragio, i lavoratori comuni che maggiormente soffrivano la durezza dei tempi, avevano scarse possibilità di obiettare agli aumenti dei tassi di interesse decisi dalle banche centrali per difendere i cambi fissi. Né i sindacati nè i partiti che potessero rappresentare i lavoratori nei parlamenti, si erano sviluppati al punto che i lavoratori potessero insistere nel rivendicare che la difesa del cambio potesse essere temperata dal perseguimento di un adeguato livello di occupazione.

[ndr; agli effetti pratici, questa difesa democratica della classe lavoratrice dagli effetti del vincolo monetario, è esattamente ciò che "il manifesto" indica come i "sezionalismi" guerrafondai (?) da combattere, attribuendo al conflitto sociale il ruolo di uno scontro periferico rispetto ad un indefinito e, a questo punto misterioso, interesse generale, perseguibile solo da parte del solido stato internazionale!]
La priorità attribuita dalle banche centrali alla difesa dei tassi fissi (ndr; siano essi conseguenza del gold standard ovvero, come oggi in €uropa, di una moneta unica), rimaneva fondamentalmente incontestabile. I governi erano perciò liberi di difendere il mantenimento dei cambi fissi intraprendendo qualunque passo fosse ritenuto necessario.


8. Ma anche Carli (sempre in "Cinquant’anni di vita italiana", 1996 [1993], pag. 187) ci dà un'illuminante descrizione dell'effetto squisitamente "sociale" del gold standard, incontrovertibilmente, abbiamo visto, alla base del concepimento €uropeo della moneta unica (ed infatti Carli fa riferimento proprio alle "uscite" di Werner, del 1965, riportate da Ann Pettifor, sopra citata, ed altri, in particolare Rueff, consigliere economico di De Gaulle, favorevoli alla moneta unica come sistema opportunamente aggiornato di gold standard):
"Nelle Considerazioni finali pronunciate nel maggio del 1965 avevo dato ampio spazio alle implicazioni sociali della scelta di un sistema monetario piuttosto che di un altro.
E mi riferivo a Rueff quando scrivevo:
L’argine contro il dilagare del potere d’acquisto che movendo dagli Stati Uniti minaccia di sommergere l’Europa, si continua a sostenere, potrebbe essere innalzato esclusivamente mediante il ripristino del gold standard. In realtà, concezioni del genere incontravano, un tempo, un coerente completamento nelle enunciazioni che attribuivano al meccanismo concorrenziale il compito di realizzare, mediante congrui adattamenti dei livelli salariali, il riequilibrio dei conti con l’estero.
Insomma, il ritorno alla convertibilità aurea generalizzata implicava governi autoritari, società costituite di plebi poverissime e poco istruite, desiderose solo di cibo, nelle quali la classe dirigente non stenta ad imporre riduzioni dei salari reali, a provocare scientemente disoccupazione, a ridurre lo sviluppo dell’economia."



9. Ora questa equipollenza funzionale, sub specie di vincolatività senza alternative del visto sistema di "aggiustamento", sta provocando gli effetti economici e politico-sociali indicati da Carli e Eichengreen (e "auspicati" da Einaudi, Hayek e Werner). E può permettersi di farlo grazie a una forte suggestione etico-ideale che appare offuscare, nell'opinione pubblica, la vera funzione e finalità socio-economica dell'euro.
Quest'ultimo, appunto, viene eticamente promosso per il suo valore "simbolico" di un'indimostrata capacità di unire e di condurre alla pace nel continente europeo: dice sempre Ann Pettifor, cit.:
"Tale valuta – l’euro – non solo funge da riserva di valore e facilita le transazioni finanziarie attraverso i confini nazionali – essa agisce anche come un potente simbolo dell’unità europea. Così oltre a servire gli interessi dei banchieri del Lussemburgo e dei finanzieri europei, l’euro è stato in parte creato e pesantemente venduto ai cittadini, come un presunto modo e simbolo di unione per l’Europa e gli europei. Come l’oro sotto il gold standard, la moneta ha acquisito lo status di un feticcio per molti, sia tra le élite europee a Bruxelles e a Francoforte, ma anche tra quelle nei paesi periferici").
Non a caso, per agevolare questa irenica visione simbolica, e dissimulare la stretta analogia col gold standard, un "memo" datato 11 giugno 1965 (anno in cui si esprimono nel modo già visto sia Werner che Roueff) del Segretariato di Stato americano, (come riporta Evans Pritchard sul Telegraph di aprile 2016, riferendoci del materiale di archivio desecretato), dà istruzioni al vice-presidente della Commissione europea di perseguire l'unione monetaria by stealth, cioè in modo non avvertito, sopprimendo il dibattito pubblico fino a che "l'adozione di una tale proposta non divenga virtualmente indiscutibile".

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RIFORME DELL'EUROZONA E "MINIRIFORMA" DELLE REGOLE DI BILANCIO: IL

10. Che l'euro avesse la finalità sostanziale di determinare gli effetti monetari e sociali (neo-gerarchici) del gold standard, dunque, non è per forza deducibile dalle, pur numerose (e scientificamente rilevanti), critiche degli avversatori dell'euro: basta fondarsi sugli atti istituzionali dei governi dell'eurozona che, in via ufficiale intendono mantenerlo e non contestarne la validità ma, nondimeno, si trovano sempre di più davanti al dilagante problema socio-politico determinato dall'aggiustamento salariale, cioè dall'obbligata "svalutazione interna" (e non "esterna", del cambio flessibile, ormai preclusa...irreversibilmente).
Prendiamo ad esempio quanto contenuto nell'ultimo Def approvato lo scorso mese di aprile.


11. Che la "provocata disoccupazione" e la "riduzione dello sviluppo dell'economia", per usare la medesima terminologia di Carli su questo tema, siano una preoccupazione politica ormai prioritaria, lo attesta questo paragrafo del Def:
"La necessaria riforma dell’Unione europea
Il Governo italiano ritiene prioritario continuare a promuovere la propria strategia di riforma delle istituzioni europee. È necessaria una nuova governance che, accanto all’integrazione monetaria e finanziaria, dovrà ripartire dalla centralità della crescita economica, dell’occupazione e dell’inclusione sociale, introducendo strumenti di condivisione dei rischi tra i Paesi membri, accanto a quelli di riduzione dei rischi associati a ciascuno di essi. Una crescente condivisione dei rischi aumenta la capacità di aggiustamento e la flessibilità degli Stati membri agli choc, contribuendo a ridurre i rischi specifici degli stessi. La nuova governance dell’area dovrà incentivare politiche di bilancio favorevoli alla crescita, migliorandone anche la distribuzione tra gli Stati membri.

L’Europa dovrà dotarsi di meccanismi condivisi in grado di alleviare i costi delle riallocazioni del fattore lavoro e delle crisi che colpiscano un comparto o un territorio; uno strumento comune di stabilizzazione macroeconomica consentirà anche ai Paesi soggetti a vincoli di bilancio stringenti di adottare politiche anticicliche, facendo fronte all’aumento del tasso di disoccupazione in caso di choc asimmetrici. La maggiore condivisione dei rischi tra i Paesi non ridurrebbe gli incentivi all’adozione delle riforme nazionali. Invece, la mancata condivisione degli sforzi per far fronte a nuove sfide comuni rischia di mettere a repentaglio beni pubblici europei essenziali per il processo d’integrazione".


12. E' evidente che il riferimento alla riforma, o "nuova governance", consistente nel dotarsi di "meccanismi condivisi in grado di alleviare i costi delle riallocazioni del fattore lavoro e delle crisi che colpiscano un comparto o un territorio", e nello "strumento comune di stabilizzazione macroeconomica", si riferisce alla funzionalità gold standard dell'euro, cioè ai costi sociali, sulla crescita e (conseguentemente) di consenso politico che derivano dal divieto normativo di solidarietà fiscale (e tra Stati: cfr; artt. 123, 124 e 125 TFUE), posto deliberatamente nei trattati, che prelude alla vincolatività del sistema di aggiustamento manutentivo dell'euro a carico dell'occupazione e dei livelli salariali.
Un divieto, oltre che esplicito (e non se ne parla mai abbastanza) considerato peraltro, esplicitamente, essenziale, cioè come presupposto decisivo della stessa adesione ai trattati dei paesi principali, come confermato da plurime indicazioni delle istituzioni UE nel corso del tempo.
Esemplifichiamo (ex multis):
12.1.) Risoluzione sull'Unione Economica e Monetaria (doc. A 3-99/90) il Parlamento Europeo:

“A) considerando che l'Unione: economica e monetaria costituisce un obiettivo della Comunità dichiarato reiterato dal 1969 fino al suo inserimento nel Trattato CEE mediante l'Atto Unico ed esplicitamente ribadito dai Consigli europei di Hannover, Madrid e Strasburgo,

B) considerando che un'armonica realizzazione di tale obiettivo è strettamente legata a un'accelerazione dell'Unione politica della Comunità, con una revisione dei trattati che determini un rafforzamento del ruolo del PE; considerando che l'Unione politica s'impone tanto più in considerazione della riunificazione della Germania e degli sviluppi in corso nei paesi dell'Europa orientale…

C) considerando che il completamento del grande mercato interno non potrà produrre in maniera costante e permanente tutti i vantaggi che si aspettano i cittadini se non verrà rapidamente consolidato da un'Unione economica e monetaria in cui l'uso progressivo di una moneta comune (l'ECU) finirà per portare a una moneta unica…

G) considerando che l'Unione monetaria deve garantire la stabilità monetaria e favorire il progresso economico e sociale, e che tali finalità potranno essere garantite attraverso un sistema europeo di banche centrali, la cui autonomia dovrà fondarsi su basi giuridiche chiare,

H) considerando che il Sistema europeo di banche centrali (SEBC) deve godere del privilegio esclusivo della creazione monetaria, e quindi della capacità di utilizzare, senza alcuna autorizzazione preventiva, tutti gli strumenti di cui le grandi banche centrali moderne dispongono oggi par influenzare i mercati monetari…”
...“M) considerando che, per evitare che le autorità nazionali nuocciano all'obiettivo della stabilità monetaria e alla convergenza delle politiche macroeconomiche degli Stati membri, DEVONO ESSERE ADOTTATE NORME SEVERE CHE LIMITINO RIGOROSAMENTE il finanziamento monetario dei disavanzi pubblici E PROIBISCANO IL SALVATAGGIO AUTOMATICO, da parte della Comunità, DEGLI STATI MEMBRI IN DIFFICOLTÀ FINANZIARIA…
...PLAUDE alla decisione delle autorità degli Stati membri DI PROIBIRE IL FINANZIAMENTO MONETARIO DEL DISAVANZO PUBBLICO E L'INTERVENTO AUTOMATICO DELLA COMUNITÀ IN SOCCORSO DEGLI STATI MEMBRI CHE VERSANO IN DIFFICOLTÀ DI BILANCIO…
...considera necessario creare un sistema europeo di banche centrali che decida autonomamente come attuare gli obiettivi della politica monetaria definiti dal Consiglio e approvati dal Parlamento…; onde evitare che le autorità nazionali nuocciano all'obiettivo della stabilità monetaria e della convergenza delle politiche macroeconomiche degli Stati membri, DOVRANNO ESSERE ADOTTATE SEVERE NORME CHE LIMITINO RIGOROSAMENTE IL FINANZIAMENTO MONETARIO DEI DISAVANZI PUBBLICI E PROIBISCANO IL SALVATAGGIO AUTOMATICO DELLA COMUNITÀ, DEGLI STATI MEMBRI IN DIFFICOLTÀ…”;

12.2.) Ancora, Europe/Documenti pubblicava quindi questo secondo rapporto dal titolo “L'unione Economica e monetaria al di là della prima tappa - Orientamenti per la preparazione della Conferenza intergovernativa”. A pag. 2, punto 4), intitolato “I principi di una sana politica di bilancio”, veniva riportato testualmente quanto segue:
“… I seguenti elementi potrebbero essere incorporati nel Trattato:
Gli Stati membri adottano politiche di bilancio conformi ai principi della disicplina di bilancio. Per il Comitato monetario, questi principi sono i seguenti:
(i) OGNI FINANZIAMENTO MONETARIO ED OGNI FINANZIAMENTO OBBLIGATORIO DEI DEFICIT PUBBLICI DEVE ESSERE ESCLUSO. Ciò significa che i governi non devono aver accesso al finanziamento da parte della banca centrale e che gli istituti finanziari non devono essere obbligati ad acquistare titoli di Stato per finanziare il deficit del settore pubblico. Le operazioni del SESC su titoli di Stato interverrebbero solo per motivi inerenti alla politica monetaria.
Il rispetto di questo principio proteggerà il buon funzionamento della politica monetaria, ma CONTRIBUIRÀ ANCHE A GARANTIRE CHE I GOVERNI SIANO SOTTOPOSTI ALLE CONDIZIONI DEL MERCATO QUANDO PRENDONO A PRESTITO. Inoltre, quando un governo prende a prestito nella moneta di un paese terzo, nessuna banca centrale dovrà essere tenuta a convertire il prodotto di questo prestito nella propria moneta.
(ii) Ogni stato membro deve assumere la responsabilità della propria gestione di bilancio e deve assicurare che è in grado di rispettare i propri impegni. Dev'essere chiaro che i paesi membri non garantiscono i debiti di altri paesi membri. QUESTA REGOLA DEL "NO BAIL OUT" PERMETTERÀ DI ASSICURARE CHE I MERCATI FINANZIARI ESERCITINO UNA DISCIPLINA SU OGNI STATO MEMBRO CHE CONDUCA UNA POLITICA DI BILANCIO CHE NON SAREBBE APPROPRIATA IMPONENDO CONDIZIONI DIVERSE SUI SUOI PRESTITI, o, in casi estremi, rifiutando di imprestare…”.


13. Il recepimento dei principi "progettuali" della moneta unica, e del connesso quadro del vincolo fiscale sui singoli Stati aderenti, è poi, in effetti, avvenuto e viene ribadito con convinzione dopo l'entrata in vigore del trattato ed anche in epoca post-crisi del 2008 con (sempre ex multis):

a) Rapporto sulla convergenza della BCE, maggio 2010, pagg. 25-6:
"Il divieto di finanziamento monetario è fondamentale per assicurare che il raggiungimento dell’obiettivo primario della politica monetaria (principalmente il mantenimento della stabilità dei prezzi) non sia ostacolato. Inoltre, il finanziamento del settore pubblico da parte delle banche centrali attenua gli incentivi per una *disciplina di politica fiscale*. Tale divieto deve pertanto essere interpretato estensivamente in modo da assicurare una sua rigorosa applicazione ed è soggetto solo ad alcune esenzioni limitate contenute nell’articolo 123, paragrafo 2, del trattato e nel Regolamento (CE) n. 3603/93."
b) il regolamento 3603/93, considerando 8, che chiarisce la ratio dell'eccezione rispetto al principio generale:
"considerando che, nei limiti fissati dal presente regolamento, l'acquisizione diretta, da parte della banca centrale di uno Stato membro, di titoli negoziabili del debito pubblico di un altro Stato membro non può contribuire a sottrarre il settore pubblico alla *disciplina dei meccanismi del mercato* se l'acquisizione è effettuata unicamente ai fini della gestione delle riserve valutarie;"

14. La forza consolidata della volontà politico-negoziale di questi fondamenti istituzionali trasposti nei trattati, rende realisticamente impraticabile qualunque volontà di riforma nel senso auspicato nel Def dal governo italiano; e non solo da esso (come vedremo) e non solo da...adesso.
Si tratta di una diatriba "riformistica" di lunga data, sempre infrantasi sull'effettivo costo della solidarietà fiscale per la Germania (e gli altri Stati in forte surplus dei conti con l'estero), stimato realisticamente da Sapir ad esempio. A questa ormai poco convinta rivendicazione "solidale" viene opposto (con successo):
a) il pacta sunt servanda, cioè l'irrevocabilità (più o meno correttamente sostenibile sul piano delle regole del diritto dei trattati) di vincoli assunti volontariamente dagli Stati, per quanto onerosi possano poi rivelarsi;
b) l'essenzialità stessa delle clausole sul divieto di solidarietà fiscale, che giustificherebbero, comunque, la legittimità del richiamo tedesco alla teoria della "presupposizione" e quindi alla nullità di ogni modifica dei principi dei trattati che ne costituiscono Voraussetzungen, cioè presupposti essenziali della stessa conclusione del trattato, tali da risultare invocabili davanti alla stessa Corte GUE, e, prima ancora, davanti alla Corte costituzionale tedesca, per sancire la nullità/inefficacia dell'introduzione di ogni meccanismo solidaristico di tal genere;
c) l'esigenza dell'unanimità per poter comunque introdurre una sostanziale modifica del trattato UE e FUE (a prescindere dall'invocabilità della procedura ex art.48 TUE, in forma ordinaria o semplificata).

15. Quanto appena detto consente di diagnosticare che i governi dei paesi dell'eurozona, che nell'eseguire gli adempimenti imposti dai trattati (e dalle loro fonti via via applicative, in materia finanziaria pubblica), attraverso le c.d. "riforme strutturali", (non casualmente imperniate su misure che mettono in scena una diretta o indiretta riforma permanente del mercato del lavoro, a fini di aggiustamento deflattivo), ben sappiano, o comunque siano realisticamente in grado di sapere, che ogni riforma dei trattati "solidaristica" tesa a rendere sostenibile la situazione sociale, di crescita e, perciò, di consenso politico, è un mero wishful thinking.
Ed infatti, nessuno Stato dell'eurozona, tantomeno in associazione con altri aventi interessi convergenti, ha mai in concreto formalizzato una proposta in tal senso, ai termini dell'art.48 TUE, quantomeno per aprire un fronte minimo di discussione.

16. Preclusa la via negoziale principale da rapporti di forza intergovernativi che fanno propendere per una posizione dominante della Germania divenuta inscalfibile, e quindi una strada realmente risolutiva, proprio in questi ultimissimi giorni si è resa pubblica, un'iniziativa congiunta tra i governi italiano, francese, portoghese e spagnolo. E la si è intrapresa, si può obiettivamente arguire, probabilmente proprio per poter mostrare, davanti allo scontento degli elettorati, l'esistenza di una speranza per i problemi di crescita e di disoccupazione, ormai strutturali e irrisolvibili, nell'eurozona, rebus sic stantibus.
Questa iniziativa agisce su aspetti tecnici della disciplina applicativa del c.d. fiscal compact e suggerisce alcuni rimedi tecnici sulle modalità di calcolo "controfattuale" dello scostamento della crescita dal suo potenziale (output-gap) e sul connesso livello di "piena occupazione" che incorpora, ormai, crescenti livelli di disoccupazione considerata "strutturale", ma che riflette la natura fisiologica, e progressivamente distruttiva, dell'aggiustamento consentito nell'eurozona.
A questo link si può leggere il testo (in inglese) della lettera indirizzata, da parte dei quattro ministri economici interessati (Padoan, Sapin, Centeno e De Guindos) a Dombrovsky e a Moscovici.

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RIFORME DELL'EUROZONA E "MINIRIFORMA" DELLE REGOLE DI BILANCIO: IL WISHFUL THINKING

16.1. Oggetto delle obiezioni" metodologiche", rispetto ai criteri di sorveglianza sull'andamento di bilancio dei singoli Stati, sono, appunto, aspetti come la "crescita potenziale" (cioè in base ad un supposto pieno impiego dei fattori disponibili in un certo paese), l'output-gap (cioè il differenziale negativo, che include la maggior disoccupazione, rispetto all'ipotesi di crescita potenziale) e la velocità a cui tale differenziale si starebbe chiudendo. Il prolungarsi della crisi, e la difficoltà del recupero dei livelli precedenti di prodotto e di crescita, renderebbero, secondo i firmatari della lettera, incerta l'attendibilità dei modelli attualmente utilizzati dalla Commissione.
Si pone l'accento proprio sull'impatto occupazionale, e quindi sulla crescita (in termini di compressione della domanda interna, anche se ciò non viene esplicitato, ma solo necessariamente sottinteso) delle "riforme strutturali" concepite, nell'eurozona, a fini di aumento della competitività: si intuisce la critica verso il modello di crescita, e verso i paradigmi macroeconomici, dell'eurozona, che mimando il modello tedesco, puntano esclusivamente ad una crescita export led.
Beninteso la critica è "sfumata" e si dirige su aspetti che potrebbero definirsi "econometrici", cioè di parametri e incidenza di fattori inseribili nel calcolo, proponendosi perciò metodologie alternative che aumentino la stima del potenziale di crescita e, di conseguenza, del differenziale rispetto a tale condizione ricalcolata, facendo emergere spazi più ampi per ritenere rispettati i criteri di sorveglianza fiscale. In definitiva, consentendo più ampi margini di deficit strutturale e, quindi, più intervento fiscale degli Stati in funzione anticiclica (cioè, nel caso, teso a ridurre la disoccupazione e ad aumentare la crescita).

17. L'intento è lodevole.
Ma, nel quadro negoziale e di rapporti di forza interni all'eurozona, e, quindi, di essenzialità delle norme che i trattati pongono a presidio del finanziamento voluto dell'eurozona, si può predire, fin da ora, il sostanziale "non liquet" che ne risulterà.
Una maggior tolleranza nel registrare i livelli di indebitamento statale consentiti annualmente, avrebbe come effetto di vanificare l'aggiustamento finora ottenuto e di rilanciare, attraverso la ripresa della domanda interna, - sia pur limitata dalla mera natura correttiva dei metodi alternativi proposti, pur sempre coerenti col risultato finale, spostato in avanti, del raggiungimento del pareggio strutturale di bilancio-, squilibri di inflazione e di flussi di capitali tra i paesi più competitivi e quelli oggi ancora debitori (parliamo di saldi delle partite correnti e di posizioni nette sull'estero). L'eurozona si è ormai attestata su un peculiare circolo vizioso (o "uroboro"): il potenziale di crescita dei paesi "in partenza" meno competitivi, se pienamente espresso, condurrebbe a un aumento delle importazioni tale da riprodurre, nella sua dinamica, il problema di asimmetrie e di debito commerciale, che le politiche di austerità hanno inteso correggere (come appunto "spiegato" da Draghi in modo fin troppo chiaro).

18. In sostanza, dunque, il rimedio compromissorio fondato su un calcolo di più elevati differenziali di crescita e su più bassi livelli naturali di disoccupazione che rifletterebbero l'effettivo potenziale di crescita, deve comunque fare i conti col divieto di solidarietà fiscale stabilito nei trattati e con la realtà provocata, nel periodo in cui s'è applicata l'attuale metodologia (quantomeno a partire dal 2010): cioè la deindustrializzazione fortemente selettiva, delle varie filiere interne ai paesi dell'eurozona, ormai a uno stadio avanzato, e tipico delle aree free-trade dove agisce il principio ricardiano dei "vantaggi comparati", per cui i paesi più forti si specializzano nelle produzioni a più alto valore aggiunto e lasciano via via, ai paesi più deboli, le produzioni meno" redditizie", fissandone per il futuro la condizione di assoggettamento politico-commerciale (in termini quasi-coloniali: ed infatti, questo sistema trova proprio il suo antecedente nei rapporti tra "centro" imperialista e colonie, durante i secoli XVIII e XIX, per debordare in conflitti e tensioni "finali" nel XX secolo).

Questo insieme di dinamiche, istituzionalizzate nei trattati, ha portato a privilegiare la (mera) sopravvivenza delle industrie legate all'esportazione ma ha pure simultaneamente instaurato una situazione per cui, a fronte di una (sia pur calibrata e limitata) espansione della domanda interna per via fiscale, non sarebbe più pienamente possibile rimediare tramite il c.d. "effetto sostituzione" delle merci importate con quelle prodotte nei singoli Stati, al fine di bilanciare i conti negativi con l'estero.

19. Oggi l'Italia, per fare l'esempio del paese più sano, dal punto di vista dei conti con l'estero, tra quelli firmatari della lettera, è in questa situazione (tratta dall'ultimo bollettino Bankitalia di aprile):
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Un risultato non trascurabile su un certo piano (il deficit della PNE è stato quasi dimezzato e risulta "fuori pericolo" rispetto al livello considerato "di guardia" per qualsiasi paese); e tuttavia con risvolti negativi altrettanto "importanti" sul piano della sostenibilità sociale (e quindi politica), proprio nei sensi indicati da Carli (profeticamente, ma non troppo, nel 1965), che si stanno progressivamente manifestando.

19.1. La conferma implicita di ciò è desumibile dalle stesse valutazioni di Moscovici sulla "manovrina" di correzione e sulla traiettoria dei nostri conti pubblici (traiamo dall'ANSA):
"Stiamo valutando i piani di stabilità e riforme italiani e di altri Paesi, per l'Italia sappiamo che questa valutazione è particolarmente complessa perché bisogna valutare la regola del debito e la manovra da 0,2%. E questa (correzione, ndr), a prima vista, sembra essere tale", ha aggiunto.
Il mantenimento dei medesimi obiettivi programmatici stabiliti nell'ottobre scorso e la disattivazione completa delle clausole di salvaguardia sulle imposte indirette "determinerebbero la necessità di predisporre, nei prossimi mesi, misure almeno pari a circa 1 punto percentuale di Pil nel 2018 e a circa 1,5 punti percentuali nel biennio successivo, senza peraltro considerare la necessità di finanziare ulteriori interventi dichiarati dal Governo per sostenere la crescita e l'occupazione". Lo scrive l'Upb nel Rapporto sulla programmazione di bilancio 2017 dedicato al Def e al Pnr."

19.2. Ecco: il passaggio saliente riguarda proprio la "necessità di finanziare ulteriori interventi dichiarati dal Governo per sostenere la crescita e l'occupazione".
Il presupposto implicito è che ottemperare, - con la "manovrina" e poi, in misura maggiore, con la legge di stabilità-, ai livelli di correzione fiscale richiesti dalla Commissione, pone il concreto pericolo di finire, nel 2018, nuovamente in recessione (come già avvenuto nel triennio 2012-2014): si tratta infatti di assorbire un consolidamento fiscale di 1,2 punti di PIL, soggetto ad un moltiplicatore superiore all'unità rispetto alla crescita, laddove una stima ottimistica della crescita 2018 si aggira intorno all'1% del PIL, ma a legislazione sostanzialmente invariata.

20. Ma Moscovici, conscio di questo effetto, (anche se non "può" dichiararsi consapevole che i moltiplicatori fiscali applicati dalla Commissione non sono realistici), già sconta che il governo italiano, di fronte a questa dura prospettiva, assumerebbe misure di bilanciamento anticicliche "espansive". Perciò avverte che queste stesse misure dovrebbero essere sostenute in pareggio di bilancio: cioè finanziate rispettando i saldi di deficit strutturale indicati dalla Commissione.
Il che ne vanificherebbe ogni aspetto espansivo.
Salvo ricorrere a una imposizione fiscale straordinaria, o comunque inasprita, sul patrimonio mobiliare e immobiliare degli italiani.
Ciò avrebbe però non indifferenti effetti repressivi dei consumi (in funzione della propensione marginale al consumo della ricchezza patrimoniale, mobiliare e immobiliare, già calcolata dall'ufficio studi di Bankitalia) e, quindi, della domanda interna, proprio per evitare la sua espansione orientata, giocoforza, all'importazione.

20.1. L'euro sarebbe salvo, ma non gli italiani; certamente non si potrebbe ragionevolmente ridurre la disoccupazione, in una situazione di continua contrazione o stagnazione (nella migliore delle ipotesi) della domanda interna.
Le filiere che esportano continuerebbero a farlo (forse: dipende anche da fattori congiunturali dell'economia mondiale), ma altre industrie, per contro, sarebbero costrette a chiudere per sempre. O a finire nelle mani straniere di concorrenti che hanno il principale interesse di depredare gli impianti acquisiti dell'"avviamento" costituito dai marchi (ove siano ancora prestigiosi) e delle (residue) competenze.
Ritardare questo processo, mediante una maggior larghezza di vedute nel calcolo della "crescita potenziale" (cioè una "miniriforma" delle regole tecniche europee di bilancio), a un certo punto di sviluppo di questo paradigma, potrebbe persino rivelarsi inutile: la deindustrializzazione incombente darebbe ragione alle attuali metodologie della Commissione.
E' solo questione di tempo, in effetti. Ma, più probabilmente, la lettera di sollecitazione dei ministri dei quattro paesi "latini", sarà oggetto di melina e di discussione di circostanza da parte di istituzioni che vivono sotto l'influenza dominante della Germania.
Almeno per arrivare, fingendo di considerare l'eventualità, al fatto compiuto della piena realizzazione degli effetti strutturali del gold standard-euro.


Pubblicato da Quarantotto a 18:14 4 commenti: Link a questo post
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domenica 7 maggio 2017
MACRON: IL VINCITORE DI TAPPA. MA LA GRANDE BOUCLE E' UN'ALTRA COSA [/paste:font]


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1. Assumiamo la (più che probabile) elezione di Macron nella sua corretta dimensione: cioè quella di una contromisura di assorbimento della contestazione popolare che, al di là delle apparenti diverse realtà dei singoli Stati dell'eurozona, investe l'intera UE.
Il successo di Macron è, e può essere, dunque, solo una tappa della strategia adattativa del totalitarismo neo-ordo-liberista, che, però, non può essere immediatamente stabilizzato.
Per stabilizzare tale deriva totalitaria, poiché crescerà la resistenza dei popoli coinvolti in base ad un senso comunitario della democrazia nazionale che non è stato ancora completamente estirpato, occorre ancora tempo.
E, nel tempo necessario a tale estirpazione, occorrerà anche l'utilizzo di ulteriori strumenti di annientamento delle sovranità democratiche. Questi strumenti, proprio in funzione di una crescente resistenza, saranno dunque progressivamente sempre più autoritari.

2. Il "fattore Macron" ci fornisce pure l'occasione per un'altra constatazione: il processo di distruzione delle sovranità democratiche nei vari paesi dell'eurozona è straordinariamente omogeneo, simultaneo e, dunque, coordinato. Le elezioni nei singoli Stati ormai tracciano il segno di una sfasatura solo apparente nella omogeneità e simultaneità delle tecniche di convogliamento del consenso nonché delle modalità adattative di neutralizzazione del dissenso.

2.1. Fenomenologicamente, il significato immediato dell'elezione di Macron può sintetizzarsi in questa sua affermazione, compiuta in un'intervista che, in una normale situazione di democrazia dell'informazione, ne avrebbe normalmente segnato la sconfitta e che, invece, è risultata scarsamente rilevante nell'orientare l'elettorato:
"alla domanda: "Vous allez être face à Angela Merkel. La France sera en position de faiblesse. Comment vous allez réussir à vous imposer?", ha risposto: "D’abord je ne suis pas face à Berlin, je suis avec Berlin. Qu’on le veuille ou non. Parce que notre destin est là. Nous avons des différences. Nous aurons des désaccords. Mais je ne vais pas dire aujourd’hui aux Françaises et aux Français que je vais défendre leurs intérêts face à Berlin. Non." (Traduzione: D. Lei dovrà confrontarsi con Angela Merkel. La Francia sarà in una posizione di debolezza. Come pensa di riuscire a imporsi?
R. Anzitutto, io non sono in contrapposizione a Berlino, piuttosto sono con Berlino. Che lo si voglia o meno. Perché il nostro destino è questo. Abbiamo delle differenze. Avremo qualche disaccordo. Ma non andrò oggi a dire alle francesi e ai francesi che andrò a difendere i loro interessi a Berlino. No").

Parlavano di omogeneità e simultaneità delle tappe della strategia, con la sola sfasatura delle occasioni elettorali, e qui ne abbiamo un preciso riscontro:
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3. Quanto alle resistenze, dobbiamo partire dal presupposto sistemico di ogni liberismo che si rispetti, quale enunciato da Spencer:
"La funzione del liberalismo in passato fu quella di porre un limite ai poteri del re. La funzione del vero liberalismo in futuro sarà quella di porre un limite ai poteri del Parlamento".
Questo obiettivo trova la sua proiezione euro-federativa, cioè la sua rigenerazione adattativa, nelle note parole di Monnet:

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4. Parole alle quali occorre affiancare la corretta percezione storica del contesto in cui s'è sviluppata, fin da subito, questa strategia, dato che, parlandosi di Macron (e di Monnet), abbiamo uno "specifico" francese che non può essere ignorato (sempre grazie alla ricostruzione di Arturo):
Come colgono benissimo gli autori di una sintesi della storia comunitaria di cui non posso che raccomandare la lettura integrale ai francophones, ossia François Denord e Antoine Schwartz ("L’Europe social n’aura pas lieu", Éditions Raison d’agir, Paris, 2009, pag. 8):
Riscritto, il passato europeo si libera di ogni connotazione ideologica e, più in generale, di tutti gli aspetti scomodi: fallimenti di possibilità storiche non realizzate, influenze imbarazzanti, personaggi torbidi, manovre diplomatiche incerte, ecc. Della costruzione europea non resta allora altro che un progetto universale e positivo, che si pretende apolitico, un metro su cui poter giudicare gli ulteriori sviluppi dell’integrazione e incoraggiarne i “progressi”. E’ questa pretesa “purezza” del disegno originale che autorizza i rimpianti sul carattere incompiuto della costruzione, sulle “deviazioni” e sulle “lacune” (deficit democratico, Europa sociale, ecc).
...
La logica del ragionamento è abbastanza lineare e se n’è già parlato: per chi interpreta il crollo dell’ordine internazionale dei mercati avvenuto dopo la crisi del ‘29, e la seconda guerra mondiale, come frutto un eccesso di interventismo statalista e totalitario, anziché una ribellione delle società gestite autoritariamente, sterilizzare l’unica possibile sede politicamente rilevante di espressione del disagio sociale, cioè i parlamenti statali, tanto più pericolosi se costituzionalmente obbligati all’attuazione di un modello di democrazia sociale, appare sensato.
Sia chiaro: lo stesso senso che avrebbe, volendo ridurre la fuoriuscita di vapore da una pentola a pressione, eliminare la valvola, anziché spegnervi la fiamma sotto.

Non è un caso che varie associazioni e progetti di unificazione europea, come quella del nostro vecchio amico Kalergi, si affaccino proprio durante gli anni fra le due guerre.
Tuttavia il “primo progetto d’integrazione istituzionale dell’Europa che abbia superato lo stadio di semplice proposta intellettuale e sia stato effettivamente vagliato dai governi degli Stati europei” fu il piano Briand, proposto dalla Francia:
Briand prospetta l’estensione del sistema di garanzie di Locarno a tutto il sistema degli Stati europei, subordinando così la sicurezza della “Comunità” al bilanciamento di potere e alle garanzie bilaterali. Il terzo punto definisce l’organizzazione economica dell’Europa come indirizzata alla creazione di un mercato comune, per incrementare il livello del benessere, da realizzarsi tramite l’abbattimento delle barriere doganali, tema cardine nella politica di Briand. Era quindi prospettato un mercato unico privo di limiti di circolazione di merci, capitali e persone, con la sola riserva dei “bisogni della difesa nazionale di ciascuno Stato”, e che subordinava così l’unione economica all’esercizio della sovranità degli Stati nella materia della sicurezza.



5. L'errore di prospettiva, è utile (ma forse vano) ripeterlo, è quello sulla interpretazione della crisi del capitalismo "marshalliano" (cioè del liberismo neo-classico, "marginalista", che oggi si insiste ossessivamente a riproporre come "nuovo", contro le oggettive istanze accolte nella nostra Costituzione, attraverso l'ossessivo richiamo alle "riforme"): tale crisi viene imputata all'interventismo statale in modo goffamente contraddittorio, perché coinvolgente esperienze disomogenee, come il nazi-fascismo e il socialismo sovietico. L'interventismo statale, propriamente inteso, invece, si manifestò nella sua più efficace espressione proprio nelle democrazie costituzionali del secondo dopoguerra.



5.1. Il discrimine, tra interventismo totalitario, e perciò autoritariamente conservativo dell'assetto oligarchico liberista posto in pericolo dalla crisi del '29, e interventismo democratico è piuttosto agevole, se si fa riferimento al gold-standard e al conflitto sociale che ne deriva, sicché, i veri fini dell'azione politica dell'unione politica e monetaria europea, sono rivelati dai "mezzi": nel caso dall'attribuzione all'euro del ruolo (cosmetico e dissimulatore) di feticcio irenico, propugnato da chi prende parte a tale conflitto collocandosi, come Macron, su una sponda precisa.
Una sponda da cui si schiaccia l'intero substrato sociale non agganciato al grande capitale finanziarizzato ed il cui effetto ultimo rimane sempre quello enunciato da Spencer (e che coincide, rapportato all'adattamento liberista dell'epoca storica successiva alla I guerra mondiale, nell'assetto istituzionale dei regimi fascista e nazista, non a caso apprezzati negli ambienti finanziari e mediatici USA, come è testimoniato dalla più seria ricerca storiografica, v. p.6.1. e come candidamente ammesso da Mises, v. p.4).

L'assoluta (e strutturalmente scontata) censura mediatica su queste premesse e dinamiche storiche, consente oggi a Macron di captare un consenso blindato e di dissimulare lo svuotamento delle stesse elezioni, e di conseguenza della funzione dei parlamenti nazionali, addirittura sotto l'egida di un antifascismo del tutto "ribaltato" nel suo significato sostanziale.



6. Ma la vittoria di Macron non potrebbe rivelarsi più instabile, proprio per le premesse e le finalità limitate della sua capacità politica (anch'essa apertamente ammessa, come abbiamo visto).
La comunità sociale francese, e in realtà di tutti i paesi dell'eurozona, potrà tollerarla solo a condizione di un oblio della democrazia, crescentemente indotto dal sistema cultural-mediatico:
"Di indimostrato in indimostrato, per tessere l'elogio rifondativo della "nuova economia", - senza averne mai verificato induttivamente i dati empirici in cui concretamente si manifesta- si danno per acquisiti risultati che, in realtà, sono giustificazioni di scopo, non solo quindi aprioristiche ma contraddette dai fatti.

Certo, per ora, abbiamo il modello di una società che si rivela aver ghettizzato il 15% della popolazione stile "fuga da New York", e normalizza verso il basso il resto degli "utenti e consumatori", rendendoli fin da ora abituati ad un futuro in cui essere in Cina o negli USA sia fondamentalmente indifferente.
Come "deve" accadere anche a noi.


Un ottimo metodo di controllo sociale, che implica un ferreo e continuo ordinamento mediatico (pop overfed) della società.
E naturalmente quel più generale controllo culturale (l'esaltazione della modernizzazione TINA), che permette, - esaltando nella realtà imaginata a tavolino i non trascurabili poteri di fatto (per ora) delle lobbies finanziatrici degli eletti-vedettes-, di precostituire i risultati dei sondaggi.
Pardon, volevo dire delle para-elezioni idrauliche.
E quindi finchè ci saranno.
Ma sai perchè la democrazia (chiusa in se stessa! "Coattiva" e solidale) non mancherà a coloro che la stanno perdendo?
Perchè nel futuro non ci sarà più chi rammenterà cosa sia stata e sarà in grado di riconoscerne il contrario
".

7. Il commento ora riportata era di due anni fa, ma oggi, come abbiamo detto all'inizio del post, ci troveremo di fronte a una molto concreta ulteriore tappa realizzativa di questo paradigma. Che prelude ad una fase di conflitto sociale inasprito e di anni di instabilità sociale, economica e finanziaria i cui costi saranno posti a detrimento della residua democrazia e persino della sopravvivenza fisica dei popoli coinvolti:



"L'accusa di fascismo alla Le Pen, per dire, appare come una clausola preventiva che autorizzi una svolta autoritaria di sospensione (sine die) dei diritti politici, ove mai le elezioni non fossero più a esito "idraulicamente" predeterminabile.
Senza contare che Macron, quand'anche vincesse domenica, si troverebbe a dover poi fronteggiare delle elezioni legislative, a giugno, avendo già mostrato il suo vero volto alla stordita opinione pubblica francese: non tanto con misure concrete, che pure dovrebbe in qualche modo manifestare, rivelando comunque le sue priorità (ben occultate nello spezzatino cosmetico del programma elettorale), quanto con l'atteggiamento di sudditanza verso la Germania che sarebbe ben più difficile da nascondere nelle prime settimane di presidenza.
Ergo; cavalcano un toro invece di una mucca, e saranno tentati di fare i toreri (cioè, abbattere il popolo riottoso con le cattive), piuttosto che i cowboys (cioè quelli che cercano di tenersi in sella il più a lungo possibile ma sapendo che saranno sbalzati fragorosamente)".



8. Perciò rammentando un puntuale commento di Arturo sulla "revisione" che Eichengreen ha compiuto del suo stesso (di poco precedente) pensiero economico, la congiuntura €uropea attuale diviene un vero e proprio calderone esplosivo, proprio perché le "prudenze" di un recente passato paiono in procinto di essere abbandonate:
"Credo che il momento storico conti, eccome: oggi, hanno utilizzato in modo talmente efficace la storia dei populismi, che ciò che era evidente, e poteva indurre alla prudenza, all'indomani della crisi del 2008 e dell'inizio della reazione deflazionista €uropea, appare un pericolo disinnescato.
In pratica, l'auto-azzeramento delle sinistre, impegnate a giustificare il tradimento dei più elementari principi identitari, si è rivelato un danno assorbibile: sono divenute superflue persino al fine di rendere accettabili, in forma di slogan cosmetico e di feticcio irenico, le trite politiche restaurative del capitalismo sfrenato.
Si sono accorti (ESSI) che ormai il corpo sociale non ha più effettive capacità di autotutelarsi e difendere la democrazia.
Ormai siamo nella condizione ideale affinché il conflitto armato sia visto come inevitabile e ultimativo sistema di correzione (rilancio degli investimenti e della domanda e soluzione concentrata del problema demografico e occupazionale)."

Pubblicato da Quarantotto a 13:11 2 commenti: Link a questo post
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